IL SILENZIO SI insinuò nella stanza in punta di piedi. Gabriel rimase con lo sguardo fisso, perso nei pensieri e nel ricordo di canti corali, campanule argentee e tessuto nero che si separava a rivelare curve pallide e lisce, finché il debole picchiettio della penna sulla pagina lo riscosse dalle sue fantasticherie.
«Forse dovremmo cominciare con il sine die» propose il mostro. «Dovevi essere solo un bambino quando l’ombra coprì il sole.»
«Oui. Solo un ragazzo.»
«Parlamene.»
Gabriel scrollò le spalle. «Era un giorno come qualunque altro. Poche notti prima, ricordo di essermi svegliato per un tremito del suolo. Come se la terra si stesse agitando nel sonno. Ma quel giorno non sembrò nulla di speciale. Stavo lavorando alla forgia con mio padre quando cominciò: quell’ombra si sollevò nel cielo lenta come melassa, trasformò l’azzurro lucente in un grigio smorto e rese il sole scuro come carbone. L’intero villaggio si radunò nella piazza e rimase a guardare mentre l’aria si raffreddava e la luce diurna scemava. Temevamo si trattasse di stregoneria, naturalmente. Magia dei fatati. Opera del diavolo. Ma come tutte le cose, pensammo che sarebbe passata.
«Puoi immaginare il terrore che si impadronì di noi nelle settimane e nei mesi successivi, quando vedemmo che il buio non recedeva. Sulle prime lo chiamammo con molti nomi: l’Oscuramento, il Velo, la Prima Rivelazione. Ma gli astrologi e i filosofi alla corte dell’imperatore Alexandre III lo definirono “sine die”, così alla fine lo facemmo anche noi. Sul suo pulpito a messa, père Louis predicava che sarebbe passato se solo avessimo avuto fede nell’Onnipotente. Ma è difficile credere alla luce dell’Onnipotente quando il sole non è più brillante di una candela morente e la primavera è fredda quanto l’inverno profondo.»
«Quanti anni avevi?»
«Otto. Quasi nove.»
«E quanto ti rendesti conto che noi sodali avevamo cominciato ad aggirarci durante il giorno?»
«Avevo tredici anni quando posai gli occhi sul mio primo abbietto.»
Lo storico inclinò la testa. «Noi preferiamo il termine “sanguemarcio”.»
«Le mie scuse, vampiro.» Il Santo d’argento sorrise. «Ti ho forse dato l’impressione che mi interessi quello che preferite voi? Perché non me ne frega un cazzo.»
Jean-François si limitò a fissarlo. Di nuovo, Gabriel rimase colpito dall’idea che quel mostro fosse di marmo, non di carne. Percepiva il fulgore nero della volontà del vampiro, l’orrore di ciò che era e la menzogna di come appariva – avvenente, giovane, sensuale – guerreggiare nella sua testa. In un angolo fiocamente illuminato della sua mente, era consapevole della facilità con cui potevano fargli del male. La rapidità con cui potevano cancellare l’illusione di avere la situazione sotto controllo.
Ma lì stava il problema nel togliere a un uomo tutto ciò che ha, giusto? “Quando non hai niente, non hai nulla da perdere.”
«Avevi tredici anni» lo imbeccò Jean-François.
«Quando vidi il mio primo abbietto.» Gabriel annuì. «Erano passati cinque anni dal sine die. Quando era più brillante, il sole era soltanto una macchia scura dietro la chiazza sul cielo. Ora le nevi cadevano grigie invece che bianche e odoravano di zolfo. La carestia falciava la terra: in quegli anni perdemmo metà del nostro villaggio a causa della fame o del freddo. Io ero ancora un ragazzo e avevo già visto più cadaveri di quanti sapessi contarne. Il nostro mezzodì era fioco come il crepuscolo, mentre il crepuscolo era buio come notte fonda, e a ogni pasto c’erano funghi o maledette patate, e nessuno, che fosse un prete, un filosofo o un pazzo che scarabocchiava con gli escrementi, riusciva a spiegare quanto sarebbe durata. Père Louis predicava che era un modo per mettere alla prova la nostra fede. Eravamo tanto stupidi da credergli. E poi Amélie e Julieta scomparvero.» Gabriel fece una pausa, perso nell’oscurità dentro di sé. Nella testa echi di risate, un sorriso grazioso, lunghi capelli neri e occhi grigi come i suoi.
«Amélie?» chiese Jean-François. «Julieta?»
«Amélie era la mia sorella mediana. Celene era la più piccola, io il maggiore. E le amavo entrambe: mi erano care e vicine quanto la mia dolce mamma. Ami aveva lunghi capelli scuri e carnagione pallida come me, ma per temperamento eravamo diversi quanto alba e tramonto. Si leccava il pollice e me lo sfregava sul solco tra le sopracciglia, avvertendomi di non accigliarmi così tanto. A volte la vedevo danzare al suono di una musica che solo lei poteva udire. La sera, quando io e Celene ci coricavamo, lei ci raccontava storie. Le piacevano molto quelle spaventose. Fatati malvagi, stregoneria oscura e principesse sventurate.
«La famille di Julieta viveva accanto a noi. Lei aveva dodici anni, proprio come Amélie. Quando erano insieme, lei e mia sorella mi prendevano sempre in giro. Ma un giorno, mentre raccoglievamo funghi prataioli nel bosco, io sbattei l’alluce e invocai invano il nome dell’Onnipotente; allora Julieta minacciò di rivelare a père Louis che avevo bestemmiato se non l’avessi baciata. Io protestai, naturalmente. Al tempo le ragazze mi terrorizzavano. Ma père Louis si ergeva sul pulpito ogni prièdi a sbraitare di inferno e dannazione, così un bacetto mi sembrò preferibile alla punizione che avrei subìto se Julieta gli avesse raccontato del mio peccato.
«Lei era più alta di me. Dovetti mettermi in punta di piedi per raggiungerla. Ricordo i nostri nasi a ostacolarci, ma alla fine premetti le labbra sulle sue, calde come quel sole perduto. Soffici e sospiranti. Poi lei mi sorrise. Disse che avrei dovuto bestemmiare più spesso. Quello fu il mio primo bacio, sanguefreddo. Rubato sotto alberi morenti per paura dell’Onnipotente.
«Era tarda estate quando loro due scomparvero. Svanirono mentre erano fuori a cercare finferli. Non era insolito che Amélie stesse via più del previsto. Mamma l’ammoniva di non andarsene in giro danzando con la testa tra le nuvole e mia sorella replicava: “Almeno lassù posso sentire il sole”. Ma quando calò il crepuscolo, capimmo che qualcosa non andava. Effettuai delle ricerche assieme agli uomini del villaggio. Venne anche la mia sorellina Celene: era feroce come una leonessa perfino a undici anni e nessuno osò dirle di no. Dopo una settimana, papà aveva la voce rotta per le urla. Mamma non mangiava e non riusciva a dormire. Non trovammo mai i loro corpi. Dieci giorni dopo, però, quelli trovarono noi.»
Gabriel passò un dito sulla curva della palpebra, sentendo il movimento di ogni singolo ciglio sotto il polpastrello. Un vento gelido gli agitò i capelli lunghi attorno alle spalle.
«Stavo caricando carburante per la forgia assieme a Celene quando Amélie e Julieta tornarono a casa. Il sanguefreddo che le aveva uccise aveva gettato i loro cadaveri in un acquitrino, perciò erano sudicie a causa di quell’acqua, i vestiti inzuppati di fango. Erano in piedi sulla strada fuori dalla nostra casetta, le dita intrecciate. Gli occhi di Julieta erano diventati bianchi come quelli dei morti, le labbra un tempo calde come il sole erano nere, e scoprirono piccoli denti aguzzi quando lei mi sorrise.
«La madre di Julieta uscì di corsa da casa sua, piangendo di gioia. Strinse la figlia tra le braccia e ringraziò Dio e tutti i Sette Martiri per averla riportata a casa. E Julieta le squarciò la gola proprio di fronte a noi. La addentò… come un cazzo di frutto maturo. Anche Ami si avventò sul corpo, tastandolo e sibilando con una voce che non era la sua.» Gabriel deglutì con forza. «Non ho mai dimenticato i suoni che emise quando cominciò a bere. Gli uomini del villaggio elogiarono il mio valore per quello che accadde dopo. E vorrei poter dire che fu coraggio quello che provai quando mia sorella spinse la faccia in quella marea rosso scuro, che le imbrattò guance e labbra. Ma ripensandoci ora, so cosa mi indusse davvero a restare lì mentre la piccola Celene fuggiva urlando.»
«Amore?» chiese il sanguefreddo.
L’ultimo Santo d’argento scosse la testa, ipnotizzato dalla fiamma della lanterna. «Odio» rispose infine. «Per ciò che mia sorella e Julieta erano diventate. Per la cosa che le aveva rese tali. Ma soprattutto odio per il pensiero che quel momento sarebbe diventato il mio ricordo delle ragazze. Non il bacio rubato di Julieta sotto gli alberi morenti. Non Amélie che ci raccontava delle storie di notte. Ma quel momento. Loro due carponi, che lappavano sangue dal fango come cani affamati. In quel momento conobbi solo odio. Tutta la sua promessa e tutto il suo potere. Si radicò in me quel freddo giorno d’estate e in verità non credo che mi abbia mai abbandonato.»
Jean-François voltò lo sguardo verso la falena, che ancora sbatteva invano contro il vetro della lanterna. «Troppo odio riduce un uomo in cenere, chevalier.»
«Oui. Ma almeno muore al caldo.» Gli occhi dell’ultimo Santo d’argento guizzarono verso le sue mani tatuate e le dita si chiusero. «Non avrei potuto fare del male a mia sorella. L’amavo perfino allora. E così presi l’accetta e la calai sul collo di Julieta. Il colpo fu deciso. Ma avevo solo tredici anni e perfino un uomo fatto fatica a tagliare una testa umana, figuriamoci quella di un sanguefreddo. La cosa che era stata Julieta cadde nel fango, tastandosi l’accetta conficcata nel cranio. E Amélie sollevò il capo, con un filo di sangue che le colava dal mento. Io la guardai negli occhi e fu come fissare l’inferno in faccia. Non il fuoco e lo zolfo che père Louis prometteva dal pulpito. Solo… il vuoto. Un fottuto nulla.
«Mia sorella aprì la bocca e vidi che i suoi denti erano lunghi e lucenti come coltelli. E la ragazza che mi raccontava storie ogni notte prima di dormire, che danzava al suono di una musica che solo lei poteva udire, si alzò in piedi e mi colpì. Dio del cielo, quant’era forte. Non avvertii nulla finché non atterrai nel fango. E poi me la ritrovai a cavalcioni sul petto e nel suo alito avvertii puzza di marcio e sangue fresco, e mentre le sue zanne mi sfioravano la gola seppi che stavo per morire. Guardando quegli occhi vuoti, perfino mentre lo odiavo e lo temevo, lo volli. Lo accolsi.
«Ma in quel momento qualcosa si agitò dentro di me. Come un orso che si sveglia affamato dopo il letargo invernale. E mentre mia sorella apriva la bocca marcia, io l’afferrai per la gola. Dio, lei era tanto forte da polverizzare le ossa, tuttavia la respinsi. E mentre mi tastava la faccia con dita insanguinate, sentii un calore scorrermi su per il braccio, facendo formicolare ogni brandello di pelle. Qualcosa di cupo. Qualcosa di profondo. E con uno strillo che tramutò la mia pancia in acqua, Amélie si inarcò all’indietro, tenendo stretta la carne gorgogliante della sua gola.
«Dalla pelle si levava del vapore rosso, come se il sangue nelle sue vene stesse bollendo. Lacrime rosse le colarono lungo le guance mentre urlava. Ma a quel punto gli strilli di Celene avevano fatto arrivare l’intero villaggio di corsa. Mani possenti afferrarono Amélie e la gettarono indietro mentre il borgomastro le premeva una torcia contro il vestito. Lei si accese come un falò di Primale. Julieta stava strisciando a terra con l’accetta ancora conficcata tra i riccioli quando diedero fuoco anche a lei, e il suono che fece mentre bruciava, Dio… era… sacrilego. Io sedetti nel fango con Celene accucciata accanto a me, e guardammo nostra sorella contorcersi e roteare come una torcia ardente. Un’ultima, orrenda danza. Papà dovette trattenere mamma per impedire che si gettasse nel fuoco. Urlava ancora più forte di Amélie.
«Mi controllarono la gola una dozzina di volte, ma non avevo nemmeno un graffio. Celene mi stringeva la mano e mi chiese se stavo bene. Alcuni villici mi guardarono in modo strano, domandandosi come fossi sopravvissuto. Ma père Louis proclamò che era stato un miracolo. Dichiarò che Dio mi aveva risparmiato per scopi superiori. Tuttavia rifiutò di dare una sepoltura alle ragazze, il bastardo. Erano morte senza la confessione, dichiarò. I loro resti furono portati al crocevia e sparpagliati affinché non potessero trovare mai più la strada di casa. La tomba di mia sorella sarebbe rimasta per sempre vuota su terreno sconsacrato. La sua anima dannata per l’eternità. Malgrado tutte le sue lodi, odiai Louis.
«Sentii l’odore delle ceneri di Amélie su di me per parecchi giorni. La sognai per anni. A volte Julieta mi appariva con lei. Entrambe si sedevano sopra di me e mi baciavano dappertutto con labbra nere, nerissime. Ma anche se non avevo idea di cosa mi fosse successo o come nel nome di Dio fossi sopravvissuto, una cosa la sapevo con certezza.»
«Che i sodali erano veri» si inserì Jean-François.
«No. Nei nostri cuori, penso che ci credessimo già, sanguefreddo. Oh, gli impomatati nobili di Augustin, Coste e Asheve ci avrebbero ritenuti arretrati. Ma a Lorson i racconti accanto al focolare parlavano sempre di vampiri. Di danzavespro, esseri fatati e altre stregonerie. Nelle province del Nordlund, i mostri erano reali come Dio e i suoi angeli.
«Ma le campane della cappella avevano appena rintoccato mezzogiorno quando Amélie e Julieta tornarono a casa. E il fatto che fosse giorno non sembrava averle turbate affatto. Tutti conoscevamo i punti deboli dei Morti. Le armi che ci tenevano al sicuro: fuoco, argento, ma soprattutto la luce del sole.» Gabriel fece una breve pausa, perso nei suoi pensieri, con gli occhi di un grigio appannato. «Era il sine die, capisci? Perfino anni più tardi, nel monastero di Santa Michon, nessun Santo d’argento fu in grado di spiegare perché fosse successo. L’abate Khalid diceva che una grossa stella era caduta a est al di là del mare, causando fuochi dal fumo così denso da oscurare il sole. Il maestro Manogrigia ci raccontò che c’era stata un’altra guerra nel cielo e che Dio aveva buttato giù gli angeli ribelli con un rancore tale che la terra era stata scagliata verso il cielo, e adesso era sospesa in una coltre tra il suo regno e l’inferno. Ma nessuno sapeva davvero perché quel velo avesse ricoperto il cielo. Né allora, e forse nemmeno adesso.
«Tutta la gente del mio villaggio sapeva che i nostri giorni erano diventati bui quasi quanto la notte e che le creature delle tenebre ora si aggiravano liberamente nel cosiddetto giorno. In piedi presso il crocevia fuori Lorson, tenendo per mano Celene mentre sparpagliavano le ceneri di mia sorella e nostra madre strillava con tutte le sue forze, io seppi. Credo che una parte di tutti noi ne fosse consapevole.»
«Consapevole di cosa?» domandò Jean-François.
«Che quello era l’inizio della fine.»
«Consolati, chevalier. Tutte le cose hanno una fine.»
Gabriel alzò lo sguardo a quelle parole, gli occhi scintillanti e iniettati di sangue. «Oui, vampiro. Tutte le cose.»