Letta e il nuovo compromesso storico

Le rivoluzioni in Italia non si possono fare perché siamo tutti parenti.

Leo Longanesi

Modello di trasversalismo

La parabola della mutazione genetica della sinistra italiana, dal Pci al Pd, trova la sua sintesi ideale nella figura di Enrico Letta. Economista dalle origini e dai modi democristiani, è il prototipo del trasversalismo: gradito a Comunione e liberazione e ai porporati vaticani, nipote di Gianni Letta (il braccio destro di Berlusconi), è giudicato rassicurante da più centri di potere perché incarna quella funzione di continuità auspicata dalle cancellerie europee e dagli Stati Uniti, nonché di collante tra una destra e una sinistra italiane anomale rispetto alle democrazie dell’alternanza. Non a caso, prima delle elezioni del 2013, Enrico Letta ha ammesso di preferire che i voti andassero al Pdl piuttosto che disperdersi verso il MoVimento 5 Stelle, unica forza di opposizione mai entrata nella stanza dei bottoni. Dietro l’apparente boutade si evidenziava l’arroccamento di un sistema consociativo che, dopo lustri di sottobosco, è stato costretto a presentarsi, con il governo di larghe intese, mostrando il suo vero volto.

Il percorso vincente dei Letta è il frutto di qualità caratteriali e professionali, ma anche di una vera e propria epopea familiare. La famiglia è una delle più note della borghesia cattolica aquilana, originaria di Aielli, dove il bisnonno Luigi Letta lavorava come esattore delle imposte. Il nonno di Enrico, Vincenzo Letta, era diventato uno dei più importanti avvocati di Avezzano, aveva sposato la figlia del titolare dello studio legale dove aveva svolto il praticantato, Maria De Vincentiis, da cui aveva avuto otto bambini. Tutti hanno avuto una brillante carriera: il primogenito Luigi per un periodo ha seguito le orme forensi e poi è diventato dirigente di Assitalia a Milano, le tre sorelle Adriana, Francesca Romana e Maria Teresa sono insegnanti. Giorgio, il padre di Enrico, si era trasferito a Pisa negli anni Sessanta per occupare la cattedra di Matematica all’università, seguito dal fratello Cesare, docente di Storia romana e archeologo. L’altro fratello Gianni, pur laureato in Giurisprudenza, aveva preso la via di Roma per collaborare al quotidiano «Il Tempo», di cui sarebbe diventato direttore già nel 1973.

Il piccolo Enrico, classe 1966, cresce nella frazione di Colignola, alle pendici dei monti di San Giuliano Terme, comune a pochi chilometri da Pisa. Impara le lingue frequentando la scuola dell’obbligo a Strasburgo, completa gli studi a Pisa e si impegna presto in politica: a quattordici anni è in prima fila nell’Azione cattolica, viene eletto nel consiglio di istituto del liceo classico Galilei e nel tempo libero attacca i manifesti per la Dc. Mentre si avvicina alla laurea in Scienze politiche fa parte della triade chiamata a rilanciare il movimento giovanile dello scudo crociato pisano: il segretario locale Simone Guerrini è doroteo, Giovanni Gazzella forlaniano, Enrico Letta appartiene alla corrente demitiana. Gazzella, poi capogruppo del Pdl in consiglio comunale, racconta: «Ci mettemmo poco a capire che era Letta quello che sarebbe decollato. Aveva una straordinaria capacità di mediazione, riusciva a dialogare con tutti, un talento politico».77

Enrico consegue il dottorato di ricerca in Diritto delle comunità europee alla Scuola superiore di Sant’Anna di Pisa, rinomato centro di perfezionamento in giurisprudenza ed economia. La madre Anna è la coordinatrice della segreteria e si occupa dell’associazione degli ex studenti, tra cui figurano il costituzionalista Sabino Cassese e Giuliano Amato, presidente onorario. A pochi metri dal Sant’Anna si trova la Normale, altra università elitaria che negli anni Trenta aveva formato Carlo Azeglio Ciampi, nel Sessantotto Massimo D’Alema e Adriano Sofri.

A venticinque anni Enrico Letta viene eletto presidente dei giovani del Partito popolare europeo. Durante le riunioni con grandi democristiani come il cancelliere tedesco Helmut Kohl avviene l’incontro decisivo con Filippo Andreatta, figlio dello statista della Dc. Il professore trentino Beniamino Andreatta, ministro del Tesoro nei governi Forlani e Spadolini, introduce Enrico Letta nell’Agenzia di ricerche e legislazione (Arel), da lui fondata nel 1976, e lo assume come assistente personale. Nel mondo di Arel Enrico frequenta anche Romano Prodi, che era stato assistente di Andreatta all’Università di Trento e di Bologna prima di fondare Nomisma con il sostegno dell’industriale Guido Ponzellini.

Dopo l’era De Mita, Enrico Letta confluisce nella corrente prodiana ancorché manifesti convinzioni più mercatiste rispetto al leader dell’Ulivo. Di certo li accomuna l’umiltà caratteriale, l’europeismo convinto e un tempismo democristiano. Nel 1993 Nino Andreatta gli consegna ufficialmente il passepartout: Letta diventa segretario generale di Arel e suo stretto collaboratore, prima al ministero del Bilancio del governo Amato, poi alla Farnesina nella squadra di Ciampi. Nell’universo delle banche Enrico Letta ha ottime frequentazioni, in particolare con il presidente di Intesa San Paolo Giovanni Bazoli, altro sostenitore dell’Ulivo, e con lo stesso Carlo Azeglio Ciampi. L’ex governatore di Banca d’Italia, chiamato nel ’96 da Prodi al ministero del Tesoro per risanare i conti pubblici, nomina Enrico Letta segretario generale del Comitato per l’euro. Se nel sindacato può contare sulla vicinanza col segretario della Cisl Raffaele Bonanni, nella squadra di governo si identifica con il meno politico dei ministri: il professore della Cattolica Tiziano Treu. Si tratta dell’autore della riforma che inserisce incentivi al lavoro part-time e all’apprendistato, e reintroduce una norma abolita nel 1960: il lavoro interinale, ossia posti dati in affitto per un certo periodo tramite un’agenzia di intermediazione.78

Nel novembre del 1998 il primo governo D’Alema deve scegliere tre ministri prodiani: Enrico Letta, diventato nel frattempo vicesegretario del Ppi per volere di Franco Marini, viene nominato titolare del dicastero per le Politiche comunitarie a soli trentadue anni, il più giovane della storia repubblicana. Dopo un rimpasto riceve le deleghe a Industria, Commercio e Artigianato al posto di Bersani, nel governo Amato estende le proprie competenze al Commercio con l’estero.

Enrico Letta è circondato da validi collaboratori come l’economista Francesco Boccia e il docente di Scienze politiche Lapo Pistelli, che è stato al suo fianco e poi ha lanciato il giovane Matteo Renzi. Viceministro agli Esteri nel governo Letta e dotato di un curriculum che ruota attorno al potere, Pistelli può permettersi di parlare del soprannome dell’amico Enrico: «l’Amato del Duemila, perché al pari di Giuliano sta dentro tutti i giochi. In quelli di Prodi e in quelli di Walter Veltroni, in quelli di Massimo D’Alema e in quelli di Pier Ferdinando Casini. Sta addirittura in quelli di Giulio Tremonti».79

Aspen e i suoi fratelli

Nella primavera del 2013 Giuliano Amato è stato sino all’ultimo in lizza con Enrico Letta per l’incarico di premier. La necessità di palingenesi però ha giocato a sfavore del Dottor Sottile, inchiodato nell’immaginario degli italiani al ruolo di storico delfino di Bettino Craxi e al prelievo sui conti correnti ordinato nel 1992 in veste di presidente del Consiglio.

Per la gente che conta, Enrico Letta ha le carte in regola. Ad esempio siede nel consiglio di presidenza del Centro studi politica internazionale (Cespi) e si è «assicurato» una poltrona nel comitato direttivo dell’Istituto affari internazionali (Iai), figura nell’advisory board di Italianieuropei (la fondazione di D’Alema), ma non si contenta delle presenze a macchia di leopardo e nel 2005 crea una sua fondazione: VeDrò l’Italia al futuro, dal nome del paesino sul Lago di Garda, Fies di Drò (Trento), dove si svolge l’annuale meeting. Dal 2004 Letta è il vice di Giulio Tremonti nella Aspen Institute Italia, la branca italiana di uno dei più importanti pensatoi cresciuti negli anni Cinquanta negli Stati Uniti e in seguito in Inghilterra.

Nel 2004 Letta viene eletto a Bruxelles, non prima di aver compiuto un tour per i distretti produttivi italiani assieme a Pier Luigi Bersani. A Montecitorio invece nasce l’Intergruppo sulla sussidiarietà, vicino a Comunione e liberazione, per iniziativa di un deputato che Letta conosce bene, Maurizio Lupi, storico ciellino lombardo. Lo scopo del gruppo è promuovere il passaggio dei servizi pubblici – scuola, sanità, assistenza sociale – ai soggetti privati: una forma «clericale» di privatizzazione.

Letta è tra i pochi italiani invitati al Club Bilderberg e al comitato europeo della Commissione trilaterale di New York, il gruppo di interesse fondato nel 1973 dal presidente della Chase Manhattan Bank, David Rockefeller, frequentato da «falchi» statunitensi del calibro di Henry Kissinger. Il presidente della Trilaterale europea è l’ex presidente della Bce Jean-Claude Trichet, succeduto a Mario Monti.

Lo zio Gianni, questione di famiglia

A Roma Enrico Letta condivide per un periodo l’appartamento con l’amico Lapo Pistelli. Poi si trasferisce nella borgata di Testaccio con la moglie Gianna Fregonara, giornalista del «Corriere della Sera», e i tre figli. Nel quartiere popolare, il più «rosso» della capitale, l’elegante economista pisano si sposta in scooter e senza auto blu, accompagna i figli a scuola a piedi. Nello spartano palazzo che ospitava la sezione del Pci, detto «il Cremlino del Testaccio», risiedono anche il senatore Nicola Latorre e Giuliano Ferrara.

Nella capitale Enrico ritrova lo zio Gianni Letta, che dal 1987 ha lasciato la direzione de «Il Tempo» per ascendere alla vicepresidenza di Fininvest Comunicazioni. Il lobbista «parlamentare» dell’impero di Segrate è stato soltanto lambito dall’inchiesta di Mani pulite. Durante l’interrogatorio del pm Antonio Di Pietro, l’8 aprile 1993, Gianni Letta ha confessato di aver pagato cinque anni prima una tangente di 70 milioni di vecchie lire al segretario del Psdi Antonio Cariglia, che chiedeva più spazio sulle tv Fininvest. C’è da giurare che Letta senior, messo alle strette dalla toga più famosa d’Italia, avesse ben calcolato che il reato era matematicamente estinto dall’amnistia.80

Il sor Gianni è apprezzato negli ambienti del Vaticano e delle banche romane, dalla sinistra di Walter Veltroni e Giorgio Napolitano. Storicamente andreottiano, è l’indiscusso cardinal Mazzarino di Berlusconi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio in tutte e tre le esperienze di governo. Sulle qualità diplomatiche di questo giornalista, direttore alias manager abruzzese, che ha posto solide radici nel cuore del potere romano, è fiorita una letteratura di dietrologie e mitologie: Gianni Letta è il lord, gran ciambellano, l’eminenza grigia che manovra tutto nell’ombra. È lui a organizzare la cena con Silvio Berlusconi e Massimo D’Alema conclusasi con il cosiddetto «patto della crostata» sulla riforma della Costituzione, poi non entrata in vigore. Il figlio di Gianni Letta, Giampaolo, è amministratore delegato di Medusa, che fa capo alla famiglia Berlusconi.

L’impostazione del cugino Enrico Letta, invece, è più orientata agli insegnamenti di Andreatta e Prodi che non all’universo di Andreotti e Berlusconi. Il campo visivo, comunque, è dialogante a 360 gradi. Prima delle Politiche del 2006, tra le tante dichiarazioni elettorali contro il centrodestra, se ne segnala una in controtendenza: «Sembrerà assurdo, ma se non si era ancora capito, io sono un grande fan di Berlusconi […]. Mantengo una linea molto critica con Berlusconi, ma vorrei fargli un appello inedito. Vorrei, a prescindere dall’esito delle prossime elezioni, dicesse subito che lui si impegna a rimanere nella vita politica italiana e a mantenere la sua leadership del Polo. Perché il mio grande timore è che un Berlusconi che pareggi o perda faccia un biglietto per Tahiti. Se Berlusconi facesse questo gesto sarebbe la tomba del bipolarismo italiano. Farebbe precipitare il centrodestra indietro di dieci anni».81

La vittoria dell’Unione di Prodi non costringe Berlusconi a fare le valigie. Nelle sale di Palazzo Chigi si assiste a una scena surreale, il passaggio di consegne tra Gianni ed Enrico Letta come sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Due anni dopo, con il trionfo di Berlusconi, la cerimonia familiare si inverte ed è Letta junior a restituire il ruolo a Letta senior. Nel 2007 Enrico muove le sue pedine nella scacchiera del neonato Partito democratico. Candidandosi alle primarie volute da Prodi e Veltroni, dichiara di aver individuato «gente in gamba» nella squadra di Berlusconi, magari da chiamare a collaborare in futuro: «Gianni Letta, innanzitutto, poi Casini, Tabacci e Vietti (Udc) e, più a sorpresa, Giulio Tremonti».82

Nel frattempo lo zio Gianni viene elevato a «gentiluomo di Sua Santità» da Benedetto XVI ed entra nell’advisory board della banca d’affari Goldman Sachs. Filippo Ceccarelli riferisce su «la Repubblica» un antico aneddoto sulla famiglia predestinata: «Il 16 marzo 1978 Gianni Letta, allora direttore de “Il Tempo”, caricò sulla sua Mini Morris il dodicenne Enrico Letta e insieme andarono a via Fani. Sono episodi che rimangono impressi».83

La galassia Letta: uno stile democristiano

Beniamino Andreatta viene colpito da un malore durante una discussione della finanziaria e muore il 26 marzo 2007 dopo sette anni di coma. Per Enrico Letta la scomparsa del mentore coincide con la sua seconda vita politica. Il 24 luglio, sfidando il proverbiale riserbo, decide di mettersi in gioco annunciando con un video su YouTube la candidatura alle primarie per la segreteria del Pd.

L’Enrico Letta candidato è costretto ad affrontare temi desueti che stanno tornando al centro dell’agenda politica. Mentre nel Pd si fa a gara per riabilitare Bettino Craxi e criticare Enrico Berlinguer, Letta risponde democristianamente. Sfugge alla dicotomia perché non è in «grado di dare un giudizio». Al contrario, si esprime sull’impero televisivo di Berlusconi, che «all’inizio ha garantito maggior pluralismo. Ma in seguito è venuto meno con il duopolio Rai/Mediaset».84 Non è un animale da campagna elettorale, e si vede. Le primarie dell’ottobre del 2007 sono un plebiscito per Walter Veltroni. Lui giunge terzo con l’11 per cento dei consensi, alle spalle di Rosy Bindi, pasionaria dorotea già ministro della Sanità.

Politicamente Enrico Letta resta immobile mentre tutto intorno cambia con le dimissioni del premier Prodi e la vittoria elettorale di Berlusconi nell’aprile del 2008. Veltroni lo tiene in gran considerazione, o forse semplicemente lo teme, e gli assegna il ministero di Lavoro, Salute e Welfare nel governo ombra del Pd.

Alla fine del 2009 è nominato dall’assemblea nazionale a larghissima maggioranza vicesegretario unico del Pd di Pier Luigi Bersani, da lui appoggiato con convinzione alle primarie. Per quanto riguarda i guai con la giustizia del premier Berlusconi, tiene a confermarsi la colomba del centrosinistra: «Come ha detto Bersani, consideriamo legittimo che, come ogni imputato, Berlusconi si difenda nel processo e dal processo. Certo, legittimo non vuol dire né opportuno, né adeguato al comportamento di uno statista».85

Letta accompagna Bersani nel periodo che precede la nascita del governo tecnico di Mario Monti, invocato al crepuscolo del governo Berlusconi. E indica la bussola economica: «È arrivato il momento di cominciare a parlare di privatizzazioni. Penso a Poste, Ferrovie, Eni, Enel, Finmeccanica e alle 20.000 aziende partecipate degli enti locali […]. Bisogna rilanciare su liberalizzazioni, privatizzazioni e infrastrutture. Poi modulare l’imposta sui titoli. Rivedere il patto di stabilità per gli enti locali. Toccare le pensioni solo dopo aver tagliato i vitalizi dei parlamentari».86

Il vicesegretario del Pd è entusiasta della lettera riservata con cui il 5 agosto 2011 la Banca centrale europea ha chiesto all’Italia di adottare provvedimenti urgenti di riduzione della spesa pubblica per evitare il rischio del crac come in Grecia.

Quando la strana maggioranza, riassunta nell’acronimo «ABC» ( iniziali dei segretari di Pdl, Pd e Udc: Alfano, Bersani e Casini), garantisce la fiducia al governo Monti, un fotografo immortala un bigliettino firmato «Enrico»: «Mario, quando vuoi dimmi forme e modi con cui posso esserti utile dall’esterno. Sia ufficialmente (Bersani mi chiede per es. di interagire sulla questione dei vice) sia riservatamente. Per ora mi sembra tutto un miracolo! E allora i miracoli esistono!». Si tratta di Enrico Letta, ambasciatore del centrosinistra, come lo zio Gianni per il Pdl, presso il nuovo esecutivo.

I partiti, pur tentando di scaricarsi le responsabilità delle manovre più impopolari, appoggiano la politica di rigore nei conti pubblici che obbedisce al Fiscal compact;87 votano uniti i sacrifici imposti dalla «cura Monti» in termini di riordino delle imposte, riforma delle pensioni e tagli a sanità, scuola pubblica e servizi sociali.

La base del Pd è in subbuglio, chiede invano un cambio di rotta e libera le energie nella sfida delle primarie tra Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi, il sindaco di Firenze che progetta l’azzeramento della vecchia classe dirigente del Pd. Le affinità elettive di Letta e Renzi sono evidenti, non bastasse il convinto sostegno all’«Agenda Monti oltre il 2013» con i politologi Salvatore Vassallo e Stefano Ceccanti, il dalemiano Claudio Petruccioli, il rutelliano Paolo Gentiloni e l’ex leader Udc Marco Follini. In particolare è l’onorevole Pietro Ichino, giuslavorista già nel mirino delle Brigate rosse, a confidare in Renzi per realizzare una svolta liberale nel mercato del lavoro e di abbattimento della spesa pubblica. Enrico Letta invita il sindaco di Firenze alla convention di VeDrò, preoccupando gli ex popolari Bindi, Fioroni e Marini, che secondo i renziani dovrebbero andare in pensione. Tuttavia, con mossa tipicamente democristiana, Letta conferma l’appoggio a Bersani.

Sul web Pietro Ichino lo attacca, prendendo spunto dalla lettera di un’elettrice indignata: «Davvero non ha argomento migliore per contrastare la candidatura di Matteo Renzi, se non la preoccupazione per l’unità del Pd? […] Non pensa Enrico Letta che sia, alla lunga, assai più “divisiva” per il Pd la linea del vertice attuale del Pd, che in parlamento appoggia le riforme del governo Monti, ma non sembra capace di assumere l’impegno chiaro e netto di porre la strategia europea di Mario Monti al centro del proprio programma per la prossima legislatura (come invece fa Renzi in modo molto esplicito)?». La risposta di Letta è un attacco diretto a Ichino: «Utilizzi parole riportate in modo confuso e di seconda mano per mettermi in bocca cose che evidentemente ti sono utili solo per i tuoi fini. Se mi avessi chiesto cosa penso sul tema delle primarie, ti avrei risposto semplicemente con quel che penso. E cioè che sono state una grande scelta. Una salutare, sacrosanta occasione di democrazia e partecipazione che renderà più forte il Pd rispetto ai nostri avversari e rispetto all’antipolitica […]. Ritengo che quella di Bersani, sia in quanto leader del partito più grande, sia per la sua naturale capacità inclusiva, sia la candidatura migliore per la premiership».88

Questo dibattito è la conferma della mutazione antropologica della sinistra, che appoggia il tecnocrate Monti e poi, il 28 aprile 2013, produce il governo Letta. Dopo Marx, vanno in soffitta anche le prospettive di John Maynard Keynes e del socialismo europeo.

Il governissimo con il Pdl

Il governo di Enrico Letta non segue soltanto la linea montiana ma, nel solco tracciato dal presidente Giorgio Napolitano, certifica l’emersione del consociativismo. Eppure all’inizio di aprile, poco prima di diventare premier, Letta aveva affermato categoricamente: «Pensare che dopo vent’anni di guerra civile in Italia, nasca un governo Bersani-Berlusconi non ha senso. Il governissimo come è stato fatto in Germania89 qui non è attuabile. Intanto cerchiamo un’intesa sul presidente della Repubblica».90

Le rispettive diplomazie invece non si sono mai fermate, nemmeno nei giorni in cui il segretario democratico cercava di ottenere l’appoggio dei grillini. L’incontro decisivo, alla vigilia del voto per il capo dello Stato, si è celebrato il 17 aprile 2013 a casa di Enrico Letta, nel «Cremlino del Testaccio»: da una parte Berlusconi, dall’altra lo stato maggiore del Pd, bersaniani compresi.

L’esecutivo di coabitazione tra ministri di destra e sinistra, il primo dai tempi del Comitato di liberazione nazionale, battezza la Terza repubblica. Il vicepresidente di Confindustria Aurelio Regina descrive Letta come «una persona di grandissimo equilibrio e di grandi capacità di mediazione». Monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, è fiducioso: «Spero che sia veramente un momento di impegno, di rinnovamento, di responsabilità e soprattutto di corresponsabilità da parte di tutti». Fedele Confalonieri sottolinea come «la governabilità ovviamente aiuta: l’incertezza blocca gli investimenti pubblicitari: i due primi partiti si sono messi insieme e ci dovrebbero essere dei risultati positivi anche per le aziende». Persino la società di calcio del Milan apprezza «l’uomo politico e un grande tifoso rossonero». Per Stefania Craxi se «il Pd seguirà compatto la strada indicata da Napolitano, gettando alle ortiche ideologie ammuffite e prepotenze senza senso, la politica italiana uscirà dallo stallo».91 L’ambasciatore americano David Thorne è entusiasta: «L’Italia è sempre stata una grande alleata dell’America, questo è un momento un po’ complicato, ma adesso sembra che il governo si metta a posto, c’è un nuovo leader, Enrico Letta, che conosco bene e con il quale mi voglio congratulare».92

L’operazione-rinnovamento, con la presenza di 7 donne su 21 ministri e l’età media di 53 anni, dissimula la continuità programmatica con il governo Monti. La novità è l’impegno ulteriore di natura «politica»: decisive modifiche costituzionali per superare il bicameralismo perfetto e ridisegnare il sistema elettorale. Letta vincola la propria permanenza, stabilendo un limite di 18 mesi, al compimento delle riforme della Costituzione affidate a un nuovo comitato parlamentare di 42 saggi. Il resto del programma lettiano sono promesse di incentivi e detassazione su vari fronti, a cominciare dal taglio dell’Imu sulla prima casa in ossequio al diktat berlusconiano. Tuttavia, senza un corposo reperimento di risorse, l’Italia oltrepasserebbe la soglia del 3 per cento nel rapporto tra deficit pubblico e Pil, rischiando di subire una nuova procedura d’infrazione da parte dell’Unione europea.

A muovere i fili dei ministeri più importanti del governo Letta sono tecnici liberal-conservatori ed esponenti del centrodestra. Il titolare degli Interni e vicepremier Angelino Alfano, segretario del Pdl, è ricordato come il promotore di leggi incostituzionali sull’immunità per le alte cariche e il legittimo impedimento. La Chiesa, che certo non festeggia per la radicale Emma Bonino agli Esteri, può contare sui ciellini Mario Mauro al ministero della Difesa e Maurizio Lupi a Trasporti e Infrastrutture, oltre alla vicinanza di molti colleghi di matrice democristiana. Il nocciolo duro del governo è rappresentato da economisti della nicchia montiana e lettiana, con annessi quattro saggi di Napolitano, personalità che in maggioranza si sono conosciute nelle fondazioni e nei consessi internazionali al riparo da ascolti indiscreti e polemiche. Il ministero chiave dell’Economia è nelle solide mani di Fabrizio Saccomanni, quarant’anni in Banca d’Italia, rappresentante presso il Fondo monetario internazionale (Fmi) e la Bce, dunque garanzia di stretti rapporti con chi comanda nella Ue. Si è insediato un tecnico anche al dicastero del Lavoro e delle Politiche sociali, il direttore dell’Istat Enrico Giovannini. La ministra della Salute è la pidiellina Beatrice Lorenzin: maturità classica, gavetta nel centrodestra e ospite fissa a VeDrò.

Il passo indietro dei big del Partito democratico ha una duplice valenza: da un lato quella di frenare i malumori nell’elettorato già scosso dal governo assieme al Pdl, dall’altro di lasciare responsabilità e mano libera ai tecnici. Un solo ministero di prima fascia, quello allo Sviluppo economico, è affidato a Flavio Zanonato, storico sindaco di Padova sin dai tempi del Pci, ma vicino a Comunione e liberazione.

I volti nuovi, sistemati nei ministeri senza portafoglio, sono il medico oculista Cécile Kyenge all’Integrazione e la canoista Josefa Idem allo Sport. La campionessa olimpica è costretta alle dimissioni in soli due mesi, quando un accertamento tributario del Comune di Ravenna le ha contestato 3000 euro di Ici non pagata, una palestra censita come abitazione e ristrutturazioni non autorizzate.

Sugli equilibri della maggioranza pende la spada di Damocle della pretesa impunità di Silvio Berlusconi. Per il leader del Pdl, salvatosi in passato grazie alla depenalizzazione del falso in bilancio e alla prescrizione favorita dalle leggi ad personam, qualche nodo giudiziario arriva al pettine. In due processi di primo grado a Milano è già stato condannato. In un frangente la prescrizione cancella il reato di rivelazione di segreto che gli è costato un anno per l’ascolto e la pubblicazione su «il Giornale» della telefonata non ancora trascritta dai pm in cui Piero Fassino chiedeva a Giovanni Consorte della scalata di Unipol a Bnl: «Allora, abbiamo una banca?».93 Le nubi però si addensano sul caso Ruby per la condanna a sette anni di reclusione e sul procedimento che a Napoli vede Berlusconi accusato di corruzione dell’ex senatore Idv Sergio De Gregorio.

Il primo processo a giungere in Cassazione, nonostante due sospensioni per eccezioni di costituzionalità del lodo Alfano e del ddl sul legittimo impedimento, è relativo a un’evasione fiscale di Mediaset nell’acquisto gonfiato di diritti tv dalle major americane.94 Il 1° agosto 2013 la Suprema Corte annulla i ricorsi delle difese confermando la condanna a 4 anni per Silvio Berlusconi, colpevole di aver creato un tesoro di fondi neri in Svizzera, a Montecarlo e alle Bahamas. L’esecutività della pena, diminuita di 3 anni per effetto dell’indulto, non comporta un rischio di detenzione carceraria per il settantaseienne pregiudicato. Tuttavia dovrebbe incidere sul quadro politico. Non perché il Cavaliere sia formalmente un delinquente, questione secondaria rispetto al patto d’acciaio con un centrosinistra che ne aveva sempre ignorato le pesanti ombre penali: difatti il Pd non si crea problemi a continuare l’azione di governo assieme. La situazione è resa instabile da quella che viene definita l’«agibilità politica» di Berlusconi: oltre alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, che sarà ricalcolata in un nuovo giudizio d’Appello, è in vigore la legge Severino che vieta le candidature dei condannati per un periodo di almeno 6 anni.95 La norma sancisce la decadenza di Berlusconi da senatore e gli impedisce di tornare direttamente nell’agone elettorale sino al 2019. Anche se Silvio potrebbe tranquillamente tornare premier senza candidarsi, riprendono le proteste di piazza del Pdl con la litania dell’eliminazione «per via giudiziaria del leader del centrodestra» e le pressioni su Quirinale, governo e maggioranza affinché partoriscano l’ennesimo salvacondotto. Il problema non è lo smacco di ritrovarsi escluso dalle Camere ma la perdita delle relative guarentigie rispetto a inchieste giudiziarie vecchie e nuove. Provvedimenti che incidono sull’entità della pena, come un nuovo indulto o la commutazione in pena pecuniaria che può essere concessa dal presidente della Repubblica, cancellerebbero soltanto il periodo di detenzione domiciliare o l’affidamento in prova ai servizi sociali. Ragion per cui il centrodestra tenta di rinviare l’applicazione della legge Severino, votata soltanto nel dicembre del 2012 all’unanimità e ora «diventata» incostituzionale, e nel contempo invoca soluzioni che estinguano il reato: la concessione della grazia da parte di Giorgio Napolitano, che però suonerebbe come una delegittimazione della Cassazione, o l’approvazione di un’amnistia, che richiederebbe il voto di due terzi del parlamento.

Alla vigilia del voto nella Giunta del Senato che darà il via libera al passaggio parlamentare sulla decadenza, Berlusconi accelera le operazioni di ricatto istituzionale. Dapprima paventa la dimissione in blocco dei parlamentari del Pdl, in seguito impone ai ministri di lasciare il governo provocando malumori nelle cosiddette «colombe» del centrodestra. Il 2 ottobre 2013 il premier Letta, in pieno accordo col presidente Napolitano, chiede il voto di fiducia incassando anche l’appoggio informale di 25 senatori del Pdl sotto la guida di Angelino Alfano. A quel punto, resosi conto di non poter staccare la spina all’esecutivo, il Cavaliere sublima la farsa parlamentare votando a sorpresa la fiducia, dunque tornando ad accomodarsi nel ruolo di sostenitore critico.

Tranne qualche singolo lamento, il Pd assiste immobile all’ennesima indecorosa sceneggiata che non pone limiti ai mezzi e ai pretesti pur di raggiungere il fine: «l’agibilità politica» di Silvio Berlusconi, cittadino al di sopra della legge.

77 Luca Lunedì, Quelle schermaglie tra giovani democristiani, «Il Tirreno», 25 aprile 2013.

78 La legge 196 del 4 giugno 1997 introduce il lavoro interinale, cancellando il divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro della legge 1369 del 1960, e regola direttamente apprendistato e part-time.

79 Francesco Verderami, La saga dei Letta: dopo Gianni Enrico?, «Corriere della Sera», 4 febbraio 2006.

80 L’amnistia è un atto di clemenza che estingue il reato, a differenza dell’indulto, che interviene sulla pena inflitta al condannato, riducendola o cancellandola; l’ultima amnistia, approvata il 12 aprile 1990, cancella i reati non finanziari con pene fino a 4 anni di carcere commessi sino al 24 ottobre 1989.

81 Intervista a «Libero», 18 settembre 2009.

82 Andrea Garibaldi, Letta in campo. «Dal Polo prenderei zio Gianni con Tremonti e Casini», «Corriere della Sera», 15 settembre 2007.

83 Filippo Ceccarelli, La Dynasty bipartisan della politica italiana. C’è sempre un Letta a Palazzo, «la Repubblica», 25 aprile 2013.

84 Intervista di Claudio Sabelli Fioretti, «Corriere della Sera Magazine», 30 agosto 2007.

85 Intervista al «Corriere della Sera», 30 novembre 2009.

86 Intervista a «la Repubblica», 11 luglio 2011.

87 Il Fiscal compact, ratificato dal Consiglio europeo il 2 marzo 2012 col voto favorevole di tutti gli Stati membri tranne il Regno Unito e approvato dal parlamento italiano il 19 dicembre, prevede regole comuni quali il pareggio di bilancio dello Stato e un rapporto debito pubblico-Pil che non superi la misura del 60 per cento.

88 Dal sito http://www.pietroichino.it, 22 settembre 2012.

89 Il riferimento è alla Grosse Koalition, che nel novembre del 2005 permise ad Angela Merkel dell’Unione cristiano-democratica (Cdu) di diventare cancelliera col sostegno del Partito socialdemocratico (Spd), giunto secondo per un solo punto percentuale alle elezioni.

90 Intervista di Lilli Gruber nel programma Otto e mezzo, La7, 8 aprile 2013.

91 Agenzia Ansa, 24 aprile 2013.

92 Intervento a Pistoia per l’inaugurazione di Youlab, attivato all’interno della biblioteca San Giorgio grazie a una donazione del governo americano, 24 aprile 2013.

93 Per la pubblicazione su «il Giornale» del 31 dicembre 2005 della telefonata tra Giovanni Consorte e Piero Fassino intercettata dalla guardia di finanza ma non ancora trascritta dall’autorità giudiziaria, l’editore del quotidiano Paolo Berlusconi e il fratello Silvio sono stati condannati il 7 marzo 2013 rispettivamente a 2 anni e 3 mesi e a 1 anno di pena, nonché al risarcimento di 80.000 euro a Fassino come parte civile. Il reato è andato in prescrizione nell’agosto del 2013.

94 L’inchiesta dei pm Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo, che contesta 7,3 milioni di euro di frode fiscale per costi fittizi di Mediaset sui diritti tv acquistati dalle major americane relativi ai bilanci 2002-2003, porta alla condanna in primo grado di Silvio Berlusconi il 26 ottobre 2012, poi confermata in Appello l’8 maggio e in Cassazione il 1° agosto 2013: 4 anni di pena, risarcimento di 10 milioni di euro, mentre l’interdizione di 5 anni dai pubblici uffici sancita in secondo grado è stata annullata dalla Suprema Corte con rinvio in Appello.

95 Il primo articolo del decreto legislativo del 31 dicembre 2012 prevede che «non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni»; l’incandidabilità si applica anche «in assenza della pena accessoria» e «non è inferiore a 6 anni dalla data del passaggio in giudicato della sentenza».