Gerusalemme ultima «stanza»

Luogo di confine spirituale ed escatologico

di Pino Di Luccio

C’è anche un’altra libertà dello spirito rimasta come caratteristica della Compagnia di Gesù: l’amore per i luoghi di confine, per i passaggi difficili tra una cultura e l’altra; l’amore per l’esplorazione di nuovi territori anche in campo culturale e teologico. Qui i gesuiti sono stati come gli esploratori della Chiesa verso terre oscure e lontane, hanno avvicinato i popoli e le culture e anche le diverse forme del credere e del non credere. Infine, c’è un’ulteriore caratteristica della Compagnia di Gesù a cui nei secoli fu dato poco rilievo, e che ora si sta ritrovando. È l’amore per Gerusalemme. Gerusalemme il primo luogo menzionato da sant’Ignazio nella sua autobiografia, quando ancora si trovava nella casa paterna a curarsi le ferite (n. 8). E ritorna ancora, quando Ignazio si domanda che cosa avrebbe poi fatto al ritorno da Gerusalemme (n. 12). Ma quando, nel settembre 1523, si recò davvero in quella città, pare che avesse l’intenzione di rimanervi stabilmente e di «aiutare le anime». Di fatto ciò non fu possibile, ma egli rimase fino alla fine della propria vita con l’idea che a Gerusalemme i gesuiti avrebbero avuto un lavoro consono alla loro vocazione.

C.M. Martini, Colti da stupore. Incontri con Gesù, Mondadori, Milano 2012, 113.

Il cardinale Carlo Maria Martini aveva un sogno: morire ed essere sepolto a Gerusalemme. Alle origini di questo sogno vi è un episodio degli anni della sua formazione biblica, quando partecipava alle «carovane» con cui gli studenti del Pontificio Istituto Biblico venivano introdotti ai siti archeologici della Terra Santa.

Durante una visita archeologica il terreno sotto i piedi del giovane Martini cominciò a franare trascinandolo verso il fondo di un pozzo di epoca biblica. Non sappiamo i dettagli di questo evento che il Cardinale raccontava volentieri dopo il suo ritiro a Gerusalemme, a conclusione del suo servizio pastorale alla diocesi di Milano: a che punto la frana si arrestò, quanto tempo durò la «discesa», chi lo tirò su, cosa dissero i suoi compagni, cosa egli raccontò loro. Martini di questo evento raccontava solo un pensiero che affiorò alla sua mente, in quegli istanti che avrebbero potuto essere drammatici: come sarebbe stato bello morire ed essere sepolto a Gerusalemme. Si trattò di un’esperienza spirituale che lo segnò, producendo l’associazione tra un pensiero accompagnato dalla pace e dalla consolazione e il ricordo di Gerusalemme, che letteralmente vuol dire: «città della pace»; oppure: in cui «vedranno la pace».

Come è noto Martini non poté realizzare questo sogno. Dopo aver lasciato la diocesi di Milano ed essersi ritirato nella comunità dei gesuiti di Gerusalemme per riprendere gli studi di critica testuale, per «intercedere» per la pace, e pregare per la sua diocesi, divenne sempre più chiaro che il Cardinale sarebbe stato sepolto nel Duomo di Milano. L’avanzare della malattia e la mancanza di un’adeguata assistenza nella casa dei gesuiti fecero decidere nella primavera del 2008 il suo trasferimento all’Aloisianum di Gallarate, una residenza che con alcune opere apostoliche ospita un’infermeria per Padri e Fratelli della Compagnia di Gesù. Così col sogno di essere sepolto a Gerusalemme, in una tomba del cimitero cattolico del Sion cristiano che Martini stesso aveva acquistato quando era Rettore del Pontificio Istituto Biblico, svaniva per lui anche il desiderio di morire nella Città santa.

Il Cardinale partì da Gerusalemme con discrezione e un po’ di corsa. Salutò pochi amici, portando con sé nel cuore il suo sogno che così come lo aveva interpretato fino ad allora non si sarebbe più realizzato: morire ed essere sepolto a Gerusalemme. Da quel momento questo sogno assunse però una nuova dimensione, più spirituale, come di fatto era stata l’esperienza che lo aveva generato: il ricordo costante della preghiera di Gesù al Getsemani. Nel giardino del Getsemani ai piedi del Monte degli Ulivi Gesù aveva accettato di bere il «calice» e si era affidato alla volontà del Padre, invitando i discepoli a vegliare con lui e a pregare per non entrare nella tentazione di pensare che il Padre celeste abbandoni i suoi figli nell’ora della prova.

Alcuni esegeti ritengono probabile che Gesù al Getsemani abbia pregato con la sua preghiera preferita, il Padre Nostro. Di fatto nella preghiera di Gesù al Getsemani ricorrono parole e frasi del Padre Nostro. Quando visitavo Martini a Gallarate, mi parlava spesso di questo ricordo e dei pensieri che esso suscitava in lui, nella sofferenza e di fronte alla morte, mentre la malattia gli toglieva progressivamente e impietosamente le capacità motorie, di parlare, di ingoiare e alla fine di respirare. Il ricordo del Getsemani e la preghiera di Gesù erano preponderanti negli ultimi anni di vita di Martini, a motivo della sofferenza e della morte che si avvicinava e di cui parlava apertamente, come dell’ultimo e più grande atto di abbandono al Padre. Pensava al suo sogno sfumato?

Negli ultimi anni Gerusalemme per Martini era diventata spesso il ricordo del Getsemani, e questo ricordo significava la preghiera di Gesù che egli viveva quotidianamente e con molta fedeltà. In tante occasioni il Cardinale, quando era nella Città santa, ripeteva che si era ritirato a Gerusalemme per intercedere e per pregare. A volte per pregare egli si recava al Getsemani. A causa della distanza di questo luogo santo dalla residenza dei gesuiti, lo visitava con una frequenza minore rispetto al Santo Sepolcro. Qui si recava frequentemente, per partecipare alla Via Crucis guidata dai Padri francescani.

Per i suoi Esercizi Spirituali annuali Martini preferiva il Tabor. Aveva scelto il Tabor per il tempo «straordinario» di preghiera che erano gli Esercizi Spirituali annuali, mentre il Getsemani costituiva l’orizzonte della sua preghiera «ordinaria». Il Monte degli Ulivi e il ricordo della preghiera di Gesù al Getsemani, che si trova ai piedi di questo monte, era l’orizzonte che Martini aveva davanti agli occhi dalla sua stanza, all’ultimo piano della casa dei gesuiti in via Paul-Emile Botta, a pochi metri dal King David Hotel.

Sul Monte degli Ulivi con la chiesa russa dell’Ascensione, visibile in giornate serene persino dal Monte Nebo, sorge la chiesa del Pater Noster. Come la chiesa precedente essa ricorda che al Monte degli Ulivi sono collegate le attese escatologiche del Regno (cfr. Atti degli Apostoli 1,6-7). Una tradizione medievale localizza qui l’insegnamento del Padre Nostro, nel luogo in cui una tradizione più antica ha localizzato l’Ascensione e i discorsi escatologici di Gesù e dove fu poi costruita per iniziativa di sant’Elena la chiesa dell’Eleona, menzionata in antiche fonti cristiane e visitata dalla pellegrina Egeria nella seconda metà del IV secolo d.C.

Secondo le tradizioni del Vangelo di Matteo Gesù ha insegnato il Padre Nostro ai suoi discepoli su un altro monte, in Galilea, chiamato Monte delle Beatitudini, nei pressi del Lago di Tiberiade (cfr. Matteo 5,1s.; 6,9s.). Il Monte degli Ulivi a Gerusalemme è il luogo in cui le profezie bibliche collocano il Giudizio finale e dove confluiscono le tradizioni escatologiche del Nuovo Testamento richiamate dall’Ascensione di Gesù e riassunte nel Padre Nostro.54 La preghiera di Gesù al Monte degli Ulivi si situa in questo contesto geografico, escatologico, e di Giudizio, che Martini scrutava dalla sua stanza.

Il Martini studioso ha approfondito il tema del Giudizio in una bella ricerca sul Vangelo di san Giovanni (il quale più degli altri Vangeli parla di Gerusalemme e dell’attività di Gesù nella Città santa), a dimostrazione di quanto questo particolare aspetto di Gerusalemme fosse importante non solo per la sua vita spirituale, ma anche per i suoi interessi esegetici.

Nel testo che segue Martini menziona prima il significato del Giudizio nella predicazione del Battista e poi il significato del Giudizio nel quarto Vangelo:

In che cosa consisteva la predica del Battista? I Sinottici ci hanno riportato alcuni suoi detti, che ce lo mostrano predicatore del giudizio imminente e dell’avvento del Messia. Il giudizio aveva un posto centrale nella sua predicazione: «Già la scure è posta alla radice degli alberi. Ogni albero che non fa buon frutto sarà tagliato e gettato nel fuoco» (Matteo 3,10). Il precursore sottolineava di conseguenza la separazione che il peccato porta tra gli uomini, tra coloro che sono «razza di vipere» e quelli che fanno «frutti degni di penitenza», tra il «frumento che sarà raccolto nel granaio» e la «paglia che sarà bruciata con fuoco inestinguibile» (Matteo 3,7.12; Luca 3,7.17). Queste caratteristiche possiamo ritrovarle anche nel IV Vangelo. Giovanni pone una particolare attenzione al tema del giudizio. Ne parla circa 25 volte nel Vangelo, molto più spesso che non i Sinottici. E anche ritorna sotto varie forme la menzione di due categorie in cui l’umanità è divisa: gli increduli, i Giudei, coloro che hanno amato le tenebre (3,19), che hanno per padre il diavolo (8,44), su cui rimane sospesa l’ira di Dio (3,36); e quelli che hanno creduto, i discepoli, quelli che fanno la verità e vanno verso la luce, poiché le loro opere sono fatte secondo Dio (3,21).55

Il Giudizio nella predicazione del Battista e nel quarto Vangelo comporta una divisione e una separazione (che è dovuta al peccato): tra il «frumento che sarà raccolto nel granaio» e la «paglia che sarà bruciata»; tra gli increduli e i credenti. Gerusalemme nella Bibbia è il luogo del Giudizio e comporta questa «separazione». Ma Gerusalemme è anche il luogo dove è attesa la realizzazione delle profezie di unità, di riunificazione e di pace (cfr. Isaia 2,1s.; 60,1s.; Ezechiele 36,24s.; Salmi 87; 122; Atti degli Apostoli 2,1s.). Gesù con il suo Giudizio ha compiuto, anticipandole, le profezie di unità e di pace (cfr. Giovanni 11,51-52), separando la fedeltà umile e paziente di Dio alla sua Parola dall’arroganza e dalla presunzione del mondo religioso rappresentato da Anna, e separando la verità del Regno dall’ambiguità del mondo politico rappresentato da Pilato (Giovanni 18,12-19,16a).

Gerusalemme per Martini era il ricordo vivente del Giudizio di Gesù, e della storia biblica. Certo, per Martini Gerusalemme era il ricordo del popolo ebraico, che egli amava; degli anni in cui fu Rettore del Pontificio Istituto Biblico e avviò una collaborazione con la Hebrew University che dura fino a oggi. Ma Gerusalemme per Martini, almeno negli ultimi anni della sua vita, significava soprattutto il ricordo del Giudizio di Gesù e l’attesa della pace e dell’unità che è conseguenza di questo Giudizio. Il Cardinale ripeteva spesso che quando ci sarà pace a Gerusalemme ci sarà pace in tutto il mondo.

La scelta di inserire la voce «Gerusalemme» nella «settima stanza» di Martini è, per questa ragione, particolarmente appropriata. La citazione posta in esergo del presente contributo costituisce una chiave di ingresso in questa «stanza», evidenziando le ragioni «escatologiche» dell’amore di Martini per Gerusalemme: la predilezione (gesuitica) per i «confini».

I due amori dei gesuiti di cui Martini parla in questo testo, per i luoghi di confine e per Gerusalemme, confluivano per lui in un unico amore: il luogo di confine escatologico che è Gerusalemme. Per Martini Gerusalemme era un luogo di confine culturale e teologico, ed era il luogo di confine spirituale ed escatologico, tra il cielo e la terra, in cui intercedere per la realizzazione del «sogno» biblico della pace, e per il compimento dei «primi tempi umili e insieme coraggiosi e gloriosi» alle origini della Chiesa.

Per Martini, come per Ignazio, Gerusalemme era il luogo «escatologico» di confine in cui vivere la sua vocazione di gesuita, promuovendo l’incontro, la pace, la fratellanza, l’unità. Tutti temi cari a papa Francesco e contenuti nella sua recente enciclica Fratelli tutti. Francesco come Martini è un gesuita. Entrambi hanno incarnato in maniera straordinaria gli ideali della formazione dei gesuiti e l’impegno dei gesuiti sui confini e sulle frontiere della pace.

Martini e papa Francesco sono emblematicamente gesuiti e «ignaziani» nella loro diversità, che può essere compresa nel loro rapporto con Gerusalemme e con Roma. Papa Francesco vive l’impegno per la promozione della fratellanza e della pace, che Ignazio ha sognato a Gerusalemme e ha vissuto a Roma nel «governo» spirituale, cioè con la preghiera e il discernimento, dei compagni impegnati in tante parti del mondo a servizio della fede e della giustizia. Martini ha vissuto la ricerca e la promozione della fratellanza e della pace che Ignazio ha sognato per i membri del suo ordine a Gerusalemme, nel suo apostolato di studioso e di pastore e nelle attese escatologiche rappresentate dai luoghi santi.

Un episodio indicativo dell’amore di Ignazio per Gerusalemme, a questo proposito, è la sua nota visita al Monte degli Ulivi, al luogo dell’Ascensione, prima di lasciare la Terra Santa. Quando il Superiore dei francescani ebbe comunicato a Ignazio che non poteva assecondare la sua decisione di restare in Terra Santa, «il pellegrino», come Ignazio si definisce nell’Autobiografia, volle tornare sul Monte degli Ulivi, con audacia e senza curarsi dei rischi che correva, per vedere la posizione delle impronte dei piedi di Gesù al momento dell’Ascensione. Vi andò di fatto due volte in questa circostanza:

Così, senza parlare con nessuno e senza prendere alcuna guida (se uno non si fa accompagnare da una guida turca corre serio pericolo) si sottrasse agli altri e se ne andò tutto solo al monte Oliveto. Poiché i custodi non volevano lasciarlo entrare, regalò loro un tagliacarte che aveva con sé; e dopo aver pregato con intensa consolazione gli venne desiderio di andare anche a Betfage. Là si ricordò che sul monte Oliveto non aveva osservato bene l’esatta posizione del piede destro e del piede sinistro; tornò lassù e – a quanto ricorda – diede ai custodi le sue forbici perché lo lasciassero entrare.56

Martini, in un certo senso, è tornato a Gerusalemme per vedere la promessa della pace e la profezia dell’unità nelle impronte dell’Ascensione di Gesù, e così contemplare l’impronta dell’Ascensione di Gesù nella promessa della pace e nelle profezie dell’unità prima di morire a Gallarate ed essere sepolto nel Duomo di Milano. A Gerusalemme il Cardinale ha contemplato la promessa della pace e dell’unità nelle impronte dell’Ascensione di Gesù visitando i luoghi santi e immergendosi nella vita dei popoli che abitano la Terra Santa, sostenendo iniziative per la pace, accogliendo ebrei e palestinesi, visitando luoghi di sofferenza, incoraggiando e promuovendo gesti di riconciliazione. Ha contemplato le impronte dell’Ascensione di Gesù e la promessa biblica della pace pregando.

Martini pregava molto. A volte quando lo accompagnavo a un appuntamento, a un incontro, mi pareva che pregasse sempre. Era molto fedele alla celebrazione dell’Eucaristia. La Messa era il centro delle sue preghiere e delle sue giornate. Quando la malattia avanzò, sebbene non potesse reggersi in piedi e facesse fatica a parlare, la celebrazione eucaristica era sempre al centro dei suoi impegni quotidiani e delle sue giornate, ben organizzate e ordinate. A Gerusalemme celebrava l’Eucaristia in ebraico moderno, preparando brevi omelie che pronunciava per gli studenti dell’Università ebraica, i quali volentieri assistevano a piccoli gruppi alle sue Messe.

Martini, inoltre, ha contemplato la promessa della pace e dell’unità nelle impronte dell’Ascensione di Gesù con la lettura e la meditazione della Sacra Scrittura, nello studio della teologia (leggeva ogni giorno alcune pagine dagli scritti di Karl Rahner e di Bernard Lonergan), e dialogando con ebrei e musulmani, con docenti eminenti, con uomini politici famosi, con personaggi ecclesiastici di rilievo. Il suo libro Verso Gerusalemme è tradotto in ebraico ed è letto e amato da tanti intellettuali israeliani.

Quando fu Rettore del Pontificio Istituto Biblico aveva avviato con Shemaryahu Talmon una collaborazione con l’Università ebraica di Gerusalemme, prima del riconoscimento dello Stato di Israele da parte del Vaticano. Prima che molte Università e Centri di Studi da tante parti del mondo avviassero varie collaborazioni con la Hebrew University di Gerusalemme, Martini era già convinto che i migliori maestri di ebraico biblico fossero coloro che parlavano la lingua della Bibbia, che i migliori archeologi della Terra Santa fossero coloro che vivevano quotidianamente su questa Terra, che gli interlocutori privilegiati del significato escatologico di Gerusalemme fossero coloro che amano la Città santa come la propria vita e più della loro vita.

Quando si ritirò a Gerusalemme Martini divenne un interlocutore privilegiato di molti professori della Hebrew University, che gli conferì un dottorato honoris causa. I professori di questa prestigiosa università che lo cercavano con più frequenza provenivano dal Dipartimento di Religioni comparate, di cui oggi fa parte un Centro per lo Studio del Cristianesimo. Come Martini, e spesso in dialogo con Martini, alcuni di loro si sono interessati accuratamente alla vocazione escatologica di Gerusalemme, facendo notare che per i Vangeli essa non può essere compresa appieno senza tenere conto dell’ebraicità di Gesù.

Per David Flusser, per esempio, che con il caro amico di Martini Zwi Werblowsky fondò il Dipartimento di Religioni comparate alla Hebrew University, i discorsi escatologici del Vangelo di Marco e soprattutto di Matteo rappresenterebbero il distacco di Gesù dalla sorte di Gerusalemme e del suo popolo. Gli eletti radunati alla venuta del Figlio dell’Uomo in Marco 13,27 (cfr. Marco 13,19-20.22) e in Matteo 24,31, hanno preso il posto del raduno di Israele e della liberazione, menzionati con lo schema biblico della distruzione e della dispersione in Luca 21,14.20-24.28 (cfr. Genesi 15,13-16; 19,16; Tobia 14,4-5. Cfr. anche Luca 13,34; Atti degli Apostoli 1,6-7). I discorsi escatologici del Vangelo di Luca, il più antico dei Sinottici per la «Scuola di Gerusalemme», testimonierebbero la vicinanza di Gesù alla sorte di Gerusalemme e del suo popolo.57

Anche per Martini, studioso, biblista, religioso, pastore, uomo di Chiesa e uomo di fede, il significato escatologico di Gerusalemme non può essere compreso prescindendo dall’ebraicità di Gesù, e dalle preghiere (ebraiche) di Gesù collegate al Monte degli Ulivi. Oltre al discorso escatologico e all’Ascensione di Gesù, al Monte degli Ulivi, e nel luogo biblico del Giudizio, sono collegati il Padre Nostro e l’Ultima Cena, che per i Vangeli Sinottici fu una celebrazione della Pasqua ebraica.

Prima del Cenacolo sul Sion cristiano, esistevano diversi luoghi in cui si commemorava l’Ultima Cena di Gesù (forse per ricordare differenti cene di Gesù prima del suo arresto): la «grotta dei misteri» a Betania, sul Monte degli Ulivi, la grotta dell’arresto di Gesù al Getsemani e, sempre al Monte degli Ulivi, la grotta su cui fu costruita l’Eleona. Dall’epoca medievale tutte queste tradizioni sono state «riassunte» nel ricordo del Padre Nostro, che ha uno speciale collegamento con l’Eucaristia, il memoriale dell’Ultima Cena (e dell’Ascensione di Gesù, come ripetiamo dopo avere ricordato le parole di Gesù durante quella Cena: «Annunciamo la tua morte, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta»).

Il Padre Nostro, del resto, fa parte della celebrazione eucaristica fin dall’antichità (cfr. Didachè 8-10), e fin dalla redazione dei Vangeli, se la preghiera di Gesù al Getsemani dopo l’Ultima Cena fosse la preghiera del Padre Nostro. Ambrogio, esimio predecessore di Martini nella sede episcopale di Milano, verso il 387 d.C. spiegava il Padre Nostro ai neofiti, dopo l’esposizione del Battesimo e dell’Eucaristia.58 Sant’Agostino invitava coloro che riceveranno il battesimo e parteciperanno alla liturgia eucaristica di Pasqua a imparare bene le parole del Padre Nostro:

Ritenete perciò questa preghiera che dovete recitare fra otto giorni. Ma quelli di voi che non hanno ripetuto bene il simbolo hanno [ancora] tempo di ritenerlo in mente, perché dovete recitarlo Sabato a [la presenza di] tutti i credenti che assistono. È un Sabato straordinario il giorno in cui sarete battezzati. Inoltre, otto giorni a cominciare da oggi, dovete recitare questa preghiera [del Signore] che ora imparate.59

Martini si è preparato alla sua Pasqua, che letteralmente è un «passaggio», nella stanza dell’Aloisianum di Gallarate, fisicamente lontano dalla stanza di Gerusalemme, con il suo sogno nel cuore, con il ricordo dell’Ultima Cena nella celebrazione fedele dell’Eucaristia, con la preghiera del Padre Nostro e con il ricordo del Getsemani e del Monte degli Ulivi. Da questa stanza il Cardinale ha continuato a contemplare le impronte dell’Ascensione di Gesù nelle promesse della pace e nelle profezie dell’unità, pregando, meditando i discorsi escatologici di Gesù e continuando a dialogare, con l’aiuto di don Damiano Modena, con amici, studiosi, teologi. Quando a causa della malattia le sue parole non erano più comprensibili, il Cardinale ha comunque continuato a promuovere, con il suo speciale carisma di bontà e di intelligenza, la riconciliazione, ha continuato a testimoniare la pace, e a pregare per l’unità, come Gesù durante l’Ultima Cena del quarto Vangelo, in Giovanni 17.

La stanza di Gallarate è diventata per Martini come il Monte degli Ulivi e come Gerusalemme, il luogo in cui il cielo sconfina sulla terra, e così ha realizzato il suo sogno. Aveva visto questo sogno da giovane, scivolando verso il fondo di un pozzo di epoca biblica. Lo ha inseguito da adulto, in dialogo con i colleghi e con gli ebrei di Gerusalemme. Lo ha comunicato in maniera straordinaria ed efficacissima da pastore della diocesi di Milano. Lo ha scrutato dalla sua stanza di Gerusalemme e lo ha contemplato in quella di Gallarate. Ora lo vive nella settima stanza, nel banchetto della Gerusalemme celeste (cfr. Isaia 25,6s.; Apocalisse 21,1s.).

54 Cfr. P. Di Luccio, Il Padre dei piccoli e la pace del suo Regno. Sette studi sul Padre Nostro con un lessico di termini ebraici e aramaici, Dum loqueretur 3, ISSR Benevento, Editoriale scientifica, Napoli (in corso di pubblicazione).

55 C.M. Martini, «Problemi critici e storici del Vangelo di san Giovanni», in Associazione Biblica Italiana (ed.), Il Vangelo di S. Giovanni. Problemi Generali di introduzione e di teologia, Trevigiana, Treviso 1963, 7-31. Presentazione di padre S. Zedda S.I. sui «Giudei» nel quarto Vangelo canonico, cfr. J. Beutler, L’ebraismo e gli ebrei nel Vangelo di Giovanni, Pontificio Istituto Biblico, Roma 2006.

56 Sant’Ignazio di Loyola, Autobiografia, 47.

57 Cfr. D. Flusser, Jesus, Magnes, Jerusalem 1998², 237-250.

58 Cfr. Ambrosius, Patrologia latina, XVI, 435-482.

59 Augustinus, Patrologia latina, XXXVIII, 393.