VII

STELLE IN UN CIELO PASSATO

«MI SVEGLIAI QUANDO l’oscurità era più profonda e la speranza sembrava più lontana dal cielo. Aprii gli occhi su quel velluto nero. Sentivo ancora sapore di vodka sulla lingua, un accenno di fumo di candela, il profumo di cuoio e polvere sospesi nel buio come una vecchia promessa. Il braccio non mi faceva più male. Mi domandai dove fossi, cosa mi avesse svegliato. E poi tornò… quel suono che arrivava sempre, che accelerava i battiti del mio cuore contro le costole e mi trascinava attraverso il muro a brandelli del sonno.

«Un grattare alle finestre.

«Mi misi a sedere, le lenzuola attorcigliate attorno alle gambe, stringendo gli occhi verso il davanzale. E anche se la mia stanza si trovava al piano superiore della taverne, la vidi comunque fuori che mi aspettava. Galleggiava, come sommersa da acqua nera, le braccia spalancate mentre strisciava le unghie contro il vetro. Diafana come luce lunare. Fredda come la morte. Nessun alito sulla finestra mentre avvicinava il volto a forma di cuore spezzato e sussurrava: “Mio leone”.

«Non indossava nulla se non il vento. I suoi capelli erano catrame setoso e le ondeggiavano intorno al corpo come nastri di una marea senza lune. La sua pelle era pallida come le stelle in un cielo passato, la sua bellezza nata da canti di ragni e sogni di lupi affamati. Il mio cuore doleva nel vederla, di quella terribile sofferenza che non puoi sperare di sopportare, tranne per il vuoto che ti lascerebbe se te la mettessi alle spalle. E lei mi guardò, oltre il vetro della finestra, e i suoi occhi erano neri e solenni.

«“Lasciami entrare, Gabriel” mormorò. Fece scorrere quelle mani pallide sul suo corpo, attardandosi sulle curve nude che conoscevo bene quanto il mio stesso nome. Labbra esangui si schiusero quando sussurrò di nuovo. “Lasciami entrare.”

«Mi accostai alla finestra e aprii il chiavistello, invitandola nelle mie braccia in attesa. La sua pelle era fredda come tombe vuote e la sua mano dura come lapidi mentre la intrecciava ai miei capelli. Ma la labbra erano morbide come un cuscino quando mi trascinò giù, mentre le mie palpebre sfarfallavano e si chiudevano al suono del suo sospiro, e sentivo le lacrime scorrermi lungo le guance e macchiare il nostro bacio di sale e tristezza.

«Le sue mani erano sul mio corpo e la sua bocca incalzante contro la mia. Colsi sapore di foglie cadute e la rovina di imperi sulla sua lingua. Poi avvertii i suoi denti, aguzzi e bianchi, contro il mio labbro; un’estatica staffilata di dolore e un impeto di rame caldo come sangue, e tutto il suo corpo rabbrividì mentre si lasciava andare con più forza al mio abbraccio. Mi spinse all’indietro verso il letto e i suoi denti mi sfiorarono la gola quando strappò la stoffa e il cuoio che ci separavano, lasciandomi più nudo a ogni bacio.

«E poi fu sopra di me, nuda e premuta contro il mio corpo, tutta ombra e bianco latte, ringhiando nel vuoto affamato del suo petto. I suoi baci scesero e lei sibilò per un doloroso piacere al tocco sfrigolante di inchiostro argentato contro la bocca. Ma non c’erano tatuaggi sotto la mia cintura, nessuna Egida a sbarrarle la strada verso il suo premio, e fu lì che infine affondò, sospirando mentre infilava una mano nelle brache e mi liberava, caldo e dolente nel freddo del suo palmo. Ansimai quando mi accarezzò delicatamente, quando soffiò su di me un alito senza fiato, quando inumidì labbra rosse contro la punta della lingua e poi la fece scorrere per tutto il mio membro, lasciandomi tremante e dolorante.

«“Mi manchi” sospirò. Le sue labbra sfiorarono la sommità mentre parlava, arricciandosi in un sorriso scuro, mentre la sua lingua stuzzicante e il suo tocco gentile infiammavano ogni pollice di me. “Ti amo…”

«Poi schiuse quelle labbra color rubino e mi inghiottì tutto: inarcai la schiena e il legno cigolò quando afferrai i montanti del letto e li strinsi come se ne dipendesse la mia vita. In quel momento ero inerme. Alla deriva nel movimento della sua mano, delle sue labbra, della sua lingua, un ritmo antico quanto il tempo, profondo come le tombe e caldo come il sangue. Lei mi trascinò ancora più in alto, fino a un paradiso ardente e senza stelle, e tutto ciò che conobbi era il suo tocco, il suo suono, i gemiti famelici e i tremolii serici che mi portavano sempre più vicino all’orlo.

«E alla fine, mentre cadevo, da qualche parte tra i sospiri, la luce accecante e la fiumana della mia piccola morte nella sua bocca in attesa, la sentii: la puntura di due rasoi gemelli, un dolore marcato nel mezzo dell’estasi, un impeto rosso prima del flusso della mia fine.

«E lei bevve.

«Molto tempo dopo che ebbi terminato, lei beveva ancora.»