XX

UNA PROMESSA NEL BUIO

«MI SVEGLIAI AL buio. Sangue nella bocca. Sangue nell’aria. E mi domandai se fosse l’inferno. Niente fiamme, nessun caduto, niente lago di zolfo. Solo buio e un silenzio senza fine. Ma poi mi mossi e fui trafitto dal dolore di ossa rotte e carne sanguinante, e mi resi conto che la vita, per quanto odiosa e maledetta, scorreva ancora nel mio corpo derelitto.

«Avvertii un peso sul petto. Le mie dita vagarono su cuoio vecchio e metallo freddo, qualcosa di familiare. Una lama affilata, una punta frastagliata a cui ora mancavano sei pollici: la mia spada, posata sul torace come un re in un antico tumulo. I miei occhi cominciarono a distinguere dei dettagli nell’oscurità. Bottiglie in frantumi e scaffali distrutti. Mi resi conto che ero nella nostra cantina… in quello che ne restava, almeno. Le travi del soffitto sostenevano una valanga di pietra rotta appena pochi piedi sopra la mia testa. Sembrava che l’intera casa fosse crollata sopra di me assieme al faro: tonnellate di pietra caduta tenute a bada da pochi pezzi di legno e dalla maledetta mano di Dio.

«“Dio…”

«“Gabriel” mormorò Bevicenere nella mia mente, la voce ora rotta come la sua lama. “Gabriel, mi dispiace c-c-così tanto di averti d-deluso, deluso.

«E poi la vidi. Stesa sulla pietra accanto a me.

«Il mio amore. La mia vita. La mia Astrid.

«Il cuore mi si frantumò nel petto.

«Sembrava più bella di quanto fosse mai stata. Ma non era la bellezza di mille sorrisi, né della madre di mia figlia, né della luce della mia vita. No. La sua adesso era una bellezza oscura. Quelle labbra che un tempo avevano soffiato vita dentro le mie? Rosse come l’omicidio. Quel volto a forma di cuore spezzato? Non più latteo e delicato, ma duro come marmo. Non vedevo più il suo petto sollevarsi e abbassarsi, non c’erano pulsazioni sulla sua gola, ancora segnata dalla pressione dei denti e dai resti del banchetto di Voss. Mi ritrassi e per poco non mi spezzai per l’ultimo, tremendo orrore di tutto ciò. Perché lei non era morta. Era Morta.

«E allora conobbi il colore della desolazione. E il suo colore era rosso.

«Non darò voce ai pensieri oscuri che mi passarono per la testa. Nemmeno per la tua pallida imperatrice, vampiro. Sono certo che puoi immaginare le speranze vane e afflitte, i malvagi sonni egoistici, tanto lontani dal cielo quanto i diavoli possono volare. Tutto soffocato infine da una semplice disperazione.

«Quella non era lei.

«Quella non era la mia Astrid.

«Me la raffigurai com’era stata un tempo. La prima notte in cui ci incontrammo nella Biblioteca di Santa Michon: quella bellezza, quel sorriso, quella ragazza che maneggiava i libri come lame.

«Baciai le sue labbra, rosse come rubini e fredde come la mezzanotte.

«Vidi le ciglia fremere sugli zigomi.

«E raccolsi la mia spada.

«Due piccole parole.

«“Chiedo perdono.”

«“Avanti, fallo.

«“Non posso.”

«“Tu devi.

«“Oh, Dio.”

«E lo feci.

«Guardai verso quel cielo che non aveva risposto alla mia supplica. Verso quel Dio che aveva lasciato che si arrivasse a questo. Li sentii crescere come veleno dentro di me, singhiozzi squassanti che mi uscivano tra denti insanguinati. Piansi come un padre senza più affetti, come un figlio tradito, come un marito rimasto vedovo, finché la mia gola si chiuse, la voce si spezzò e agognai la morte.

«Ma oltre il ruggito che avevo nelle orecchie, dentro la mia testa udii una voce aggrapparsi alle parole che lei ora pronunciava. Parole come “vendetta”. Come “violenza”. Come “promessa” e “scopo” dove altrimenti c’era solo follia. Che non giacessi tranquillo nella mia tomba mentre colui che le aveva seppellite se ne andava in giro. Che non chiudessi gli occhi e dormissi, consegnandomi a quella tomba. Almeno finché la canzone non fosse stata cantata.

«Se lui voleva una guerra, io gliel’avrei data.

«Se voleva qualcosa da temere, lo sarei stato io.

«Il mio amore mi fece un ultimo regalo. Un ultimo sacramento, preso con lacrime brucianti agli occhi e repulsione per tutto ciò che ribolliva nella mia anima. Non avevo altro modo per uscire da quella tomba, nessun’altra strada verso la vendetta di cui lei sussurrava. Ma se fino ad allora era rimasto qualche brandello del mio cuore, divenne cenere quando il suo sapore si infranse sulla mia lingua per l’ultima volta. Lì, in quel momento, feci una promessa a entrambe, alla mia Astrid e alla mia Patience, i miei angeli. Mormorata nel buio, fredda come una tomba e nera come l’inferno, che mai più il sangue di qualcun altro avrebbe toccato le mie labbra. Mai più avrei nutrito il mostro che ero.

«Mai più.

«E con la forza che lei mi aveva donato, lingua insanguinata e mani tremanti, mi liberai dalla tomba in cui lui ci aveva sepolto. E con il fumo dei fuochi da me accesi che si sollevava in cielo alle mie spalle, trascinai avanti la sagoma di ciò che ero stato e ricordai: c’è un tempo per la sofferenza, uno per i canti e uno per ricordare con affetto tutto ciò che è stato e non è più.

«Ma c’è anche un tempo per uccidere.

«Un tempo per il sangue.

«Uno per la rabbia.

«E uno per chiudere gli occhi e diventare ciò che l’inferno vuole che tu sia.

«E così. Lo feci.»