Vendola e le ombre dell’Ilva

Un leader carismatico

Il governatore pugliese è il fenomeno politico mediatico del nuovo millennio. Originario del comune di Terlizzi, paesino delle campagne baresi, Nicola Vendola viene chiamato Nichi in omaggio al presidente sovietico Nikita Krusciov. Il padre Francesco Vendola lavora come impiegato delle Poste, con moglie e quattro figli a carico, poi negli anni Settanta diventa sindaco comunista di Terlizzi. La famiglia è cattolica praticante, Nichi è allievo di monsignor Tonino Bello e devoto del patrono locale, la Madonna di Sovereto. Laureato in Filosofia con una tesi su Pier Paolo Pasolini, si impegna nella Fgci per i diritti civili: dopo il personale outing, promuove l’Arcigay e la Lega italiana per la lotta contro l’Aids.

Contrario alla svolta della Bolognina e deputato dal 1992, resta per molti anni alla destra del segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti. L’esperienza parlamentare non gli manca, dalla Commissione cultura a quella sull’ambiente passando per l’antimafia. Poi Nichi, candidandosi a presidente della Puglia, si trasforma nel leader carismatico che spariglia lo scacchiere politico nazionale. Alle primarie regionali del gennaio 2005 batte al fotofinish Francesco Boccia, che ha alle spalle Ds e Margherita, e alle elezioni il governatore uscente Raffaele Fitto: 49,84 per cento dei consensi contro il 49,24. Nel giorno del trionfo stupisce tutti affermando: «È un tale dolore entrare nella stanza del potere».

Vendola è autore di libri, attore nel film Focaccia blues, partecipa a missioni internazionali, dal Tagikistan alla Colombia, dalla Bosnia al Guatemala. È la vena narrativa, prima di tutto, la cifra del personaggio: in comizi e dibattiti, per esprimere la necessità del superamento delle disuguaglianze e di un futuro ecocompatibile, utilizza metafore e riferimenti spirituali. Ad esempio assicurando che tra lui «e i pugliesi c’è un rapporto prepolitico, nonni e madri mi fermano, i bambini mi mandano lettere con consigli». Oltre all’inseparabile orecchino, porta un «anello al pollice, regalatomi da un pescatore di Mola di Bari, era la fede di sua madre. Rappresenta per me una specie di matrimonio con il popolo». L’autobiografia online si conclude così: «Il Nichi Vendola ludico, anarchico, infantile, narcisista. E quello instancabile, organizzatore, sorvegliato speciale delle sue stesse passioni, investito dei suoi doveri pubblici. Che è capace di piegare la sua indole e di scommettere le scommesse più paradossali della sua vita».160

Già durante il trionfo qualcosa cambia: la giunta non ingloba Idv e Partito dei comunisti italiani, mentre si scioglie la trentina di Comitati per Vendola presidente. Il nuovo governatore potenzia le strutture sociali, in particolare l’offerta degli asili nido, che toccano quota 350, anche grazie ai finanziamenti del Fondo europeo di sviluppo regionale. A livello culturale Vendola concretizza progetti importanti, promuovendo l’industria cinematografica con Puglia Sounds e Apulia Film Commission, che realizza i cineporti di Bari e Lecce. Nel 2005 richiama visitatori da tutto il mondo l’edizione speciale della notte della Taranta a Melpignano, con un finanziamento da 680.000 euro ripartito tra Regione ed enti locali. Il sindaco è Sergio Blasi, dalemiano, poi segretario regionale del Pd, la fondazione dedicata alla Taranta è presieduta dal ministro Massimo Bray. Antonio Stefanò (Pdl), ex assessore alla Cultura e vicepresidente dell’Unione Terra di Leuca bis, è estremamente critico: «È Ruffano il paese in cui è nata la pizzica, ballo e musica tradizionale della Festa della frazione di San Rocco in Torrepaduli, ma non abbiamo ricevuto alcun contributo. I finanziamenti vengono erogati quindi non in base alla tradizione del paese e all’importanza delle manifestazioni, ma in base alle amicizie personali con Vendola e D’Alema».

Galassia Vendola

Uno dei cavalli di battaglia di Nichi è la green economy. Nel 2009 la Puglia è la prima Regione italiana con il 12,4 per cento di energia solare e il 15 per cento di eolica rispetto al totale nazionale. Sulle pale dei parchi eolici sorge una letteratura in relazione all’impatto paesaggistico, ma i comitati civici e gli ambientalisti sono preoccupati anche di altro: dall’ipotesi di privatizzazione dello storico acquedotto pugliese gestito al 51 per cento dalla Regione alla difficile gestione dei rifiuti. Secondo Legambiente il 60 per cento delle grotte pugliesi raccoglie rottami di vario genere. Vendola dice no al rigassificatore di Brindisi ma mantiene vecchi inceneritori come quelli di Statte e Massafra (Taranto) in cui il derivato (cdr) combustibile produce 12 megawatt l’ora. I termovalorizzatori pugliesi ricevono l’immondizia di altre regioni, in particolare proveniente dalla Campania in continua emergenza. Gli «sforzi» vengono apprezzati da chi gestisce il ciclo dei rifiuti, ossia la Cogeam del gruppo di Emma Marcegaglia. La Lady di Ferro, leader nel settore acciai e già al timone di Confindustria, ribadisce più volte di considerare Vendola «il miglior governatore del Mezzogiorno perché la Puglia è una Regione ben gestita».

Non tutti gli indicatori parlano di buona gestione. Nell’ottobre del 2011 «Il Sole 24 Ore» calcola ben 1011 incarichi di consulenza deliberati in cinque anni dalla Regione per un costo di 16, 9 milioni di euro, più 64 incarichi a società esterne, osservatori, commissioni, comitati, consulte per un totale di 764 dipendenti. I consiglieri regionali pugliesi percepiscono 10.432 euro al mese, secondi in Italia solo alla Lombardia che arriva a 12.666 euro. Dopo Formigoni, il presidente della Puglia è il più pagato con 14.545 euro mensili: le indennità di funzione sono di 4971 euro, mentre i rimborsi vanno dai 7744 ai 9624 euro al mese. In totale, nel 2011, dichiara 169.000 euro. L’anno seguente, dopo le polemiche sui costi esorbitanti dei consigli regionali e sulle ruberie nel Lazio, Vendola decide di tagliarsi di 50.000 euro lo stipendio. La giunta regionale vota anche l’abolizione dei vitalizi e di alcuni benefit, nonché la riduzione del numero di consiglieri da 70 a 50.

Nel 2009, dopo la sconfitta nella corsa alla segreteria nazionale di Rifondazione contro Paolo Ferrero, il presidente crea Sel con i fuoriusciti comunisti ed esponenti della sinistra Ds. Un partito leggero, con nessuna proprietà immobiliare e 720.000 euro di crediti. Da neosegretario Vendola è confermato governatore a furor di popolo. Per l’occasione nasce il «cantiere per un’Italia migliore», ossia la Fabbrica di Nichi, gestita dal fidanzato Ed Testa, grafico pubblicitario. La Fabbrica spopola arrivando a contare 604 sedi tra locali e siti virtuali in tutto il mondo. Nell’ultimo comizio, diffuso su YouTube, Vendola promette che «l’acquedotto pugliese non sarà mai privatizzato finché avrò potere».

Lo sfidante alle primarie è ancora Francesco Boccia. Al fianco del moderato si schiera invano tutto il Pd, dal segretario Bersani ai centristi Fioroni e Franceschini. Massimo D’Alema dichiara: «Vendola invece di affrontare il problema in termini politici, ha preferito autocandidarsi, ritenendo che sulla base di questo le forze della sua coalizione avrebbero accettato questa mossa, senza tener conto che qualcosa nel quadro politico nazionale e locale è cambiato, e che, nonostante la sua notorietà, non è un leader in grado di realizzare ciò di cui ha bisogno la Puglia, ossia quella coalizione democratica attenta al Mezzogiorno e al paese. Le primarie, del resto, noi le facciamo anche per Vendola, per salvaguardare il suo buon governo. Ed è spiacevole constatare che proprio lui non lo abbia capito».161

I due leader sono in contrasto solo apparentemente. La convergenza col Pd, partendo da posizioni distanti, consente a Sel di raccogliere parte dell’elettorato postcomunista in termini di pacifismo, ecologismo e lotta per i diritti che nei democratici sono annacquati non solo per l’asse con i centristi. Entrambi i politici sono accomunati dall’ottimo eloquio e dall’insofferenza per alcune indagini della magistratura.

Uno dei casi che provoca più grattacapi a Vendola è la scelta del partner della Regione per la realizzazione e la gestione a Taranto dell’ospedale San Raffaele del Mediterraneo, un’opera del sacerdote Luigi Verzé, scaricato a suo tempo dal Vaticano ma molto vicino a Silvio Berlusconi. La nuova struttura, con personale sanitario pubblico, sarebbe stata gestita dalla fondazione San Raffaele per tre anni, in seguito ai quali la Regione avrebbe deciso se proseguire. Le polemiche non riguardano solo il costo, pari a 200 milioni di euro, ma il fatto che i posti letto non sono numericamente superiori ai 680 dei due ospedali da tagliare: Santissima Annunziata e San Giuseppe Moscati di Taranto. Le chiusure fanno discutere in una Regione dove i tempi di attesa medi per un esame cardiologico e una mammografia oscillano tra i due e i tre anni. Inizialmente del progetto non si parla in termini negativi, eccetto l’accusa del movimento Alternativa comunista di continuare, dopo il centrodestra, «il sacco della sanità pubblica». Nel 2011 viene alla luce il crac della fondazione Centro San Raffaele del Monte Tabor, indebitato per 1,1 miliardi di euro, di cui 600 milioni dovuti a fatture gonfiate finalizzate alla creazione di fondi neri per pagare anche politici. Il vicepresidente del San Raffaele, Mario Cal, si suicida il 18 luglio, prima che il tribunale calendarizzi l’istanza di fallimento che poi sarà evitato con il concordato e l’acquisto da parte di Giuseppe Rotelli, patron del gruppo San Donato. In ogni caso Vendola, rispondendo alle critiche nell’agosto del 2011, definisce don Verzé «un diavolo di prete» e blocca l’affidamento. Il sacerdote muore per arresto cardiaco la notte di Capodanno a novantuno anni.

Lo scandalo Ilva

Dopo sette anni di gestione la sbandierata lotta all’inquinamento del segretario di Sel pare un ricordo. Nel 2012, quando la stella di Vendola brilla da candidato leader alle primarie del centrosinistra, scoppia lo scandalo dell’inquinamento dell’Ilva di Taranto. Le colpe di una pianificazione devastante sono lunghe mezzo secolo e hanno molti padri, pubblici e privati. Persino il Vaticano aveva dato la benedizione allo stabilimento siderurgico, sorto nel 1959 sotto il controllo dell’Iri con il nome Italsider. La notte di Natale del 1968 Paolo VI si era recato a Taranto per celebrare la messa di mezzanotte nelle acciaierie, il primo caso di una liturgia officiata all’interno di un impianto industriale. Dopotutto si tratta del pilastro nazionale per le forniture: tubi di gasdotti e oleodotti, bulloni e viti, macchine industriali, travi per edilizia e cavalcavia, elettrodomestici e automobili, navi che salpano non solo dal porto tarantino ma in tutto il mondo.

Italsider inquina una zona priva di materie prime e ricca di risorse naturali anche a causa di gravi omissioni di governi nazionali e locali sui rischi per la salute e l’ambiente. Le famiglie che abitano nelle frazioni di Tamburi e Borgo hanno subito e continuano a subire il forte impatto di un polo industriale che condivide la raffineria dell’Eni, il cementificio Cementir del gruppo Caltagirone e l’inceneritore. Una vera e propria emigrazione ha riguardato il Comune di Taranto, che dai 246.000 abitanti del 1981 è sceso in vent’anni a 191.000.

Il colosso siderurgico fu posto in liquidazione nel 1993 e privatizzato due anni dopo secondo una modalità che ha fatto scuola. L’Iri nascose sotto il tappeto dello Stato i debiti, circa 7000 miliardi di vecchie lire, mettendo in vendita la società Ilva Laminati piani appena costituita. Il concorrente più blasonato era Luigi Lucchini, imprenditore bresciano già presidente di Confindustria, in questo frangente affiancato dall’industria statale francese Usinor Sacilor. A sorpresa invece la spuntò Emilio Riva, fondatore di un gruppo milanese che dal dopoguerra è arrivato a contare 38 stabilimenti in Italia e in Europa, dalla Spagna all’ex Germania Est. Per la fabbrica tarantina il gruppo Riva sborsò 852 milioni di euro, un affare la cui entità si ricava leggendo il bilancio della holding, la Finanziaria Industriale Riva Emilio (Fire), riportato nell’annuario R&S di Mediobanca: nel 1995, quando comprarono l’Ilva, l’utile consolidato lordo esplose a 2240 miliardi di lire, rispetto ai 157 miliardi dell’anno precedente.162

Dalla filiera di Taranto dipendono 12.000 lavoratori in loco e 8000 nelle imprese dell’indotto. I cinque altiforni producono il 28 per cento dell’intero settore, toccando picchi di 12 milioni di tonnellate annue di nastri e lamiere di acciaio grezzo. In 17 anni l’Ilva ha registrato utili per 1,4 miliardi di euro, ma senza investire a sufficienza in sicurezza e tutela ambientale.

Emilio Riva, più volte accusato di inquinamento (nella fattispecie, di «getto pericoloso di cose»), è uscito indenne al termine dei procedimenti giudiziari con proscioglimenti nel merito e per prescrizione. Le associazioni ambientaliste, senza un concreto supporto politico, hanno denunciato periodicamente una situazione insostenibile. Un dossier di Peacelink evidenziava come in cinque anni, dal 2002 al 2007, le emissioni di diossina nel comune pugliese fossero passate dal 32,1 al 90,3 per cento rispetto a quelle di tutta Italia. I problemi dunque erano noti quando nella campagna elettorale del 2006 il patron dell’Ilva ha scelto di finanziare le due principali forze politiche: 245.000 euro a Forza Italia e 98.000 euro a Pier Luigi Bersani, poi ministro per lo Sviluppo economico del governo Prodi.163

I finanziamenti sono regolari, iscritti a bilancio, ma pesano sull’opportunità politica. Nel frattempo le istituzioni non hanno mosso un dito per l’Ilva. L’11 ottobre 2007 la senatrice dell’Italia dei valori Franca Rame ha indirizzato al ministro della Salute Livia Turco un’interrogazione sulle condizioni dei bambini del quartiere Tamburi, che secondo il pediatra Patrizio Mazza manifestavano la sindrome da fumatore incallito. La risposta del ministro non è mai arrivata.

Nel febbraio del 2008 le ispezioni dell’Arpa, diretta dal docente del Lavoro Giorgio Assennato, nominato dalla giunta Vendola per le specifiche competenze, hanno registrato dati allarmanti: emissioni di diossina tra 4,4 e 8,3 nanogrammi per metro cubo, un valore di 11 volte superiore al consentito a livello mondiale. Nelle interviste Vendola ricordava sovente i ritardi delle amministrazioni precedenti e i passi avanti conseguiti grazie ad alcuni provvedimenti: l’acquisto dello strumento che misura la diossina e l’introduzione del nuovo parametro della Valutazione del danno sanitario. Il 19 dicembre la Regione ha varato il cosiddetto «campionamento continuo» e obbligato l’Ilva a scendere a 2,5 nanogrammi di diossina, ed entro un anno a 0,4, soglia fissata dall’Unione europea. Tre mesi dopo, però, è arrivata la parziale ma sostanziale marcia indietro con la modifica del campionamento continuo: controlli a settimane alterne e nelle otto ore del giorno.

In quel periodo Riva ha investito 120 milioni di euro per entrare col 10,8 per cento nella cordata Cai voluta dal premier Berlusconi per frenare le mire di Air France su Alitalia e creata su iniziativa di Intesa San Paolo. La stessa banca ha prestato 80 milioni di euro all’acciaieria per la costruzione in Cina di due navi per il trasporto di materie prime.

Dall’estate del 2012 le indagini della procura, che avevano già portato al rinvio a giudizio di 31 dirigenti e tecnici dell’Ilva per la morte di 15 operai nel corso degli anni, si sono maggiormente incentrate sulla diffusione di benzoapirene, diossine e metalli. Si tratta di sostanze nocive per la salute pubblica, i terreni e le acque, con grave danno per le produzioni locali, dalle cozze alla carne, dal latte ai prodotti agricoli. In settembre la Regione ha ordinato l’abbattimento di 1200 pecore per contaminazione da diossina vietando il pascolo nel raggio di 20 chilometri dal polo industriale. I sette allevatori costretti a privarsene saranno risarciti con 160.000 euro, poco più di 100 euro a pecora. Neppure il governo Berlusconi ha obbligato l’Ilva a crescere in modo ecocompatibile, rinviando al 2014 il rispetto dei limiti di benzoapirene previsti dall’Unione europea. L’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), provvedimento della durata di sei anni che fissa i paletti per l’azienda di Taranto, ha visto la luce il 4 agosto 2011, ben oltre i 300 giorni previsti dalla legge e solo dopo il rinnovo della commissione competente. Il ministero dell’Ambiente in quel periodo era retto da Stefania Prestigiacomo, affiancata dal direttore generale Corrado Clini, poi titolare del dicastero nel governo Monti. Il capodipartimento del ministero Luigi Pelaggi veniva subissato dalle richieste dell’Ilva che pretendeva un’Aia aderente il più possibile alle proprie esigenze. Fabio Riva, figlio del patron dell’acciaieria, si lamentava con l’avvocato della famiglia Francesco Perli, che gli riferiva di aver redarguito Pelaggi poiché non si attivava per un’Aia su misura: «Io, guardi, sono andato giù proprio piatto piatto, gli ho detto: guarda che su ’sta roba qua salta non Ticali [ingegner Dario Ticali, presidente della Commissione, nda], salta la Prestigiacomo […]. Mi ha detto: non dire così. E io gli ho detto: scusa, è da novembre che vengo qui in pellegrinaggio da te… è una roba allucinante. Cioè, cosa dobbiamo fare di più? Ve l’abbiamo scritta noi! Vi tocca soltanto di leggere le carte, metterle in fila e gestire un po’ il rapporto con gli enti locali».164

Nel settembre del 2012 il governo tecnico di Monti ha aperto uno scontro senza precedenti con la magistratura, «rea» di aver sequestrato sei impianti dell’area a caldo dell’Ilva. In manette nel frattempo erano finiti il presidente Emilio Riva, il figlio Nicola, il direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso e altri cinque dirigenti, con uno stillicidio di accuse: disastro ambientale colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico. Il provvedimento della discordia, che ha posto i sigilli a cokerie, altiforni, aree parchi, agglomerato, acciaierie e gestione rottami ferrosi, è stato disposto su richiesta del pm Remo Epifani dal gip Patrizia Todisco, da quel momento nel mirino della grancassa politico-mediatica. Eppure la decisione del giudice è arrivata in incidente probatorio, nella formula garantita del confronto tra le parti, sulla base di perizie che evidenziano in sette anni il triplo dei ricoveri per malattie cardiache nei quartieri Borgo e Tamburi. Anche i dati diffusi dal ministero della Salute, relativi al periodo 2003-2009, registrano la crescita di tumori maligni nel comune di Taranto rispetto al resto della provincia: più 50 per cento ai polmoni, 80 per cento del corpo dell’utero, 24 per cento alla mammella, 20 per cento del colon retto.

Governo, Confindustria, Pdl e Pd, ben supportati da alcuni sindacalisti, hanno continuato per mesi a gridare alla distruzione dell’ultima acciaieria italiana. Intanto Assocamuna, l’associazione degli imprenditori della Valcamonica, ha confermato l’assegnazione del premio di capitano d’industria dell’anno ai Riva, parlando di «provvedimenti della magistratura fuori tempo, dannosi e persecutori». Gli operai hanno bloccato il traffico di Taranto e protestato nella fabbrica Ilva di Corigliano mentre i Riva minacciavano di chiudere gli impianti. Nei frenetici tavoli di confronto con ministri e parti sociali Vendola ha criticato un «ambientalismo fanatico» contrapposto all’impresa, chiedendo di «tutelare la salute senza chiudere l’azienda». Un fatto che, secondo la magistratura, sarebbe impossibile. Il governo ha inviato come commissario l’ex prefetto di Milano Bruno Ferrante e votato una nuova Aia il 26 ottobre 2012. In seguito il gip ha sequestrato il prodotto finito e semilavorato sulle banchine del porto, nell’ipotesi che fosse stato realizzato utilizzando gli impianti dell’area a caldo, ragion per cui Ferrante è stato indagato per inosservanza delle disposizioni dell’autorità giudiziaria. Il governo ha risposto con un decreto che prescrive la presenza di un garante e la bonifica ma consente all’Ilva di continuare a produrre per altri tre anni, in sostanza trasformando l’Aia in legge dello Stato. In caso di mancata applicazione delle disposizioni, quali la riduzione del 30 per cento dell’altezza dei cumuli dei parchi minerali e lo spegnimento del più grande dei cinque altiforni, sono previste multe al 10 per cento del fatturato e come extrema ratio l’amministrazione controllata.

Protezioni politiche ai Riva

La procura ha sollevato un conflitto di attribuzione che è stato respinto dalla Corte costituzionale. L’onorevole del Pdl Rita Lorenzin, poi promossa dal premier Enrico Letta a ministro della Salute, dichiarava: «Non credo che in Germania, in Francia o in altri paesi altamente industrializzati una procura avrebbe potuto bloccare l’indotto dell’acciaio italiano che sono 25.000 lavoratori […]. Non ci guadagnano i lavoratori, i cittadini e soprattutto il sistema Italia. Devo dire che il ministro Clini è stato forse l’unico di questo governo che ha avuto il coraggio di affrontare questa situazione […]. Sicuramente ci sono state delle rilassatezze, io non ho in mano gli atti giudiziari, però c’è stato un percorso che ha avuto degli stop and go, quando accadono cose di questo genere ci si trasferisce e si fa una trattativa. A quel punto la magistratura che aveva aperto un’inchiesta non può subentrare nelle decisioni di un governo».165

Dall’inchiesta della guardia di finanza emergono le protezioni politiche dei vertici della Provincia targata Pd. Il 15 maggio 2013 il gip Todisco dispone gli arresti del presidente Giovanni Florido e dell’ex assessore all’Ambiente Michele Conserva per concussione: sono accusati di pressioni e minacce di licenziamento al dirigente del settore Ecologia Luigi Romandini che non firmò l’autorizzazione alla discarica di rifiuti speciali necessaria all’Ilva per ottenere l’Aia. Il sindaco di Taranto Ippazio Stefano di Sel, invece, ha ritardato il referendum consultivo sulla chiusura dell’area a caldo proposto dall’associazione Taranto Futura.166

Il grande manovratore era Girolamo Archinà, incaricato delle relazioni esterne dell’Ilva che Emilio Riva definisce, in una telefonata intercettata, il «maestro degli insabbiamenti». Archinà è accusato di pressioni su ispettori e rappresentanti di Arpa, Regione, ministero dell’Ambiente e sui giornali. I signori del metallo potevano contare su teste di ponte anche in parlamento, per quanto nessuno sia coinvolto nell’inchiesta. Il deputato democratico Ludovico Vico era stato invitato dal factotum dell’Ilva a proporre una legge per modificare il reato di getto pericoloso di cose. Vico raccolse anche le rimostranze di Emilio Riva per il comportamento del senatore Pd Roberto Della Seta che si ostinava a preoccuparsi per la salute dei tarantini, chiedendo al governo di anticipare l’introduzione dei limiti sul benzoapirene.

Nel gennaio del 2010 sulla email di Archinà è stato intercettato il file di una lettera a firma del patron del colosso siderurgico destinata (ma non spedita) a Pier Luigi Bersani: «Mi rivolgo a Lei per un episodio di cui è stato protagonista il senatore Della Seta che mi ha sconcertato […]. Scusi lo sfogo, ma proprio per quello che negli anni di reciproca conoscenza ha potuto constatare sulla mia azienda, confido che saprà comprenderlo». Della Seta, sul punto, assicura di non essere mai stato contattato da Bersani.167 Tuttavia, alle Politiche del 2013, Della Seta è stato escluso, mentre è arrivata la ricandidatura del deputato che dialoga coi Riva, Ludovico Vico.

Sull’utenza di Girolamo Archinà è registrata anche la voce di Nichi Vendola. Il gip attribuisce al presidente della Regione, benché non indagato, pressioni nei confronti del direttore dell’Arpa Giorgio Assennato. Il 22 giugno 2010 l’addetto alle pubbliche relazioni dell’Ilva, preoccupato per un nuovo report negativo sull’inquinamento, ha scritto a Fabio Riva per informarlo di un incontro con il governatore. Riassume il gip Todisco: «Comunicava che il presidente Vendola si era fortemente adirato con i vertici dell’Arpa Puglia, cioè il direttore scientifico Blonda e il direttore generale Assennato, sostenendo che loro non dovevano assolutamente attaccare l’Ilva di Taranto; piuttosto avrebbero dovuto stanare Enel ed Eni che cercavano di aizzare la piazza contro l’Ilva». Il 23 giugno Assennato ha chiamato Archinà: «Girolamo, sono molto incazzato! La dovete smettere di fare così […]. Andare dal presidente e dire che siete vittima di una persecuzione dell’Arpa […]. Vendola questa mattina ha convocato Massimo Blonda… vi siete trovati di fronte a persone senza palle».

Nell’intercettazione del 6 luglio 2010 Archinà si lamenta con Vendola del direttore generale dell’Arpa:

Archinà: «Purtroppo i miei timori del recente passato si stanno dimostrando sempre di più… e sempre di più non solo l’Ilva ma anche… altre persone sono nell’occhio del ciclone… ma tutto poggiato su una scivolata del nostro stimato amico direttore [Assennato, nda]».

Vendola: «Vabbè, noi dobbiamo fare… ognuno fa la sua parte… e dobbiamo però sapere che… a prescindere da tutti i procedimenti… le cose… le iniziative… l’Ilva è una realtà produttiva cui non possiamo rinunciare, e quindi… diciamo… fermo restando tutto dobbiamo vederci… dobbiamo… ridare garanzie… volevo dirglielo perché poteva chiamare Riva e dirgli che… il presidente non si è defilato».168

Assennato respinge l’ipotesi di pressioni e anche Vendola liquida la faccenda: «Mi incontro continuamente con amministratori delegati, con manager, o responsabili delle relazioni istituzionali. Devo difendere o no il patrimonio produttivo della Puglia? Per me che ho innescato la quarta per andare nella direzione dell’ambientalizzazione degli apparati produttivi dell’Ilva c’è o no un problemino chiamato difesa di una fabbrica che dà da vivere a 20.000 famiglie ed è il polmone produttivo più importante del Sud Italia?».169

161 Comizio elettorale a Lecce, 18 gennaio 2010.

162 Gianni Dragoni, Ilva, il padrone delle ferriere, Chiarelettere, Milano 2012.

163 Il segretario del Pd ha ricevuto anche 110.000 euro da Federacciai, il cui numero due è Nicola Riva, figlio di Emilio: 20.000 euro nel 2004, 50.000 euro due anni dopo e 40.000 euro nel 2008. In quest’ultima occasione Federacciai ha sostenuto Enrico Letta con 40.000 euro.

164 Telefonata intercettata dalla polizia giudiziaria di Taranto il 22 luglio 2010.

165 Intervento a Ballarò, Rai2, 27 novembre 2012.

166 Il referendum consultivo che si è svolto il 14 aprile 2013 nel Comune di Taranto, contenente i quesiti sulla chiusura dell’Ilva e dell’area a caldo, ha visto prevalere nettamente i sì ma non ha validità: l’affluenza è stata solo del 19,55 per cento.

167 Francesco Casula, «Pier Luigi ci dia i contributi di Riva», «il Fatto Quotidiano», 3 dicembre 2012.

168 Ordinanza di custodia cautelare disposta dal gip Patrizia Todisco il 26 novembre 2012.

169 Conferenza stampa, 27 novembre 2012.