Cemento e mazzette

I socialisti sono come Cristoforo Colombo: partono senza sapere dove vanno.

Quando arrivano non sanno dove sono. Tutto questo con i soldi degli altri.

Winston Churchill

Penati e il sistema Sesto

Grandi appalti, coop e miglioristi: sono le parole chiave dell’inchiesta dei pm di Monza Walter Mapelli e Franca Macchia sulle tangenti contestate a Filippo Penati nella veste di sindaco di Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia. Following the money, gli inquirenti hanno scoperto il collegamento tra un imprenditore brianzolo, Giuseppe Pasini, che nel 2000 aveva acquistato l’area delle storiche acciaierie Falck, e due professionisti di Modena: l’ex sindaco di Sassuolo Giampaolo Salami e l’avvocato palermitano Francesco Agnello, che in Sicilia lavorava per lo stesso gruppo Falck. In un’anonima palazzina di via del Taglio a Modena si trovano le sedi di svariate società a responsabilità limitata riconducibili ai due: Aesse, Fingest, Servizi globali generali (Sgg), Phaedora, Sviluppo Palermo, Sviluppo Catania, Sviluppo Messina, Sviluppo Trapani, tutte partecipate o con dirigenti della cooperazione, nate per supportare la realizzazione di opere edili e centri commerciali.

È Salami, in particolare, ad avere il ruolo di raccordo tra partito e coop. Le sue sono due vite, quella di politico negli anni Ottanta e di uomo d’affari nel decennio seguente. Dopo la laurea in Sociologia, il Pci spedì il promettente Salami in Unione Sovietica all’Università Patrice Lumumba di Mosca, scuola da cui sono passati i futuri dirigenti. Al ritorno a Sassuolo la strada è spianata: segretario cittadino, assessore all’Urbanistica e infine sindaco della capitale mondiale della piastrella. In dieci anni, dal 1978 al 1988, Salami ha completato quella che per molti è la parabola di una vita. Nel 1990, con le macerie del Muro di Berlino ancora fumanti, ha lasciato la politica sparendo apparentemente nel nulla. L’anno seguente è rispuntato come presidente della coop Rinascita e affini Colira, di cui faceva parte anche il tesoriere del Pds di Modena Franco Vezzali.

Nel 1993 Salami è diventato presidente della Cooperativa immobiliare modenese (Cim) che aveva acquisito la piccola Rinascita. In pochi anni Cim, detentrice dei beni del partito, ha raddoppiato i cinque milioni di euro di attivo. Infine l’ex sindaco di Sassuolo ha ricoperto la carica di amministratore unico della Goodlink, la società che organizza Manifutura, il festival economico dell’associazione Nens fondata nel 2001 da Bersani e Visco.

Tra aprile e dicembre del 2002 tre bonifici da 619.000 euro sono partiti dal conto di Giuseppe Pasini per finire in quelli della società Aesse. Secondo gli inquirenti i pagamenti celavano tangenti a Salami e Agnello, ricondotti alle cooperative rappresentate dal vicepresidente del Consorzio cooperative costruzioni (Ccc), il modenese Omer Degli Esposti. Durante il sopralluogo nelle sedi, la guardia di finanza di Monza ha acquisito una lettera in cui i due professionisti richiedevano «il rimborso di parte degli oneri e delle spese sostenute per l’espletamento dell’incarico di assistenza nella definizione delle strategie di sviluppo commerciale sulle aree ex Falck in Sesto San Giovanni». L’annotazione della polizia giudiziaria è significativa: «Con riferimento a tale missiva non è stato rinvenuto alcun documento comprovante l’eventuale attività che doveva essere svolta».

Per mettere in crisi l’ingegnoso gioco di sponda che faceva da schermo al giro di appalti è bastata la defezione, o il tradimento dal punto di vista del sistema, di uno degli elementi. Piero Di Caterina, imprenditore dei trasporti che per molti anni ha finanziato il Pci-Pds, si trovava in difficoltà economiche e sentiva il fiato sul collo della Procura di Milano, impegnata in alcune indagini su sue presunte false fatture per l’area meneghina di Santa Lucia. Inoltre Di Caterina pretendeva la restituzione del denaro versato al partito, almeno tre milioni di euro, e non ottenendo soddisfazione ha iniziato a far circolare la voce che avrebbe potuto parlare. E così è avvenuto, nonostante nel 2008 avesse ricevuto due milioni di euro di caparra (per un vecchio immobile) dalla società di un manager vicino ai compagni, Bruno Binasco.

Anche Giuseppe Pasini, candidato sindaco per il centrodestra nel 2007 e consigliere comunale, quando si è sentito alle strette ha preso a riempire fiumi di verbali. Mentre erano in corso le analisi di alcune transazioni sospette si è deciso a raccontare che l’allora sindaco di Sesto, Penati, gli avrebbe chiesto 10 miliardi di vecchie lire in cambio del via libera a un intervento edilizio nell’area ex Falck. Alla fine erano stati quattro i miliardi versati all’intermediario Piero Di Caterina.

Il figlio di Giuseppe, Luca Pasini, ha poi citato Giordano Vimercati, braccio destro di Penati, in relazione al rapporto stabilito con le coop, e in particolare con il Ccc: «Durante la trattativa conobbi Omer Degli Esposti e un certo Salami come rappresentanti delle coop emiliane: ci viene detto, mi pare da Vimercati, che le coop avrebbero garantito la parte romana del partito […]. Poco prima del preliminare con il gruppo Falck, Degli Esposti ci disse che le cooperative non avevano soldi ma che comunque si ritenevano nostri soci almeno per un anno».

Pasini senior aveva affidato alle coop la parte residenziale dell’affare, ossia l’appalto di alcuni lavori nell’area. Alla domanda del pm sulla presunta copertura del partito, ha risposto: «Mi sono recato due volte a Roma ma non a Botteghe oscure. La prima volta ho parlato con un onorevole socialista di cui non ricordo il nome, e la seconda volta a Sviluppo Italia, associazione vicina a D’Alema, alla quale ho pagato le fatture emesse in forza di un contratto per lo sviluppo delle aree».

L’affare alla fine saltò. Giuseppe Pasini, in difficoltà per l’esposizione con Banca Intesa, fu costretto a cedere l’area, che aveva pagato 400 miliardi di vecchie lire, a soli 88 milioni di euro al gruppo Risanamento del cavalier Luigi Zunino. Il quale, cinque anni dopo, anch’esso in balia delle banche creditrici, ha venduto per 405 milioni di euro il terreno alla cordata Sesto Immobiliare capitanata da Davide Bizzi.

Pasini si è sfogato in un’intercettazione dell’aprile 2011: «Quando loro hanno deciso di non farti lavorare, non ti fanno lavorare, ti fanno perdere anche l’anima, pretendono tutto e in cambio non hai mai niente, qua non è che non vogliono i soldi, per darti quello che è il diritto vogliono i soldi, ma tu gli dai i soldi e non ti danno niente».

Omer Degli Esposti ha negato ogni addebito in un’intervista concessa al «Corriere»: «Pasini ci adorava. Piccolo com’era (all’epoca sarà stato un decimo di noi) non poteva affrontare da solo quell’impegno, gli faceva comodo il nostro nome. Poi invece si fece l’operazione da solo […]. C’è stato un momento di frizione, mi sono rotto e me ne sono andato, sarà stato intorno al 2002 e da allora Ccc è stata fuori dalla Falck. Fino al 2008, quando Bizzi ci ha cercato. Noi abbiamo esitato, gli abbiamo detto che ci pensasse bene […]. Però ha insistito, è tornato con un fondo coreano, uno americano, un socio pugliese, banche come Intesa e Unicredit. E abbiamo preso il 10 per cento». Degli Esposti ha risposto così al giornalista Luigi Ferrarella che gli chiedeva di Agnello e Salami: «Certo che li conosco, sono consulenti della movimentazione immobiliare, sviluppatori con studi di architetti professionisti per far combaciare le varie esigenze. […] Uno può essere un architetto bravissimo, ma ci vogliono relazioni con le persone e anche con la politica urbanistica. Agnello, ad esempio, aveva un contatto con Alberto Falck; Salami è uno che quando viaggia per il mondo ci propone occasioni […]. Io non impongo niente a nessuno: se lui ci voleva significa che gli era piaciuto il nostro modo di lavorare. Noi abbiamo una squadra e, dove siamo stati in giro per il mondo, questa squadra ha sempre fatto bella figura. Da quello che so, sono stati incaricati e pagati da Pasini».267

Al pari del braccio destro Vimercati e del suo entourage, Filippo Penati, in occasione delle dimissioni da vicepresidente dell’assemblea regionale, ha rigettato ogni accusa. Penati si è autosospeso dal Pd, ma invece di lasciare la Regione ha dato vita al Gruppo misto, restandone unico rappresentante e presidente. Il 24 agosto 2011 il gip Anna Magelli ha negato l’arresto di Penati e Vimercati derubricando il reato da concussione a corruzione, e infine considerandolo estinto per prescrizione. L’assessore all’Edilizia Pasqualino Di Leva e l’architetto Marco Magni, che risultano aver commesso gli stessi reati in tempi più recenti, sono stati i primi a subire una pena nell’inchiesta sul sistema Sesto. Assieme alla responsabile dello Sportello unico Nicoletta Sostaro il 30 ottobre 2012 hanno patteggiato 1 anno e 8 mesi per concorso in corruzione in relazione all’aumento delle volumetrie edificabili sull’ex Falck.

Processo dimezzato per legge

Il 1° ottobre 2012 la Procura di Monza ha chiesto il processo per 22 persone, tra manager pubblici e privati, imprenditori e cooperatori per i filoni d’inchiesta relativi ai presunti giri di tangenti per le aree ex Falck e Marelli di Sesto San Giovanni, e per la vicenda legata alla società autostradale Serravalle. Filippo Penati, che ha ottenuto di essere giudicato col rito immediato, ha dichiarato di non aver «ricevuto illecitamente denaro dagli imprenditori, né per me, né per i partiti di cui ho fatto parte».

A tagliare la testa al toro, cioè al filone d’indagine più importante su Penati e le coop rosse, è stata una legge varata il 31 ottobre in modo bipartisan (voto contrario solo di Italia dei valori), la cosiddetta «anticorruzione» del ministro della Giustizia Paola Severino. L’introduzione della concussione per induzione, un reato che viene punito più lievemente e dunque finisce anzitempo in prescrizione, manda in fumo svariati procedimenti.268

L’indagine che riguarda l’ex area Falck, considerando l’ultimo versamento alla coppia di consulenti del Ccc del 17 febbraio 2003, concedeva alla clessidra della giustizia una conclusione nel 2018. Con la riforma, il nuovo reato di concussione per induzione si è prescritto nel febbraio 2013. Dopo una serie di promesse e smentite Penati non ha rinunciato al beneficio della prescrizione e ha ottenuto il proscioglimento. Ancora una volta, in Italia, i potenti riescono a salvarsi grazie a leggi che sono oggettivamente ad personas.

Restano in piedi gli altri filoni, a partire da un presunto episodio di corruzione contestato a Penati nella tripla veste di sindaco di Sesto, segretario provinciale dei Ds e presidente della Provincia di Milano: avrebbe favorito gli interessi di Di Caterina, presidente della società di trasporti Caronte Srl, in cambio di 3,5 milioni di euro di finanziamento ai Ds.

La Procura di Monza chiede il processo anche per finanziamento illecito «all’associazione Faremetropoli, mero schermo destinato a occultare la diretta destinazione delle somme» a Penati come «esponente del Partito democratico» e «candidato alle elezioni del 2009 per la Provincia e del 2010 per la Regione». In totale si tratta di 363.000 euro versati alla fondazione presieduta da Penati dal 2009 al 2011. I pm arrivano su questa pista dopo il sequestro di un documento Excel nel computer dell’architetto Renato Sarno, che da consulente di Milano-Serravalle faceva il pieno di incarichi. Nel file in cui associava persone fisiche e giuridiche a importi, affiancati da diciture quali «acconto», «contanti», «black», si trovava un quarto foglio intitolato «associazione»: l’elenco dei finanziatori. Vi figurano, tra gli altri, gli imprenditori pugliesi Roberto De Santis ed Enrico Intini, il presidente della Banca di Legnano Enrico Corali, nominato da Penati in Expo 2015, e il presidente di Impregilo Massimo Ponzellini.

Dalle carte giudiziarie spuntano anche vecchie conoscenze di Mani pulite come Bruno Binasco, amministratore delegato di Itinera Spa, società edile controllata da Marcellino Gavio, arrestato nel 1993 per un finanziamento al Pds tramite Primo Greganti: 150 milioni di lire di caparra per l’acquisto poi sfumato di un palazzo romano del partito.269

I pm in questo caso contestano il reato di corruzione in una triangolazione tra Penati, Di Caterina e Binasco in qualità di consigliere della Codelfa Spa, con l’intermediazione dell’architetto Renato Sarno. Codelfa fa parte di un’associazione temporanea di imprese coordinate dalla Argo finanziaria che aveva ottenuto 18,8 milioni di euro «non dovuti» per lavori sull’autostrada A7. In cambio il gruppo di Binasco avrebbe pagato una tangente da 68.000 euro a Massimo Di Marco, amministratore delegato della Serravalle-Milano Tangenziali Spa, ente erogatore controllato dalla Provincia presieduta da Penati.

Bruno Rota, ex direttore generale di Serravalle, ha riferito ai magistrati: «I lavori per la realizzazione della terza corsia su alcuni tratti dell’autostrada vennero deliberati nel luglio 2004 attraverso una procedura quantomeno discutibile, perché venne scartata l’impresa prima classificata in quanto la sua offerta fu giudicata anomala».

Lo scambio illecito si sarebbe realizzato poi nel versamento di due milioni di euro da parte della Codelfa Spa a Caronte Srl di Piero Di Caterina nel 2008. Penati, trovandosi in debito con Di Caterina per i precedenti finanziamenti al Pds, avrebbe invitato Binasco a pagargli quella maxicaparra per l’acquisto simulato di un immobile di nessun interesse per Codelfa. Alla scadenza della caparra nel 2010, i due milioni sono rimasti a Di Caterina. Penati, Binasco, Di Marco e Sarno, accusati di aver consegnato l’assegno, negano ogni addebito.

Il regalo a Gavio e il sistema di relazioni

L’attenzione si sposta su un antefatto dell’estate del 2005, momento cruciale della vita del paese, il crepuscolo del quinquennio di governo Berlusconi. Il 29 luglio la Provincia di Milano, presieduta da Penati, ha acquistato dal socio privato, il gruppo Gavio, il 15 per cento di azioni della Milano-Serravalle Spa che gestisce le tre tangenziali dell’hinterland e un segmento dell’autostrada per Genova. Si tratta di un’acquisizione inspiegabile, dato che l’ente già controllava la società mista: la Provincia deteneva il 37 per cento, il Comune il 18, il gruppo di Gavio raggiungeva solo il 27 per cento.

L’Azienda sviluppo acqua e mobilità (Asam), contraente per conto della Provincia, ha speso la cifra astronomica di 238 milioni di euro: 8,831 euro per ogni azione che Gavio un anno e mezzo prima aveva acquistato dalla Provincia di Genova per soli 2,9 euro. La plusvalenza per il privato è di 176 milioni di euro. L’affare era stato pianificato l’anno precedente, nei giorni che seguirono la vittoria elettorale di Penati, arrivata il 27 giugno 2004 contro la presidente uscente di centrodestra, Ombretta Colli. L’indomani Binasco e Gavio, intercettati, parlavano già dell’operazione esprimendo perplessità sul sindaco di Milano del Pdl Gabriele Albertini e fiducia in Penati. Nei brogliacci della polizia giudiziaria compare anche il nome di Pier Luigi Bersani: «Il 30 giugno 2004 Bersani dice a Gavio che ha parlato con Penati… Dice a Gavio di cercarlo per incontrarsi in modo riservato: ora fermiamo tutto e vedrà che tra una decina di giorni, quando vi vedrete, troverete un modo…».

Il 5 luglio 2004 Penati chiama Marcellino Gavio:

Penati: «Buongiorno, mi ha dato il suo numero l’onorevole Bersani».

Gavio: «Sì, volevo fare due chiacchiere con lei quando possibile».

Penati: «Guardi, non so… Beviamo un caffè».

Il 6 giugno 2005 Penati ha inviato una lettera ai soci della Milano-Serravalle, invitandoli a «fissare un incontro per la definizione dell’acquisto». Il presidente della Provincia ha poi spiegato che è stato il silenzio del sindaco di Milano Albertini a indirizzare la scelta sul gruppo Gavio. Il 29 luglio, con sette assessori assenti su quindici, la giunta provinciale ha votato l’operazione, non senza aver modificato lo statuto del contraente. Infatti, sino alle 13 dello stesso giorno, Asam si chiamava ancora Asa Spa (Azienda servizi acque): un’assemblea straordinaria ha modificato lo statuto della controllata della Provincia, aggiungendo la M di mobilità. In giornata è arrivata, anche se permangono dubbi sulla data di redazione, la consulenza dello studio Vitale & Associati, che valutava il prezzo congruo di un’azione della Milano-Serravalle in una forbice tra i 7,9 e i 9,69 euro.

Undici giorni prima Marcellino Gavio aveva garantito l’appoggio finanziario alla scalata alla Banca nazionale del Lavoro da parte del presidente di Unipol Giovanni Consorte, legato ai Ds: il 18 luglio 2005 la Sias, società del gruppo Gavio presieduta da Binasco, aveva acquistato lo 0,5 per cento di azioni Bnl mettendole a disposizione di Unipol. Il sindaco milanese Albertini ha denunciato il caso dalle colonne del «Corriere della Sera» e si è recato in procura a Milano per consegnare un esposto, ma Filippo Penati ha giurato di aver salvaguardato l’interesse pubblico, liquidando come una «solenne stupidaggine» la connessione con la vicenda Unipol.

La perizia disposta dalla procura pareva dargli ragione: il prezzo pagato dalla Provincia per le azioni della Milano-Serravalle veniva giudicato «congruo». Al contrario, la consulenza di Intesa San Paolo considerava 5,5 euro il prezzo equo, suggerendo peraltro di non comprare da Gavio, mentre Credit Suisse indicava 5,12. Lazard Italia, advisor per la quotazione in Borsa di Serravalle, ha valutato un’oscillazione tra i 4,98 e i 7,2 euro ad azione.

La censura della Corte dei conti lombarda, che chiederà a Penati e agli altri amministratori un risarcimento da calcolare tra i 57 e i 118 milioni di euro, è pesante: «L’onerosa operazione risulterebbe priva di una qualsiasi utilità, considerando che gli enti locali, con particolare riferimento al Comune di Milano e alla Provincia di Milano, già detenevano il controllo della società pubblica». Il collegio arbitrale ha condannato la Provincia a pagare una sanzione di 400.000 euro per la violazione del patto di sindacato tra azionisti pubblici nella decisione di acquistare le quote senza consultarsi con il Comune. Il 24 giugno 2010, in seguito alla messa in mora della giunta provinciale da parte della Corte dei conti, la guardia di finanza ha intercettato una telefonata di Penati in cui chiedeva all’ex segretario generale della Provincia Antonino Princiotta se «il pm è sempre lo stesso». Princiotta lo rassicurava: «Non c’è più Spadaro ed è la cosa migliore, perché con quello non potevamo nemmeno parlare».

Intervistato da «Panorama», l’ex procuratore della Corte dei conti Domenico Spadaro ha confermato di essere stato bloccato dalla perizia disposta dalla Procura della Repubblica di Milano, «secondo la quale il prezzo pagato per l’acquisto delle quote era “congruo”. […] Perché, se non c’era danno erariale, noi non avevamo motivo di proseguire l’indagine».270 Nel 2011 il nuovo sindaco di Milano Giuliano Pisapia ha provato a vendere il 18,5 per cento comunale della Serravalle Spa, ma l’asta è andata deserta.

Nel business gioca un ruolo Banca Intesa San Paolo. L’istituto all’epoca guidato da Corrado Passera ha finanziato la Provincia di Milano nell’acquisto del 15 per cento delle azioni della Milano-Serravalle. Il denaro è transitato in parte sui conti della filiale di Lugano del gruppo: Intesa San Paolo Bank Suisse. La prima presunta tangente pagata da Pasini nel 2000 era partita dalla Société européenne de banque (Seb), braccio lussemburghese di Intesa, e passata per operazioni in titoli di due società offshore con sede a Niue, isola del Pacifico: Hight Yeld Financial Investment e International Monetary Corp. Intesa non ha sostenuto solo la Provincia penatiana nel 2005, ma aveva prestato anche 400 miliardi di lire a Pasini per comprare l’ex Falck, che poi l’imprenditore ha ceduto a Luigi Zunino, foraggiato dalla stessa banca.

Anche se le operazioni non hanno risvolti penali, sono interessanti per comprendere un sistema di relazioni. In questo contesto si inquadra la coincidenza, sia pur solo temporale, dei due affari portati a termine dal gruppo di Marcellino Gavio: la crescita in Bnl e la vendita a prezzi maggiorati delle azioni dell’autostrada alla Provincia di Milano. Allo stesso modo Intesa San Paolo, banca vicina al Pd, ha appoggiato finanziariamente gli interventi edilizi per la riconversione delle fabbriche della Stalingrado d’Italia. In seguito i democratici hanno ventilato una candidatura alle elezioni dell’ex dominus dell’istituto Corrado Passera dopo la sua esperienza ministeriale con Monti. Il fatto poi che gli intrecci tra politica e finanza siano legati ai processi di deindustrializzazione della città operaista simboleggia un radicale mutamento di orizzonte, se non un epitaffio della propria ragione sociale, del partito erede del Pci.

Alta voracità: il caso Lorenzetti

Da Milano ci spostiamo a Firenze, dove nel gennaio del 2013 la procura comincia a occuparsi dei lavori per la realizzazione di sette chilometri di galleria sotto il centro urbano, patrimonio mondiale dell’Unesco, per il passaggio del Treno alta velocità. Il costo del tunnel che dovrebbe unire il quartiere Campo di Marte alla zona di Castello è lievitato da 550 a 800 milioni di euro. I pm fiorentini Gianni Tei e Giulio Monferini mandano 31 avvisi di garanzia e ottengono il sequestro di cantieri e talpa escavatrice, montata con materiali inidonei a prevenire perdite di oli idraulici e lubrificanti inquinanti. Secondo l’accusa, migliaia di tonnellate di fanghi prodotti dagli scavi sarebbero state scaricate in parte nelle falde acquifere, anche tramite una ditta di trasporti, la Veca di Caserta, sospettata di rapporti con ambienti legati alla camorra. I rivestimenti della galleria non rispetterebbero le norme antincendio studiate per prevenire disastri come quello che nel 1999 provocò la morte di quaranta persone nel tunnel del Monte Bianco; inoltre i lavori hanno causato crepe nella scuola media Ottone Rosai di Firenze.

Per realizzare a ogni costo le opere si muoveva una «squadra» guidata da Maria Rita Lorenzetti, amministratrice umbra di lungo corso: a ventidue anni assessore comunale del Pci a Foligno, a trentuno sindaco, dal 1987 al 2000 deputata, presidente della Commissione lavori pubblici nel periodo dopo il terremoto, governatrice regionale per due mandati, e infine presidente di Italferr. Nel 2007 la società di progettazione delle Ferrovie dello Stato appaltò i contestati lavori del Tav fiorentino a Nodavia, general contractor con capofila Coopsette, società della galassia di Holmo, primo azionista della holding Finsoe che controlla Unipol. I pm accusano la Lorenzetti di aver favorito Nodavia e Coopsette attraverso la maggiorazione dei compensi e consentendo che le terre di risulta degli scavi fossero sottratte alla normativa sui rifiuti. La rete di amicizie avrebbe anche fruttato al marito architetto Domenico Pasquale l’incarico in un appalto a Novi di Modena per la ricostruzione di una scuola dopo il sisma del 2012.

La cerchia della Lorenzetti viene descritta nell’ordinanza del gip di Firenze Angelo Antonio Pizzuti, che nel settembre del 2013 ha disposto gli arresti domiciliari per la presidente di Italferr e altri cinque manager. Il gip svela «un articolato sistema corruttivo in cui ognuno, nel ruolo al momento ricoperto, provvede all’occorrenza a fornire il proprio apporto per il conseguimento del risultato di comune interesse, acquisendo meriti da far contare al momento opportuno per aspirare a più prestigiosi incarichi […]. La struttura associativa si vanta di contatti e coperture politiche di cui non è ben chiara la reale consistenza».

In questa cornice l’ex governatrice e i tecnici di Italferr prendevano di mira personalità indipendenti come Fabio Zita, dirigente dell’ufficio Valutazione impatto ambientale (Via) della Regione Toscana, che nella primavera del 2012 si ostinava a classificare come rifiuto anziché come sottoprodotto i fanghi della Tav, composti anche da additivi chimici come la bentonite. Zita, oggetto di pesanti insulti nelle telefonate intercettate, è stato poi assegnato al Piano paesaggistico dal presidente della Toscana, il democratico Enrico Rossi. Scrive il gip: «Indipendentemente dalla buona fede […], Rossi ha di fatto consentito all’associazione criminale di escludere un funzionario pubblico scomodo».

Nelle conversazioni intercettate, in cui si mescolano scelte manageriali, favori personali e rapporti politici, Maria Rita Lorenzetti divide i funzionari pubblici in amici e nemici, garantendo appoggi bipartisan: da Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema si passa con disinvoltura a Corrado Clini, Antonio Catricalà e Gianni Letta. La «squadra» tendeva i suoi tentacoli fino a Bruxelles, dove i dipendenti della Regione Umbria distaccati presso la sede di rappresentanza venivano contattati per informazioni sugli europarlamentari da inserire nel novero degli «affidabili».

In particolare, Lorenzetti aveva un filo diretto con Anna Finocchiaro, coinquilina nell’appartamento romano nel periodo in cui era deputata. In un’occasione le ha chiesto di far assegnare un incarico di prestigio al geologo Walter Bellomo, già responsabile dei democratici a Palermo e membro della Commissione Via del ministero delle Infrastrutture a disposizione della «squadra». Il 5 luglio 2012, in una telefonata intercettata dal Ros di Firenze, Lorenzetti riferiva a Bellomo: «Gliel’ho detto ad Anna. C’è sulla spending review la possibilità che cancellino i consigli di amministrazione […]. L’importante è Walter, le ho detto… perché lui lo merita… lui è uno bravo. Anna, ti devi mettere d’impegno». Il 10 gennaio 2013 Bellomo si sfoga con un amico dopo aver saputo di essere stato escluso dal listino bloccato per le Politiche: «Dovevo essere candidato qui, nella quota Bersani, perché in Sicilia la Finocchiaro aveva un posto. Mi aveva detto che sarei stato io».

Naturalmente l’untuoso sistema di relazioni temeva il controllo di legalità. Il 29 ottobre 2012 l’ingegnere di Italferr Valerio Lombardi ragguagliava Lorenzetti sull’esito di un incontro con i funzionari del ministero alle Infrastrutture: «Anche sulle varianti ci hanno comunicato quelli dei Beni culturali che la procura li ha già interessati affinché ogni provvedimento che sarà preso su questo progetto sia trasmesso anche alla procura». Lorenzetti risponde in modo inequivocabile: «Ci fanno diventare berlusconiani».

Grandi opere in condivisione

Nella fascia tosco-emiliana altre grandi opere erano state oggetto di polemiche e indagini della magistratura: dal treno ad alta velocità Firenze-Bologna alla variante di valico nel tratto autostradale che unisce Sasso Marconi e Barberino del Mugello. Gli ambientalisti protestavano per il danno arrecato a corsi d’acqua, sorgenti, pozzi e acquedotti, ma il rullo compressore della politica non si fermava neppure di fronte all’opposizione delle istituzioni locali. Quasi tutti i consigli comunali, tranne quelo di Fiorenzuola, erano contrari al Tav. Dopo lunghe trattative, però, i sindaci avevano firmato il via libera. I lavori furono affidati al Consorzio alta velocità Emilia Toscana (Cavet) controllato al 75 per cento da Impregilo (all’epoca Cogefar-Impresit) e con soci di minoranza il colosso delle costruzioni Maire Tecnimont e due cooperative, la Cmc e il Consorzio ravennate delle cooperative di produzione e lavoro. La nuova linea, iniziata nel 1996 e terminata solo nel 2009, consta di 78 chilometri di alta velocità e alta capacità, di cui 73 in galleria, percorribili in 37 minuti. Non sono mancati gli intoppi, come la demolizione e la ricostruzione di 300 metri del tunnel al Mugello. Secondo uno studio de «Il Sole 24 Ore» i costi hanno raggiunto i 70 milioni di euro al chilometro.

L’inchiesta della Procura di Firenze sui danni ambientali durante i lavori in galleria aveva portato nel marzo del 2009 alla condanna di 27 responsabili dei lavori, titolari di subappalti e dipendenti, imputati per reati dalla gestione abusiva di discariche allo smaltimento illecito di rifiuti speciali, a pene da 3 mesi a 5 anni. Due anni dopo la Corte d’appello, accogliendo i ricorsi delle difese, ha ribaltato il verdetto assolvendo gli imputati e cancellando il risarcimento provvisionale di 150.000 euro.

A questo bilancio va aggiunto quello degli infortuni sul lavoro: sei operai morti, decine di feriti e innumerevoli malattie professionali fra le cosiddette «tute arancioni», i minatori della montagna, tecnici specializzati in prevalenza del Sud che lavorano in galleria giorno e notte fino a 60 ore a settimana, scavando tra un’esplosione e l’altra. La scarsa attenzione al rispetto delle norme di sicurezza è stata denunciata da Idra onlus, Italia nostra e Medicina democratica, che chiedono l’istituzione di un osservatorio sociale sui cantieri.

L’altra grande opera condivisa dalle due regioni è la nuova autostrada che affianca e si interseca con l’A1, troppo spesso intasata per essere l’unico collegamento appenninico tra Firenze e Bologna, dunque da ampliare con la terza corsia tra La Quercia e Sasso Marconi. Sin dall’inizio degli anni Novanta il governatore della Regione Emilia-Romagna Pier Luigi Bersani e gli enti locali avevano concesso l’autorizzazione al progetto, 63 chilometri tra Barberino del Mugello e Sasso, sollecitando un rapido inizio dei lavori. Si sono invece registrate le proteste del ministro dell’Ambiente del governo Prodi, il verde Edo Ronchi, e le perplessità del presidente della Toscana Vannino Chiti, che chiedeva di ridurre il percorso e l’impatto ambientale. Il progetto definitivo è stato concepito nel 1996 mentre la Società autostrade, controllata dalla holding dei Benetton, ha affidato l’appalto all’associazione temporanea di imprese costituita da Profacta del gruppo bresciano Faustini-Vianini di Caltagirone e la società di costruzioni di Carlo Toto. I lavori sono iniziati soltanto nel 2004 e proseguiti a singhiozzo. Otto anni dopo si sono verificate una serie di frane presso la galleria di San Benedetto Val di Sambro, 16 metri di larghezza per 14 di altezza a 300 metri dal suolo, con alcune abitazioni minacciate dalle crepe nelle frazioni di Ripoli di Sotto e Santa Maria Maddalena. Il pm Morena Plazzi, che ha indagato con ipotesi di reato di disastro colposo a carico di ignoti per poi chiedere l’archiviazione (nel luglio del 2013), ha disposto una perizia sulle inclinazioni del terreno. Secondo i professori Luciano Picarelli, Antonio Santo e Carlo Viggiani dell’Università Federico II di Napoli, incaricati da una ditta appaltatrice, sarebbe elevata la probabilità di danni al tronco autostradale entro pochi anni. Società Autostrade, invece, assicura che non vi sono pericoli.

La scrittrice toscana Simona Baldanzi ha analizzato i lavori per il Tav nel Mugello e il peggioramento delle condizioni di lavoro nelle grandi opere: «L’Alta velocità ha provocato e continua a provocare devastazioni ambientali, e così le opere che sono venute dopo, come la variante di valico e la terza corsia. Ora a Barberino è in corso di realizzazione la più grande area di sosta d’Europa. Parliamo dell’equivalente di 25 campi da calcio di asfalto con annesso mega autogrill. Tutto questo per permettere di piazzare senza troppi costi tre milioni di metri cubi di materiale di risulta di scavo. Tutto materiale che avrebbero dovuto smaltire come si fa con i rifiuti, seguendo cioè una serie di procedure costose. Invece quella montagna di detriti è stata coperta da una colata di cemento chiamata ancora una volta grande opera».271

Il problema delle cave

Le speculazioni immobiliari e gli scempi che deturpano l’ambiente si nascondono nei tanti piccoli abusi edilizi, puniti lievemente dal Codice penale. Dal 2006 al 2011, nelle otto Regioni del Nord si registrano soli nove arresti nelle indagini su reati legati al ciclo del cemento. In Emilia-Romagna la colata è inarrestabile pure in una società in crisi economica e rallentamento demografico. Dal 2003 al 2008 la regione ha visto aumentare la popolazione di 281.582 cittadini, pari al 7,5 per cento, e le zone urbanizzate di 15.445 ettari, ossia l’8,1 per cento. Il suolo viene consumato con una velocità calcolata in 7,2 metri quadrati per abitante.272

Tra le norme che favoriscono i produttori di calcestruzzo e di cemento vi sono quelle che regolano l’estrazione delle materie prime dalle cave, sulle montagne e sulle rive dei fiumi. Secondo uno studio di Legambiente del 2011, gli imprenditori specializzati pagano 36 milioni di euro di canoni di concessione all’anno e hanno un ritorno di 30 volte superiore: guadagnano dalla vendita del materiale circa 1,1 miliardi di euro. Le Regioni, competenti in materia, hanno sempre legiferato in modo frammentario e non sempre si sono occupate di ripristinare l’ambiente della cava, che una volta sfruttata diventa una discarica.

Sul tema il MoVimento 5 Stelle rappresenta una spina nel fianco per le giunte, anche quelle tradizionalmente rosse. I grillini propongono di seguire l’esempio dell’Inghilterra, dove si paga il costo ambientale e sociale degli scavi. A Massa Carrara il M5S, prima forza di opposizione alla giunta Pd, contesta da anni la poco trasparente gestione delle concessioni nelle cave di marmo, sempre agli stessi soggetti.

L’Emilia-Romagna è al primo posto per la quantità di argilla estratta dalle 296 cave autorizzate, con più di 1,2 milioni di metri cubi su un totale di 8,4 in Italia. Ciò nonostante, la tariffa introdotta il 21 gennaio 1992 dalla giunta regionale guidata dal presidente Boselli non è mai stata aggiornata. I cosiddetti oneri di cava sono calcolati (ancora in lire) in misura fissa sui volumi estratti, ripartiti tra Regione, Provincia e Comuni, e variano per tipologia: 1100 lire al metro cubo per sabbia e ghiaia, 900 per cava di monte, 1000 per calcari e marne, 900 per argille per laterizi, 1100 per il gesso, 1500 per pietre da taglio. I canoni di concessione versati dalle aziende specializzate portano annualmente nelle casse della Regione in media circa 6,5 milioni di euro. Nella primavera del 2011 Vasco Errani, in qualità di presidente della Conferenza delle Regioni, ha affermato: «Proprio oggi in assemblea regionale è stata approvata una risoluzione all’interno della quale si prevede l’aggiornamento dei canoni, […] un’iniziativa che faremo nei prossimi mesi».273 A oggi non sono aumentati di un euro.

267 Luigi Ferrarella, Concussione, indagato il vice delle coop edili, «Corriere della Sera», 27 luglio 2011. L’avvocato Vittorio Rossi, legale di Agnello e Salami, ha spiegato: «I miei assistiti operano da anni nel settore immobiliare, sono stati pagati una somma cospicua ma bisogna tener conto che l’affare era di 134 milioni di euro. Le accuse di Pasini sono destituite di ogni fondamento».

268 L’articolo 317 del Codice penale, ossia il reato di concussione, resta identico solo in presenza di minaccia o violenza, con pene da 6 a 12 anni per il pubblico ufficiale e il concusso sempre parte offesa. Nasce invece l’articolo 319 quater di concussione per induzione a dare o promettere utilità, che considera colpevole anche il privato, fatto che certo non agevola la rottura del vincolo segreto dei tangentisti. In questa fattispecie, sostanzialmente una «corruzione per induzione», il pubblico ufficiale rischia di meno: da 3 a 8 anni di carcere. L’abbattimento dei tempi di prescrizione, che equivalgono al massimo della pena più un quarto, si applica a numerosi procedimenti in corso in base al principio del favor rei.

269 Per il finanziamento illecito di 150 milioni al Pds Primo Greganti e Bruno Binasco vengono condannati in via definitiva dalla Corte d’appello di Torino a 5 mesi e a 1 anno e 2 mesi, il 10 febbraio 1988.

270 Giorgio Sturluse Tosi, Parla Domenico Spadaro: io il primo accusatore sulla Milano-Serravalle, «Panorama», 19 settembre 2011.

271 Simona Baldanzi, Mugello sottosopra, Ediesse, Roma 2011.

272 Rapporto 2010 elaborato dal Centro ricerche sul consumo di suolo del Politecnico di Milano e da Legambiente Emilia-Romagna.

273 Bernardo Iovene, La banda del buco, Report, Rai3, 3 aprile 2011.