II

I TRE MODI

«IL RAGAZZO SI mise a correre per primo. Quello piccolo. Non poteva aver avuto più di sei anni quando era Cambiato. Si muoveva rapido come un cervo, giù per la valle diretto verso di me. Gli altri lo seguivano: la donna bionda, un uomo smunto, un altro più basso e largo. Adesso il branco ammontava ad almeno due dozzine.

«Mi misi in piedi ansimando, con il braccio rotto che dondolava inutile al mio fianco. Il dolore tornò quando strappai via le bisacce con la mano sana e rinfoderai la lama spezzata. Dissi addio al mio povero fratello e poi iniziai a correre giù per la valle verso il nastro di quella strada distante. Il guado si trovava almeno tre miglia oltre. C’erano poche possibilità che riuscissi ad andare più veloce di un branco di abbietti così a lungo. Ma sapevo che si sarebbero fermati per Giustizia: il suo sangue si era spanto nel fango, impregnando l’aria. Bastardi come quelli non sarebbero stati in grado di resistere.

«Riuscivo a sentire i brividi, la sete mi faceva sussultare il cuore e mi dava dolori allo stomaco. Barcollando e quasi scivolando nel fango, afferrai una fiala di vetro dalla mia bandoliera. Sul fondo rimaneva solo un pizzico di polvere del colore di petali di rosa e cioccolato; la sua promessa mi faceva tremare la mano ancora più forte. Ma quando la infilai nel cappotto, il cuore mi finì negli stivali nel rendermi conto che il mio acciarino era scomparso. “Porca di quella puttana…” sussurrai.

«Tastai la cintura e poi la giacca, ma sapevo già cos’era successo: dovevo averlo perso quando Giustizia mi aveva sbalzato di sella. E ora non avevo alcun modo per pareggiare le probabilità contro di me. E così continuai a correre, mettendo a tracolla il braccio rotto all’interno della bandoliera e trasalendo per il dolore. Sarebbe guarito con il tempo, ma gli abbietti non me ne avrebbero lasciato. Adesso la mia unica speranza era il fiume, ed era esile. Se mi avessero preso, sarei morto come Giustizia.»

Jean-François alzò lo sguardo dal quaderno. «Li temevi così tanto?»

«I cimiteri di tutto il mondo sono pieni di sciocchi che non avevano considerato la paura come un’amica.»

«Forse la tua leggenda è stata cambiata man mano che veniva raccontata, de León.»

«Succede sempre. E in peggio.»

Il vampiro si scostò i boccoli dorati e i suoi occhi scuri vagarono per le spalle ampie di Gabriel. «Si dice che fossi lo spadaccino più temibile mai vissuto.»

«Io non esagererei.» Il Santo d’argento scrollò le spalle. «Ma mettiamola così: meglio non farmi tirare a sorte i padri se ho con me qualcosa di affilato.»

Il vampiro batté le palpebre. «Tirare a sorte i padri?»

Gabriel sollevò la mano destra, le dita protese, poi afferrò l’avambraccio con la sinistra. «Un vecchio insulto nordlundiano. Implica che tua madre ha avuto così tanti uomini nel suo letto che è impossibile determinare la tua paternità. E insultare mia madre è un ottimo modo per farti infilzare la faccia.»

«Allora perché fuggire? Un campione dell’Ordine d’argento? Il detentore di Bevicenere in persona? Che fugge come un cucciolo frustato da un branco di sanguemarcio?»

«La Terza Legge, vampiro.»

Jean-François inclinò la testa. «I Morti corrono veloce.»

Gabriel annuì. «C’erano più di venti di quei bastardi. Avevo il braccio con cui brandivo la spada rotto almeno in due punti. E, come ho detto, non avevo modo di fumare.»

Jean-François lanciò un’occhiata alla pipa d’osso sul tavolino davanti a loro. «Facevi così tanto affidamento sul sanctus?»

«Non vi facevo affidamento: ne ero dipendente. E oui, avevo altri trucchi a disposizione, ma il braccio era doppiamente fottuto e affrontarne così tanti era un rischio troppo grande. Avevo poche speranze di seminarli, a dire la verità, ma sono sempre stato troppo testardo per sdraiarmi a terra e morire. Quindi cercai di svignarmela. Avevo la pioggia negli occhi. Il cuore in gola. Pensavo a tutto ciò che avrei voluto fare tornando in quel posto e mi domandai se avrei mai portato a termine qualcosa. Lanciai un’occhiata indietro e vidi che gli abbietti avevano finito con il corpo di Giustizia. Si alzarono dal fango e vennero avanti, labbra rosse e denti brillanti.

«Raggiunsi la strada, barcollando nel fango mentre sopra di me rombava il tuono. In quel momento ero quasi spacciato. Avevo gli abbietti alle calcagna. Estrassi la spada dalla disperazione.

«“Se vieni ucciso qui b-brutalmente” mormorò lei “e io finisco i miei giorni appesa all’anca di un ammasso di v-vermi s-senza cervello, sarò terribilmente arrabbiata con te.

«“Cosa diavolo vuoi da me?” sibilai.

«“Corri, Leoncino” replicò la spada. “CORRI.

«Feci come mi diceva la lama. Un ultimo scatto. E nell’istante in cui il fulmine illuminava il cielo, strinsi gli occhi per guardare tra la pioggerella e lo vidi davanti a me. Un miracolo. Una carrozza a cui era attaccato un povero cavallo da tiro grigio, ferma in mezzo alla strada.»

«Intervento divino?» mormorò Jean-François.

«Oppure il diavolo che ama i suoi simili. La carrozza era circondata da una dozzina di soldati. La biada era scarsa in quelle notti e mantenere un cavallo non era mai stata una cosa da poveri. Ma anche ciascuno di quegli uomini aveva un destriero: ottimi sosya robusti, con la testa abbassata nella pioggia mentre i loro cavalieri litigavano, con gli stinchi immersi nella mota. Capii in un attimo qual era il problema: il tempo aveva trasformato la strada in un pantano e la loro carrozza era affondata fino agli assali.

«I soldati erano ben equipaggiati e ben nutriti. Abbigliati in tabarri cremisi e armatura a piastre di ferro, incrostati di sudiciume, tentavano di liberare la carrozza. A capo del drappello, a frustare il povero cavallo da tiro come se il fango fosse colpa sua, c’erano due donne alte e pallide. Erano quasi identiche, forse gemelle. Avevano i capelli lunghi, neri e tagliati in frange a punta, e portavano tricorni con corti veli triangolari sopra gli occhi. Erano abbigliate in cuoio e anche i loro tabarri erano rosso sangue, contrassegnati dal fiore e dal flagello di Naél, l’angelo dell’estasi. Allora mi resi conto che non si trattava di normali soldati. Erano al soldo dell’Inquisizione.

«Gli uomini mi avevano sentito arrivare, ma non sembravano troppo turbati. E poi notarono il branco di cadaveri al mio inseguimento e tutti quanti sembrarono sul punto di cagarsi addosso. “I Martiri ci salvino” mormorò uno, e: “Che io sia fottuto” ansimò un altro; alle inquisitrici quasi si staccò la mascella dalla testa.

«“Gabriel, attento!” Il sussurro mi risuonò nella mente, increspando argento dietro i miei occhi. Mi voltai con un urlo mentre il primo abbietto mi raggiungeva. Era tanto vicino che potevo sentire il suo alito fetido e vedere la forma del ragazzino che era stato. Aveva cominciato a decomporsi parecchio prima di trasformarsi, ma si muoveva rapido come mosche, gli occhi da bambola morta scintillanti come vetro rotto.

«La mia spada tagliò l’aria, un fendente sbrigativo tutt’altro che poetico. La lama incontrò la coscia del mostro e continuò la sua corsa, staccando di netto la gamba in uno zampillo di sangue marcio. L’essere crollò senza un suono, ma gli altri arrivarono, troppo rapidi per combatterli e troppo numerosi per sopraffarli. I sosya nitrirono di terrore alla vista dei Morti, scattando in tutte le direzioni con un fragore di zoccoli. I soldati urlarono dietro gli animali dalla rabbia, in preda alla paura.» Gabriel congiunse le dita contro il mento. Si fermò a riflettere. «Ora, esistono tre modi in cui una persona può reagire quando guarda la morte negli occhi. La gente parla di attaccare o fuggire, ma in realtà si può anche rimanere immobili. Quei soldati videro le due dozzine di cadaveri che li caricavano e ciascuno scelse un sentiero diverso. Alcuni sollevarono le spade. Altri si insozzarono le brache. E le inquisitrici gemelle si scambiarono un’occhiata, estrassero lunghi coltelli affilati dalle cinture, poi tagliarono le briglie che legavano il cavallo alla loro carrozza.

«“Corri!” urlò una, issandosi sul dorso dell’animale terrorizzato.

«L’altra balzò dietro di lei, dando al cavallo un calcio forte. “Galoppa, puttana!”

«“Gabriel, devi…

«Rinfoderai la spada, silenziando la voce nella mia testa. Allungai la mano sinistra verso la cintura, tremando mentre estraevo la pistola a ruota. Era argentata, con la septistella sbalzata sull’impugnatura di mogano. Il colpo che avrei potuto sparare a Giustizia era ancora nella canna. E, lieto di averlo conservato, lo usai sulle inquisitrici.

«Lo sparo riecheggiò e il proiettile d’argento squarciò la schiena di una donna in uno schizzo di sangue. Quella ruzzolò giù di sella con un grido e l’animale si impennò, gettando nel fango sua sorella. Senza fiato, scattai oltre i soldati stupefatti e balzai in groppa al cavallo.

«“Aspetta!” urlò la prima donna.

«“B-bastardo!” tossì l’altra, sporca di sangue in mezzo al fango.

«Ma non avevo tempo per nessuno di loro. Stringendo la criniera con la mano sana, sollevai i talloni per un calcio. Ma al cavallo non serviva alcun incoraggiamento e nitrì di terrore quando gli abbietti avanzarono. Scalpitò nel pantano e schizzò via: in uno spruzzo di fango nero, galoppammo verso il fiume senza nemmeno guardarci indietro.» Gabriel tacque. Nella cella risuonò un silenzio lungo come anni.

«Li lasciasti lì tutti quanti» disse infine Jean-François.

«Oui.»

«Li lasciasti a morire.»

«Oui.»

Jean-François sollevò un sopracciglio. «Le leggende non ti hanno mai definito un codardo, de León.»

Gabriel si sporse nella luce. «Guardami negli occhi, sanguefreddo. Ti do l’impressione di un uomo che ha paura di morire?»

«Mi dai l’impressione del tipo d’uomo che accoglierebbe la morte di buon grado» ammise il vampiro. «Ma i Santi d’argento erano concepiti come esempi dell’Unica Fede. Uccisori dei mostri più spregevoli e nobili guerrieri di Dio. E tu eri uno dei migliori tra loro. Piangi come un bambino per un cavallo morto ma spari a una donna innocente nella schiena, poi lasci uomini timorati di Dio a essere massacrati da sanguemarcio.» Lo storico si accigliò. «Che genere di eroe saresti?»

Gabriel rise, scuotendo il capo. «Chi cazzo ti ha detto che ero un eroe?»