Premessa

Come io sia arrivata a pubblicare questo curioso manoscritto – e come Isadora Wing sia arrivata a scriverlo – sono due tra le tante storie bizzarre che leggerete nelle pagine seguenti. Ho molti dubbi se questo libro possa essere definito “fiction” oppure “autobiografia”, perché è stato il genio unico di Isadora Wing a cancellare i confini tra questi due generi letterari. Ma nel fare l’editing di Ballata di ogni donna, che era necessariamente un manoscritto incompiuto e non ancora limato, ho dovuto affrontare anche un altro problema: e cioè che l’autrice ha lasciato, insieme col manoscritto incompiuto, una serie di dialoghi tra lei stessa e la sua eroina, in margine alla prima stesura. Mi sono dunque presa la libertà di inserire questi dialoghi nel testo – in corsivo – nei punti in cui mi è sembrato che Isadora Wing li avrebbe voluti. Abbiamo così la testimonianza unica di un’autrice che discute con la propria creatura, anzi la interrompe con critiche e frecciate... Un dialogo creativo che probabilmente avviene sempre nella mente degli scrittori di romanzi, ma al quale in genere non abbiamo il privilegio di assistere.

Quando è stato scritto Ballata di ogni donna?

Da riferimenti interni al romanzo, si presume che sia stato scritto verso la fine degli anni ottanta, verso la fine cioè di quel decennio di ingordigia e di eccessi noto come l’epoca reaganiana. Questo collimerebbe con quanto sappiamo della vita di Isadora Wing e cioè che questa autrice ha quasi sempre scritto i suoi “romanzi” per reazione a disastrosi avvenimenti della sua vita personale e che verso la fine degli anni ottanta stava cercando di rompere una sua ossessiva relazione con un uomo molto più giovane di lei, un certo Berkeley Sproul III, un giovane e aitante erede WASP, purtroppo dedito all’alcool e alla droga.

Il primo capitolo del romanzo è a mio parere una delle cose migliori che io abbia mai letto. È schietto e sincero al punto che sembra spingere al massimo la controfobia letteraria. Se Isadora Wing fosse viva oggi, mi chiedo se riuscirebbe ad accettare la pubblicazione di questo suo libro... tanto sembra scoperto e autentico. Pare che in qualche modo anche lei se ne rendesse conto, perché in una nota che scrisse in margine all’ultimo capitolo per la sua assistente e collaboratrice, dice: “Per favore, fammi una ricerca col computer per vedere quante volte torna la parola ‘cazzo’ nel primo capitolo. Ho l’impressione di affogare nel pelo pubico. Se lui la scopa ancora una volta giuro che mi metto a urlare!”

Forse a questo punto è necessario un altro piccolo avvertimento, prima di buttarci volenti o nolenti nel paesaggio endometrioide di Ballata di ogni donna.

Questo cosiddetto romanzo non è consigliabile ai bigotti e ai deboli di cuore. È vivo e palpitante al punto da shoccare anche il più incallito libertino. Tuttavia ritengo che valga la pena di pubblicarlo, se non altro per dimostrare in che vicolo cieco sia finita la cosiddetta rivoluzione sessuale e quanto fossero disperate le cosiddette donne libere negli ultimi anni della nostra epoca decadente.

Ballata di ogni donna è una favola dei nostri tempi; è la storia di una donna perduta nell’eccesso e nell’estremismo – una sessodipendente, alcooldipendente e cibodipendente. È il romanzo che Isadora Wing stava scrivendo quando l’aereo che aveva noleggiato, un de Havilland Beaver (nome che deve averla fatta certo sorridere) venne dichiarato disperso nel Pacifico del sud, nelle vicinanze delle isole Trobriand. (L’ultimo disperato tentativo di Isadora di raggiungere la serenità; vincere la paura di volare e andare nel sud Pacifico in cerca dell’utopia sembra il folle tentativo di mettersi a recitare la parte di Gauguin, visto che era fallito il tentativo di fare quella di Emma Goldman.) Mentre stiamo scrivendo questa prefazione, il relitto dell’aereo non è ancora stato ritrovato.

Per molti anni Ms Wing aveva preso lezioni di volo. S’era diplomata pilota nel 1987 e si divertiva a pilotare il suo aereo personale, un Bellanca, nei cieli sopra la sua casa nel Connecticut.

Il suo aereo – un complicato monomotore che “decolla rapidamente e atterra in poco spazio”, come diceva Ms Wing – si chiamava Amazon I, nome che ritengo avesse scelto ironicamente. Come tutti i poeti, Ms Wing aveva la tendenza a dare un nome a tutti gli oggetti inanimati e per un certo periodo della sua vita ha guidato una Mercedes targata QUIM.1

Durante il suo ultimo, tragico volo, Ms Wing era in compagnia del suo quarto e ultimo marito, il famoso direttore d’orchestra e compositore Sebastian Wanderlust, suo amico da quindici anni, col quale si era appena sposata. Non si sa se a pilotare l’aereo fosse lei o Sebastian, ma riferimenti interni ai suoi voluminosi diari dimostrano che molto probabilmente era lei stessa. Ms Wing lascia una figlia di undici anni, Amanda Ace, due figliastri, tre sorelle, i suoi anziani (ma ancora arzilli, benché affranti dal dolore) genitori e otto nipoti.

Dato che la figlia di Ms Wing era minorenne, gli esecutori testamentari hanno giustamente cercato una stimata studiosa femminista che facesse l’editing dei “lasciti letterari”, per così dire, della Wing e li preparasse per la stampa. Questo triste, ma allettante compito, è toccato a me.

Avevo molto apprezzato il primo libro di poesie di Ms Wing, Fiori Vaginali, in cui avevo colto subito qualcosa di nuovo nella poesia femminile, un antidoto alla tragica poesia fatalistica di Sylvia Plath e Anne Sexton; una poetessa che abbracciava e proclamava la propria femminilità con verve e joie de vivre. Il primo romanzo di Ms Wing, Candida confessa, il “succès de scandale” che rese famoso il suo nome, non era ancora uscito e a quel tempo Ms Wing era ancora un’insegnante d’inglese part-time alla CCNY di New York.

Ci siamo conosciute come colleghe, femministe, coetanee, tutt’e due impegnate nella lotta per l’eguaglianza femminile, tutt’e due, immagino, sorelle in Shakespeare. Ricordo una bella ragazza bionda, sui ventinove anni, con un caustico spirito di autoironia, una specie di humor patibolare da diseredata e una tendenza a insaporire il discorso con parole yiddish, parole di quattro lettere e citazioni letterarie. Mi sentii immediatamente attratta da lei. Ma ricordo anche una grande tristezza nei suoi occhi e una vulnerabilità che sulle prime mi stupì.

Non ho mai conosciuto alcun altro altrettanto vulnerabile, eccetto la poetessa Anne Sexton (un’altra autrice della nostra serie e la nostra attrazione stellare di quell’anno) e non riuscivo a conciliare la spavalderia della Wing come scrittrice e la sua vulnerabilità come persona. Era come se le sue due metà non si fossero ancora riunite; ed è davvero difficile per me associare la giovane e fragile scrittrice che conobbi nel 1973, con la donna di mondo che pilotava il suo aereo personale, aveva un sacco di amanti e viveva all’altezza di quello che scriveva, prendendo l’ideale di scrittore alla Hemingway e facendolo suo per tutto il sesso femminile.

Nel corso degli anni, Ms Wing e io ci siamo viste raramente, ma abbiamo continuato a scriverci di tanto in tanto. Dopo la tragica scomparsa di Ms Wing, il suo figliastro Charles Wanderlust, un valente studioso di letteratura inglese (poesia preromantica), e sua sorella Chloe, psicoterapista di New York, mi hanno invitato a mettere ordine tra le carte ammucchiate sulla scrivania di Ms Wing, nella sua casa nel Connecticut.

A quanto pare, la famiglia di Ms Wing non ha mai interferito con la sua eredità letteraria, anche se uno dei suoi ex mariti minacciava di sporgere querela, se il nuovo libro avesse parlato di lui. Per fortuna questo non è mai avvenuto, dato che il nome di quest’uomo compare molto raramente perfino nei taccuini di appunti di Ms Wing. Quando Isadora Wing aveva deciso di buttarsi, niente poteva trattenerla e se c’era qualche fantasma che potesse preoccuparla, era piuttosto il fantasma di suo nonno, Samuel Stoloff, il pittore, o il fantasma di Colette, con la quale sentiva una grande affinità, o il fantasma di Amelia Earhart, di cui avrebbe presto condiviso la sorte.

Conoscendo la tendenza di questa scrittrice a portare sempre con sé tutti i suoi manoscritti durante i suoi interminabili viaggi, temevo di non trovare niente di valore, temevo che in realtà manoscritti e appunti fossero finiti in fondo al Pacifico, insieme con lei. E invece ho trovato un abbozzo ancora grezzo e incompiuto del suo ultimo romanzo, Ballata di ogni donna; una dozzina o più di taccuini marmorizzati, di Venezia, che risalgono agli anni settanta, quando Ms Wing stava scrivendo La figlia del Tintoretto; dei raccoglitori a molla con poesie inedite provvisoriamente intitolate Ninnananna per un dybbuk; una pigna di saggi inediti (molti dei quali non avevo mai visto); un altro raccoglitore col frammento di un manoscritto intitolato Manuale dell’amazzone, di Isadora Wing e Emily Quinn; varie cartelline di corrispondenza letteraria con scrittori di tutto il mondo; lettere d’amore d’una sorprendente quantità di uomini e donne; mucchi di libri di antropologia e d’arte; ritagli su artiste varie e roba del genere. Di particolare interesse è il seguente brano, tratto da uno dei suoi taccuini d’appunti e datato ottobre 1987, contemporaneo cioè alla prima stesura di Ballata di ogni donna.

“Da un po’ di tempo ho voglia di scrivere un romanzo che contenga i materiali dell’egira creativa e che nella sua stessa forma, o mancanza di forma, illustri il ‘processo’ di scrivere un libro – specie le discussioni con me stessa o con l’eroina ai margini del manoscritto. Quello che voglio esprimere, è il flusso creativo stesso, la ‘sensazione’ della vita che lotta con l’arte e dell’arte che lotta con la vita... il caos e lo scompiglio di cavare un libro fuori da se stessi.”

Mi ha sempre molto colpito la frase di Proust (di cui poi Colette si è appropriata): “Ce ‘je’ qui est moi et qui n’est peut-être pas moi.” (Questo “io” che è me e forse non è me.) Ogni scrittore lotta con questo paradosso, perché sappiamo che non solo il protagonista, ma tutti i personaggi di ogni nostro libro fanno parte di quel misterioso mosaico che chiamiamo il nostro “io”.

In risposta a questa affermazione e ad altri riferimenti interni ai diari e alle lettere (compresi appunti scarabocchiati da lei stessa sulla stesura incompleta, per indicare i punti in cui voleva che venissero inseriti questi elementi marginali), mi sono presa la libertà di ricostruire l’ultimo manoscritto di Ms Wing esattamente come lei avrebbe certo voluto che fosse.

Così Ballata di ogni donna, un convenzionale romanzo a chiave su un’artista di nome Leila Sand (che all’inizio del romanzo sta lottando allo stesso tempo contro l’alcolismo e contro un’ossessione sadomasochista per un uomo molto più giovane di lei), è punteggiato qua e là da una serie di interruzioni di Isadora Wing che discute con Leila Sand (l’autrice che discute con la sua protagonista, con se stessa, insomma), che danno l’idea della vita che scorreva accanto al romanzo.

Ms Wing, come molte donne del nostro tempo, credeva evidentemente che il segreto della felicità non stesse nell’illusione dell’“uomo perfetto”, ma piuttosto nella forza che una donna trova dentro di sé. Una volta trovata questa forza, si poteva essere felici, con o senza un compagno. Questa ricerca di una felicità intima costituisce la favola di Ballata di ogni donna. Il suo tema è la ricerca da parte di una donna del modo per uscire da un amore che la rende schiava e arrivare invece all’amore di sé, che non va confuso con il narcisismo. La cosa non dovrebbe stupirci, perché inevitabilmente uno scrittore “tende a includere nel libro che sta scrivendo tutti i conflitti che sta cercando di risolvere in quel particolare momento”. (Intervista con Isadora Wing, 1987.)

Spero che questa prefazione abbia chiarito il mio profondo interesse per la storia della letteratura femminista, la mia ammirazione per la defunta Ms Wing e la mia severa preparazione al terribile compito di editor, biografa ufficiale ed esecutrice letteraria di una scrittrice così femminale – se posso usare questo termine winghiano – dei nostri tempi.

Mi sono assunta la responsabilità di correggere ovvi solecismi, di fare una correzione complementare delle bozze e di cambiare nomi e descrizioni dei personaggi, con grande soddisfazione sia dei legali dell’editore che dei legali del patrimonio di Isadora Wing.

Se in seguito al mio tentativo di fare cosa grata alla proprietà senza tuttavia togliere virilità alla pagina (o renderla troppo effeminata?), l’opera di Ms Wing dovesse risultare ancora un po’ troppo rabelaisiana per i deboli di cuore, penso che dovremmo tenere conto del fatto che una totale libertà di spirito e di corpo fosse non solo il suo stile di vita, ma anche il messaggio che Ms Wing voleva offrire al mondo. Lei credeva nell’integrazione di anima e corpo e probabilmente le sarebbe stato di conforto sapere che li perse tutt’e due insieme. Vola, Isadora Wing. Dovunque tu sia, vola!

Caryl Fleishmann Stanger, Ph.D.
Preside del Dipartimento d’Inglese
Sophia College
Paugussett, Connecticut

1 Quim (queme, quimby, quinbox, quin, quente o quivive) si riferisce al sesso femminile, chiamato anche vulva, fica, passerina, berta, e con un sacco di altri nomi fantasiosi. Chaucer dava la preferenza a “quem” o “quente”. Shakespeare usava una serie di metafore tra cui “la più cara parte del corpo” e “occhio che più piange quanto più è felice”.