JEAN-FRANÇOIS ACCENNÒ UN sorriso. «Dunque, da Lorson a Santa Michon?»
Gabriel annuì ancora. «Impiegammo alcune settimane, cavalcando lungo la Strada dell’agrifoglio. Il clima era gelido e il cappotto che mi avevano dato non impediva affatto al freddo di raggiungere il mio stomaco. Ero ancora sbigottito da tutto quanto. Il ricordo di ciò che avevo fatto a Ilsa. Il paradiso oscuro del suo sangue nella mia bocca. La vista del mostro che Manogrigia aveva tirato fuori dal suo sacco, ancora legato dietro la sella. Non sapevo cosa pensare di quella situazione.»
«Frère Manogrigia ti disse cosa avevano in serbo per te?»
«Mi disse un quinto di tre ottavi di un cazzo. E sulle prime avevo paura a chiedere. Ardeva un fuoco tale in Manogrigia che sembrava potesse bruciarti se ti fossi avvicinato troppo. Era tutto pelle e ossa, mento e zigomi taglienti, capelli come paglia sporca. Masticava il cibo come se lo odiasse, trascorreva in preghiera quasi ogni momento di riposo, soffermandosi di tanto in tanto per fustigarsi la schiena con la cintura. Quando cercavo di parlargli, mi guardava torvo finché non tacevo.
«L’unico affetto che mostrava era per il falcone con cui cavalcava. Lo chiamava Arciere e stravedeva per quel fottuto uccello come un padre per un figlio. Ma la parte più strana di lui si rivelò la prima mattina in cui si lavò di fronte a me. Quando tolse la tunica per lavarsi nel nostro secchio, vidi che Manogrigia era ricoperto di tatuaggi. Ne avevo già visti in precedenza – spirali fatate su gente dell’Ossway e cose del genere –, ma i tatuaggi del frère erano qualcosa di nuovo.» Gabriel passò le dita sopra a quelli che aveva sulle mani. «L’inchiostro era come questo. Scuro, ma metallico. Con argento all’interno del pigmento. Manogrigia aveva un ritratto della Vergine Madre che gli copriva l’intera schiena. Una spirale di santirosa, spade e angeli gli correva lungo le braccia, e portava sette lupi per i Sette Martiri sul torace. Il giovane apprendista che cavalcava assieme a lui aveva meno tatuaggi, però sfoggiava comunque un bellissimo intreccio di rose e serpenti sul petto. Naél, l’angelo dell’estasi, copriva l’avambraccio sinistro. Sarai, l’angelo delle pestilenze, riempiva il bicipite, le splendide ali da falena spalancate. Ed entrambi avevano la septistella tatuata sulla mano sinistra.» Gabe girò la mano e mostrò il palmo al vampiro. Lì, tra calli e cicatrici, c’era una stella a sette punte dentro un cerchio perfetto.
«Sono curioso» rifletté Jean-François «del perché il vostro Ordine profanasse i vostri corpi a quel modo.»
«I Santi d’argento la chiamavano “Egida”. Non ha senso indossare un’armatura quando affronti mostri che possono frantumare una corazza di piastre con i pugni. L’armatura rallenta un uomo. Lo rende rumoroso. Ma se la tua fede nell’Onnipotente era abbastanza forte, l’Egida ti rendeva intoccabile. Non aveva importanza quale mostro della notte stessi braccando: danzavespro, fatati, sanguefreddo, nessuno tollera il tocco dell’argento. E Dio odia soprattutto la tua specie, vampiro. Voi temete perfino la vista delle immagini sacre. Vi rannicchiate davanti alla septistella. Alla ruota. Alla Vergine Madre e ai Martiri.»
Il vampiro indicò il palmo di Gabriel. «Allora perché io non mi rannicchio, de León?»
«Perché Dio mi odia più di quanto detesta te.»
Jean-François sorrise. «Presumo tu ne abbia altri?»
«Molti altri.»
«… Posso vederli?»
Gabriel incontrò gli occhi della creatura. Un silenzio intercorse tra loro, lungo tre respiri. Il vampiro si passò la lingua sulle labbra, rosso intenso e umide.
Il Santo d’argento scrollò le spalle. «Come preferisci.» Gabriel si alzò e la poltrona cigolò sotto di lui. Sollevando le braccia lentamente, si tolse il cappotto, quindi slacciò la tunica e se la sfilò dalla testa, rimanendo a torso nudo. Un lieve sospiro, delicato come un sussurro, sfuggì alle labbra del vampiro.
Il Santo d’argento era tutto muscoli e tendini, le ombre create dalla lanterna incise in profondità sui solchi e sulle pieghe del suo corpo. Una miriade di cicatrici decorava la sua pelle: opera di lame, artigli e solo il Redentore sapeva cos’altro. Ma soprattutto, Gabriel de León era ricoperto di tatuaggi, dal collo all’ombelico e financo alle nocche. Quella maestria avrebbe lasciato senza fiato lo storico, se solo avesse potuto respirare. Eloise, l’angelo del castigo, correva lungo il braccio destro del Santo d’argento, imbracciando spada e scudo. Chiara, l’angelo cieco della misericordia, e Eirene, l’angelo della speranza, erano su quello sinistro. Un leone ruggente gli copriva il petto, septistelle negli occhi della fiera, e un cerchio di spade si estendeva lungo i muscoli tesi dell’addome. Colombe e raggi di sole, il Redentore e la Vergine Madre gli decoravano braccia e corpo. Una corrente scura pervase l’aria.
«Stupendo» sussurrò Jean-François.
«La mia artista era ineguagliabile» ribatté Gabriel, prima di rimettersi la tunica e tornare a sedersi.
«Merci, de León.» Jean-François continuò a disegnare, apparentemente a memoria. «Stavi parlando di Manogrigia. Di ciò che ti disse prima che arrivaste a destinazione.»
«Come accennavo, sulle prime il meno possibile. E così rimasi a interrogarmi in silenzio. Quanto male avevo fatto a Ilsa? Com’ero diventato tanto forte da scagliare via uomini grandi e grossi come giocattoli? Avevo pensato che il pugnale del borgomastro mi avesse tagliato fino all’osso, ma adesso la ferita non sembrava così grave. Nel nome dell’Onnipotente, come era possibile tutto ciò? Non avevo alcuna risposta.» Gabriel scrollò di nuovo le spalle. «Ma alla fine tutto superò il limite. Una sera la nostra piccola banda scompagnata si stava accampando nelle foreste del Nordlund, all’ombra di pini morenti a poca distanza dalla Strada dell’agrifoglio. Viaggiavamo da nove giorni.
«Il giovane cavaliere che accompagnava Manogrigia era un iniziato dell’Ordine di nome Aaron de Coste. Un apprendista, se vogliamo. Il ragazzo aveva l’aspetto di un principe: folti capelli biondi, occhi di un azzurro brillante e un viso da far svenire le ragazze. Era più grande di me. Ipotizzai che avesse diciott’anni. Coste era il nome di una baronia nel Nordlund occidentale e immaginai che potesse essere imparentato con loro in qualche modo, ma lui non mi disse nulla di sé. Mi rivolgeva la parola soltanto per darmi ordini. Si riferiva a Manogrigia come “Maestro” e chiamava me “Zotico”, sputando quella parola come se sapesse di merda.
«Ogni volta che eravamo costretti a fermarci all’aperto, Manogrigia appendeva il cadavere che aveva catturato a un ramo di un albero vicino. All’epoca non avevo idea del perché non uccidesse la creatura e basta. De Coste mi ordinava di raccogliere la legna, poi di accendere un fuoco che fosse il più alto e caldo possibile. L’apprendista o il maestro dormiva mentre l’altro montava la guardia, spesso fumando una pipa piena di una strana polvere rosso sangue durante la veglia. Quando fumavano, notai che i loro occhi cambiavano tonalità: le sclere erano così iniettate di sangue da diventare rosse. Una notte chiesi a de Coste un assaggio e il ragazzo si limitò a ridacchiare. “Presto, Zotico.”
«Comunque, quella sera de Coste stava affilando la sua spada. Un’arma davvero stupenda. Argento e acciaio, con l’angelo della morte Mahné in volo sulla guardia. Arciere era appollaiato su un ramo lì sopra, con gli occhi lucenti da falcone che brillavano al buio. Il cadavere prigioniero di Manogrigia dondolava da ore dentro il sacco di iuta, immobile. Ma uno dei ciocchi sul fuoco proruppe in un crepitio e la mano di de Coste scivolò, causandogli un taglio profondo sul dito. E tutt’a un tratto quella cosa appesa al ramo iniziò a gemere e a dibattersi come un pesce spiaggiato.
«Manogrigia stava pregando come al solito, la schiena escoriata di rosso per l’autoflagellazione. Aprì gli occhi e ringhiò: “Zitto, sanguisuga”. Ma il cadavere si dibatté ancora di più. “Liiiiibera” implorò. “Liiiiiberamiii.”
«Guardai il sangue che colava dal dito di de Coste e avvertii un brontolio allo stomaco mentre quell’odore mi causava un fremito lungo la pelle. E Manogrigia proruppe nella peggior bestemmia che avessi sentito nella mia giovane vita, quindi si alzò in piedi e sguainò la sua stupenda spada argentata. Poi aggirò il fuoco a passi pesanti, aprì con uno strattone il sacco di iuta e malmenò la creatura come mai avevo visto fare. Quella urlò quando la colpì con il pomolo e l’argento sibilò nel punto in cui toccava la sua pelle devastata. Manogrigia continuò a bersagliarla e le urla della creatura divennero guaiti, ma lui non smise di percuoterla, rompendo ossa e spappolando carne, finché, e Dio mi è testimone, quella cosa iniziò a frignare come un bambino.
«“Fermo!” urlai.
«Manogrigia si voltò verso di me, gli occhi come tizzoni. Ero dannatamente coraggioso o dannatamente stupido, decidi tu, ma, mostro o no, a me quella sembrava una tortura. Guardai quell’essere orrendo singhiozzare sul suo ramo e affermai: “Ne ha avuto abbastanza, frère, per pietà”.» Gabriel sospirò, i gomiti sulle ginocchia.
«Dio Onnipotente. Fino ad allora avevo creduto di vedere rabbia in mio padre. Ma non avevo mai assistito a nulla di terrificante quanto lo sguardo che attraversò il volto di Manogrigia in quel momento. “Pietà?” sbraitò.
«Avanzò verso di me e io riconobbi lo sguardo nei suoi occhi: era lo stesso che mi rivolgeva mio padre quando stava per alzare i pugni. Cercai di spingerlo via, ma per Dio se era forte: mi trascinò in piedi e mi affibbiò un manrovescio in faccia. Il mio labbro si ruppe e stelle nere spuntarono dietro i miei occhi. Avvertii Manogrigia trascinarmi verso la cosa appesa all’albero, tenendomi per la collottola. E come una fiamma estinta dall’acqua, il pianto si spense e il cadavere riprese vita. La follia ardeva nei suoi occhi. Una fame che non avevo mai visto prima. Urlai dall’orrore, ma Manogrigia mi avvicinò mentre la creatura agitava gli artigli verso il mio labbro sanguinante.
«“Tu provi pietà per questo abominio?”
«“Per favore, frère! Basta!”
«Manogrigia mi schiaffeggiò di nuovo, più forte di quanto mio padre avesse mai fatto, mandandomi lungo disteso. Alzai lo sguardo dal fango congelato su de Coste in cerca d’aiuto, ma l’apprendista non mosse un muscolo. Manogrigia torreggiava sopra di me, fiamma e furia nei suoi occhi. “Libera il tuo cuore dalla pietà, ragazzo. Accendi un fuoco nel tuo petto ed estirpala alla radice! Il nostro nemico non conosce amore né rimorso, legami o fratellanza! Conosce solo la fame!” Indicò quella cosa, che bramava ancora il mio sangue. “Se gli fosse consentito, questo abominio ti dilanierebbe dall’inguine al mento e si sazierebbe come un maiale al trogolo. E domani notte, o forse quella dopo, potresti risorgere senz’anima come la cosa che ti ha ucciso! Cercando solo di saziare la tua sete con la linfa vitale degli sciocchi che parlano di pietà!”
«Il suo urlo risuonò sopra il crepitio del fuoco, sopra il martellare del mio cuore. Guardando negli occhi il cadavere vivente che si protendeva verso la mia bocca insanguinata, mi sentii io stesso riempito di quel medesimo disprezzo, di quello stesso odio del giorno in cui mia sorella era tornata a casa. “Cosa sono?” udii me stesso sussurrare.
«Lo sguardo di Manogrigia bruciava come il falò. “Noi li chiamiamo abbietti, Leoncino.”
«“Ma cosa sono?”
«Mi fissò e, per quanto lo desiderassi, mi rifiutai di distogliere lo sguardo. Allora la calma scese su di lui. Il rimpianto attenuò le linee crudeli sul suo volto. Mi offrì la mano e, non sapendo che altro fare, la presi. E Manogrigia mi portò al bordo del fuoco e mi fece sedere, scrutando le fiamme scoppiettanti mentre de Coste osservava in silenzio. “Cosa sai dei sanguefreddo, ragazzo?” chiese infine Manogrigia.
«“Si nutrono di sangue vivo. Sono senza età. Privi di anima.”
«“Oui. E come vengono creati?”
«“Tutti quelli che uccidono diventano come loro.”
«Allora Manogrigia mi guardò. “Ringrazia Dio e il Redentore che non è vero, ragazzo. Altrimenti saremmo già perduti.”
«Calò il silenzio, interrotto solo dal crepitio del fuoco. Riuscivo a percepire un peso nell’aria. Un impeto di adrenalina. Erano le prime vere risposte che Manogrigia aveva fornito in nove giorni, e ora che stava parlando non volevo che si fermasse. “Per favore, frère. Cosa sono?”
«Manogrigia si passò la mano sul mento a punta e fissò intensamente le fiamme. Stimai che potesse avere trent’anni, ma dalle rughe attorno a occhi e bocca sembrava un uomo molto più vecchio. Continuava a farmi paura: temevo i suoi pugni quanto quelli di mio padre, ma mi domandai cosa l’avesse reso così. Se una volta fosse stato un ragazzo proprio come me.
«“Ora ascolta” disse. “E ascolta bene. I sanguefreddo trasmettono la loro maledizione a coloro che uccidono. Ma non sempre. Non possono scegliere a chi viene passata la loro malattia. E non sembra esserci una logica per cui le loro vittime cambieranno o rimarranno semplicemente morte. È possibile che la vittima risorga pochi attimi dopo il decesso. Tuttavia più spesso passano giorni o perfino settimane. E nel frattempo il loro cadavere si decompone come accade a tutta la carne. Quando risorge, la vittima di un sanguefreddo sarà bloccata in eterno nello stato in cui si è trasformata. Bellissima e integra. Oppure no.” Lanciò un’occhiata al mostro appeso. “In passato, se una vittima si trasformava pochi giorni dopo la morte, il sole le metteva rapidamente fine. Il cervello marcisce assieme al corpo, capisci. E non sapendo cosa fare, i sanguefreddo privi di ragione perivano semplicemente alla loro prima alba. Ma ora…”
«“Sine die” sussurrai.
«“Oui. Il sole non li danneggia più. Perciò continuano a vivere. A vagare. E a uccidere. E nei sette anni da quando il nostro astro diurno ci ha abbandonato, a moltiplicarsi.”
«“Quanti ce ne sono?” mormorai, leccandomi il labbro spaccato.
«“Nel Talhost occidentale, oltre i monti Angeledei? A migliaia.”
«“Sette Martiri…”
«“È peggio di quanto immagini, Leoncino. I più vecchi e più pericolosi, quelli avvenenti che si definiscono sanguenobile? Un tempo vivevano nascosti. Ma quattro mesi fa, un lord dei sanguenobile ha guidato un esercito di abbietti contro le mura di Vellene. Camminava per le strade come l’angelo della morte, pallido, sovrannaturale e invulnerabile a qualunque lama. Ha ucciso il cugino di Sua Maestà Imperiale e ha rivendicato il possesso del castello. Perfino in questo momento la sua invasione del Talhost continua e, con ogni massacro commesso dalla sua genìa oscura, altri Morti si uniscono alle sue fila. Alcuni risorgono come sanguenobile, per sempre giovani e immortali. Altri ancora diventano abbietti, orrendi e decomposti. Ma tutti quelli che vengono uccisi sono vincolati alla sua volontà. Gira voce che sia il sanguefreddo più antico esistente sulla terra. Il suo nome è Fabién Voss. Ma si è autoproclamato Re Sempiterno.”
«Mi si rivoltò lo stomaco a quel pensiero. Cercai di immaginare intere legioni di sanguefreddo che assediavano le città umane. Creature vecchie di secoli che si aggiravano durante il giorno su piedi terreni. “E come…” Scossi il capo, la gola secca. Ricordai il sangue di Ilsa, dolce come miele, che si riversava sulla mia lingua. La beatitudine quando i miei denti erano penetrati nella pelle serica della sua coscia. I miei canini non erano più aguzzi come allora, tuttavia potevo percepirli, assieme a quella sete, in attesa sotto la superficie. Mi domandai se… quando quella brama potesse riaffiorare. “Come rientro io in tutto questo?”
«Manogrigia mi guardò di traverso. Un ciocco scoppiettò nel fuoco e uno zampillo di scintille si sollevò nel buio. “Cosa sai di tuo padre, Leoncino?”
«“Era un soldato. Un esploratore nell’esercito di Phili…”
«“Non l’uomo che ti ha allevato, ragazzo. Tuo padre.”
«Allora compresi. Quella nuova consapevolezza fu come una valanga. Seppi perché i pugni di mio padre erano caduti solo su di me, non sulle mie sorelle. Ciò che intendeva quando diceva di aver allevato un peccato sotto il suo tetto. Avevo le labbra gonfie e intorpidite. Le parole erano troppo grosse da pronunciare. “Mio padre…”
«“Era un vampiro.” A parlare era stato Aaron de Coste, che ora mi guardava dall’altro lato delle fiamme.
«“No” mormorai. “No… no, mia madre non avrebbe mai…”
«“Sperava che non fossi stato generato da lui. Lo speravano entrambi.” Manogrigia mi diede una pacca su un ginocchio e qualcosa di simile a compassione addolcì il suo sguardo. “Non fargliene una colpa, Leoncino. A occhi che non sanno vedere davvero, i sanguenobile sono bellissimi. Potenti. Le loro menti possono piegare perfino la volontà più forte e dalle loro bocche esce il miele più dolce.”
«Ripensai a Ilsa, inerme di passione mentre bevevo da lei quasi fino a ucciderla. Guardai quel cadavere appeso al ramo e poi le mie mani, completamente disgustato. “Io sono… come loro?”
«“No, Zotico” disse de Coste. “Tu sei come noi.”
«“Sei un meticcio, ragazzo” spiegò il frère. “Ciò che noi chiamiamo sanguepallido.”
«Spostai lo sguardo tra i due e notai che la loro pelle era bianca come uno spettro, proprio come la mia.
«“Il cambiamento avviene all’incirca con la pubertà” disse Manogrigia. “E peggiora con il tempo. Ereditiamo alcuni doni dei nostri padri. Forza. Velocità. Altri vantaggi che dipendono dalla stirpe a cui tali padri appartenevano. Ma ereditiamo anche la loro sete. Quella brama di sangue che spinge loro all’omicidio e noi alla follia. Siamo il frutto del peccato, ragazzo. Bada bene, noi siamo maledetti da Dio. E l’unico modo per ottenere di nuovo la sua eterna grazia e conquistare un posto in paradiso per le nostre anime dannate è combattere e morire per la sua Santa Chiesa.”
«“Questo… Ordine d’argento di cui parlavate?”
«“L’Ordo Argent.” Manogrigia annuì. “Siamo la fiamma d’argento che arde tra l’umanità e la tenebra. Cacciamo e uccidiamo i mostri che vorrebbero divorare il mondo degli uomini. Fatati e caduti. Danzavespro e stregoni. Risorti e abbietti. E oui, perfino sanguenobile. Un tempo i vampiri vivevano nelle ombre. Ma ora i sanguenobile non temono il sole. E la legione oscura del Re Sempiterno cresce ogni notte. E così noi, i figli del loro peccato, dobbiamo pagare il fardello del costo. Resisteremo o cadremo tutti quanti.”
«“Dunque… il nostro scopo è combattere questo Re Sempiterno e il suo esercito?”
«“Gli eserciti combattono gli eserciti. Ma l’imperatrice Isabella ha convinto l’imperatore Alexandre che ha bisogno di un rasoio, oltre che di un martello. L’Ordo Argent è quel rasoio. Siamo una fratellanza con una tradizione consacrata, però prima d’ora non abbiamo mai operato con il patrocinio reale. I generali dell’imperatore si occuperanno degli assedi e raduneranno le loro file. Ma saremo noi a colpire la testa del serpente. Uccideremo i pastori e guarderemo le loro pecore sparpagliarsi.”
«“Assassini” mormorai.
«“No, ragazzo. Cacciatori. Con un mandato divino. E delle prede più pericolose.” Manogrigia spostò lo sguardo sulle fiamme e il fuoco riaccese i suoi occhi. “Siamo la speranza per i disperati. Il fuoco nella notte. Ci aggiriamo nel buio come quegli esseri, che conosceranno il nostro nome e dispereranno. Finché bruciano, noi saremo fiamma. Finché sanguinano, noi saremo lame. Finché peccano, noi saremo santi.” Allora Manogrigia e de Coste parlarono, le voci all’unisono. “E siamo argento.”
«Frère Manogrigia fissò i miei occhi stupiti. Avvertii il suo sguardo come un pugno attorno al mio cuore. Poi si alzò, tornando alle sue preghiere, silenzioso come se non avesse mai parlato. Ma aveva parlato eccome. E ciò che aveva detto ora riempiva la mia mente. Ero spaventato come mai prima di allora. Terrorizzato dalla verità di ciò che ero. Avevo appena appreso che tutta la mia fottuta esistenza era stata una menzogna. Mio padre non era mio padre. Ero invece il frutto di un peccato mostruoso che adesso cresceva come un cancro dentro di me. Eppure, Aaron e Manogrigia erano figli di quella stessa oscurità e si ergevano in difesa dell’imperatore, della Chiesa e dell’Onnipotente stesso. Fratelli dell’Ordine d’argento di Santa Michon.
«Mia madre aveva sempre parlato del leone nel mio sangue. Ma per la prima volta in vita mia lo sentivo svegliarsi. Mia sorella era morta per mano di quei sanguefreddo. E benché non fossi riuscito a salvarla allora, potevo vendicarla adesso, e forse redimere anche la mia anima dannata. Anche se ero nato dal peccato più oscuro, quella sembrava una salvezza. E guardando in quelle fiamme giurai che, se dovevo unirmi a quegli uomini, sarei stato il migliore tra loro. Il più feroce. Il più fedele. Che non avrei vacillato, fallito né riposato finché l’ultimo di quei mostri non fosse stato rimandato nell’inferno che l’aveva generato e lì avesse portato a mia sorella i miei affettuosi saluti.» Gabriel sospirò e scosse il capo. «Non immaginavo in cosa cazzo mi ero cacciato.»