L’Età moderna è l’Età ebraica, e il XX secolo, in particolare, è il Secolo ebraico. Nella modernizzazione si diventa tutti urbanizzati, mobili, eruditi, eloquenti, complicati dal punto di vista intellettuale, pignoli dal punto di vista fisico e flessibili dal punto di vista occupazionale. Si imparano a coltivare le persone e i simboli, non i campi o le mandrie. Si persegue la ricchezza mirando al sapere, il sapere mirando alla ricchezza e l’una cosa e l’altra mirando solo a esse. Si trasformano contadini e principi in mercanti e sacerdoti, al privilegio ereditato si sostituisce il prestigio acquisito, e si smantellano i ceti sociali a favore degli individui, delle famiglie nucleari e delle tribú che leggono libri (le nazioni). Nella modernizzazione, detto altrimenti, si diventa tutti ebrei.
Ad alcuni contadini e principi è andata meglio che ad altri, ma a nessuno riesce di essere ebreo piú che agli ebrei stessi. Nell’epoca del capitale, essi sono gli imprenditori piú creativi; nell’epoca dell’alienazione, sono gli esuli piú esperti; e nell’epoca delle competenze, sono i professionisti piú capaci. Alcune delle specialità ebraiche piú antiche – commercio, legge, medicina, interpretazione testuale e mediazione culturale – sono diventate le piú importanti (e le piú ebraiche) di tutte le moderne occupazioni. È proprio perché sono degli antichi cosí esemplari che gli ebrei sono diventati dei moderni modello.
La religione principale dell’Età moderna è il nazionalismo, una fede che rappresenta la nuova società come se fosse la vecchia comunità e fa sí che i principi e i contadini urbanizzati si sentano a casa propria all’estero. Ogni Stato dev’essere una tribú; ogni tribú deve avere uno Stato. Ogni terra è promessa, ogni lingua adamitica, ogni capitale Gerusalemme e ogni popolo eletto (e antico). Nell’Età del nazionalismo, detto altrimenti, ogni nazione diventa ebraica.
Nell’Europa ottocentesca (luogo di nascita dell’Età del nazionalismo), l’eccezione piú grande era rappresentata dagli stessi ebrei. Erano coloro che avevano avuto piú successo fra tutte le tribú moderne, ma erano anche i piú vulnerabili. Erano coloro che piú avevano beneficiato dell’Età del capitalismo, ma sarebbero diventati le maggiori vittime dell’Età del nazionalismo. Piú di ogni altra nazione europea avevano un disperato bisogno della protezione dello Stato, ma erano quelli con la minor probabilità di riceverla, perché nessuno Stato-nazione europeo avrebbe mai potuto rivendicare di essere l’incarnazione della nazione ebraica. La maggior parte degli Stati-nazione europei, in altri termini, aveva al suo interno cittadini per i quali un successo spettacolare si accompagnava a un’irriducibile estraneità tribale. L’Età ebraica era anche l’Età dell’antisemitismo.
Tutte le principali profezie moderne (antimoderne) si sono poste anche come soluzioni all’impasse rappresentata dagli ebrei. La dottrina freudiana, in cui è presente un preponderante elemento ebraico, proclamava che la tormentata solitudine che affliggeva coloro che avevano di recente raggiunto l’«emancipazione» è una condizione umana universale e proponeva una serie di trattamenti in cui all’anima umana individuale si applicavano controlli e contrappesi di matrice liberale (e cioè una imperfezione gestita). Il sionismo, il piú eccentrico di tutti i nazionalismi, sosteneva che il modo corretto di superare la vulnerabilità ebraica non si basava tanto sul fatto che tutti diventassero come gli ebrei, ma che gli ebrei diventassero come tutti gli altri. Il marxismo proprio di Marx cominciava con l’affermazione che l’emancipazione ultima del mondo dall’ebraicità era possibile solo attraverso la completa distruzione del capitalismo (dato che il capitalismo era l’ebraicità nuda e cruda). E naturalmente era convinzione del nazismo, il piú brutalmente coerente fra tutti i nazionalismi, che la creazione di un tessuto comunitario nazionale privo di smagliature fosse realizzabile solo attraverso la completa distruzione degli ebrei (dato che l’ebraicità era cosmopolitismo nudo e crudo).
Uno dei motivi per cui il XX secolo è diventato il Secolo ebraico è che il tentativo fatto da Hitler di mettere in pratica ciò che aveva immaginato ha comportato la canonizzazione dei nazisti come male assoluto e la presentazione degli ebrei come vittime universali. L’altro motivo ha a che vedere con il crollo della Zona di residenza dell’Impero russo e con i tre pellegrinaggi messianici che ne seguirono: l’emigrazione ebraica verso gli Stati Uniti, che fu la versione piú coerente del liberalismo; l’emigrazione ebraica verso la Palestina, la Terra promessa dell’ebraicità secolarizzata; e l’emigrazione ebraica verso le città dell’Unione Sovietica, un mondo libero sia dal capitalismo sia dal tribalismo (o almeno cosí pareva).
Questo libro è il tentativo di raccontare la storia dell’Età ebraica e spiegarne origini e implicazioni. Il capitolo 1 discute della vita ebraica nella diaspora in una prospettiva comparatistica; il capitolo 2 descrive la trasformazione dei contadini in ebrei e degli ebrei in francesi, tedeschi e cosí via; il capitolo 3 tratta della Rivoluzione ebraica nell’ambito della Rivoluzione russa; e il capitolo 4 segue le figlie di Tevye il lattivendolo negli Stati Uniti, in Palestina e – piú nel dettaglio – a Mosca. Il libro termina sul finire del Secolo ebraico – ma non alla fine dell’Età ebraica.
I singoli capitoli sono fra loro piuttosto diversi per genere, stile e dimensioni (con una crescita progressiva in base a un fattore di due ma, grazie al cielo, arrestandosi a quattro in tutto). Al lettore a cui non piacesse il capitolo 1 potrebbe piacere il capitolo 2 (e viceversa). Al lettore a cui non piacessero il capitolo 1 e 2 potrebbe piacere il capitolo 3. Al lettore a cui non piacessero il capitolo 1, 2 e 3 non tornerebbe utile tentare di proseguire.
Infine, questo libro tratta degli ebrei tanto quanto tratta del Secolo ebraico. Gli «ebrei», ai fini di questa storia, sono gli appartenenti alle comunità ebraiche tradizionali (ebrei per nascita, fede, nome, lingua, occupazione, autodefinizione e attribuzione formale) e i loro figli e nipoti (indipendentemente da fede, nascita, nome, lingua, occupazione, autodefinizione e attribuzione formale). Lo scopo principale di questa storia è descrivere quanto è accaduto ai figli e alle figlie di Tevye, indipendentemente dalla loro opinione su Tevye e sulla sua fede. I temi centrali del racconto riguardano i figli e le figlie di Tevye, che hanno abbandonato lui e la sua fede e che, per un certo periodo e per questo motivo, sono stati dimenticati dal resto della famiglia.