Ho ben ottantadue anni di vita e la malattia di Parkinson e gli acciacchi dell’età si fanno sentire. Ma probabilmente, per quanto riguarda la preghiera, sono ancora a metà del guado. Sento che la mia preghiera dovrebbe trasformarsi, ma non so bene in che modo, e sento anche una certa resistenza a compiere un salto decisivo […].
Chi ha raggiunto una certa età è anche nelle condizioni di volgere uno sguardo sintetico sulla propria vita, riconoscendo i doni di Dio, pur attraverso le inevitabili sofferenze. Veniamo quindi invitati a una lettura sapienziale della nostra storia e di quella del mondo da noi conosciuto. E beati coloro che riescono a leggere il proprio vissuto come un dono di Dio, non lasciandosi andare a giudizi negativi sui tempi vissuti o anche sul tempo presente in confronto con quelli passati!
C.M. Martini, Qualcosa di così personale. Meditazioni sulla preghiera, Mondadori, Milano 2009, 36.
Sono uno psichiatra, e da sempre sono stato affascinato dal magistero teologico, dalla luce del pensiero, dalla arcana vicinanza alle ragioni del cuore, dalla indicibile testimonianza di fede e di speranza del cardinale Carlo Maria Martini: mi sono state maestre di vita, e continuano a esserlo. Sono stato invitato a svolgere alcune riflessioni su quelle che sono state la sua esperienza, e la sua concezione della condizione anziana di vita, riemerse in particolare da due libri: le Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede, del 2007,33 e Qualcosa di così personale. Meditazioni sulla preghiera, del 2009.34 Non ho alcuna formazione teologica, sono cresciuto in una famiglia cattolica, che nella fede ha trovato la ragione della sua vita, e dei suoi progetti di vita.
Ancora prima di svolgere le mie riflessioni su questi due suoi libri, vorrei richiamarmi a quello che il cardinale Martini ha scritto dell’interiorità, che è alla radice di ogni nostra conoscenza (le celebri parole di sant’Agostino: in interiore homine habitat veritas), in un suo libro del 1992,35 Le confessioni di Pietro. Meditazioni sul cammino vocazionale dell’apostolo, dal quale vorrei stralciare alcuni splendidi pensieri.
Il lavoro di questi giorni, che compiremo in un clima di preghiera, non è per nulla facile né ovvio. Se vogliamo viverlo seriamente, incontreremo momenti faticosi, forse ripugnanti, perché si tratta di un viaggio verso l’interiorità. E nell’itinerario verso l’interiorità ci sono tappe segnate dalla tranquillità e dall’espansione d’animo, mentre ve ne sono altre in cui tutte le nostre difese interiori – malumori, distrazioni, voglia di fare altro, irritazioni, nervosismi – scattano e ci bloccano. (CP 18)
I suoi pensieri si svolgono ancora lungo sentieri che portano alle sconfinate regioni dell’interiorità.
Come accade nel deserto, dove dalla calma e dalla tranquillità della natura si passa improvvisamente e inaspettatamente alla tempesta di sabbia, così nel deserto interiore ci si può trovare d’un tratto nella tempesta della tentazione. Dobbiamo dunque vigilare, combattere subito e con decisione anche le piccole distrazioni, le più svariate tentazioni che ci possono sorprendere, per non affrontare superficialmente il cammino dell’interiorità, evitando così, per l’ennesima volta, di riflettere su quel problema fondamentale che è la maturazione della fede, la crescita vocazionale. Se andiamo avanti per anni rifuggendo da un confronto profondo e vero con noi stessi, a un certo punto, quasi svegliandoci da un lungo sonno, ci accorgeremo di aver perso delle occasioni preziose nelle quali cogliere la verità di noi stessi. (CP 18s.)
Sono considerazioni bellissime, che ci rendono consapevoli della radicale importanza che ha in vita questo itinerarium cordis verso l’interiorità, la nostra interiorità, che è premessa alla conoscenza dell’interiorità degli altri; e ora vorrei fare riemergere dai due libri – Conversazioni notturne a Gerusalemme e Qualcosa di così personale – scritti negli ultimi anni di vita del cardinale Carlo Maria Martini, e incentrati (anche) sulla fenomenologia della condizione anziana, alcune regioni tematiche, le vorrei chiamare così, che mi sembrano racchiudere alcuni radicali orizzonti di senso: quella della preghiera, quella delle decisioni, quella delle regole di condotta, quella dei sogni, quella della morte, e quella del futuro della Chiesa.
Nelle Conversazioni notturne a Gerusalemme il cardinale Martini, nel rispondere a un giovane su come sia possibile praticare la preghiera, quando non si riesca a farlo, descrive mirabilmente il suo modo di pregare.
L’unico sistema è pregare lo stesso ogni giorno. Presento a Dio tutto ciò che mi viene in mente, tutto ciò che devo fare, che mi crea preoccupazioni, anche le cose piacevoli e soprattutto le persone a cui penso. Gli parlo in modo normale, per nulla devoto. Nella preghiera sento che qualcuno mi sostiene e mi sopporta, anche quando vedo molti problemi, come le debolezze della Chiesa. Quando prego, vedo la luce. La mia speranza aumenta, e così pure la forza di fare qualcosa. La fiducia cresce. Se vuoi aiutare il tuo amico, prega. Se nutre il desiderio di pregare, è già molto vicino a Dio. Cerca un luogo dove tu e altri possiate pregare con lui. Mostrarsi a vicenda come pregare è più facile tra coetanei. Il ponte dell’amicizia gli permetterà di arrivare alla preghiera. (CNG 28)
Sono riflessioni molto belle che dicono come ci si possa avvicinare al mistero della preghiera con sensibilità, con tenerezza, e con timidezza.
Sento sempre un certo disagio e una certa fatica quando devo parlare della preghiera, perché mi pare che sia una realtà di cui non si possa parlare. Si può invitare a pregare, esortare, consigliare. Ma la preghiera è qualcosa di così personale, di così intimo, di così nostro, che diventa difficile parlarne insieme, a meno che davvero il Signore non ci metta tutti in un’atmosfera di preghiera. (QCP 11)
In un libro non meno bello, Qualcosa di così personale, ci sono grandi pagine sulla preghiera, dalle quali vorrei stralciare qualche luminoso frammento.
Proviamo a chiederci: se in questo momento dovessi gridare, esprimere con un’invocazione ciò che chiedo a Dio di più profondo, ciò che maggiormente mi sta a cuore, con quali parole lo esprimerei? Lasciamo che venga liberamente alla luce ciò che in quel momento ci qualifica […].
Cerchiamo tra tutte le invocazioni del cuore quella che maggiormente risponde a ciò che sentiamo, quella che può essere il punto di partenza della nostra preghiera, quella che qualifica la situazione che stiamo vivendo. Questa invocazione potrà ovviamente essere poi arricchita con preghiere altrui, approfondita con l’aiuto di altri che hanno pregato prima di noi e forse meglio di noi. Questa invocazione può sembrare una realtà povera, semplicissima, un filo d’erba, un filo d’erba piccolissimo in confronto agli alberi giganteschi della preghiera dei santi. Però questo mio filo d’erba è ciò che io metto davanti a Dio come mia semplicissima preghiera. (QCP 17)
A questi bellissimi pensieri, dai quali sgorga la dimensione arcana e profonda della preghiera, se ne aggiungono altri che continuano a nascere dal suo cuore.
A me piace fare ricorso alla preghiera di contemplazione, che mi mette davanti al Signore che mi guarda con amore: in quei momenti mi viene di pensare a Gesù che ha bisogno di noi per rendere piena la sua lode al Padre. Ma qui è lo Spirito Santo che si fa nostro maestro interiore. A noi non resta che seguirlo docilmente. (QCP 6)
Teniamo vive nel cuore queste parole luminose e arcane, che sono animate da slarghi elegiaci, non frequenti, direi, nei libri del cardinale Martini.
In Qualcosa di così personale egli parla (anche) del modo di pregare quando si diviene anziani.
Non riuscendo più a dedicare alla preghiera lo stesso tempo di quando si avevano più energie, e sentendola spesso come un po’ distante e poco consolante, è possibile che il proprio spirito venga catturato da un certo senso di scoraggiamento. Allora la tentazione sarà di accorciare ulteriormente i tempi da consacrare alla preghiera, limitandosi allo stretto necessario. Tuttavia questo accorciare i tempi dell’orazione potrebbe essere molto pericoloso. Infatti la preghiera, per dare qualche conforto, deve essere di norma un po’ prolungata. Se si restringe il tempo, anche le consolazioni sorgeranno con maggiore difficoltà e si creerà una sorta di circolo vizioso, che porterà a pregare sempre meno. (QCP 4)
Nel dire queste cose il cardinale Martini si richiama a quello che in età anziana può essere un limite alla preghiera nella sua dimensione psicologica; ma non è stato un suo limite. Le parole, che egli ha dedicato alla preghiera nei suoi ultimi anni di vita, ne dicono l’indicibile dimensione spirituale e umana che risplende in queste sue altre parole: «Ma la preghiera dell’anziano potrebbe anche essere considerata la preghiera di qualcuno che ha raggiunto una certa sintesi interiore tra messaggio cristiano e vita, tra fede e quotidianità» (QCP 4). Non intende egli forse dire che, anziani, si sia più liberamente inclini a una fede che si incarna nella realtà, e la trascende?
Nelle Conversazioni notturne a Gerusalemme il cardinale Martini si confronta (anche) con il tema delle decisioni, alle quali non si può rinunciare nemmeno nella ultima età della nostra vita. Sono considerazioni di natura teologica e filosofica, che ne dimostrano la grande cultura, mai disgiunta dalla luce ininterrotta della fede e della carità: della speranza.
Ignazio parla di tre «tempi» per una decisione. Il primo è la ragione, che è la base. Possiamo valutare i motivi di una decisione. Quali sono i pro e i contro? In questa fase è possibile elencare in modo del tutto razionale vantaggi e svantaggi. In un secondo momento prestiamo attenzione ai nostri sentimenti. L’una o l’altra idea destano entrambe determinate sensazioni, oscure o luminose, difficili o splendide: si vede un sogno che si realizza. Se la potenziale decisione avvolge tutto in una luce rosa, devi essere prudente. Ignazio parla dello «spirito cattivo» che seduce e inganna. Se invece l’idea ti infonde serenità, è assai probabile che sia una decisione positiva, sotto l’egida dello spirito buono. (CNG 41)
A queste si aggiunge un’ultima possibilità che ha una sua radicale importanza anche in psicologia e in filosofia.
Oltre alla ragione e ai sentimenti, esiste talvolta una terza possibilità: l’intuizione. Te ne rendi conto all’improvviso: sai subito e con certezza quale sia la cosa giusta per te. Prendiamo un esempio: interrompi gli studi per un anno di servizio sociale. In questo caso devi badare a come questa idea si accordi con la linea della tua vita. È una decisione che vi si integra bene e rappresenta una continuazione del tuo agire sociale iniziato già da tempo? O è una novità assoluta e contraddice tutto ciò che la precede? In questo secondo caso, devi essere cauto. Lo «spirito cattivo» potrebbe di nuovo essere all’opera, direbbe Ignazio. (CNG 41)
L’intuizione non è se non la conoscenza emozionale, la conoscenza che nasce dalle ragioni del cuore, come genialmente le ha definite Blaise Pascal, ed è molto bello che il cardinale Martini la consideri così importante anche nell’età anziana: così ingiustamente considerata come non dotata di sensibilità, di gentilezza, di tenerezza e di fragilità, che sono le premesse alla conoscenza di sé, dei pensieri e delle emozioni, che fanno parte della nostra vita interiore, ma anche della vita interiore degli altri, l’una intrecciata all’altra.
Le regole di condotta ci portano al cuore delle relazioni umane, alle quali è ancorato il senso radicale e profondo della nostra vita. Sono regole di condotta, alle quali, lo dice il cardinale Martini nelle Conversazioni notturne a Gerusalemme, siamo (tutti) chiamati: a ogni età. La regola più importante?
La più importante è: ama il prossimo tuo, amerai il prossimo tuo come te stesso. Oppure, come recita l’originale ebraico: amerai il prossimo tuo perché egli è come te. Se sono consapevole che l’altro è fatto della mia stessa pasta, che ha gli stessi pregi e difetti che ho io, questa vicinanza dà anche la forza di volergli bene. Se mi sento separato dall’altro e penso che lui sia cattivo e io buono, che lui sia debole e io forte, allora non gli vorrò bene. Se so che siamo tutti nella stessa barca, questo pensiero susciterà in me compassione e amore. Amerai il prossimo tuo perché egli è come te, dice Gesù. E aggiunge qualcosa di più grande: amerai come io ti ho amato. (CNG 24)
Sono regole di condotta che danno un senso alla nostra vita, e che devono essere comprese nei loro sconfinati orizzonti tematici.
Lo comprendono coloro che sono fedeli a Gesù. Gesù cita le Sacre Scritture, il nostro Antico Testamento, dicendo: dobbiamo proteggere i deboli, dobbiamo perdonare i colpevoli. Dobbiamo imparare a risolvere conflitti, a eliminare l’ostilità, a mettere pace. Questo modo attivo di amare è la principale regola di condotta che Gesù dà agli esseri umani. Significa anche non fermarsi, non dire mai: noi siamo a posto e non abbiamo più nulla da aggiungere. Inoltre, dobbiamo sempre domandarci: a cosa sono chiamato, qual è il mio compito? Perché Dio mi ha donato tutti questi talenti? (CNG 24s.)
Sono regole di condotta, luminose stelle del mattino, alle quali guardare a ogni età della nostra vita umana e cristiana, e che il cardinale Martini ci indica con parole che hanno la sorgente nelle sue sconfinate conoscenze bibliche.
Il cardinale Martini riconosce in una persona anziana la disposizione a sognare: una splendida immagine, che rinasce sfolgorante dal suo cuore.
Nella predica di Pentecoste, Pietro riprende infatti le parole del profeta Gioele del IV secolo a.C. e racconta l’opera dello Spirito Santo in tre fasi della vita, ognuna differente: «I vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni». I «figli e le figlie» saranno profeti significa che essi devono essere critici. La generazione più giovane verrebbe meno al suo dovere se con la sua spigliatezza e con il suo idealismo indomito non sfidasse e criticasse i governanti, i responsabili e gli insegnanti. In tal modo fa progredire noi e soprattutto la Chiesa. (CNG 60)
Sono riflessioni che ci dicono ancora quale sia il compito delle persone anziane impegnate in una famiglia, in una comunità, o in un’azienda.
Il profeta dice poi che la generazione di mezzo, vale a dire coloro che sono responsabili, avrà delle visioni. Un vescovo, un parroco, un padre, una madre, un imprenditore: essi dovrebbero avere degli obiettivi per una comunità, una famiglia, un’azienda. I responsabili devono sapere cosa fare e quali compiti accettare. È bello che il profeta assegni un compito anche agli anziani. Non ci si può aspettare che siano innanzitutto critici e profetici. Non si deve pretendere dagli anziani che portino pesi, elaborino progetti e li realizzino come la forte generazione di mezzo. Hanno meritato di affidare ad altri gli affari e il comando e di dedicarsi a qualcosa di nuovo: il sognare. Così dice il profeta, e Pietro riprende questa idea quando descrive l’opera dello Spirito Santo e l’augura alla Chiesa in ogni tempo. (CNG 60s.)
Sono parole che allargano gli orizzonti di senso dell’età anziana, e lasciano tracce indelebili nel cuore, e nella memoria di ciascuno di noi, quando sia giunto ai suoi ultimi anni di vita.
Nelle Conversazioni notturne a Gerusalemme Georg Sporschill chiede al cardinale Martini cosa sogna per la Chiesa, e questa è stata la sua risposta:
Il profeta rammenta agli anziani che devono trasmettere i sogni e non le delusioni della loro vita. Sono felice di poter sognare ora, qui a Gerusalemme, come Giacobbe che vedeva gli angeli salire e scendere sulla scala celeste. Oggi vedo molte persone provenienti da tutto il mondo e di diverse religioni. Fra loro sono gli angeli che possiamo incontrare qui in terra. Un tempo avevo sogni sulla Chiesa. Una Chiesa che non dipende dai poteri di questo mondo. Sognavo che la diffidenza venisse estirpata. Una Chiesa che dà spazio alle persone capaci di pensare in modo più aperto. Una Chiesa che infonde coraggio, soprattutto a coloro che si sentono piccoli o peccatori. Sognavo una Chiesa giovane. Oggi non ho più di questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa. Guardo al futuro. Quando verrà il Regno di Dio, come sarà? Dopo la mia morte come incontrerò Cristo, il Risorto? (CNG 61s.)
Sono parole che leggo con emozione, e che testimoniano del coraggio, della fede, della passione, della speranza e dell’umanità, che risplendevano in ogni stagione della sua vita.
Al cardinale Martini Sporschill chiede poi se avesse paura della morte, ed egli risponde con parole di una indicibile umanità.
Ho superato gli ottant’anni, a questo punto alcune cose sono prevedibili. Sappiamo quanti anni sono concessi all’uomo. La Bibbia dice che, quando va bene, sono ottanta (cfr. Salmo 90). Questo calcolo lascia trasparire un po’ di apprensione. Ne risulta il progetto di far sì, nel lavoro e nelle relazioni, che tutto prosegua bene. Ciò che inizio, altri devono poterlo portare avanti. Ho delle esitazioni quando vedo come gli anziani si ammalano, hanno dolori, dipendono dagli altri. A questo proposito esiste un racconto indiano secondo il quale la vita si svolge in quattro fasi. Dapprima impariamo, poi insegniamo, poi ci ritiriamo e impariamo a tacere e nella quarta fase l’uomo impara a mendicare. Io parto dal principio che Dio non pretenda troppo da me: sa cosa possiamo sopportare. (CNG 35s.)
Le sue parole si fanno poi ancora più personali, e risuonano di una tenerezza, e di una grazia, che inondano il cuore.
Forse in punto di morte qualcuno mi terrà la mano. Mi auguro di riuscire a pregare. Mi fa sentire di essere al sicuro vicino a Dio. La morte non può privare di questa sensazione di sicurezza. L’altro mondo, verso il quale procede la nostra vita, possiamo già oggi consolidarlo in noi vivendo non per noi, ma per gli altri, percependo la comunione dei santi. I miei genitori sono morti già da tanto tempo, eppure non li dimentico. Sono loro grato. Posso parlare con loro. È una bella usanza accendere un cero per i morti. Invecchiando si hanno sempre più amici nell’altro mondo, più che in questo. Nella Santa messa siamo in mezzo alla comunione dei santi. (CNG 36)
Non ci sono parole più aperte alla speranza di queste, e allora manteniamole ardenti e luminose nella nostra memoria vissuta.
Nell’avviarmi alla conclusione delle mie considerazioni sulle regioni tematiche del magistero del cardinale Martini negli ultimi anni della sua vita, vorrei ricordare quello che egli dice, nelle conversazioni a Gerusalemme, del futuro della Chiesa.
Sì, voglio una Chiesa aperta, una Chiesa che abbia le porte aperte alla gioventù, una Chiesa che guardi lontano. Non saranno né il conformismo né tiepide proposte a rendere la Chiesa interessante. Io confido nella radicalità della parola di Gesù che dobbiamo tradurre nel nostro mondo: come aiuto nell’affrontare la vita, come buona novella che Gesù vuole portare. Tradurre non significa svilire. Oggi la parola di Gesù deve mostrare il suo carattere attraverso la nostra vita con il coraggio dell’ascolto e della confessione religiosa. Gesù vuole liberare gli afflitti e gli oppressi, mostrare ai ricchi le loro possibilità e opporsi agli ingiusti. (CNG 109)
Quali scelte consentono alla Chiesa di tenere le porte aperte anche alla gioventù, e di guardare lontano?
È fondamentale ascoltare lo Spirito Santo, interrogare Dio e anche i fratelli e le sorelle. Insieme possiamo elaborare un programma per il futuro. Un vescovo non parte dalla propria opinione limitandosi a metterla in pratica, non funziona in questo modo. Una cosa necessaria è il coraggio civile e il coraggio di dire la verità. È importante riconoscere quale sia il momento giusto per farlo. Questa nozione è un dono dello Spirito Santo. Non possiamo sempre gridare forte la verità. Essa presuppone amore e sensibilità. I vescovi non sono soli, possono ascoltare i loro fratelli e sorelle, le loro collaboratrici e i loro collaboratori. (CNG 109s.)
Le regioni tematiche, riemerse dagli ultimi libri scritti dal cardinale Martini, sono la splendida testimonianza di una condizione anziana di vita che ha continuato a essere donatrice di senso.
Nel corso di queste mie considerazioni ho voluto descrivere le mie risonanze interiori nel leggere gli ultimi testi del cardinale Martini, che ho scomposto, e ricomposto, in grumi tematici, dai quali far sgorgare emozioni e pensieri, che egli ha rivissuto nella sua ultima età, ferita dalla malattia. Confrontando testi scritti nelle sue diverse età, direi che in esse è cambiato (forse) il linguaggio, cosa che avviene abitualmente nella scia di quelle che sono nel corso degli anni le nostre esperienze, e le nostre letture, ma non sono cambiate l’intensità e la profondità delle riflessioni, le decisioni, le intuizioni e le immaginazioni. Non si è nemmeno mai incrinata la indicibile testimonianza di raccoglimento e di preghiera, di tenerezza e di delicatezza, di grazia e di giovinezza spirituale, di luce interiore e di speranza, che sono continuate a rinascere nel corso della vita del cardinale Carlo Maria Martini.
Sono state, queste, le considerazioni germogliate dalla mia lettura dei libri, che ho citato, e del bellissimo meridiano Mondadori, che gli è stato dedicato, e che ha un titolo, Le ragioni del credere, nel quale si rispecchia un aspetto radicale del suo magistero. Sono state letture che mi hanno accompagnato nella fede e nella speranza in queste giornate così dolorose, e così oscure: illuminandole d’immenso.
33 Mondadori, Milano 2007; d’ora in poi, CNG.
34 Mondadori, Milano 2009; d’ora in poi, QCP.
35 Centro Ambrosiano-Piemme, Milano-Casale Monferrato (Al) 1992; d’ora in poi, CP.