I

INGIUSTIZIA

«MANCAVANO PIÙ DI due ore alla notte quando accadde» disse Gabriel. «Stavo cavalcando verso nord, tra campi in rovina, fradicio per una pioggerellina grigia. Il vento portava con sé il primo, aspro morso dell’inverno e la terra attorno a me aveva un’aria inquieta. Da alberi morti pendevano filari di funghi pallidi, la strada era miglia di vuota melma nera. I villaggi che attraversavo erano cittadine fantasma: edifici vuoti e cimiteri pieni. Non vedevo una persona viva da giorni. Era passato più di un decennio da quando avevo viaggiato nel regno dell’imperatore Alexandre, Terzo del Suo Nome. E tutto sembrava peggiore di quando l’avevo lasciato.»

«Quanto tempo fa è stato, con esattezza?» domandò Jean-François.

«Tre anni fa. Avevo trentadue anni.»

«Dov’eri stato?»

«A sud.» Gabriel scrollò le spalle. «Giù nel Sūdhaem.»

«E perché avevi lasciato il tuo adorato Nordlund?»

«Patience, sanguefreddo.»

Il vampiro increspò le labbra ma non replicò.

«Indossavo il cappotto logoro per tenere a bada la pioggia. Macchie di sangue sbiadite. Cuoio nero. Tricorno calcato sulla testa, colletto piegato in alto, come mi aveva insegnato il mio vecchio maestro. Erano trascorsi anni da quando avevo indossato quell’equipaggiamento, ma mi calzava ancora come un guanto. La spada pendeva in un fodero malconcio assicurato in vita, il mio capo era chinato per opporsi agli elementi mentre cavalcavamo attraverso quel deprimente cosiddetto giorno.

«Giustizia odiava la pioggia. L’aveva sempre odiata. Ma cavalcava veloce come al solito, procedeva nel freddo e nel silenzio vuoto. Era un animale bellissimo: nero e coraggioso, solido come le mura di un castello. Per essere un castrone, quel cavallo aveva più palle di molti degli stalloni che avessi mai incontrato.»

Jean-François sollevò lo sguardo. «Avevi ancora lo stesso cavallo?»

Gabriel annuì. «Era un po’ più malandato di una volta. Come me. Ma era proprio come mi aveva detto l’abate Khalid: Giustizia era il mio amico più vero. Ormai mi aveva salvato la vita più volte di quante riuscissi a contare. Insieme avevamo attraversato l’inferno e lui mi aveva riportato a casa. Gli volevo bene come a un fratello.»

«E tenesti il nome che quella scurrile sorella novizia gli aveva dato? Astrid Rennier?»

«Oui.»

«Perché? Quella ragazza aveva qualche significato per te?»

Gabriel voltò gli occhi verso la lanterna, la fiamma che gli danzava nelle pupille. «Patience, sanguefreddo.»

Il silenzio aleggiò nella cella, l’unico suono il sussurro del pennino sulla pergamena. Passò parecchio prima che il Santo d’argento continuasse.

«Avevo cavalcato per mesi senza molto riposo. Avevo programmato di superare il Volta prima che giungesse il cuore dell’inverno, ma le strade erano più accidentate del previsto e la mappa che avevo era datata. Tanto per cominciare, la gente del luogo aveva distrutto la strada a pedaggio ad Hafti e abbattuto il ponte sul Keff. Non ero riuscito a trovare traghettatori in attività, né un’anima viva per miglia e miglia. Così ero stato costretto a tornare indietro e a dirigermi a monte del fiume.»

«Perché?» chiese Jean-François.

Gabriel batté le palpebre. «Perché tornai indietro?»

«Perché la gente del luogo aveva distrutto il ponte sul fiume Keff?»

«Come ho detto, è stato solo tre anni fa. Erano passati ventiquattro anni dal sine die. A quel punto, i signori del Sangue avevano trasformato il regno in un mattatoio. Il Nordlund era una desolazione. A parte pochi insediamenti costieri, l’Ossway era caduto. Gli eserciti del Re Sempiterno erano sempre più vicini a Augustin e gli abbietti senza padrone sciamavano per il Sūdhaem settentrionale come pidocchi su una prostituta del porto. La gente del luogo aveva demolito il ponte per fermare la loro avanzata.»

Il vampiro picchiettò la penna, la fronte corrucciata. «Te l’ho detto, de León. Parla come se ti rivolgessi a un bambino. Per quale motivo la gente del luogo abbatté il ponte?»

Il Santo d’argento lo fissò duramente, la mascella serrata. Poi parlò; non come a un bambino normale, ma come a uno che la madre avesse fatto cadere, di testa, più volte e con entusiasmo. «I vampiri non possono attraversare l’acqua corrente. Tranne che su ponti oppure sepolti nella terra fredda. I più potenti tra loro possono riuscirci con un supremo atto di volontà. Ma per i Morti appena risorti, la corrente di un fiume è come un muro di fiamme.»

«Merci. Per favore, continua.»

«Sei sicuro? Nessun’altra blaterante cazzata di cui conosci già la risposta?»

Il vampiro sorrise. «Patience, chevalier.»

Gabriel inspirò a fondo e proseguì. «Dunque. Era dalla mattina che non fumavo e la sete stava silenziosamente impadronendosi di me. Sapevo che quel giorno non sarei andato molto oltre. Ma consultando la mia vecchia mappa, vidi che la cittadina di Dhahaeth si trovava a meno di un’ora a cavallo verso nord. Presumendo che quel luogo fosse ancora in piedi, la promessa di un fuoco e di qualcosa di caldo nello stomaco bastò a tenere a bada i tremori. Così, sperando di rifarmi del tempo perduto, lasciai la strada e tagliai attraverso un tappeto ondulato di prataioli e poi in una foresta di funghi viventi e alberi morti da tempo.

«Ero entrato da dieci minuti nel bosco, quando il primo abbietto mi trovò. Una donna. Forse trentenne quando era stata uccisa. Era silenziosa come un fantasma, ma Giustizia si accorse di lei e abbassò le orecchie sulla testa. Un attimo dopo la vidi, che si muoveva come un cacciatore, dritto verso di me. I suoi capelli erano uno scarmigliato groviglio biondo e si avvicinò rapida come un lupo, magra e nuda, con la pelle che le pendeva in pieghe umide attorno a una ferita aperta sul collo.

«Stava correndo rapida. Molto più di qualunque mortale. Non avevo paura di un singolo abbietto, ma quei bastardi sono come menestrelli: dove ce n’è uno, ce ne sono sempre altri, e, quanti più ti trovano, tanto più diventano irritanti. Così diedi un colpetto a Giustizia e partimmo al galoppo, passando tra i resti degli alberi. Allentai la spada nel fodero e vidi un secondo abbietto alla mia destra. Un ragazzino sūdhaemico, che correva tra le alte guglie di tuberi e funghi. Poi ne individuai un altro più avanti. E un altro ancora. Tutti silenziosi come cadaveri. Tutti che correvano veloci. Nessuno di loro era rapido quanto Giustizia, bada bene. Ma riuscii a capire che erano un branco. Ciascuno aveva più o meno dieci anni.»

Jean-François sollevò un sopracciglio, picchiettando ancora la penna. «Come a un bambino, de León.»

Gabriel sospirò. «Gli abbietti appena risorti sono pericolosi, non fraintendermi. Ma su una scala da uno a dieci, dove uno è la solita rissa in un pub dell’Ossway, e dieci è l’incubo più temibile che possa uscire dalla bocca dell’inferno, quelli stanno sul quattro. Nemmeno i più anziani tra loro possono competere con un sanguenobile. Ma gli abbietti più vecchi non vanno sottovalutati. La vostra specie diventa più potente quanto più tempo viene lasciato al vostro sangue per addensarsi. Quelli attorno a me erano pericolosi, ed erano tanti. Ma Giustizia procedette spedito per il bosco morto, zigzagando tra le macchie di funghi al galoppo allungato. I suoi zoccoli erano tuono e il suo cuore impavido, così presto ci lasciammo alle spalle quei bastardi senza sangue.

«Spuntammo dalla foresta qualche tempo dopo, madidi di sudore, accolti dalla pioggia. Una gelida vallata grigia si stendeva davanti a noi, coperta da una coltre di nebbia. A poca distanza verso nord-est riuscivo a vedere una strada, un nastro scuro nella luce fioca. Poche miglia più avanti c’erano il guado e la sicurezza. Diedi una pacca a Giustizia mentre si avviava al galoppo nella valle e gli sussurrai all’orecchio: “Fratello mio. Il mio ragazzo preferito”.

«E poi il suo zoccolo trovò la tana del coniglio. La zampa anteriore sprofondò nel terreno e l’articolazione si ruppe con un orrendo crac. I suoi nitriti mi riempirono le orecchie mentre cadevamo. Andai a sbattere contro il terreno e sentii qualcosa spezzarsi, poi ansimai per la sofferenza mentre mi rotolavo per appoggiarmi contro un ceppo marcio. La mia spada era scivolata via dal fodero e giaceva nella melma. Mi ronzava la testa e un fuoco divampava lungo il braccio. Seppi subito che me l’ero rotto, per via di quel familiare sfregamento di vetri infranti sotto la pelle. Non era così grave: sarei guarito entro il mattino. Ma non si poteva dire lo stesso per il mio povero Giustizia.» Gabriel emise un sospiro profondo. «Mi alzai dal corpo del mio ragazzo, mento e mani anneriti dal fango. Guardai la tibia spezzata spuntare dalla zampa anteriore mentre lui cercava di sollevarsi, coraggioso fino all’ultimo.

«“Oh, no” mormorai. “No, no.”

«Giustizia nitrì di nuovo, impazzito per il dolore. Voltai la faccia verso il cielo e una rabbia familiare mi crebbe nel petto. Abbassai lo sguardo sul mio amico, il braccio sanguinante, la gola serrata, il cuore che si spezzava. Era stato con me fin da quel primo giorno a Santa Michon. Tra sangue e guerra, fuoco e furia. Diciassette anni. Era tutto ciò che mi rimaneva. E adesso… questo?

«“Dio mi odia, cazzo” sussurrai.

«“E perché pensi che sia così, s-sia così?

«Quella voce giunse come sempre. Lievi increspature argentee dentro la mia testa. La ignorai meglio che potevo, osservando mio fratello cercare di rialzarsi sulla zampa rotta. Quella si piegò malamente e lui crollò di nuovo a terra, i grandi occhi bruni che roteavano all’interno del cranio. La sua sofferenza era anche la mia.

«“Sai cosa dev’essere f-fatto, Gabriel” giunse ancora la voce argentata.

«Guardai la spada lunga ai miei piedi, sfoderata e macchiata di fango. L’impugnatura a due mani era avvolta in cuoio nero, l’elsa argentata aveva la foggia di una donna bellissima, le sue braccia spalancate a formare la guardia. La lama era curva ed elegante; era stata modellata in un arcaico stile talhostico, ma possedeva comunque una grazia letale. Forgiata dal cuore scuro di una stella caduta in un’epoca il cui nome era leggenda. Ma era spezzata. Sembravano passate vite intere da quando era successo. Rotta a sei pollici dalla punta.

«“Zitta” le dissi.

«“Lo f-f-fiuteranno. Lo faranno a pezzi, sì, rossi e appiccicosi, rossi e appiccicosi, mentre lui urlerà, urlerà e urlerààà. Questa sarà dolcissima misericordia.

«“Perché mi dici sempre quello che so già?”

«“Perché hai sempre b-b-bisogno che sia io a farlo?

«Guardai il mio cavallo negli occhi, il dolore al braccio rotto ormai dimenticato. Di tutti coloro che avevo chiamato amici nel corso degli anni, Giustizia era l’unico rimasto. E tra il suo dolore e la paura, nella sua ora più buia, lui guardò me. Il suo Gabriel. Quello che da ragazzo lo aveva incontrato nelle stalle di Santa Michon, che l’aveva portato con sé da quel luogo fino all’esilio, quando nemmeno uno dei suoi cosiddetti fratelli era venuto a dirgli addio. Si fidava di me. Malgrado la sofferenza, sapeva che in qualche modo io avrei messo le cose a posto.

«E io gli trapassai il cuore con la spada.

«Non era la fine più rapida che avrei potuto donargli. Avevo un colpo carico nella pistola a ruota. Ma mancavano solo due ore alla notte e la cittadina di Dhahaeth ne distava almeno quattro a piedi. A quanto pareva, da quelle parti gli abbietti erano numerosi come mosche sulla merda, e un uomo senza cavallo è solo un pasto non ancora consumato. Sempre meglio essere un bastardo che uno sciocco.

«Comunque sedetti con Giustizia mentre moriva. La sua testa affondò pesante sul mio grembo intanto che il suo sangue finiva di spandersi nel fango. Il cielo era oscurato dall’ombra, le mie lacrime calde nella pioggia gelida. La mia spada spezzata era conficcata nel terreno, lucente per il sangue del mio amico. Alzai lo sguardo verso il cielo sopra di me, verso quel Dio che sapevo mi stava osservando. “Fottiti” gli dissi.

«“G-Gabriel” sussurrò la lama nella mia testa.

«“E fottiti anche tu” sibilai.

«“Gabriel” ripeté lei in tono più insistente.

«“Cosa c’è?” Guardai torvo la spada, la mia voce strozzata. “Non puoi darmi un momento per piangerlo, empia puttana?”

«La lama parlò di nuovo, raggelandomi il sangue. “Gabriel, stanno a-arrivando.”»