15

Sdraiati, credo di amarti o Questa è una buona domanda, signorina

Hai la corda giusta, baby,
ma lo yo-yo è sbagliato.

Piano Red

Da un risveglio spirituale a una visita di Lionel Schaeffer: quanto alla lettera si può prendere la frase: “Dal sublime al ridicolo”?

L’elicottero atterra. Le gemelle, Natasha, Boner, Lily e io, corriamo incontro a questa apparizione cosmica, a questo “voyager” arrivato da un’altra galassia, la galassia di Mammone. Un UFO sul nostro prato! Wall Street che va alla contea di Litchfield!

L’aria si agita. Il frullino gira con un gran fracasso. Temo che le gemelle possano venire decapitate e le trattengo.

Lionel scende allegramente dal suo elicottero, con uno dei suoi vestiti Turnbull and Chung. In mano ha una borsa fatta a mano da Cellerini di Firenze.

“Micetta!” è la prima parola che gli esce di bocca.

Le gemelle ridacchiano e fanno finta di essere timide. Natasha tira la spilla da balia che porta infilzata nell’orecchio. Lily annuncia che per pranzo, fra quindici minuti, ci sarà pollo arrosto. E io resto là in piedi, sbalordita, con una camicetta di Lily Farouche tempestata di brillantini finti, un paio di jeans aderentissimi e un maxiassorbente imbevuto del sangue degli Zandberg.

“Vieni nel silo,” dico a Lionel, lasciando Lily e Natasha a coccolare il bel pilota con caffè e ciambelline.

Le gemelle scappano via, dandosi di gomito. Un altro innamorato, un altro corteggiatore. Trovano la cosa immensamente buffa. E nella mia mente sana, anch’io.

Entriamo nel silo. Invito Lionel a togliersi giacca e cravatta, ma lui rifiuta, forse gli piace questa formalità, questo contrasto tra Litchfield e Wall Street. Gli dico di sedersi sulla poltrona vittoriana di velluto rosso, che tengo per fare posare i modelli, oppure, in passato, per scopare con i miei occasionali amanti. (Era importante fare l’amore nello studio – pensavo un tempo – per mantenere le vibrazioni creative cariche di energia.)

La poltrona di velluto rosso mostra qualche inequivocabile macchia bianca e Lionel non manca di notarle.

“Cattiva bambina,” dice.

“È questo che ti piace, in me,” ribatto, anche se il grembo mi duole.

“Vero,” fa lui. “Te la cavi bene con le parole. Suppongo tu sia altrettanto brava con la testa.”

“Come puoi dubitarne?”

“D’accordo,” dice Lionel, “fammi vedere gli ultimi capolavori.”

Comincio a spostare le tele – i ritratti gemelli delle gemelle, i fotogrammi di Dart – e tiro fuori i tre pezzi migliori della serie delle menadi con cristallo. Buffo come ci voglia la presenza di un estraneo nel mio studio, per farmi apprezzare il mio lavoro. Da sola, mi infilo nel mio mucchio di concime creativo, senza pensare nulla delle mie doti, godendo del processo creativo, ma senza saper valutare il prodotto. Con un estraneo nello studio, invece, riesco a percepire il valore del mio lavoro.

Mostro a Lionel le menadi con cristallo, con l’improvviso desiderio di avere di più da mostrare.

Lionel arretra d’un passo e osserva le tele. “Mamma mia,” dice. “Me ne vuoi vendere una, senza dirlo ad André? Dai, baby, ti do centomila sacchi. McCrae non lo verrà mai a sapere.”

“È il tuo migliore amico, Lionel... e il mio mercante... È immorale.”

“Dimostri tutta la tua età, quando dici parole come ‘immorale.’ Immorale, morale... qui si tratta di affari. Quanto prende André? Il cinquanta per cento? E va bene, ti darò duecentomila verdoni... puoi metterli in una cassetta di sicurezza per un giorno piovoso. Oppure potremmo fare un baratto. Chi lo sa?”

“André lo verrà a sapere appena lo vedrà appeso a una parete in casa tua... e anche Lindsay.”

Lionel solleva con aria lasciva le sopracciglia.

“Piccola... dirò ad André che me lo hai regalato in uno slancio di passione. Non può mica chiederti il cinquanta per cento di un orgasmo! Avrai pure il permesso di regalare un tuo quadro come dono d’amore, o no? E quanto a Lindsay, che vada a farsi fottere, o meglio che non vada a farsi fottere. A lei importa solo di essere invitata alle feste con quegli scheletri ambulanti di cui si preoccupa... Mrs Remson, Mrs Basehoar, quella falsa tavola calda Principessa di Venezia... a proposito, abbiamo due biglietti in più per il ballo Viva Venezia, che si terrà a Venezia il mese venturo. Vuoi venirci? Ho comperato un tavolo intero per diecimila sacchi... ho dovuto... Lindsay è una delle presidentesse. Potresti anche spassartela. Potremmo incontrarci in gondola e scopare. Che ne dici?”

Odio Venezia,” dico, “mi fa pensare a quel verso di Oscar Wilde che parla di girare tra le fogne in una cassa da morto...”

Lionel ride.

“Ah, sì,” continua, “il quadro. Duecentocinquanta in un sacchetto di carta marrone e André non ne saprà mai niente. Se preferisci, ti compero un diamante da duecentocinquanta. Avanti, Leila, che male c’è?”

“Nessun male, ma...”

Non posso dire di non essere tentata. E non posso dire che la grana non mi tornerebbe utile. L’ufficio delle imposte mi sta col fiato sul collo per certi espedienti sbagliati per ridurre l’imponibile a cui mi aveva convinto il mio ex fiscalista e sono in uno di quei periodi di scarsezza di liquidi che ogni tanto gli artisti attraversano. Per di più, ho un blocco creativo. Come al solito. E non so da dove usciranno i miei prossimi lavori. O la mia prossima mostra. Lionel mi offre il doppio della mia solita tariffa per un dipinto – e al netto di ogni commissione, con l’allettante possibilità di eludere le tasse. La tentazione è forte. Ma no, non posso. Mi piacerebbe dirvi che è per moralismo o patriottismo, ma in realtà si tratta di altro... cocciutaggine, gli antichi geni degli Zandberg. So che Lionel si sta servendo di me per farla ad André, so che sarei ancora una volta strumento del gioco di potere maschile e la verità è che non voglio dare a Lionel questa soddisfazione. Mi stomaca vedere come gli uomini usino le donne a mo’ di pedine nei giochetti tra loro.. e non mi va di essere manipolata, anche se questo mi farebbe venire dei quattrini in tasca.

“Grazie, ma no, grazie, davvero,” mi sento dire. “Però i biglietti per Viva Venezia, li prendo.”

“Accidenti, che mishugga sei! Pazza da legare!” dice Lionel. “Però hai talento. Questi dipinti sono veramente qualcosa.”

“Ma se li hai guardati appena.”

“Quadri così buoni, non hai bisogno di stare tanto a guardarli,” dice Lionel.

Lily viene ad annunciare il pranzo che viene servito sull’erba, su una tavola rustica, costruita da Dart all’inizio del nostro idillio. Ci sono dei chiodi arrugginiti che sporgono dal piano – una tipica creazione di Dart – e le gambe sono tronchi di betulla, con ancora la corteccia. Come oggetto, è esteticamente confuso – proprio come Dart – e in questo momento sedermi a questa tavola, con questo piccolo miliardario che non mi fa rimescolare il sangue, mi rende triste.

Lily ha preparato un delizioso festino rustico: pollo arrosto con la pelle croccante, purea di carote (per fare mangiare qualche ortaggio alle bambine), patate novelle non sbucciate, pomodori freschi e basilico dell’orto. La tavola è apparecchiata con degli stuoini fatti a mano color arcobaleno, tovaglioli di lino color pervinca e piatti di terraglia rustica francese, decorati con un motivo di mongolfiere e il motto “Je suis libre”, scritto con sottili pennellate. (Ho comperato questi piatti in Francia, in un periodo di grande coraggio, quando stavo divorziando da Elmore, e mi era sembrato che rappresentassero bene la mia spavalderia... che adesso si è sgonfiata; la mia mongolfiera è stata forata da Dart, dall’alcool e dalla droga). Il centrotavola è di fiordalisi di un azzurro squillante. Mentre Lily imbandisce il pranzo e chiama le gemelle e Natasha, mi rendo conto di quanto debba sembrare idilliaco tutto questo... specie a qualcuno che arriva dalla galassia di Mammone. L’artista nel suo ambiente naturale: Georgia O’Keeffe sulla sua mesa, Romaine Brooks con Natalie Barney a Villa Gaia, a Firenze, Louise Nevelson a Little Italy. C’è anche in me il desiderio di fare della mia vita un’opera d’arte – è una trappola per tutte le donne artiste. Preferirei servire il pranzo, che dipingerlo.

Ci sediamo a mangiare. Lionel scherza con le gemelle.

Improvvisamente si sente un bip bip bip molto forte che esce dalla borsa di cuoio fatta a mano. Lionel si precipita ad aprirla e ne estrae un telefono portatile.

“Cosa succede?” chiede al suo ignoto interlocutore.

Una pausa, poi dice: “Di’ a quel bastardo che gli daremo al massimo cinquantasei dollari per azione... non un soldo di più. Non ho paura di una battaglia di deleghe. È solo un gioco di coraggio, puro e semplice.”

Lionel parla metà per me e metà per il suo interlocutore all’altro capo del filo. Anche lui è un tossicomane; la sua droga è la mania di dare la scalata alle aziende. Riconosco l’intensità, l’esaltazione da adrenalina. Io sto cercando di imparare a vivere in un altro modo: moderazione, la media aurea. È noioso, lo so, ma è il segreto della vita. In una società che adora l’eccitazione, come si fa a trovare una vita che ne sia priva?

Lionel va avanti e indietro, scende giù per la collina col telefono in mano, torna e ricomincia ad andare avanti e indietro. Vedo che il suo viso è contorto dalla rabbia. Stava per godersi il festino — ma ha di nuovo attaccato la spina della sua dipendenza. Che oggetto distruttivo è il telefono! Più distruttivo di una mitragliatrice o di uno staffile. La festa si è trasformata in livore.

Lionel si risiede, divora il suo pezzo di pollo, ma la sua testa è altrove, non gusta nemmeno il sapore.

“Cos’è una battaglia di deleghe?” chiede Ed, cui non sfugge nulla.

“Questa è una buona domanda, signorina,” dice Lionel. E il telefono ricomincia a fare bip bip.

Lionel impreca, si alza, va a rispondere e ricomincia ad andare avanti e indietro sul prato, mormorando nel telefono una quantità di ordini.

Lo guardo, penso che il telefono stia per abbreviare la sua visita e mi chiedo se mi dispiace. A un certo punto avevo perfino nutrito qualche segreta fantasia di una relazione con Lionel, come soluzione ai miei problemi... ma capisco che a modo suo Lionel è ancora meno capace di stare seduto tranquillo, di quanto non lo fosse Dart. Dart che ancora mi manca nella punta delle dita e nelle viscere.

Quel bambino era suo, ne sono sicura.

Ogni volta che mi abbandono alla fantasia di un uomo che mi protegga, che si prenda cura di me, succede sempre che scopro che è ancora più nei guai di me, più disperato, più frenetico, più tormentato. Dart era sempre in movimento. E anche Danny, a modo suo. E ora Lionel. Dovrò imparare a stare seduta tranquilla da sola. Nessuno me lo sa insegnare. Persino io, con la mia sgangherata semisobrietà, a quanto pare sono più serena di tutti gli uomini che conosco.

Lionel ritorna a grandi passi, borbottando e imprecando.

“Quei fottuti bastardi dicono che le azioni valgono settantacinque dollari l’una... sono fottutamente pazzi...” Vedo in lui la folle mania maschile di vincere, vincere, vincere e mi domando se anche a una donna potrebbe importare tanto come a lui. Alle donne non interessa un cazzo vincere in questo modo... o almeno, a me non interessa. Mi piacciono i frutti del denaro, come a tutti: case, auto, abiti, potere, autonomia... ma in qualche modo mi sento più libera e più felice quando non lavoro su commissione, solo per amore, non per denaro. Sono contenta di aver rifiutato i duecentocinquanta di Lionel. Forse sono pazza, ma mi rende felice sapere che acquistare oggetti non è in testa alla lista delle mie priorità.

Eppure so che la mia passione per Dart non è molto diversa dalla passione di Lionel d’impadronirsi di aziende. Consumo, consumo, consumo. Il pozzo senza fondo dei desideri. Sono questi i nostri valori e questo è il mondo che noi abbiamo creato. Mai come ora abbiamo avuto bisogno di distacco dalle cose.

Lionel mangia rapidissimamente, con l’orecchio teso al telefono.

Finito il pranzo, torniamo nel silo, sempre scortati dalla borsa che da un momento all’altro può mettersi a fare bip bip. L’atmosfera della giornata ormai è guastata. Sento l’elettricità di New York anche qui, sulle mie verdi colline. Vorrei che Lionel se ne andasse e mi lasciasse tornare sulla riva del mio stagno, a non fare nulla, a fare tutto.

Lionel si allenta la cravatta e finalmente si toglie la giacca.

“Stenditi, credo di amarti,” dice allacciandomi la vita con un braccio. Ridacchio. È tutto così sciocco... la richiesta di un quadro dietro le spalle di André, la battaglia delle deleghe, le avances d’obbligo. Cerco l’amore sempre nei posti sbagliati.

“Di cosa ridi, piccola?” dice Lionel.

“Perché è tutto così sciocco.”

“Tutto, cosa?” chiede Lionel, offeso.

“La vita.”

Sto pensando che quando un uomo e una donna vanno a letto insieme, lui pensa di vincere e lei pensa all’amore e che non potrà mai funzionare. Mai. I due sessi potrebbero essere due specie diverse.

“Dimmi cos’hai in testa,” fa Lionel.

“Solo che non abbiamo tempo per farlo come si deve. La tua borsa potrebbe mettersi a fare bip. Le gemelle potrebbero entrare all’improvviso. Abbiamo bisogno di un intero weekend, di un’intera settimana.”

Lionel mi accarezza il collo. Io penso come una donna. Per gli uomini non c’è niente di meglio che scopare e scappare via... toccata e fuga... lasciare la caverna e tornare alla battaglia delle deleghe. È la donna che vuole un weekend o una settimana.

Lionel mi bacia. Un bacio sorprendentemente caldo, appassionato, profondo. Mi accarezza i seni.

“Voglio darti tutto,” dice. “Tutto.”

Abbassa le mani e fa per slacciarsi la lampo dei pantaloni, quando la valigia si mette a fare bip.

“Maledizione,” dice lui, precipitandosi a rispondere.

Con una mano sulla patta e l’altra sul telefono, continua la sua battaglia delle deleghe.

Questo è il mondo che loro hanno fatto, un mondo in cui il sesso è sempre interrotto da battaglie di deleghe, e a loro piace così. Gli uomini come Dart ne sono demoralizzati. A loro piace scopare, ma si sentono dei gigolò per colpa di uomini come Lionel. Qual è la risposta? E chi lo sa?

“Di’ a quel bastardo che avrò le sue palle su un vassoio,” sta dicendo Lionel, forse al suo legale o al suo procacciatore di deleghe degli azionisti, o a qualcuno.

Mentre parla, la sua erezione si affloscia. Mi viene l’idea di fargli un pompino mentre sta al telefono, potere femminile contro potere maschile, ma resisto... e non solo per via delle mie viscere doloranti. La sobrietà ha reso meno attraenti certi giochetti. Nel mio gioco sessuale vedo la mia stessa brama di potere e dominio. Vedo me stessa in Dart: Donna Juana, Donna Giovanna. Comincio a capire i miei stessi trucchi. Buona parte del sesso è vanità, non è vero? L’eccitazione di fare innamorare qualcuno di te, il narcisismo di sentirsi desiderata. Non ci avevo mai pensato prima, ma ora lo capisco sicuramente. Quando la scopata funziona, vince il narcisismo della natura. Un altro bambino per la sua squadra. Sì, proprio squadra della natura. Ingannando la natura, probabilmente abbiamo ingannato noi stessi. Dio ha dato agli umani troppo potere cerebrale e non abbastanza giudizio o compassione: ecco la triste verità. Le palle su un piatto, veramente.

Lionel sbraita, si riallaccia la cerniera con una mano e con l’altra regge il telefono.

“Trovati lì fra mezz’ora,” borbotta.

“Piccola, me ne devo andare,” mi dice inutilmente. “Ci si vede un’altra volta.”

Il ventre mi fa male, ho i crampi. Corro a cambiarmi il maxiassorbente, poi saluto Lionel con un bacio e lo accompagno fino all’elicottero.

Non avrei potuto comunque avere un rapporto sessuale, nelle mie condizioni. Ma chi sto prendendo in giro? Lionel sbraita degli ordini al suo pilota, che sta prendendo il sole sull’erba. Il ragazzo scatta, da quel semischiavo che è. “Sì, Mr Schaeffer. Subito, Mr Schaeffer.”

Il pilota è un bel shagetz biondo, alto due volte Lionel. A Lionel evidentemente piace strapazzarlo. Dei cosacchi molto simili a quel pilota di sicuro hanno stuprato sua nonna: e Lionel non ha dimenticato.

Le pale dell’elicottero girano vorticosamente, brutalizzando l’aria sulla mia dolce e verde collina.

“Ti chiamo domani!” grida Lionel: la solita vecchia battuta maschile.

Ma perché, mi chiedo, si danno la pena di dirla? Sono pochissimi quelli che richiamano, e in genere proprio chi non ha detto che lo farà.

Quella sera, ancora in preda all’emorragia, cerco di telefonare a Dart. Chiamo Los Angeles, provando prima coi nuovi abbonati del prefisso 213, poi coi nuovi abbonati del prefisso 818 (la valle). Niente da fare. Non riesco a trovare nessun Dart, Darton, o Trick Donegal in tutta la grande Los Angeles. Penso di chiamare la sua puttanella, ma poi mi rendo conto che non ho mai avuto il suo numero di telefono. Anzi, non so nemmeno come si chiami.

Se avessi un numero qualsiasi, lo farei squillare e squillare, lontano nella notte, in attesa di sentir qualcuno rispondere, riappenderei, poi chiamerei ancora e di nuovo aspetterei. Alla fine, disperata, chiamo il numero dei vecchi Donegal a Philadelphia. Il telefono squilla e squilla. Nelle eternità tra uno squillo e l’altro, mi passa davanti tutta la nostra relazione. Finalmente, una voce risponde. È Dart, che dice: “Pronto.”

Sbatto giù il ricevitore e mi trascino fino al letto, sanguinando abbondantemente.