«GUADAMMO IL KEFF poco tempo dopo. Il fiume arrivava alle spalle della mia cavalla, ma lei era forte e sospettavo che fosse lieta di essersi liberata delle inquisitrici e delle loro fruste. Non conoscevo il suo nome e immaginavo che non l’avrei tenuta a lungo. Perciò la chiamai semplicemente “Gez” mentre proseguivamo al buio.»
Jean-François batté le palpebre. «Gez?»
«Abbreviazione di Gezabele. Dato che l’avrei conosciuta solo per una notte.»
«Ah. Umorismo da bordello.»
«Non morire dal ridere, sanguefreddo.»
«Farò del mio meglio, Santo d’argento.»
«Il mio braccio stava guarendo lentamente» continuò Gabriel. «Ma sapevo che mi sarebbe servita una dose di sanctus perché andasse davvero a posto. E senza l’acciarino non avevo alcun modo ragionevole di accendere una pipa, tanto meno una lanterna, così procedemmo alla cieca verso Dhahaeth, sperando contro ogni possibilità che la cittadina fosse ancora in piedi. La poca luce sprigionata dal sole era scomparsa da parecchio quando li vidi in lontananza, ma il mio cuore ebbe comunque un sobbalzo: fuochi, che ardevano come fari in un mare nero.
«Gez era a disagio quanto me nel buio e cavalcò più veloce verso la luce. Da quel poco che avevo sentito di Dhahaeth, era una cittadina di mulini con un’unica cappella sulle sponde del Keff. Ma il posto fuori dal quale mi arrestai era simile a una piccola fortezza. Non potevano permettersi molta pietra, tuttavia una pesante palizzata di legno era stata eretta all’esterno: alta dodici piedi, arrivava fino alla riva del fiume. La costeggiava una trincea profonda, irta di spuntoni di legno, e in cima a essa ardevano dei falò malgrado la pioggia. Quando ci fermammo al cancello scorsi cadaveri anneriti dal fuoco nel fossato e delle figure su un camminamento dietro gli spuntoni della palizzata.
«“Alt” urlò una voce con un pesante accento sūdhaemico. “Chi va là?”
«“Un uomo assetato che non ha tempo per le stronzate” replicai.
«“Ci sono una decina di balestre puntate contro il tuo petto proprio ora, fotticuli. Parlerei con più educazione, se fossi in te.”
«“Fotticuli, questa sì che è arguta.” Annuii. “Me la ricorderò la prossima volta che monterò tua moglie.”
«Udii una risata sommessa da parte di un’altra delle figure, poi la voce parlò di nuovo: “Buona fortuna sulla strada, straniero. Ne avrai bisogno”.
«Sospirai piano, mi tolsi il guanto con i denti e sollevai la mano sinistra. La septistella tatuata sul mio palmo brillò debolmente alla luce del fuoco. Allora un sussurro si diffuse tra le figure come una febbre.
«“Santo d’argento.”
«“Santo d’argento!”
«“Aprite il dannato cancello!” urlò qualcuno.
«Udii il pesante rumore sordo di legno e i battenti della palizzata si spalancarono. Diedi un colpetto a Gez e i miei occhi si strinsero contro la luce delle torce. Una squadra di guardie attendeva dall’altra parte in un cortiletto fangoso, nervose come agnelli a primavera. Riuscii a capire con uno sguardo che erano miliziani coscritti, molti dei quali avevano visto troppo pochi inverni e altri fin troppi. Indossavano vecchio cuoio bollito ed erano armati di balestre, torce accese e lance in legno di frassino, tutte puntate nelle mie vicinanze.
«Smontai da Gezabele e le diedi una pacca di gratitudine. Poi mi voltai verso il bacile di pietra alla destra del cancello. Aveva la forma di Sanael, l’angelo del sangue, le sue mani protese a reggere una ciotola di acqua limpida. I miliziani erano inquieti, le armi pronte. E, guardandoli negli occhi, vi intinsi le dita e le agitai.»
Jean-François batté le palpebre in una domanda silenziosa.
«Acqua santa» spiegò Gabriel.
«Pittoresco» replicò il vampiro. «Ma dimmi, perché insultare il guardiano, quando avresti potuto semplicemente mostrare il palmo ed entrare senza fatica?»
«Avevo appena ucciso il mio migliore amico. Quasi perso la vita per un branco di maledetti cadaveri. Il mio braccio pulsava come l’uccello di un verginello durante la sua prima gitarella nei boschi, ero stanco, affamato e desideroso di fumare, e anche nei miei giorni migliori sono una specie di bastardo. E quello non era decisamente uno dei miei giorni migliori.»
Lo sguardo di Jean-François vagò su di lui, dalla testa ai piedi. «Nemmeno questo, temo?»
Gabriel picchiettò il borsello di cuoio vuoto che aveva alla cintura. «Ammira il borsello in cui tengo il cazzo che me ne frega di ciò che pensi di me.»
Il vampiro inclinò il capo e attese.
«I miliziani si fecero da parte» continuò Gabriel. «Molti di loro non avevano mai visto un Santo d’argento, suppongo, ma ormai le guerre infuriavano da anni e tutti avevano udito racconti dell’Ordo Argent. Scorsi meraviglia nei giovani, silenzioso rispetto tra i più anziani. Sapevo cosa vedevano quando mi guardavano. Un bastardo mezzosangue. Un folle mandato da Dio. La sottile linea argentea tra ciò che restava della civiltà e la tenebra intenzionata a inghiottirla completamente.
«“Io non ho una moglie” mi disse uno.
«Lo guardai perplesso. Era un giovane sūdhaemico con i denti storti; pelle scura, capelli tagliati corti, grande appena quanto bastava per avere della peluria sullo scroto.
«“Hai detto che avresti montato mia moglie” affermò in tono di sfida. “Io non ce l’ho.”
«“Considerati fortunato, ragazzo. Ora, da che parte per la fottuta taverne?”»