Bersani, amicizie pericolose
Se libertà significa qualcosa, allora significa il diritto di dire alla gente quello che la gente non vuole sentire.
George Orwell
A tutto campo
«Noi veniamo da lontano»: nei discorsi di Pier Luigi Bersani ricorre quel senso di appartenenza che scalda i cuori dei militanti di lungo corso e garantisce solidità alle nuove leve. Le ideologie crollano, i riferimenti cambiano, le politiche si adeguano, ma i messaggi imparati ai comizi dei padri del Pci, intonati da Francesco De Gregori ne La storia siamo noi, sopravvivono.
Bersani ha attraversato quattro stagioni: la protesta giovanile, la vita di partito, l’amministrazione regionale, il governo del paese. È sempre stato affidabile sia per la dirigenza interna sia per poteri la cui mission è antitetica alle necessità della working class. Il richiamo all’unità associato a un altro marchio bersaniano, «la fedeltà alla ditta», spiega l’estensione di quel «noi» a nuove realtà sociali, economiche e politiche. Le stesse che certamente ne hanno favorito la carriera.
Bersani sa far di conto e presta la propria «vocazione» sia a don Camillo che a Peppone, alla chiesa e al partito. Nel 2008 Giovanni Donigaglia, presidente della Coopcostruttori di Argenta, spiega di aver pranzato con Bersani nella seconda metà degli anni Ottanta in un ristorante nei pressi della Fiera di Bologna, in presenza del sindaco di Ferrara Roberto Soffritti. Donigaglia sostiene di aver ricevuto «una pressante richiesta affinché la mia cooperativa finanziasse la Festa nazionale dell’Unità. Cosa che ovviamente feci, visto che era il Pci a garantirmi la vincita degli appalti negli enti amministrati dalla sinistra. Di certo, se Bersani non m’avesse ingiunto di versare quei soldi, io mi sarei ben guardato dallo sprecare milioni di lire della Coopcostruttori per un’iniziativa che non aveva nulla a che vedere con le nostre attività».96 Donigaglia, poi travolto dalla bancarotta della sua Coop ferrarese, era stato accusato ai tempi di Tangentopoli di finanziamento illecito al Pci, ma sempre assolto.
Il terremoto di Mani pulite non sfiora Bersani, anzi coincide con il salto decisivo. L’integerrimo amministratore piacentino, che ha appoggiato la svolta di Achille Occhetto e si colloca nell’area maggioritaria dalemiana, diventa presidente della Regione Emilia-Romagna in seguito alle dimissioni di Enrico Boselli, legate al crollo del Psi. Nel 1995, in occasione della conferma per via elettorale col 54 per cento dei voti, è il precursore dell’Ulivo: nel «Progetto democratico» del governatore confluiscono Pds, Verdi, repubblicani, socialisti e per la prima volta il Partito popolare italiano.
Bersani mostra attenzione per l’ambiente istituendo i parchi regionali dei laghi di Suviana e Brasimone, del Crinale Alta Val Parma e Cedra, dell’abbazia di Monteveglio, ma la sua fase non frena la cementificazione. È un convinto sostenitore delle grandi opere pubbliche tra l’Emilia e la Toscana, rigorosamente in project financing:97 l’alta velocità ferroviaria da Bologna a Firenze e la variante di valico, ossia il raddoppio dell’Autostrada del sole dal casello di Sasso Marconi a quello di Barberino del Mugello.
Nel nuovo millennio Bersani guiderà persino l’associazione Nuova Romea, schierata a favore del faraonico progetto di un’autostrada da Mestre a Civitavecchia. Il costo preventivato di circa 10 miliardi di euro, di cui il 45 per cento a carico dello Stato, risulta superiore a quello per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina di berlusconiano conio. Il 28 ottobre 2008 un’interrogazione alla Camera firmata Bersani e trasversalmente da altri deputati, analoga a un dossier della fondazione Nord-Est di Confindustria, chiede di non rinunciare al progetto. Il project financing è di una cordata capeggiata da Gefip, holding belga di Vito Bonsignore, europarlamentare di centrodestra e manager di successo, già deputato e sottosegretario Dc. Bonsignore è un «Signore delle autostrade» che attraversa la direzione generale di Satap, holding di Marcellino Gavio creata per supportare la Torino-Piacenza, e in un secondo tempo costituisce il terzo polo italiano con Management Engineering Consulting e Infrastrutture lavoro Italia.
Le strette di mano che Bersani non fa passare inosservate sono quelle con il vicepresidente di Confindustria Guidalberto Guidi, e con ras del settore sanitario privato. Se da un lato la moglie Daniela gestisce una spartana farmacia comunale a Piacenza, Pier Luigi e il partito emiliano sono in rapporti con Ettore Sansavini, patron del gruppo Villa Maria di Cotignola (Ravenna). Si tratta di un impero da 500 milioni di euro l’anno, comprensivo delle cliniche private convenzionate con le Asl della Regione e presenti in tutta Europa, dalla Francia all’Albania, dalla Romania alla Polonia.
L’Emilia di governo: l’abbraccio coi ciellini
L’ontologica vicinanza di Bersani al mondo cattolico si riverbera sulla sua provincia. A Piacenza il centrosinistra governa dal 2002 con il sindaco della Margherita Roberto Reggi, sostituito dopo due mandati dall’assessore alla Cultura Paolo Dosi. Il rapporto più solido per Bersani è quello con Comunione e liberazione, in virtù dell’amicizia di vecchia data con Giorgio Vittadini, timoniere della Compagnia delle opere.
Il nuovo asse sulla via Emilia si snoda dunque tra Piacenza e Rimini, la città romagnola che dal 1980 ospita il Meeting di Comunione e liberazione. Bersani è talmente «oltre» da spostare la regione rossa al di là dell’asticella dell’ulivismo. Storicamente il mondo cattolico ha punti di riferimento nella «sinistra democristiana» che ha espresso personalità di primo piano a livello nazionale. Parliamo di Giuseppe Dossetti, partigiano reggiano «bianco» che si fece sacerdote; del sassolese Ermanno Gorrieri, sindacalista Cisl e fondatore del movimento politico dei Cristiano sociali. Ma anche di Benigno Zaccagnini, segretario della Dc (originario di Faenza) ai tempi dell’affaire Moro. E naturalmente di Romano Prodi.
L’integralista Cl, già separata dall’Azione cattolica, esprime un viscerale anticomunismo. Nella Seconda repubblica arriva a schierarsi senza tentennamenti a favore del divorziato e imputato Silvio Berlusconi contro l’Ulivo di Prodi e della sinistra. Tuttavia, nella revisione opportunistica del principio ora et labora, l’«acqua santa» della Compagnia delle opere si rapporta anche con il «diavolo» comunista, se esso detiene il potere. Ne sono la riprova la miriade di affari con le cooperative rosse, perfettamente legali sul piano giuridico, e a fortiori la Regione Emilia-Romagna che, in concomitanza con altri operatori pubblici e privati, finanzia il Meeting di Cl. Ancora nel 2012, mentre alcuni sponsor si allontanano per l’aggravarsi della crisi economica, la giunta di Vasco Errani approva la spesa di 100.000 euro per piazzare uno stand al Palacongressi di Rimini.
Nel 2003 Pier Luigi Bersani viene letteralmente osannato dalla platea dei ciellini quando si lancia in un’esternazione sorprendente: «Se vuole rifondarsi, la sinistra deve partire dal retroterra di Cl. La vera sinistra non nasce dal bolscevismo, ma dalle cooperative bianche dell’Ottocento, il partito socialista arriva dopo, il partito comunista dopo ancora. E i movimenti del ’68 sono tutti morti, solo l’ideale lanciato da Cl negli anni Settanta è rimasto vivo, perché è quello più vicino alla base popolare, è lo stesso ideale che è alla base delle cooperative, un dare per educare». Tre anni dopo, sempre al Meeting riminese, Bersani svela un aneddoto: «Quando nel 1989 Achille Occhetto volle cambiare il nome del Partito comunista italiano, per un po’ pensò di chiamare il nuovo partito Comunità e libertà. Perché tra noi e voi le radici sono le stesse». Un volantino di Cl, distribuito in occasione delle Europee del 2004, recita: «Bersani è stato un buon ministro: votatelo».
Ai funerali di don Giussani
Non tutti apprezzano l’afflato dell’unico politico di sinistra che partecipa ai funerali di don Giussani nel febbraio 2005. Le critiche arrivano però soltanto da destra. È il giornalista Antonio Socci, due anni dopo, dalle colonne de «il Giornale», a picconare la scelta di far presentare a Bersani l’ultimo libro del fondatore di Cl, Dall’utopia alla presenza. Il titolo sembra descrivere, mutatis mutandis, la parabola di Pier Luigi, dalla contestazione sessantottina al governo del paese. Nel suo cattocomunismo convivono il crogiuolo delle culture dominanti e il solido pragmatismo dimostrato nella gestione della res publica. Il leader piacentino è portatore di un realismo cangiante rispetto alla congiuntura che, ipso facto, lo rende un innovatore. A «Il Foglio» che gli domanda in cosa non si senta più comunista, fornirà una risposta chiara: «Penso che per me essere di sinistra e non più comunista significa che non esistono tracciati già costruiti e che non esistono idee che vengono prima delle realtà […]. Ci sono dei problemi e poi si agisce. E non si agisce perché c’è un libro mastro che ti dice di fare in quel modo. Io la penso così, e se uno non capisce questo non può capire neppure perché oggi a differenza di ieri la parola “liberalizzazioni”, per esempio, è diventata davvero una roba di sinistra».98
Sono queste le ragioni che nel 1996 consentono al primo emiliano postcomunista di insediarsi in un ministero chiave del governo di centrosinistra. Naturalmente ha un peso anche l’amicizia e la collaborazione con Romano Prodi, già consulente della Regione Emilia-Romagna. Di fatto, Pier Luigi rompe lo schema del Pci che teneva lontani dai vertici nazionali i bravi amministratori locali. Il ministro Bersani possiede le deleghe a Industria, Commercio, Artigianato e Turismo. Si conferma un ottimo concertatore, attento sia alle esigenze delle tartassate imprese del Nordest sia di quelle del Sud, stritolate dalla crisi e dalle mafie.
Nel 1999 si ritaglia un ruolo fondamentale di pontiere con Roberto Colaninno, l’amministratore delegato di Olivetti impegnato nella scalata a Telecom assieme al finanziere bresciano Emilio Gnutti con l’appoggio del presidente di Unipol Giovanni Consorte. Il titolare del dicastero vincola il suo parere favorevole alla condizione che i raider non svendano il gioiello Tim, ipotesi prevista dal piano e poi scartata. Il senatore dei Ds Lanfranco Turci, presidente della Regione Emilia-Romagna prima di Boselli, conferma il ruolo di Bersani alla vigilia della decisione della Consob sull’Opa appena lanciata: «Non c’è dubbio che Pier Luigi sia stato l’ufficiale di collegamento più importante, in questa vicenda, tra la cordata olivettiana e il governo, ma è altrettanto chiaro che non l’ha fatto per fare favori a qualcuno, ma per far emergere il nuovo capitalismo, e soprattutto si è mosso con la totale e piena copertura di D’Alema».99 Il pensiero di Bersani viene interpretato dal vicedirettore de «la Repubblica» Massimo Giannini: «Una delle nostre maggiori aziende nazionali è da quasi due anni in mezzo alla palude, senza un piano industriale, e con un nucleo stabile ma debole. Qui, se continuiamo a dormire ancora un po’, gli stranieri ci pelano: oggi sulle telecomunicazioni, domani su tutto il resto».
Le liberalizzazioni
A Bersani si devono due ondate di liberalizzazioni. Pochi avrebbero scommesso che dopo la prima sulle licenze commerciali, foriera di roventi polemiche nell’Italia del conservatorismo e delle rendite di posizione, ne sarebbe arrivata una seconda a dieci anni di distanza, da ministro dello Sviluppo economico del secondo governo Prodi.100 Le cosiddette «lenzuolate» dividono le categorie professionali. Le polemiche esplodono clamorosamente, anche con proteste di piazza, in vista delle ricadute delle liberalizzazioni per operatori quali i distributori di benzina, le edicole, i taxi e le farmacie. In particolare su quest’ultimo tema attinente la salute si mescolano il dibattito medico-scientifico e la strumentalizzazione politico-lobbistica. Nascono le cosiddette «parafarmacie», quasi quattromila negozi gestiti da laureati abilitati a vendere medicinali privi di effetti collaterali lesivi. Spuntano in stazioni autostradali, porti, aeroporti, centri commerciali e ipermercati. Il centrodestra scarica contro Bersani la consueta raffica di accuse su presunti favoritismi alle cooperative rosse, ma in realtà su 1800 nuove parafarmacie soltanto il 20 per cento si trova nei supermercati.
Pier Luigi vive a Piacenza, in una villa bianca in stile inglese nella frazione Infrangibile, dove torna per le visite ai parenti o per appuntamenti di rito come la cena annuale con Vasco Errani, sin da quando era caposegreteria nella sua giunta regionale. È Errani il luogotenente, il sottosegretario in pectore del governo Bersani atteso e mai nato.
Rilancio e caduta
Da perfetto uomo di partito, Bersani è un attendista che preserva la «ditta» a discapito del tornaconto personale. Alla nascita del Pd, nonostante le legittime aspirazioni, spegne i rumors tambureggianti che lo indicano come supercandidato. I Ds necessitano di un basso profilo dopo lo scandalo delle telefonate di D’Alema e Latorre a Consorte di Unipol per la scalata a Bnl. A tutto vantaggio di Walter Veltroni.
I cataclismi della politica italiana però rimettono Bersani al centro dello scacchiere politico. In pochi mesi, nel 2008 si verificano la caduta del premier Prodi, la sconfitta del Pd di Veltroni contro Berlusconi e il passaggio di consegne del partito a Franceschini come segretario pro tempore. Il 25 ottobre 2009 Bersani viene eletto segretario con oltre il 53 per cento dei 3 milioni di votanti. E subito chiarisce un punto: «Preferisco che il Pd si definisca un partito dell’alternativa piuttosto che dell’opposizione, perché l’alternativa comprende anche l’opposizione, ma non sempre è vero il contrario, e stare in un angolo a urlare non porta a nulla».
Due anni dopo, quando il governo di Silvio Berlusconi cade, il Pd non manifesta al capo dello Stato Giorgio Napolitano la necessità di sciogliere le Camere. Anzi, decide di assecondare Re Giorgio permettendo la nascita, assieme al Pdl di Angelino Alfano e all’Udc di Pier Ferdinando Casini, del governo del professor Mario Monti. La proposta sarebbe venuta da Massimo D’Alema, che nell’autunno del 2010 avrebbe chiesto a Monti: «Sarebbe disponibile ad assumere responsabilità politiche e di governo?».101 La formazione del governo Monti migliora oggettivamente la situazione sul fronte della credibilità internazionale, ma favorisce i berlusconiani, che hanno sedici mesi di tempo per far dimenticare, grazie al potere mediatico, le proprie responsabilità. Ma il nemico numero uno è il MoVimento 5 Stelle di Beppe Grillo.
L’incubo del Pd, la mina vagante in grado di far esplodere le contraddizioni e gli errori del principale partito del centrosinistra, è un «comico genovese». L’espressione utilizzata dai media non descrive appieno il fenomeno di Giuseppe Grillo detto Beppe.
Nel luglio del 2009 il «comico genovese» prova a partecipare alle primarie del Partito democratico iscrivendosi nella sezione di Arzachena, in Costa Smeralda, e poi a Paternopoli (Avellino). Alcuni esponenti della minoranza – Ignazio Marino, Debora Serracchiani e Pippo Civati – aprono al dialogo, ma l’attore viene escluso dalla Commissione di garanzia perché «si ispira e si riconosce in un movimento politico ostile al Pd». Bersani chiarisce: «Il partito non è un autobus». L’ex segretario Ds Piero Fassino fa di più, lanciando un invito sarcastico che entrerà nella storia: «Grillo fondi un partito, metta in piedi un’organizzazione, vediamo quanti voti prende... perché non lo fa?».102
Detto, fatto. Il 4 ottobre, per scelta nel giorno di san Francesco d’Assisi, nasce ufficialmente il MoVimento 5 Stelle. L’anno seguente quattro rappresentanti entrano nei consigli regionali di Piemonte ed Emilia-Romagna e fanno subito i conti in tasca alla classe dirigente. Le parole d’ordine sono lotta agli inceneritori e ai treni ad alta velocità, abolizione del rimborso elettorale e delle Province, riduzione delle spese militari e delle opere pubbliche straordinarie, meno circolazione delle merci e ore di lavoro settimanali. Sono tematiche storicamente ascrivibili a una sinistra radicale che in Italia si è ridotta ai minimi termini, issate dal defunto movimento no global e dai nuovi gruppi di indignados che protestano per l’Europa. Il consenso popolare, trasversale ai ceti sociali, deriva dalla dichiarazione di guerra alla Casta arroccata nei palazzi: durante il V-Day piovono 350.000 firme per leggi su incandidabilità dei pregiudicati, limite di due legislature per i parlamentari e nuova legge elettorale col ritorno alle preferenze, tuttavia mai calendarizzate in aula.
Alla prova delle Regionali in Sicilia, nell’ottobre del 2012, l’incubo democratico si materializza: il M5S ottiene la maggioranza relativa e il 18,4 per cento di consensi per il candidato, il geometra Carlo Cancelleri.
Un altro fattore che scompagina i piani di Bersani è la «salita in campo» del premier Monti, che si dimette anticipatamente per dare vita a Scelta civica. La lista comprende Udc, Futuro e libertà di Gianfranco Fini, esponenti del nuovo manifesto verso la Terza repubblica di Luca Cordero di Montezemolo, il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, il presidente delle Acli Andrea Olivero e il ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Bersani e D’Alema criticano la scelta di Monti, considerato una «riserva della Repubblica» da elevare a capo dello Stato o superministro dell’Economia, ma lasciano intendere un accordo postelettorale. La mossa provoca ulteriore disorientamento nel popolo di sinistra rispetto a due blocchi che si separano solo tatticamente dando per scontata la vittoria.
In campagna elettorale Bersani non rincorre le promesse dei competitor, dalla restituzione dell’Imu (Berlusconi) ai 1000 euro mensili per i disoccupati (Grillo), partecipa di rado ai talk show televisivi dando l’impressione di sentirsi già premier. Invece il centrosinistra, che i sondaggi davano superfavorito, supera di appena 100.000 voti Pdl e Lega. La coalizione di Bersani conquista il premio di maggioranza alla Camera, dove il Pd prevale di soli 148.000 voti su un MoVimento 5 Stelle che rappresenta un quarto del paese. Al Senato non possiede i numeri per governare neppure considerando il 9 per cento di Scelta civica. I democratici perdono tre milioni 400.000 voti alla Camera rispetto al 2008; il centrodestra ne lascia sul campo circa il doppio, ma si conferma nelle Regioni chiave, dalla Sicilia al Lombardo-veneto. I pentastellati fanno il pieno nelle cittadelle del lavoro Mirafiori e Termini Imerese, nelle aree portuali di Genova e di Taranto. Nella XVII Legislatura sistemano 163 neofiti sui banchi più alti del parlamento, come i montagnardi della Rivoluzione francese.
Il ridimensionamento della sinistra in seguito alle elezioni del marzo del 2013 e la legge elettorale «Porcellum» producono l’instabilità totale. Pier Luigi Bersani diventa il «non premier», riceve un preincarico dal capo dello Stato Giorgio Napolitano ma si scontra con l’intransigenza del MoVimento 5 Stelle.
Ignazio Marino la paga cara
Una ragione della «non vittoria» del centrosinistra è senza dubbio legata all’irrisolta questione morale. Da quando è segretario del Pd, Pier Luigi Bersani si trova a dover fare i conti con le ombre ereditate e con una serie di scandali nuovi che travolgono diversi esponenti del partito, tra cui alcuni suoi fedelissimi. Personalmente non viene coinvolto, ma il quadro etico della galassia che gli ruota attorno, a prescindere dagli alterni esiti giudiziari, è desolante.
Ad esempio, la corsa alle primarie del luglio 2009 costa al senatore Ignazio Marino, chirurgo specialista nei trapianti di fegato, l’ingresso all’ospedale Sant’Orsola Malpighi di Bologna nonostante un preaccordo datato fine aprile. La ragione della retromarcia emerge fortuitamente da una telefonata fra il commercialista Giuseppe Carchivi, coinvolto nella maxi-inchiesta della Procura di Crotone su illeciti relativi a centrali termoelettriche, e un medico bolognese.
La polizia giudiziaria ascolta la telefonata ricevuta da Carchivi il 20 agosto da un numero interno del Sant’Orsola. All’altro capo del filo c’è un chirurgo in contatto con l’équipe del professor Daniele Pinna, direttore del reparto per i trapianti di fegato dove il professor Marino avrebbe dovuto eseguire interventi.
Chirurgo: «... Ti volevo raccontare una cosa, successa la settimana scorsa... dopo lo schieramento politico di Marino».
Giuseppe Carchivi: «Eh eh».
Chirurgo: «Hanno fatto il voltafaccia [...]. In sostanza i vertici regionali, che come tu sai si sono schierati con Bersani, e quindi Marino non è più gradito qua... il mio direttore generale Cavina [Augusto Cavina, dg del Sant’Orsola, nda] lo ha chiamato dicendogli: “Sa... abbiamo difficoltà di sala operatoria, problemi di consiglio di facoltà, sa che c’è un centrodestra molto forte a Bologna”, pensa che cazzate che gli ha raccontato... io l’ho ascoltata la telefonata: insomma, conclusione, gli ha detto che al momento non se ne fa niente. E lui [Marino, nda] m’ha detto: “Ma allora adesso come faccio, io ho i miei pazienti da operare...”. Insomma lui è rimasto a piedi, non ha una sala operatoria, con i pazienti da operare. Allora mi ha detto: “Mi devi aiutare a trovare un’altra soluzione”. Io che cazzo di soluzione gli trovo, Giuseppe? Dove lo faccio operare, a casa mia? Non so come aiutarlo perché, capisci, ha fatto una scelta politica che lo ha messo in una certa luce con l’entourage di questa zona».
Carchivi: «Che tristezza».
Chirurgo: «Eh, che tristezza, lo so, però così è andata la storia. Ti ripeto, in realtà ufficialmente non è mai stato detto questo. Ufficialmente è stato detto che abbiamo problemi di sala operatoria, che le sale operatorie sono troppo piene che... insomma, tutte cazzate, ovviamente, tutte minchiate...».
Carchivi: «A Siena potrei aiutarlo, ma Siena è come Bologna... E Pinna che dice?».
Chirurgo: «Pinna ha detto che [Marino, nda] ha fatto una mossa che gli ha tagliato le gambe, Bissoni [Giovanni Bissoni, assessore alla Sanità della Regione Emilia-Romagna, nda] era favorevolissimo all’operazione».
Carchivi: «Ma come si può nella sanità italiana andare avanti?».
Chirurgo: «Però è così, Giuseppe... questo è uno che, si potrà dire tutto, ma sicuramente il fegato lo sa trattare. Oh, e questi lo tagliano perché, capito?, per fare le vendette trasversali. [...] È un’assurdità che un chirurgo di quella portata non abbia una sala operatoria... che c’ha i malati che aspettano... Marino aveva in mano un contratto che doveva solo essere controfirmato. E si è fermato tutto».
Carchivi: «E se lo controfirmasse?».
Chirurgo: «Marino me l’ha detto: se devo venire al Sant’Orsola che c’è una guerra nei miei confronti... io mi troverò un altro posto... Tra l’altro non chiedeva manco un cazzo di soldi: s’era fatto un contratto da 1500 euro... tu calcola che ogni ritenzione epatica che faceva Marino, il Sant’Orsola intascava 25.000 euro e gliene dava 1500...».
Carchivi: «Renditi conto che qui siamo al paradosso... andare ad aiutare il presidente della Commissione d’inchiesta [sulla sanità pubblica, nda], uno dei migliori chirurghi al mondo, a trovare una sala operatoria. [...] Io ne parlo con Ignazio, sarei per fare… questo è uno scandalo nazionale».
Il pm di Crotone Pierpaolo Bruni ritiene tale dialogo meritevole di approfondimento nell’ambito di una specifica indagine penale e trasmette gli atti per competenza a Bologna: il suo parere è che Marino abbia avuto la strada sbarrata al Sant’Orsola «per essersi contrapposto all’onorevole Luigi Bersani nella corsa all’elezione di segretario del Pd».
A Bologna la procura chiede e ottiene l’archiviazione del procedimento per l’assenza di una violazione di legge o regolamento, ma il quadro che emerge è sconfortante: «Nonostante i medici abbiano negato, nelle telefonate intercettate i riferimenti sono indubbi e tracciano un desolante quadro di sudditanza politica delle scelte anche imprenditoriali di un’azienda ospedaliera di primaria importanza».103
La galassia Bersani: Pronzato, Bonaccini, Penati, Veronesi, Riva
Il 2011 è un anno difficile per Bersani. A giugno Franco Pronzato, responsabile nazionale dei Trasporti del Pd e consigliere di amministrazione dell’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac), finisce in manette per tangenti. Pronzato vanta un curriculum notevole nel pubblico e nel privato: responsabile e direttore di multinazionali del comparto courier come Lykes Lines e Tnt, titolare della genovese Interconsult, società specializzata nelle perizie assicurative che sotto la sua guida cresce a livello europeo; consigliere della Società Aeroporto di Genova e consulente dei ministri dei Trasporti Claudio Burlando, Tiziano Treu e dello stesso Bersani che lo promuove come responsabile di settore del Pd. Nella veste di membro del cda di Enac, appena confermato dal governo di centrodestra nel 2011, Pronzato viene accusato dalla Procura di Roma di aver intascato 20.000 euro da Viscardo Paganelli, titolare della Rotkopf Bes Aviation. In cambio Enac aveva rilasciato alla compagnia aerea il certificato indispensabile per partecipare all’appalto da 1,5 milioni di euro per i voli tra l’Isola d’Elba, Firenze e Pisa. L’accordo si era realizzato grazie all’intermediazione di Vincenzo Morichini, ex assicuratore dell’Ina e fundraiser della fondazione Italianieuropei, il quale aveva portato a casa una mazzetta di 20.000 euro. Chiusi i conti con la legge, avendo patteggiato nel marzo del 2012, Paganelli è subito tornato a gareggiare per l’isola d’Elba come nulla fosse accaduto. Ricorrendo pure al Tar contro la mancata assegnazione della commessa pubblica.
Nell’agosto del 2011 in Emilia-Romagna spunta come un fulmine a ciel sereno l’inchiesta sul segretario regionale del Pd Stefano Bonaccini, già di stretta osservanza bersaniana, poi saltato sul carro di Matteo Renzi. Il pm Enrico Stefani accusa Bonaccini, all’epoca in cui ricopriva il ruolo di assessore al Patrimonio del Comune di Modena, di favoritismi alla Società di perfetti sconosciuti (Sdps) di Max Bertoli, organizzatore di iniziative musicali, e Claudio Brancucci, gestore di birrerie e titolare di un’armeria in centro. Nell’estate del 2003 Sdps ottenne l’appalto del chiosco-birreria comunale nel polmone verde cittadino, il parco Enzo Ferrari, dopo aver fatto pressioni sulla precedente concessionaria, Tina Mascaro, barista di Rossano Calabro che sarebbe poi stata uccisa a Modena il 1° febbraio 2007 da un assassino ancora senza nome. La donna, che aveva fatto ricorso al Tar contro la revoca della licenza disposta dal Comune per ritardi nei pagamenti e carenze igieniche, registrò alcune conversazioni con i soci di Sdps e il geometra Michele D’Andretta, dipendente dell’ufficio Patrimonio. Nel maggio 2003 D’Andretta si rivolgeva così a Mascaro circa l’atteso verdetto del Tar: «Hanno già la relazione perché qualcuno gli è andato a dire che la cosa deve essere fatta molto velocemente. Chi? Il signor sindaco del Comune di Modena [il senatore Pd Giuliano Barbolini, non indagato, nda] […]. Nel momento che vinci il ricorso non cantare vittoria perché qui sarà una messa da morto tutti i giorni […]. Io sono incaricato dal mio caposettore a venire qua a romperti». Alle varie proposte di Max Bertoli, fra cui quella di acquistare le attrezzature del locale, Mascaro rispose: «Lo sapete che la concessione è solo esclusivamente mia e non posso darla via?». Bertoli: «Quello lì è un problema che dovrò risolvere col tuo amico Bonaccini». Mascaro: «Semmai è tuo amico, ma lui che interessi ha su questo punto?». Bertoli: «Credo nessuno, l’ho conosciuto adesso perché dovevo partecipare al bando». Il 10 giugno 2003 la barista venne sfrattata con l’ausilio della forza pubblica: un caso unico in trent’anni di lavoro in Comune, secondo quanto affermato in interrogatorio da D’Andretta, assolto dall’accusa di concussione in un altro processo. Sdps subentrò nel chiosco del parco Ferrari il 25 luglio, beneficiando di un trattamento di favore evidente rispetto alla gestione Mascaro: negli anni la società di Bertoli e Brancucci ha ottenuto l’allargamento dei locali e il rinnovo della concessione pur non versando l’affitto per oltre 10.000 euro. Soltanto nel marzo del 2008 la dirigente dell’ufficio Patrimonio Giulia Severi ha attestato il rientro parziale dei debiti «iscritti a ruolo dal 25 gennaio 2006», senza specificare il quantum dell’insolvenza, concedendo altri 16 mesi di permanenza con uno sconto del 15 per cento sul canone annuo: 13.727 euro contro 16.150. Motivazione: «È da ridursi in quanto atto concessorio». Stefano Bonaccini e coindagati, estranei alla vicenda dell’omicidio, respingono le accuse di turbativa d’asta (prescritta) e abuso d’ufficio. Nel marzo 2013, pochi giorni dopo la notifica dell’avviso di chiusura delle indagini e qualche settimana prima che la procura chieda il loro rinvio a giudizio, il Tar dell’Emilia-Romagna deposita il verdetto tanto atteso dalla Mascaro. A dieci anni dal ricorso della donna, i giudici amministrativi scrivono che la revoca della sua licenza era «motivata e giustificata», condannando il figlio di Tina al pagamento delle spese processuali. Una tempistica oggettivamente singolare, come del resto l’intera vicenda.
Da Bari intanto riecheggiano le polemiche sul caso di Alberto Tedesco, assessore pugliese alla Sanità accusato di nomine pilotate nelle Asl in nome di interessi di corrente ed elettorali. Tedesco è socialista, ma grazie al Pd nel 2009 è approdato in Senato, in tempo per evitare l’ordine di custodia cautelare spiccato dalla magistratura.
La situazione più preoccupante riguarda però l’inchiesta della Procura di Monza che travolge Filippo Penati, il migliorista che per un ventennio è stato l’anima dialogante con i socialisti a Sesto San Giovanni. Nel comune lombardo più rosso e operaista, dal 1983 Penati è assessore comunista al Bilancio e all’Urbanistica, sindaco, poi segretario metropolitano dei Ds. In seguito il voto popolare lo promuove presidente della Provincia di Milano e consigliere regionale lombardo. Penati è un riformista aperto agli ambienti di Comunione e liberazione: al Meeting di Rimini del 2004 viene accolto a braccia aperte dal presidente della Compagnia delle opere di Milano Massimo Ferlini: «Lo abbiamo invitato nella sua veste di presidente della Provincia. Ma lo conosciamo come un vecchio riformista dai tempi in cui era sindaco di Sesto».
Bersani aveva nominato Penati capo della segreteria politica del Pd nel 2009. Nel luglio del 2011 i pm monzesi Franca Macchia e Walter Mapelli indagano il braccio destro di Bersani per corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti e, fra le altre cose, per affari immobiliari a Sesto San Giovanni. Penati si autosospende dal Pd e lascia il posto di vicepresidente regionale della Lombardia, ma non quello di consigliere, finendo nel Gruppo misto. Bersani non è coinvolto nell’inchiesta, ma la guardia di finanza lo indica come colui che, nel 2004, presenta il neoeletto presidente della Provincia Penati al costruttore Marcellino Gavio. Quest’ultimo, l’anno seguente, realizza un ottimo affare: la vendita all’ente locale del 15 per cento delle azioni dell’autostrada Milano-Serravalle a quasi il triplo di quanto le aveva pagate alla Provincia di Genova. La tensione è palpabile. Il segretario del Pd approva il passo indietro dell’amico Filippo, ma contrattacca parlando di macchina del fango e prospettando persino una class action degli iscritti su presunte diffamazioni.
Alla fine del 2012 il pm bolognese Giuseppe Di Giorgio invita a comparire in procura la storica assistente personale di Bersani, Zoia Veronesi, come persona indagata per truffa aggravata ai danni della Regione Emilia-Romagna. L’inchiesta trae spunto da un esposto depositato tre anni prima dal deputato di Futuro e libertà Enzo Raisi. Il 27 maggio 2008, venti giorni dopo la caduta del governo Prodi, la Regione Emilia-Romagna aveva istituito per Veronesi una nuova posizione dirigenziale per tenere il «raccordo con le istituzioni centrali e con il parlamento». Il capo di gabinetto regionale Bruno Solaroli, che il 30 maggio l’aveva promossa «dirigente professionale», viene iscritto sul registro per abuso d’ufficio. Secondo l’esposto di Raisi, la dirigente è stata legittimamente scelta senza concorso ma è priva del requisito della laurea; inoltre la Regione a Roma contava già su una struttura con una decina di dipendenti. Il sospetto del deputato finiano è che il nuovo incarico fosse stato creato ad hoc per consentirle di affiancare Bersani dopo la fine dei suoi incarichi ministeriali.
Il 28 gennaio 2010, alla notizia dell’apertura dell’inchiesta all’epoca senza indagati, Veronesi si dimette giurando sulla propria correttezza. Quasi tre anni dopo, mentre alcune inchieste di spessore si stanno abbattendo per la prima volta sull’Emilia rossa, il pm Di Giorgio convoca la segretaria di Bersani per l’interrogatorio. Secondo il quadro ricostruito dai finanzieri, non risultano tracce della funzione di «raccordo con le istituzioni centrali e con il parlamento» per la quale la dirigente avrebbe incassato, da giugno del 2008 a gennaio del 2010, circa 155.000 euro lordi tra stipendio e indennità. All’opposto, la difesa asserisce l’effettività della prestazione lavorativa di Veronesi e di conseguenza considera scontato il proscioglimento.
Durante gli accertamenti è emerso un conto corrente, cointestato a Bersani e Veronesi, aperto nel 2000 presso la filiale del Banco di Napoli della Camera dei deputati. Nel settembre 2013, all’atto di chiusura delle indagini che accusano Zoia di truffa, la Procura di Bologna ha inviato ai colleghi di Roma (senza ipotesi di reato) il fascicolo relativo all’estratto bancario. L’anomalia riguarda il fatto che il leader piacentino decise di aprire il conto con l’assistente e non con Fabio Sbordi, suo mandatario elettorale per le campagne dal 2001. Bersani ha assicurato che le somme di denaro arrivate negli anni, in totale 450.000 euro, sono regolari: «Quel conto fu aperto con Zoia Veronesi per la gestione corrente, della quale non mi potevo occupare direttamente, e poi lì sono confluiti anche i contributi elettorali regolari […]. Tutti i soldi affluiti su questo conto sono stati registrati e versati da Sbordi».
Per la campagna elettorale del 2006 Bersani incamerò 424.000 euro, tra cui 98.000 del patron dell’Ilva Emilio Riva, 50.000 di Federacciai e di Tpe (Trading per l’Energia), 40.000 di Toto costruzioni e 35.000 di Manutencoop. I finanziamenti vennero alla luce due anni dopo grazie allo scoop di Marco Lillo e Primo Di Nicola per «l’Espresso» ma, in particolare per quanto concerne il contributo elettorale di Riva a Bersani, la discussione è esplosa nel 2012, allo scoppio dello scandalo per l’inquinamento dello stabilimento siderurgico di Taranto. Attaccato su questo punto, il leader democratico non soddisfa le domande della stampa e non risponde all’invito di donare la somma in favore di operai e residenti che si sono ammalati.
Un copione simile si verifica in occasione dell’inchiesta sui vertici del Monte dei Paschi di Siena, accusati di operazioni occulte in derivati legate all’acquisto (strapagato) di Antonveneta. Il disastro finanziario provoca lo scioglimento del comune toscano guidato dal Pd, azionista di maggioranza della Fondazione Mps. La sentenza di Bersani è lapidaria: «Il Pd fa il Pd e le banche fanno le banche».
96 Stefano Lorenzetto, «Il Pd è come la Dc e il Psi, altro che lezioni di morale», «il Giornale», 22 dicembre 2008.
97 Con la formula del project financing, il capitale privato è chiamato a realizzare opere di natura o interesse pubblico, dalla cui gestione, attraverso l’istituto della concessione pluriennale, deriverà il rimborso dei finanziamenti e l’utile per il concessionario.
98 Claudio Cerasa, Io, Monti, la sinistra e Renzi, «Il Foglio», 31 ottobre 2012.
99 Massimo Giannini, La verità di Bersani, «la Repubblica», 27 febbraio 1999.
100 Il primo decreto sulle liberalizzazioni del ministro per lo Sviluppo economico Pier Luigi Bersani viene convertito in legge il 4 agosto 2006, il secondo il 2 aprile 2007.
101 Bruno Manfellotto, Quando D’Alema chiese a Monti..., «l’Espresso», 2 agosto 2012.
102 Repubblica Radiotv, 12 luglio 2009.
103 Richiesta di archiviazione per l’estromissione dal Sant’Orsola del dottor Ignazio Marino, 27 dicembre 2010.