Renzi, l’innovatore ambiguo

Non si può parlare del nuovo prima di averlo conosciuto, né dopo averlo conosciuto.

Cesare Viviani

«Io sto con Marchionne»

Matteo Renzi è di stirpe democristiana, cresce nel Partito popolare e conquista abilmente Firenze, prima come governatore della Provincia (2004), poi come sindaco del capoluogo (2009). I suoi percorsi incrociano quelli del consigliere regionale lombardo Filippo Civati e dell’avvocato Debora Serracchiani, i pungolatori del partito su diritti civili, temi etici e lotta al precariato.

Nel novembre del 2010, in accordo con Civati, Renzi prepara la convention «Prossima fermata: Italia». La sede è la Leopolda, antica stazione ferroviaria di Firenze tramutata in moderna sede di vernissage, concerti e, appunto, eventi politici. L’iniziativa è ambiziosa, poiché queste forze semisconosciute e prive di rappresentanza correntizia puntano a scardinare le logiche dei potentati, dei signori delle tessere, snobbando il congresso del partito. Le provenienze diverse di Matteo e Pippo si fondono nella vivace reazione dei giovani a cui concedono il microfono da una consolle da disc jockey. Le proposte spaziano dallo stop al cemento all’introduzione della banda larga, dal pensionamento delle vecchie cariatidi politiche al varo dello ius soli.

In breve tempo Renzi cattura notevole visibilità, anche grazie a dichiarazioni politically uncorrect per la sinistra, come le critiche ai sindacati e gli apprezzamenti per l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne. In nome della competitività, dopo l’accordo con la Chrysler di Detroit, il manager italo-canadese ha creato due new company per stracciare il contratto nazionale firmato dai sindacati confederali nel 2008. I nuovi accordi separati con Cisl e Uil per gli stabilimenti di Pomigliano e Mirafiori limitano le pause, aumentano gli straordinari e, in caso di alte percentuali di assenteismo, prevedono il mancato pagamento dei primi giorni di malattia. Alla vigilia del referendum nelle fabbriche che registra la vittoria della Fiat contro la Fiom, Renzi annuncia in televisione: «Io sto dalla parte di Marchionne, dalla parte di chi sta investendo sul futuro delle aziende, quando tutte le aziende chiudono. È un momento in cui bisogna cercare di tenere aperte le fabbriche […]. Diciamo anche la verità: è la prima volta nella sua storia che la Fiat, anziché chiedere i soldi degli italiani con la cassa integrazione, prova a mettere dei quattrini per agganciare alla locomotiva americana Mirafiori e anche la struttura italiana. Quindi, senza se e senza ma, stiamo dalla parte di chi crea lavoro e ricchezza. Poi, naturalmente, rispettiamo i diritti dei lavoratori, ma che siano lavoratori, e non cassintegrati».104

La sinistra, che pure appoggiava Marchionne ma senza esporsi troppo, non apprezza la schiettezza renziana. Civati accusa l’alleato di aver tradito l’idea di partenza. Renzi non batte ciglio e, alla riedizione della Leopolda l’anno seguente, accoglie nel parterre una nuova ondata di under 40: Matteo Richetti, presidente dell’assemblea regionale dell’Emilia-Romagna; Davide Faraone, consigliere siciliano già segretario palermitano dei Ds; Federico Berruti, sindaco di Savona. Sul palco, assieme a studenti, professori e scrittori, sale il gotha dell’apparato amministrativo: il sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio e il collega di Torino Sergio Chiamparino, riformista fra i più attivi sostenitori di Marchionne. All’ingresso della convention un capannello di giovani comunisti sfoggia magliette con la scritta «Renzi, il sindaco che la destra ci invidia». È l’investitura per il primo candidato leader del centrosinistra, uscito da un congresso fai-da-te.

Boy scout o solista?

Gli esperti di promozione elettorale non avrebbero saputo inventarsi di meglio. Matteo Renzi è l’immagine vincente del ragazzo della porta accanto che buca il video contro l’intera casta politica. Brillante, a tratti irriverente come da tradizione toscana, nei sondaggi è apprezzato anche da una parte dell’elettorato di centrodestra. Secondo lo schema tradizionale, il sindaco che vuole «rottamare» la nomenklatura apparterrebbe a una minoranza centrista che ha saputo comunicare oltre. Ma questa visione non tiene conto della sua «immacolata concezione» politica. Renzi, classe 1975, si è formato nella Seconda repubblica, dunque non rivendica radici «cattocomuniste» né si preoccupa di autocritiche e revisionismi. Si presenta scevro da imbarazzi nei laboratori tessili di Prato in crisi per la spietata concorrenza cinese e allo stesso tempo stringe le mani della finanza speculativa; incontra in forma privata Silvio Berlusconi e sogna convention a braccetto con Barack Obama. In pratica, va a occupare lo spazio che fu di Walter Veltroni, promotore della «svolta americana» del Partito democratico, ma senza il suo passato.

Renzi cresce a pane e Dc a Rignano sull’Arno, piccolo comune nelle campagne fiorentine. La sua famiglia è talmente anticomunista da evitare la spesa alla Coop quando si fanno roventi gli scontri tra il sindaco rosso e il padre Tiziano, consigliere democristiano. Boy scout, Matteo si diploma al liceo classico Dante e scrive con lo pseudonimo di Zac sulla rivista dei lupetti «Camminiamo insieme». Lavora nell’azienda fondata dal padre, la Chil Srl, specializzata in servizi di marketing, che distribuisce (con gli strilloni) il quotidiano «La Nazione». A livello politico milita nei Giovani popolari di Pierluigi Castagnetti, crescendo come delfino di due esponenti della sinistra democristiana: prima il deputato Giuseppe Matulli e poi il lettiano Lapo Pistelli, con il quale scrive il pamphlet Ma le giubbe rosse non uccisero Aldo Moro.105 Nel 1999 sposa Agnese Landini, conosciuta in una gita estiva di scout. Cattolica osservante, prima di tre fratelli di cui uno sacerdote, Agnese diventerà insegnante di Lettere al liceo. Nello stesso anno Matteo si laurea in Giurisprudenza con una tesi su Giorgio La Pira, storico sindaco cattolico del capoluogo toscano negli anni Cinquanta. Sempre nel 1999 viene nominato segretario provinciale del Partito popolare. In seguito, l’enfant prodige della politica toscana, coordinatore della neonata Margherita, si merita la fiducia dei Ds fiorentini, che nel 2004 lo appoggiano nella scalata alla presidenza della Provincia. Nelle settimane che precedono la candidatura per l’Ulivo, annunciata il 7 novembre, si registrano movimenti nell’azienda di famiglia: il 17 ottobre 2003 Renzi cede il suo 40 per cento di quote della Chil Srl, il 27 viene nominato dirigente della stessa impresa. La scontata vittoria nella Firenze «bianco-rossa» alle elezioni del giugno del 2004 comporta anche l’aspettativa concessa dalla Chil. Da quel momento la Provincia (e poi il Comune dopo la sua nomina a sindaco), verserà alla società una somma pari al rimborso dei suoi contributi. Non a Matteo, che si era prontamente sbarazzato delle sue quote, ma ai familiari. Una piccola arguzia che rende l’idea delle capacità dell’homo novus del centrosinistra italiano.

Il bilancio di Renzi alla guida della Provincia è positivo per la riduzione delle imposte e delle spese burocratiche, ma resta una macchia: la condanna al pagamento di 50.000 euro inflitta dalla Corte dei conti al presidente e agli assessori. La cifra, nettamente inferiore alla richiesta della Procura contabile di due milioni 155.000 euro, riguarda il presidente Renzi per 14.000 euro in relazione a contratti a tempo determinato di quattro segretarie del suo team. Le giovani, prive di laurea, erano state inquadrate con un livello retributivo superiore ai titoli esibiti.106

La marcia di Renzi prosegue sino al municipio (giugno 2009) ed è trionfale, nonostante debba confrontarsi alle primarie con il suo mentore Lapo Pistelli. La promessa «o cambio Firenze o cambio mestiere e torno a lavorare» riassume gli slogan elettorali di efficienza gestionale e rinascimento culturale. Su tutti primeggia la grandeur, svanita subito dopo il voto, di realizzare la facciata della basilica di San Lorenzo proprio come l’aveva disegnata Michelangelo. La campagna renziana può avvalersi di sponsor notevoli: da Andrea Bacci dell’azienda di illuminazione pubblica fiorentina a Gianfranco Horvat, fondatore della Gig giocattoli, fino all’azienda dei gelati Sammontana.

Matteo Renzi conquista il 40 per cento di 37.000 votanti, distanziando di 15 punti Pistelli e riducendo la sinistra del partito al lumicino. Michele Ventura, deputato e ministro ombra per l’Attuazione del programma, ancorché sia appoggiato da Bersani, racimola soltanto il 12 per cento. Un altro degli sconfitti a sinistra, il presidente del consiglio comunale Eros Cruccolini, parla di infiltrati di destra pro Renzi, un sospetto ricorrente ma non dimostrato.

Il sindaco Renzi dimezza il numero degli assessori, approva un piano urbanistico che frena il consumo del suolo e amplia la pedonalizzazione del centro storico. L’assessore al Bilancio Claudio Fantoni, però, si dimette puntando il dito contro una certa disinvoltura amministrativa, nella fattispecie l’approvazione di 52 delibere senza il parere di regolarità contabile. Il sindaco ha buoni rapporti con gli avversari, tanto da porre Carlo Bevilacqua (Pdl) alla presidenza della municipalizzata Firenze Parcheggi. Le amicizie d’oltreoceano sono di qualità in virtù dei buoni uffici del collaboratore Marco Carrai, amico del conservatore Michael Ledeen, membro della Foundation for Defense of Democracies di Washington. Carrai, appartenente a una dinastia di principi di Greve in Chianti e vicino all’Opus Dei, è amministratore delegato di Firenze Parcheggi e consigliere della locale Cassa di risparmio presieduta dal marchese Jacopo Mazzei. In seguito Renzi si avvicina anche a Italia Futura, la fondazione di Luca Cordero di Montezemolo, a cui aderisce il suo assessore alla Cultura Giuliano da Empoli.

La galassia Renzi: dal Partito popolare agli amici alle Cayman

È un dato di fatto che Renzi utilizzi le luci del governo di Firenze per lanciare il suo progetto politico di respiro nazionale. Indugiando tra le righe della sua carriera, intra/extra Florentia, emerge l’indole accentratrice e rapace. Il sindaco si ritrova da solo sul palco della Leopolda a fine ottobre del 2011, esattamente nei giorni in cui il governo di centrodestra sta per crollare. La scelta del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di non sciogliere le Camere consente a Renzi di guadagnare il tempo necessario per autoproclamarsi sfidante di Bersani alle primarie del Pd.

Il sindaco di Firenze non è un presenzialista, ma sa gestire la comunicazione, non solo sul piccolo schermo, in cui si trova perfettamente a suo agio. I messaggi scritti al momento giusto sui social network sono il veicolo per raggiungere la generazione digitale, dettare i tempi della proposta o della polemica che poi rimbalza sul circuito mediatico. Il trasversalismo di Renzi è inclusivo: a «Il Foglio» di Giuliano Ferrara dice di ispirarsi a Steve Jobs, al congresso di Sel racconta che il suo esempio è don Peppe Diana, il prete ucciso dalla camorra. L’unica cosa che ripete ovunque, come un mantra, è l’agenda della «rottamazione»: tagliare gli sprechi, abolire i rimborsi elettorali ai partiti, pensionare ministri e parlamentari di lungo corso. Quest’ultimo tema è da tempo oggetto di dibattito nel Pd, che nel regolamento prevede un tetto massimo di tre legislature, una norma a cui si sottraggono, grazie alle deroghe, ben 34 parlamentari.

Al netto dei toni aspri, però, le similitudini con Bersani sono maggiori delle discrepanze. Renzi non specifica in che modo e con quali strumenti si arriverebbe al taglio di vitalizi e privilegi né fornisce indicazioni sui progetti di meritocrazia, green economy e lotta all’evasione fiscale che rappresentano i suoi cavalli di battaglia. Con i dirigenti che dice di voler annientare, inoltre, condivide molto più di ciò che appare: il duplice ruolo politico (di sindaco e aspirante premier), il rapporto con il mondo della finanza e con Silvio Berlusconi.

Nel dicembre del 2010 Renzi si reca privatamente ad Arcore, ospite nella villa di Berlusconi. Lo accompagna Enrico Marinelli, amministratore delegato dell’azienda tessile brianzola Frette. Quando la notizia trapela, Renzi riceve la bacchettata di Bersani sull’inopportunità della sede e cerca di giustificarsi ex post: «Dopotutto io ero sindaco di Firenze e lui il mio presidente, ho colto questa opportunità solo perché non volevo che un limite ideologico compromettesse la possibilità di risparmiare ben 33 milioni di euro utili per la collettività, non sarei riuscito a guardarmi più allo specchio».107

Il responsabile della campagna elettorale delle primarie 2012 di Renzi è il lettiano Roberto Reggi, ma la mente è Giorgio Gori, già direttore di Canale 5 e fondatore della casa di produzione Magnolia, che importa format popolari quali Il grande fratello e L’isola dei famosi. È sua l’idea, ufficialmente suggerita dal regista Fausto Brizzi, del tour fra la gente a bordo di un camper attrezzato, uno strumento già utilizzato negli anni Ottanta da Craxi per gli accordi interpartitici e, a distanza di vent’anni, da Romano Prodi per la colorita campagna itinerante dell’Ulivo.

La sceneggiatura dei grandi eventi renziani è opera del direttore commerciale della Rai Luigi De Siervo, figlio del presidente della Corte costituzionale Ugo. Completano il quadro variegato dei simpatizzanti il costituzionalista Francesco Clementi, l’inventore di Eataly Oscar Farinetti, lo scrittore Alessandro Baricco, il cantante Jovanotti e il commissario tecnico della Nazionale di calcio Cesare Prandelli.

Il tesoriere dei Ds Ugo Sposetti adombra un sostegno finanziario dagli Stati Uniti, ricevendo l’immediata replica di Renzi su Facebook: «Barzellette, le spese sono online». Rimangono invece occulti per tutta la campagna elettorale i finanziatori della sua fondazione, la Big Bang. In seguito, quando l’elenco sarà reso pubblico, si scoprirà che fra loro c’è Davide Serra, golden boy della finanza a lungo all’opposizione nel colosso Generali e ideatore dell’hedge fund Algebris Investments Ltd, operante anche nel paradiso fiscale britannico delle isole Cayman.

Davide Serra sponsorizza le primarie di Renzi organizzando una cena a numero chiuso che non passa inosservata. Bersani ne approfitta per attaccare lo sfidante per l’amico finanziere «con base alle Cayman». Alla cena partecipano imprenditori del calibro di Claudio Costamagna, presidente di Impregilo, Andrea Guerra, amministratore delegato di Luxottica, e banchieri come Flavio Valeri di Deutsche Bank e Carlo Salvatori di Lazard Italia, ex Unipol, Intesa e Unicredit. All’uscita Guido Roberto Vitale, già presidente Lazard e ricercato advisor, regala il fotogramma: «Renzi è l’unico uomo di sinistra che non ha letto Marx e per questo è da stimare».

104 Intervista al telegiornale de La7, 10 gennaio 2011.

105 Lapo Pistelli, Matteo Renzi, Ma le giubbe rosse non uccisero Aldo Moro: la politica spiegata a mio fratello, Giunti Editore, Firenze 1999.

106 Corte dei conti, sezione regionale di controllo della Toscana, sentenza del 5 agosto 2011.

107 Intervento alla Festa dell’Unità di Fucecchio (FI), 26 luglio 2012.