Impresentabili e raccomandati
L’onestà è la miglior politica.
Miguel de Cervantes
Primarie e Porcellum
Il simbolo del rinnovamento del centrosinistra sono le primarie per la scelta del leader e dei candidati di Pd e Sel al parlamento: 1500 aspiranti, 6000 seggi aperti il 29 e il 30 dicembre 2012 grazie a 50.000 volontari, il voto duplice obbligatorio per un uomo e una donna.
Per Enrico Letta questo appuntamento con gli elettori è una sorta di panacea: «Volevamo abbattere il Porcellum e lo stiamo dimostrando». A ben guardare, invece, i cittadini hanno potuto esprimersi in misura molto limitata, poiché le primarie non hanno eliminato l’effetto di una legge elettorale contraria ai principi della democrazia partecipata. Avendo abolito il voto di preferenza, il Porcellum consegna tutto il potere alle segreterie dei partiti. Il meccanismo è quello del listino bloccato, ossia la scelta fatta a priori dal partito, che sistema in cima alle liste elettorali una serie di nomi in modo tale che siano sicuri di approdare in parlamento. È vero che nel Pd, perlomeno, molti giovani e qualche big si sono sottoposti volontariamente al giudizio degli iscritti, ma gli esentati dalle primarie sono stati 113 su un totale di 412 onorevoli.
Tra i «paracadutati» come capolista troviamo il premier Enrico Letta nelle Marche, Nicola Latorre in Puglia, il capogruppo alla Camera Roberto Speranza in Basilicata, Dario Franceschini in Emilia-Romagna, Marco Minniti in Calabria, i giornalisti Massimo Mucchetti in Lombardia, Rosaria Capacchione in Campania e Corradino Mineo in Sicilia. Nelle prime posizioni si sono sistemati alcuni «dinosauri» che hanno ottenuto la deroga al tetto massimo di tre legislature: i laziali Beppe Fioroni e Ugo Sposetti, il siciliano Beppe Lumia (lista Crocetta) e il bellunese Gianclaudio Bressa, dal 1996 in parlamento con la Dc, poi ulivista nella Südtiroler Volkspartei.
Indagati, imputati & prescritti
Nel gennaio del 2013 il Comitato dei garanti del Pd ha bloccato sulla soglia del parlamento tre candidati. Il più discusso risponde al nome di Vladimiro «Mirello» Crisafulli da Enna, al centro di polemiche da quando, nel dicembre del 2001, venne filmato dalla polizia all’hotel Garden di Pergusa mentre discuteva di appalti con l’avvocato Raffaele Bevilacqua. Crisafulli poteva non sapere che il suo interlocutore sarebbe stato arrestato due anni dopo con l’accusa di essere il reggente provinciale di Cosa nostra?192 Sì, secondo la Procura di Caltanissetta che ha archiviato la posizione dell’esponente diessino. Il peso di quell’incontro, che provocò la frattura con i movimenti antimafia, non ha intaccato l’influenza di Crisafulli, consigliere di amministrazione dell’Università Kore di Enna. Il ras dell’ex Pci locale è stato vicepresidente dell’Assemblea regionale siciliana (Ars) dal 2001 al 2006, sino a quando è stato eletto alla Camera per l’Unione di Prodi. Nel 2010 un’altra inchiesta, condotta dal pm di Enna Marcello Cozzolino, gli è costata il rinvio a giudizio per abuso d’ufficio assieme a due dipendenti della Provincia. Crisafulli, nel frattempo trasferitosi al Senato, deve rispondere della pavimentazione a spese dell’ente di una strada comunale che conduce alla sua villa. Il Pd lo aveva già candidato ma, in seguito a campagne di stampa e proteste della società civile, ha deciso di escluderlo in extremis. Per arginare il vento dell’antipolitica i democratici hanno dovuto rinunciare a un padrone delle tessere che alle primarie locali aveva appena incassato 6348 voti su un totale di 7302.
La stessa sorte è toccata al deputato trapanese in quota Margherita Antonio Papania, che si portava il fardello di un patteggiamento di 1 anno e 2 mesi per abuso d’ufficio per assunzioni irregolari in veste di assessore regionale al Lavoro, e al consigliere regionale campano Nicola Caputo, indagato per truffa e peculato in relazione alla gestione dei contributi pubblici ai gruppi. Nel motivare le decisioni il Comitato dei garanti si è richiamato al codice etico del Pd.
L’elenco di parlamentari che si sono trovati o si trovano nei guai con la giustizia si è assottigliato rispetto al passato, ma non in modo significativo. In Toscana 5610 voti alle primarie hanno confermato Andrea Rigoni di Massa Carrara, membro delle Commissioni difesa e affari esteri nella precedente legislatura. Commercialista, iscritto alla Margherita, era entrato al Senato con l’Ulivo nel 2001. Già prima del passaggio alla Camera, nel 2006, la sua vicenda processuale era nota: a Rigoni veniva contestato l’ampliamento del garage interrato della sua casa di Porto Azzurro, sull’isola d’Elba, senza autorizzazione paesaggistica. Il deputato democratico è stato condannato in primo grado a 8 mesi e infine prosciolto dalla Corte d’appello di Firenze per intervenuta prescrizione.
Una nuova figura di rilievo in Senato è Bruno Astorre, presidente del consiglio regionale del Lazio sciolto anticipatamente nel settembre del 2012 per le dimissioni della giunta Pdl di Renata Polverini. Astorre non è indagato per gli sprechi e le ruberie dei gruppi consiliari che hanno portato all’arresto di Franco Fiorito del Pdl. L’ipotesi di reato di abuso d’ufficio in concorso con tutto l’ufficio di presidenza concerne invece la proroga dell’incarico di segretario generale del consiglio a Nazzareno Cecinelli, non indagato. Secondo la Procura di Roma, Cecinelli, che ha firmato tutte le delibere di assegnazione dei contributi milionari ai gruppi consiliari, sarebbe dovuto andare in pensione: un decreto del 2006 stabilisce che, avendo compiuto sessantasette anni, non sarebbe potuto restare neppure con un incarico a tempo. In ogni caso Astorre, conquistando il terzo posto alle primarie nella zona dei Castelli romani, ha potuto varcare la soglia di Palazzo Madama.
È intonso a livello penale ma fresco di condanna della giustizia contabile il collega laziale Walter Tocci, alla Camera dal 2001 e ora al Senato. L’indagine della Corte dei conti è relativa alla gestione del trasporto e dei parcheggi al tempo in cui, alla fine degli anni Novanta, Tocci era assessore alla Mobilità nella giunta capitolina di Rutelli. L’Atac Sta Spa (società sorta dalla fusione di Agenzia per i trasporti autoferrotranviari e Servizi per la mobilità) è stata condannata in Appello a risarcire 708.000 euro di danno erariale «per non aver gestito il servizio secondo criteri di economicità, efficacia e di regolarità contabile». Walter Tocci, che «non ha posto in essere (come doveva, quale assessore competente) i meccanismi atti a verificare la regolarità e la proficuità della gestione»,193 è stato condannato dalla Corte dei conti al pagamento di 37.000 euro.
Ancor più fresca la sentenza per il neodeputato napoletano Massimo Paolucci, punito a nove giorni dalle elezioni. La sua lunga esperienza nel Pci-Pds-Pd, iniziata nel 1977, si è sedimentata col consenso nelle roccaforti di Fuorigrotta e Soccavo. Da assessore nella giunta napoletana di Antonio Bassolino, Paolucci ha assunto numerose deleghe: Traffico, Trasporti, Arredo urbano, Polizia municipale. Da assessore alla Nettezza urbana è stato coinvolto nell’indagine contabile sugli sprechi nel periodo dell’emergenza rifiuti. Il 15 febbraio 2013 la Corte dei conti della Campania ha condannato al pagamento complessivo di circa 5,6 milioni di euro gli amministratori che si erano avvicendati dal gennaio del 2003 al settembre del 2007. Il danno erariale è stato cagionato dall’assunzione di 362 persone al consorzio di bacino Napoli 5 rispetto a un massimo di 150, molte stipendiate per non lavorare. Paolucci dovrà risarcire 560.000 euro, al pari dei sindaci Antonio Bassolino, Rosa Russo Iervolino e Riccardo Marone.
In Abruzzo resta in campo con il favore di 2500 iscritti l’aquilano Giovanni Lolli, storico leader regionale della Fgci e del partito, alla Camera dal 2001. Molto impegnato nell’associazionismo, il deputato è stato sottosegretario allo Sport del secondo governo Prodi. Lolli fu indagato per favoreggiamento personale nell’inchiesta sulla missione Arcobaleno. L’accusa di aver avvisato alcuni indagati facendo saltare le verifiche in corso, contestata dalla Procura di Bari nel 2007, non è mai stata provata: l’anno seguente Lolli è stato prosciolto per prescrizione in udienza preliminare.
Da Bari approda per la prima volta a Montecitorio Antonio Decaro, vincitore delle primarie con proposte «grilline» come il dimezzamento del numero dei parlamentari. Ingegnere civile, Decaro aveva iniziato come assessore ai Trasporti nella giunta comunale del sindaco Michele Emiliano per poi diventare capogruppo regionale del Pd. Indagato per tentato abuso d’ufficio nella maxi-inchiesta della Procura di Bari sulla sanità che ha portato al rinvio a giudizio di 34 persone tra dirigenti sanitari, politici e imprenditori,194 Decaro è accusato assieme al padre Giovanni di aver raccomandato il cugino Sabino Annoscia per un posto da collaboratore dell’Agenzia regionale per l’ambiente (Arpa). Le microspie hanno registrato nel dicembre del 2008 la visita di Giovanni Decaro presso l’ufficio dell’assessore alla Sanità Alberto Tedesco che non ha permesso l’assunzione di Annoscia. Quando la notizia dell’indagine è trapelata sui giornali, nel febbraio del 2011, tutti hanno respinto le accuse, in special modo il capogruppo in Regione Antonio Decaro: «Ho piena fiducia nella magistratura. E in attesa di saperne di più sono pronto a rimettere i miei incarichi nelle mani del partito». Che lo ha promosso in parlamento.
A Crotone è l’onorevole Nicodemo Oliverio a far pesare il bacino di consensi più del procedimento penale a suo carico. Democristiano doc, vicino a Franco Marini, entrato alla Camera nel 2005, è un incrollabile sostenitore delle primarie, di cui ha curato gli aspetti organizzativi. Nel 2013, alle parlamentarie crotonesi, ha ottenuto 8257 voti su 8547 iscritti. Veri aficionados.
Nel settembre del 2009 Oliverio è stato rinviato a giudizio per bancarotta fraudolenta nell’inchiesta del pm di Roma Luca Palamara sulle donazioni degli immobili della Dc. Il Palazzo Sturzo del quartiere Eur fu ceduto nel luglio del 1998 per soli 3,5 miliardi di vecchie lire agli eredi Ppi e Cdu. A occuparsene fu l’immobiliare di riferimento Società edilizia romana (Ser) di cui Oliverio era consigliere di amministrazione, poi dichiarata fallita nel 2003 per 40 miliardi di debito verso Banca di Roma. Quattro anni dopo Palazzo Sturzo è stato venduto dal Ppi per 52 milioni di euro. Oliverio respinge gli addebiti al pari dei 14 coimputati, fra cui spiccano altri tre ex tesorieri: i due popolari Alessandro Duce e Romano Baccarini e il segretario amministrativo dell’Udeur Tancredi Cimmino.
In Sicilia vola sull’onda di ben 20.000 preferenze Francantonio Genovese, figlio del senatore Dc Luigi e nipote dell’otto volte ministro Nino Gullotti, di stretta osservanza demitiana. Genovese, che è stato sindaco di Messina e segretario regionale del Pd, è indagato per abuso d’ufficio per sospette irregolarità nelle delibere che hanno affidato alcuni servizi a Feluca Spa, società che gestisce la rete telematica del Comune. Genovese è discusso anche per il conflitto d’interessi in vari settori – nel 2005, da primo cittadino, era contemporaneamente dirigente della società di traghetti operante sullo Stretto – e per i familiari posizionati in società finanziate pubblicamente: moglie e cognata nel consiglio direttivo dell’Esofop, ente deputato allo sviluppo occupazionale, un nipote nella Nt Soft, un’altra cognata nella Libera università mediterranea di naturopatia (Lumen) e via seguitando, come sintetizzato da «Panorama»: «La moglie, tre cognati, due nipoti. Tutti attaccati alla florida mammella della formazione professionale isolana: con quattro società che nell’ultimo anno hanno incassato quasi due milioni di euro di contributi pubblici».195
A questi volti noti si è aggiunta un’altra messinese, Maria Tindara Gullo di Montagnareale, trionfatrice alle primarie con oltre 11.000 voti ed eletta alla Camera. Prima ancora di mettere piede a Montecitorio, l’8 marzo 2013, Gullo è stata iscritta sul registro degli indagati per falso ideologico: avrebbe falsamente dichiarato di essere residente a Patti quando in realtà non si sarebbe mai spostata dal vicino Comune di Montagnareale. La sua posizione è marginale rispetto alla maxioperazione della polizia di Messina in cui sono finite in manette sette persone, tra cui il padre Francesco Gullo, accusate a vario titolo di associazione a delinquere, voto di scambio e truffa. Gullo senior avrebbe condizionato le Amministrative del 2011 nel paese di Patti pur non riuscendo a farsi eleggere sindaco.
Premiata ditta parentopoli
Nel paese del familismo amorale non possono mancare le poltrone parlamentari ereditarie per i congiunti. Il codice etico del Pd invita «ogni componente di governo a tutti i livelli a non conferire né favorire il conferimento di incarichi a propri familiari» e a rifiutare «una gestione oligarchica o clientelare del potere, logiche di scambio o pressioni indebite». Evidentemente non rientra nei succitati il caso di Marietta Tidei, figlia del potente sindaco di Civitavecchia Pietro, passata dal consiglio del Comune laziale all’assemblea dei deputati in forza del piccolo plebiscito alle primarie. La parabola parlamentare di Marietta, premiata nel 2009 con l’incarico di vicecapo di gabinetto del presidente del consiglio regionale Bruno Astorre per la modica cifra di 157.000 euro all’anno, è una staffetta col genitore. Pietro Tidei, di professione avvocato, è stato sindaco di Civitavecchia per sette anni, poi deputato sino al giugno del 2012 con un breve stop nel 2006 dopo la protesta per la mancata nomina a sottosegretario. Anche la fuoriuscita dal parlamento è arrivata in seguito a una polemica, in questo caso per la sua incompatibilità: Pietro Tidei, nel maggio del 2012, era stato nuovamente eletto sindaco di Civitavecchia.
La base democratica laziale ha legittimato l’ingresso dell’avvocato Monica Cirinnà, moglie dell’ex capogruppo regionale del Pd Esterino Montino. Cirinnà, laurea forense e assistente del professor Franco Cordero, ha un’esperienza ventennale da consigliera comunale a Roma, iniziata con i Verdi di Rutelli, proseguita per l’era Veltroni e con l’opposizione al sindaco Alemanno. Animalista e ambientalista, gestisce col marito enologo un’azienda agricola biologica nella Maremma toscana. Il consorte Montino è stato in sequenza senatore, assessore comunale ai Lavori pubblici nell’anno del Giubileo, assessore regionale all’Urbanistica nella giunta di Piero Marrazzo, poi sindaco di Fiumicino. Capogruppo dell’opposizione alla giunta di Renata Polverini, Cirinnà non è stato coinvolto, al pari degli altri 13 consiglieri regionali, nella «sprecopoli» dei gruppi. Il giro di contributi tuttavia è impressionante: il bilancio del Pd pubblicato online nel settembre del 2012 registra entrate per due milioni 17.000 euro e spese per due milioni 51.000 euro, di cui 738.000 per i manifesti, 622.000 per i collaboratori e 23.000 per convegni e incontri in hotel e ristoranti.
Chi invece ha spiccato il volo dal Lazio alla Lombardia per un seggio quasi sicuro alla Camera è la professoressa Fabrizia Giuliani, moglie del dalemiano Claudio Mancini, già assessore regionale al Bilancio nella giunta di Piero Marrazzo. Giuliani, docente di Filosofia del linguaggio alla Sapienza di Roma, è stata inserita al quindicesimo posto nel listino bloccato lombardo suscitando le proteste di attivisti e colleghi milanesi.
Se in un dibattito parlamentare sui rapporti tra banche e politica fosse invitato il presidente di Intesa San Paolo Giovanni Bazoli, in aula si sentirebbe a casa: il nipote e il genero sono stati eletti rispettivamente col Pd e con Scelta civica di Mario Monti. Il democratico Alfredo Bazoli, figlio del fratello del banchiere, Luigi, è avvocato, membro della Congrega della carità apostolica e socio della coop del padre che edita la rivista «Città e dintorni». Rigorosamente prodiano, nel 1995 fondò il Movimento dei giovani per l’Ulivo a Brescia, dove si è poi impegnato come consigliere comunale della Margherita. A Modena, ma per Scelta civica, ha raccolto i voti anche Gregorio Gitti, genero del presidente di Intesa San Paolo. L’onorevole Gitti, docente di Diritto amministrativo e già consigliere indipendente per Edison, Librerie Feltrinelli Srl e Sabaf, è un altro ulivista della prima ora. Il dialogo tra montiani e democratici, in famiglia, non potrebbe svilupparsi meglio.
Nel campo sindacale la new entry è la bergamasca Valeria Fedeli, sindacalista della Cgil (Fillea) e moglie di Achille Passoni, senatore democratico sconfitto alle primarie nella «renziana» Firenze. Bersani ha posto la consorte in cima alla lista del Senato in Toscana.
Alle primarie di Salerno l’ha spuntata Simone Valiante, classe 1974, area Margherita. Di professione commercialista, è stato sindaco del paese natio Cuccaro Vetere e consigliere provinciale di Salerno. Il padre Antonio Valiante è un pezzo di storia della Dc campana. Segretario provinciale quando ancora doveva nascere Simone, negli anni è stato presidente di diversi enti e società partecipate, nonché segretario regionale del Ppi e deputato nel 1994. In seguito ha ricoperto il ruolo di vicepresidente nella giunta Bassolino con svariate deleghe.
Da Cosenza è approdata in parlamento Stefania Covello, figlia del cosiddetto «Kennedy di Calabria», ossia Franco Covello, ras democristiano entrato in politica nel 1970 dopo aver sposato una nipote del deputato scudocrociato Guglielmo Nucci, la cui figlia Anna Maria era stata onorevole e sottosegretario alla Pubblica istruzione. Partito dal consiglio comunale di Cosenza e accomodatosi al Senato vicino a Giulio Andreotti, Franco Covello è stato coinvolto in alcuni processi ai tempi di Tangentopoli, ma alla fine è sempre stato assolto. In seguito ha fatto il salto della quaglia in Forza Italia, diventando presidente delle Ferrovie della Calabria, per poi tornare nell’alveo del centrosinistra in quota Margherita. La figlia Stefania, avvocato e broker assicurativo, è stata per nove anni consigliere comunale a Cosenza, assessore provinciale alla Cultura, consigliere regionale prima delle votazioni che l’hanno sospinta alla Camera.
Un’altra corregionale influente è Enza Bruno Bossio, moglie del leader democratico calabrese Nicola Adamo, deputato nella XV Legislatura e vicepresidente della Regione nella giunta di Agazio Loiero. Attiva nei movimenti studenteschi e nella Fgci, si è battuta per la legge sull’aborto ed è stata responsabile femminile della Federazione provinciale del Pci di Cosenza. Nel 1989 ha lasciato l’agone politico per provare esperienze lavorative in Rai e partecipare a progetti di ricerca universitaria. Dirigente d’azienda in vari settori, dall’innovazione tecnologica alla comunicazione, Enza è stata indagata assieme al marito Nicola nell’inchiesta «Why not» su fondi europei finiti ad aziende da lei dirette. Entrambi i coniugi sono stati prosciolti in via definitiva e Bruno Bossio si è rituffata nell’arena politica: da membro della direzione nazionale del Pd è giunta alla Camera sull’onda di 11.000 preferenze.
In Sicilia, grazie ai voti di Agrigento, è stato eletto per due volte all’Assemblea regionale Giuseppe Lauricella, docente universitario e figlio di un’«istituzione» della Prima repubblica e del Partito socialista: il catanese Salvatore Lauricella, promotore dei primi governi di centrosinistra, quelli di Mariano Rumor, di cui fece parte come ministro alla Ricerca scientifica e ai Lavori pubblici. In seguito è stato presidente del Psi e per due volte a capo dell’Assemblea regionale siciliana fino al ritiro a vita privata, nel 1994.
Flavia Piccoli Nardelli, originaria di Trento ma vincitrice delle primarie all’estremità opposta dello Stivale, è la figlia dello storico democristiano Flaminio Piccoli, noto come autore della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, ministro nei governi Rumor e segretario dopo Benigno Zaccagnini. Nardelli, che da segretario dell’Istituto Luigi Sturzo si occupa di progetti di ricerca e valorizzazione del patrimonio culturale, era già stata candidata invano al consiglio di amministrazione della Rai.
L’astro nascente del Pd isolano è senz’ombra di dubbio Daniela Cardinale, classe 1982, entrata alla Camera a 26 anni al posto del padre Salvatore e confermata alle primarie di Gela contro l’ex presidente della Commissione antimafia regionale Lillo Speziale. Salvatore «Totò» Cardinale è stato una pietra angolare della politica nazionale: deputato per cinque legislature, prima con la Dc, poi con il Ccd, l’Udr, l’Udeur, la Margherita, e infine con il Partito democratico. Nel 1998 fu imposto nel delicato ruolo di ministro delle Poste e telecomunicazioni dall’Udr di Cossiga, alleato indispensabile a Massimo D’Alema per la salita al governo. Nel 2008, avendo raggiunto il limite massimo di mandati, si è avvalso di una sorta di ottocentesco principio del seggio ereditario, come ricostruito da «la Repubblica»: «Piuttosto che invocare la deroga ha aggirato il problema candidando la figlia Daniela».196
Naturalmente non è in discussione l’onestà e il valore dei singoli personaggi sopra citati, ma è una questione di opportunità. Secondo l’esperta di comunicazione politica Giovanna Cosenza, alcune scelte del Pd trasmettono un preciso messaggio: «Non siamo cambiati e non abbiamo intenzione di farlo».197
L’antimafia scomparsa
Un altro messaggio emerso dal processo di selezione dei candidati è che la lotta alla mafia è rimasta fuori dall’agenda del centrosinistra. Inizialmente il commissario del Pd calabrese Alfredo D’Attorre aveva vagliato l’ipotesi di candidare personalità in prima linea contro le cosche come l’ex prima cittadina di Monasterace (Reggio Calabria) Maria Carmela Lanzetta, che aveva ricevuto minacce di morte: spari contro il portone di casa e rogo doloso appiccato alla sua farmacia. Il 12 aprile 2012 Pier Luigi Bersani era sceso in Calabria per sostenere Lanzetta, invitandola alla Festa nazionale dell’Unità di Reggio Emilia e citandola nel confronto televisivo con Renzi. Poi, senza motivazioni apparenti, la sua candidatura è saltata. Nel luglio del 2013 Lanzetta ha lasciato anche il municipio, dopo che la giunta si è spaccata sull’eventualità di costituirsi parte civile in un processo di ’ndrangheta. La vicenda è analoga a quella di Elisabetta Tripodi e Carolina Girasole, sindaci Pd di Rosarno e di Isola di Capo Rizzuto, che lottano a viso aperto contro le potenti ’ndrine locali: il paese reggino è controllato dalle famiglie Pesce e Bellocco, il comune crotonese da Arena e Nicoscia. Entrambe le donne sono state intimidite per l’impegno in difesa della legalità, in particolare per gli sgomberi di case abusive in odor di mafia. Girasole, non trovando posto nel suo partito, si è candidata invano con Scelta civica. In maggio ha fallito la rielezione a sindaco per le divisioni interne al Pd. Le cosche di Isola hanno festeggiato il suo addio bruciandole la casa di famiglia al mare.
Anche lo studioso Enzo Ciconte,198 contattato per una candidatura alle Politiche, è stato lasciato fuori dalle liste: «Il 26 dicembre mi arrivò una telefonata di Alfredo D’Attorre, commissario regionale del Pd che ufficializzò la proposta, la stessa cosa fece con Maria Carmela Lanzetta. Poi tutto è svanito. D’Attorre ha giocato su più tavoli e con carte farlocche. Alla fine ha scelto il tavolo più forte».199 Ciconte commenta così la sua esclusione: «La ’ndrangheta è anche massoneria, area grigia fatta di professionisti, imprenditori, uomini delle istituzioni, un magma indifferente alle idee politiche. Forse è proprio questo sistema che ha bloccato l’ingresso nelle liste di chi fa antimafia sociale e culturale». Risultato: in Calabria è stato eletto Domenico Scilipoti, l’ex dipietrista saltato sul carro di Berlusconi, e non chi lotta contro le mafie.
Per il centrosinistra non è una novità. Sette anni prima era stato espunto Nando dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto. Saggista e docente di Sociologia della criminalità organizzata alla Statale, si è speso nella società civile prima e dopo la candidatura nel 1993 a sindaco di Milano con il movimento antimafia La Rete. L’esperienza alla Camera come deputato dei Verdi e dei Democratici si è conclusa presto, con la XIV Legislatura. Sebbene fosse diventato dirigente nazionale del nascituro Pd, Nando dalla Chiesa non è più stato ricandidato in parlamento. A ogni modo, pur se con risultati modesti, ha continuato a pungolare il centrosinistra. Proprio l’assenza dei temi delle mafie e della legalità nel programma per le Politiche 2013 lo ha indotto a disertare il primo turno delle primarie. Poi ha cambiato idea, ma quando si è presentato al ballottaggio gli è stato negato il diritto di voto. Così a Nando dalla Chiesa non è rimasto che esprimere lo sconforto per l’ennesimo schiaffo, stavolta in punta di regolamento: «Qui sta la lesione di democrazia prodotta dalle famose “regole”. Perché diversamente dalle azioni di una società petrolifera, la tessera non dà degli utili, dà solo un diritto di partecipare alle scelte del partito. Per questo è preziosa. E d’altronde quando la ricevi nessuno si azzarda a precisare che quel diritto potrà esserti confiscato o regolato a piacere da un gruppo di saggi o di burocrati […]. Purtroppo dubito molto che abbiano gli strumenti culturali per capirlo. Se no avrebbero colto immediatamente il monstrum che hanno prodotto. Pari all’altro monstrum, quello delle liste bloccate».200
Le polemiche su Grasso
Il Pd ha risposto con un coup de théâtre alle critiche e, indirettamente, alla candidatura di Antonio Ingroia con Rivoluzione civile. Chi meglio del capo della Direzione nazionale antimafia (Dna) Pietro Grasso avrebbe garantito l’impegno sul fronte caldo della legalità? Inserito in cima al listino del Lazio, il superprocuratore con 43 anni di toga sulle spalle è passato direttamente alla seconda carica dello Stato, la presidenza del Senato.
Pietro Grasso, per gli amici Piero, è nato il giorno di Capodanno del 1945 a Licata (Agrigento), ma è palermitano d’adozione. Studente modello e amante dello sport, in particolare nuoto e calcio, ha iniziato il cursus honorum in magistratura nel 1969 come pretore a Barrafranca (Enna) per passare tre anni dopo alla Procura di Palermo, dove ha curato le indagini più delicate, tra cui quella sull’omicidio del governatore Dc Piersanti Mattarella. Nel 1984 è stato giudice a latere al maxiprocesso, al termine del quale ha scritto le 8000 pagine di sentenza; cinque anni dopo è entrato a far parte della Commissione antimafia, nel 1991 è stato nominato consigliere della Direzione affari penali diretta dall’amico Giovanni Falcone, sostituendolo dopo la strage di Capaci nella Commissione centrale per i programmi di protezione di testimoni e collaboratori di giustizia.
Sei anni dopo il pentito Gioacchino La Barbera ha raccontato di un piano per uccidere Grasso a Monreale, mettendolo in relazione con le proteste dei detenuti mafiosi in regime di 41 bis.201 L’attentato al terzo magistrato dopo Falcone e Borsellino sarebbe fallito a causa di un telecomando inadatto, vista la presenza di un sistema di allarme di una banca vicina. Ma soprattutto per la cattura di Totò Riina a opera dei carabinieri del Ros. Grasso nel frattempo era tornato nella funzione requirente come procuratore aggiunto nella Dna di Pier Luigi Vigna, applicato come coordinatore alle procure impegnate nelle inchieste sulle stragi.
All’alba del nuovo millennio si è insediato al vertice della Procura di Palermo proseguendo l’opera di smantellamento della mafia militare avviata da Gian Carlo Caselli. Il bilancio è pieno di luci per la cattura di 13 superlatitanti, le condanne a 380 ergastoli e a migliaia di anni di carcere per centinaia di affiliati, ma restano alcune ombre. Nel luglio del 2000 il procuratore Pietro Grasso non ha firmato il ricorso in Appello dei suoi aggiunti Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato contro l’assoluzione di Giulio Andreotti, imputato per associazione a delinquere con Cosa nostra nel procedimento incardinato da Caselli. La sentenza della Corte d’appello di Palermo, ritenendo provate fino alla primavera del 1980 le accuse dei pentiti, tra cui due incontri tra Andreotti e il boss Stefano Bontate prima e dopo l’omicidio di Mattarella, ha dichiarato il non luogo a procedere. Con una motivazione storica: «Per essere il reato concretamente ravvisabile a carico del senatore Andreotti estinto per prescrizione».202
Dunque solo la parziale prescrizione del reato di associazione a delinquere (per il periodo successivo è arrivata l’assoluzione), i cui termini decorrono in 22 anni e 6 mesi, ha impedito di trasformare la collusione del sette volte presidente del Consiglio in una condanna in nome del popolo italiano.
Nella Procura di Palermo si è poi consumata una rottura nell’inchiesta sul governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro dell’Udc, reo di aver informato il manager della sanità privata Michele Aiello, l’assessore comunale Mimmo Miceli e indirettamente il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro sulle indagini in corso. I sostituti Gabriele Paci e Nino Di Matteo, appoggiati dai cosiddetti «caselliani» Ingroia, Scarpinato e Lo Forte, ritenevano opportuno indagare Totò Cuffaro per concorso esterno in associazione mafiosa. Invece i «grassiani», ossia il procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone e il pm Maurizio De Lucia, hanno contestato il reato meno grave: favoreggiamento di Cosa nostra. La discussione tecnica verteva sulle maggiori chance di dimostrare in giudizio un fiancheggiamento costante o appunto aiuti circostanziati all’organizzazione. Il processo si è chiuso con la condanna del governatore Udc a 7 anni per favoreggiamento mafioso e violazione del segreto istruttorio.
Il successo della gestione pragmatica di Pietro Grasso non ha spento le polemiche sull’eccessiva prudenza nelle indagini sui rapporti tra mafia e politica. Nel 2002 Scarpinato aveva accusato il capo degli uffici di non aver riferito a lui e ai colleghi, per timore di una «fuga di notizie», l’inizio della collaborazione di Nino Giuffrè, boss delle Madonie fedelissimo di Provenzano. Un altro collega, Domenico Gozzo, ha poi aggiunto: «La circolazione delle notizie in quegli anni non è stata delle migliori. Ed è questa l’accusa che oggi rivolgo a Grasso. La Dda nasce dall’idea del pool, basata sulla circolazione di notizie. Se non conosce l’integralità delle indagini, i sostituti non hanno la possibilità di lavorare efficacemente. Io e i colleghi cosiddetti “caselliani” abbiamo vissuto sulla nostra pelle questo pregiudizio […]. Non sentivamo di avere le spalle coperte. Grasso non perdeva occasione nelle interviste di prendere le distanze e spesso sembrava fare riferimento a procedimenti in corso».203
Nel 2005 la Procura di Palermo non ha avviato indagini su una lettera trovata dai carabinieri a casa di Vito Ciancimino, mutilata per metà, con richieste della mafia a Silvio Berlusconi. Massimo Ciancimino, in precedenza ignorato sul punto, ha poi raccontato di aver raccolto la missiva dal mafioso Vito Lipari alla presenza di Bernardo Provenzano e di averla consegnata in carcere al padre, il quale a sua volta l’avrebbe fatta recapitare a Marcello Dell’Utri per il destinatario finale. Nel testo si legge di una richiesta «all’onorevole Berlusconi di mettere a disposizione una delle sue reti televisive», per evitare «il luttuoso evento», cioè il rapimento del figlio Piersilvio. Secondo il pm Antonio Ingroia, la lettera, definita dallo stesso Ciancimino junior una «cosa cento volte più grande di me», potrebbe essere legata alla scelta del Cavaliere di scendere in politica. Massimo Ciancimino è stato più volte ospite del programma televisivo di Michele Santoro, a cui in altre occasioni ha preso parte anche Ingroia. Grasso, come la stessa Anm, ha criticato il presenzialismo del collega a iniziative pubbliche «di parte», ad esempio alla festa del Partito dei comunisti italiani. Le divergenze tra «grassiani» e «caselliani» sono di natura ideologica: due modi di intendere la lotta alla mafia da parte di magistrati che si richiamano agli insegnamenti di Falcone e Borsellino interpretandoli però in modo diverso. Forse inevitabilmente.
Quale sarebbe stato, nella Seconda repubblica, il comportamento di chi si era sacrificato per impedire la trattativa con Cosa nostra? In un ventennio la classe dirigente ha contribuito ad affondare il livello etico del paese superando anche la diga dell’ipocrisia, ultimo dazio che il vizio paga alla virtù. Ogni indagine scomoda è stata bollata dai berlusconiani come un’aggressione delle «toghe rosse», i media hanno manipolato le notizie spacciando per assoluzioni le sentenze di prescrizione che attestano la colpevolezza di imputati eccellenti quali Andreotti. Dal duopolio televisivo di Rai e Mediaset sono spariti gli approfondimenti culturali, le voci indipendenti, il giornalismo d’inchiesta e persino le fiction come La Piovra che avevano denunciato il fenomeno mafioso negli anni del pool di Falcone e Borsellino.
Il governo Berlusconi ha impedito al giudice Gian Carlo Caselli, per anni oggetto degli strali del centrodestra e di programmi come Sgarbi quotidiani su Canale 5, di partecipare al concorso per procuratore nazionale antimafia. Due emendamenti alla riforma dell’ordinamento giudiziario del guardasigilli Roberto Castelli, votata il 1° dicembre 2004 e poi dichiarata incostituzionale, hanno escluso dagli incarichi direttivi i magistrati di oltre 66 anni, compiuti da Caselli il 9 maggio 2005; contemporaneamente prorogavano la scadenza dell’allora capo della Dna Pier Luigi Vigna, settantaduenne. In ottobre il Csm, definendo Grasso «un’insostituibile memoria storica della più pericolosa tra le organizzazioni criminali», lo ha nominato procuratore antimafia con 18 voti favorevoli e 5 astenuti. La legge contra personam, rivendicata con orgoglio dal firmatario Luigi Bobbio di An, è stata biasimata solo in seguito da Grasso, che all’epoca non aveva pensato di dimettersi con sdegno. In seguito ha speso parole positive per l’opera del governo Berlusconi: «Abbiamo avuto una legislazione che ci ha aiutato nel sequestro e nella confisca dei beni. […] Siamo arrivati a 40 miliardi di euro. […] Sulle altre cose che avevamo chiesto per avere strumenti, sull’autoriciclaggio, le norme sulla corruzione e un aggravamento dei reati fiscali, invece, ancora aspettiamo».204
L’entrata in politica del procuratore della Dna è arrivata in vista della scadenza del secondo mandato, che era stato confermato dal Csm all’unanimità. Dopo aver declinato l’offerta del centrosinistra per le Comunali di Palermo, Grasso ha ufficializzato la candidatura nel Pd per le Politiche del febbraio 2013. Tra le reazioni positive generali si segnala quella di Marcello Dell’Utri. Il fondatore di Forza Italia nei guai con la giustizia, non riproposto al Senato per ragioni di calcolo elettorale, ha rimarcato: «Grasso ha sempre svolto il suo lavoro con equilibrio, se volesse cimentarsi in questa impresa sarebbe un politico di tutto rispetto […]. Ingroia è un fanatico, Grasso, lo ripeto, è una persona equilibrata […]. Giudico bene il suo operato, è stato positivo e accorto. Si è impegnato sempre in modo concreto nella lotta alla mafia».205 Sette anni prima Dell’Utri si era espresso in modo sibillino. Nel corso delle dichiarazioni spontanee al processo per mafia istruito da Ingroia, l’imputato si è soffermato sulle qualità calcistiche del quattordicenne Grasso sul campo della Bagicalupo. Si tratta della squadra giovanile gestita da Dell’Utri dal 1957 al 1961, intorno alla quale gravitava anche il boss della famiglia di Porta Nuova Vittorio Mangano: «C’era Piero Grasso che oggi è il procuratore qui a Palermo, che tra l’altro giocava bene, usciva però sempre pulito dal campo, anche quando c’era fango, lui aveva… era famoso perché non si schizzava mai, era sempre pulito e questo era un po’ così, poi c’erano altri, c’erano anche figli della società, per così dire meno nobile, palermitana, perché si giocava a calcio, non solo, frequentavamo tutti i campi della periferia».206
Grasso non è stato tenero con Berlusconi quando il leader del Pdl ha promesso la restituzione dell’Imu. Per il neocandidato del Pd non sarebbe stato sorprendente se qualche pm avesse aperto un fascicolo per voto di scambio. Il fatto si è verificato a Reggio Emilia, quando la Procura locale ha raccolto l’esposto di una cittadina raggiunta per posta dall’anomala promessa elettorale. Il primo giorno della legislatura, da semplice parlamentare democratico, Pietro Grasso ha depositato un disegno di legge per il ripristino del reato di falso in bilancio, l’introduzione dell’autoriciclaggio e l’estensione del delitto di voto di scambio anche alle «altre utilità» oltre al denaro. È salito alla guida di Palazzo Madama con il sostegno di Pd, Sel e di alcuni peones del MoVimento 5 Stelle, mentre il Pdl aveva puntato sul presidente uscente Renato Schifani. Nel discorso inaugurale Grasso ha proposto una «Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi irrisolte».
Con questa scelta di alto profilo il Pd sperava di aver convinto i critici. A prescindere dal giudizio che ognuno si è formato sull’ex procuratore Antimafia, il presidente del Senato non è un ministro della Giustizia: per ragioni di opportunità e imparzialità il supplente del capo dello Stato e garante del corretto funzionamento dei lavori dell’aula non entra nel merito delle proposte e del dibattito politico.
Un mese dopo l’elezione alla presidenza del Senato, Grasso nomina all’Assemblea parlamentare euromediterranea (Apem) il senatore del Pdl Antonio D’Alì, ex banchiere ed ex sottosegretario del governo Berlusconi, imputato a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. Il processo si concluderà il 30 settembre 2013 con l’assoluzione dalle accuse di aver pilotato appalti e trasferito funzionari scomodi per favorire Cosa nostra trapanese e con la prescrizione per i fatti precedenti al 1994: la vendita fittizia di un terreno, tramite prestanome, alla famiglia del latitante Matteo Messina Denaro. Alle polemiche seguite alla nomina di D’Alì il presidente del Senato ribatte di aver soltanto preso atto dell’indicazione del gruppo parlamentare del Pdl.
192 La Cassazione condanna Raffaele Bevilacqua a 10 anni e 7 mesi di reclusione per associazione mafiosa il 5 ottobre 2008.
193 Motivazioni della sentenza della seconda sezione giurisdizionale centrale di Appello della Corte dei conti del Lazio, 11 luglio 2012.
194 Al momento di andare in stampa il processo era alle battute finali. Il 13 giugno 2013 l’accusa ha chiesto per Antonio Decaro una condanna a 1 anno e 4 mesi.
195 Antonio Rossitto, Corsi di formazione in Sicilia. Francantonio Genovese, «Panorama», 30 luglio 2012.
196 Massimo Lorello, Liste Pd, terremoto e polemiche, «la Repubblica», 4 marzo 2008.
197 Parentopoli e tengofamiglia nei partiti: anche questa è comunicazione, http://giovannacosenza.wordpress, 14 gennaio 2013.
198 Enzo Ciconte, docente di Storia della criminalità organizzata all’Università Roma Tre, deputato del Pci fino al 1992 e membro della Commissione giustizia dal 1997, è autore di numerosi saggi sul fenomeno mafioso.
199 Enrico Fierro, Calabria, il Pd archivia la lotta alla mafia, «il Fatto Quotidiano», 16 gennaio 2013.
200 Nando dalla Chiesa, Primarie, la mia tessera senza voto in nome delle regole, «il Fatto Quotidiano», 2 dicembre 2012.
201 Deposizione del collaboratore di giustizia Gioacchino La Barbera al processo di Firenze sulla strage di via dei Georgofili, 6 giugno 1997.
202 Prima sezione della Corte d’appello di Palermo, sentenza del 2 maggio 2003, confermata in Cassazione il 15 ottobre 2004.
203 Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Il pm Domenico Gozzo: «Altro che procura unita, Piero ci ha isolati», «il Fatto Quotidiano», 27 marzo 2013.
204 Intervista a La Zanzara, 14 maggio 2012.
205 Pietro Salvatori, Elezioni 2013: endorsement di Marcello Dell’Utri al procuratore Pietro Grasso, www.huffingtonpost.it, 27 dicembre 2012.
206 Tribunale di Palermo, dichiarazioni spontanee di Marcello Dell’Utri, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, in data 29 novembre 2004.