XI

NOTTE E COLTELLI

«UN GRADO FA la differenza tra fluido e solido. Il divario tra acqua e ghiaccio. Ma coloro che sono cresciuti nei luoghi più freddi conoscono il cambiamento che avviene con l’inverno profondo, e il modo in cui ci conviviamo, in cui cambiamo con esso. I giorni fiochi lo diventano ancora di più, le notti cupe portano pensieri ancora più cupi. E mentre il paesaggio attorno a te cambia, lo stesso accade al limite del tuo spirito. Il buio diventa più pesante quando il tuo mantello è zuppo di neve sciolta. Meglio evitare di ridere quando hai la barba così incrostata di brina che persino sorridere fa male. La primavera sboccia e l’autunno arrugginisce. Ma l’inverno?

«L’inverno morde.

«Eravamo entrati nella selva settentrionale dieci giorni prima e tutto era notte e coltelli. Distese di marierba coprivano ogni superficie. Io ero un fascio di nervi e tutto il mio essere era sulle spine mentre guidavo Dior e Fortuna attraverso il bosco contorto.

«Più andavamo avanti, più quello scherzo del destino mi lasciava perplesso: che proprio io avessi finito per guidare quella ragazza al sicuro e che la salvezza dell’impero in qualche modo fosse caduta nelle mie mani così tanti anni dopo che l’impero stesso mi aveva voltato le spalle. Non sapevo la verità sul sangue di Dior, come potesse porre fine a quella situazione. Sapevo solo che volevo tenerla al sicuro. E così dormivo a malapena, sedendomi con Bevicenere in mano di notte, vegliando su Dior che sognava. Ogni ramoscello che si rompeva mi faceva accelerare i battiti. Occhi baluginavano come candele nell’oscurità, per spegnersi non appena li guardavo. Quando ci alzavamo al mattino, trovavamo orme impresse nella neve accanto al fuoco… lupi, forse, tranne le tracce che avevano troppe dita e puzzavano di marcio e zolfo.

«L’undicesimo giorno trovammo una radura con un albero antico al centro. Ai rami erano appese sculture fatte di ramoscelli e corpi morti… alcuni abbastanza recenti. Gli altri alberi erano piegati verso di esso, i rami premuti assieme come mani penitenti e distese di asfixia che pendevano come ciocche di capelli attorno a teste chinate. Delle voci supplicavano ai margini dell’udito. Giuro che quell’albero mi sussurrò al nostro passaggio. Saoirse ci aveva avvisato che la Piaga nel Nord era molto peggio che al Sud. Ma a dire il vero non ci aveva raccontato nemmeno la metà della storia.

«Dior si guardò attorno e rabbrividì. “E tu ti chiedi perché non abbia mai lasciato la città.”

«“No” replicai. “In effetti non me lo chiedo.”

«“Non penso che saremmo dovuti venire da questa parte.”

«“Be’, non dare la colpa a me” sibilai.

«“E perché no?”

«“Perché… preferirei che non lo facessi?”

«“Una risposta sbalorditiva.

«Guardai torvo la spada che avevo in mano. “Stronza, mi hai infilzato. Io lascerei perdere le battute per qualche altro giorno, se fossi in te.”

«“Ti porgo le mie scuse. Cos’a-a-altro vorresti chiedere?

«“Che ne dici di non farlo mai più?”

«“Questo… non p-p-posso giurarlo.

«“Lo senti questo odore?” chiese Dior.

«Levai il naso al vento e annuii. “Morte.”

«Ci fermammo per la notte e legammo Fortuna a un albero che assomigliava a una donna in lacrime, con le braccia sopra il volto. Il cielo era nero come il peccato, la neve cadeva senza posa e il vento ululava tutt’attorno a noi tra i rami contorti e scricchiolanti, tombe di sovrani che un tempo avevano governato quel luogo quando tutto era verde e buono.

«Dopo un pasto fosco, fumai una pipa rossa mentre ce ne stavamo seduti a tremare. Tutta la notte era viva, tutti i miei sensi in fiamme. Avvertii segni di decomposizione intrecciati a una dozzina di specie di funghi, esili braci di strane forme di vita animale, il sangue di Dior. Ma sotto tutto ciò, debole come un sussurro…

«“Dovresti riposare un po’” dissi. “Ti sveglierò quando arriverà il tuo turno di guardia.”

«“Lo prometti?” si accigliò. “Perché la scorsa notte non l’hai fatto.”

«“Ti serviva dormire. Essere il salvatore dell’impero è un lavoro duro.”

«Dior ridacchiò. “Salvatore…” La ragazza si succhiò il labbro osservando le fiamme scoppiettanti, gli occhi azzurri vitrei. “Pensi davvero che sarà come ha detto Chloe? Mi presento a Santa Michon, borbotto qualche frase di un libro polveroso e urrà, au revoir sine die?”

«“Non ne ho idea” sospirai. “Ma qualcuno meno cinico di me farebbe notare che devi rappresentare una qualche minaccia, altrimenti il Re Sempiterno non avrebbe mandato suo figlio a darti la caccia.”

«“Né quella stronza con la maschera che hai affrontato a San Guillaume.” Dior si masticò un’unghia frastagliata e la sputò nel fuoco. “Sembrava sapere qualcosa.”

«Annuii, ricordando Liathe e la sua lama di sangue, quella maschera pallida che celava occhi ancora più pallidi. Ematomanti. Vampiri di sangue ancien. Misteri dentro altri misteri, come sempre. Guardai la septistella sul mio palmo, le vene sotto la pelle. “Potrebbero essere tutte menzogne. Forse tutti gli attori di questo gioco sono degli sciocchi. Suppongo che scopriremo la verità una volta arrivati a Santa Michon. Nella sua Biblioteca inganno e follia abbondano. Ma ci sono anche delle verità. Astrid e io ne avevamo trovate alcune. Quando eravamo giovani.”

«“Esani” mormorò Dior.

«Guardai torvo la spada sulla brina accanto a me. “Tu parli troppo, Cenere.”

«“Credo che si senta sola” sorrise Dior. “Bloccata in quel fodero tutto il giorno.”

«“Il mio cuore sanguina di dolore.” Gettai un po’ di neve sulla dama argentata. “Assieme al mio stomaco.”

«“Non può essere una coincidenza, però, vero? Una quinta stirpe di sangue, quasi con lo stesso, esatto nome della figlia di Michon? Esan. Fede. Esani. Senza fede.”

«“Non lo so, Dior. Abbiamo cercato per anni nella Biblioteca, Astrid, Chloe e io. Perlopiù abbiamo trovato assurdità. C’è potere nel mio sangue e ho imparato un trucchetto o due. Se dovessi mettere le mani sulla gola di Danton mentre sono al meglio, può aspettarsi un regolamento di conti. Ma la verità è che la mia stirpe non ha mai influenzato molto il modo in cui ho condotto la mia vita. Astrid era solita dirmi che era quello che la rendeva più orgogliosa. Allevato tra quei Dyvok, Chastain e Ilon, io mi ergevo più in alto di tutti loro.” Mi picchiettai le vene del polso. “Non per questo.” Mi battei un pugno sul petto. “Ma per questo.”

«“Rivolgi il tuo cuore al mondo” sorrise lei.

«Feci un cenno d’assenso. “Un giorno da leone ne vale diecimila da agnello.”

«Dior si stese accanto al fuoco, il mantello sotto di sé e il cappotto elegante drappeggiato sopra. Una zazzera di capelli bianco cenere le ricopriva occhi azzurri come i cieli di una volta. Spalle ossute, mani agili e nelle vene il sangue di un fottuto dio morto. “Parlami di tua figlia” mormorò.

«“Vai a dormire, Lachance.”

«“Lo farò” sorrise lei, gli occhi chiusi. “Ma mi piace la tua voce. È fumosa. Rilassante.”

«Guardai il nome tatuato sopra le mie dita. Inalai un’altra boccata ed espirai un pennacchio scarlatto. “Cosa vuoi sapere?”

«“Qualunque cosa. Qual è il suo colore preferito?”

«“Azzurro. L’acqua attorno a casa nostra era quasi azzurra, certi giorni.”

«“Vivi accanto a un fiume?”

«Scossi il capo. “Un faro. Sulla costa meridionale. La marea arrivava con le lune e copriva il ponte per la terraferma. Perciò di notte non poteva passare nulla.”

«“Astuto.”

«“Ho i miei momenti.”

«“A lei piace vivere lì?”

«“Spero di sì. È a sud. Oltre Alethe. A volte in primavera sbocciano i fiori.”

«“Non ho mai visto un fiore” sospirò Dior. “Qual è il suo preferito?”

«Ora riuscii a fiutare con più forza l’odore che Dior aveva colto nel vento. A dire la verità, ci aveva seguito per tutto il giorno. Come un’ombra. Come un fantasma. Guardai il buio oltre la luce del fuoco e la vidi… una sagoma che conoscevo bene quanto il mio stesso nome, che si stagliava contro i cadaveri di alberi caduti, imperatori morti che marcivano in tombe congelate.

«“Gabe?” chiese Dior.

«“Cosa?”

«“Qual è il fiore preferito di Patience?”

«“Campanula argentea. Come sua madre.”

«“Ti devono mancare molto.”

«Mi strinsi nelle spalle. “Presto sarò di nuovo con loro.”

«“Mi dispiace” sospirò lei. “Di averti portato via da loro.”

«“Basta domande, ragazza. Vai a dormire.”

«Dior si raggomitolò nel cappotto, la faccia rivolta verso le fiamme. E io rimasi lì seduto al freddo, guardando gli occhi che mi stavano fissando. Ora potevo vederla con maggior chiarezza: non era più un’ombra scura, ma pallida, l’incarnato di porcellana adornato da ciocche di capelli neri, soffici come seta e densi come fumo. Lei non disse nulla: si limitò ad attendere finché il respiro della ragazza accanto a me non divenne lento e regolare, il petto che si alzava e abbassava nella cadenza pacifica del sonno.

«La sagoma si ritrasse più in profondità nell’ombra.

«E io mi alzai e la seguii nel buio.»