«Che cosa è l’essenza della preghiera?» È l’unione con Dio, quindi l’offerta a Dio di noi stessi. Questa diventa incessante quando, attraverso una preghiera fatta sovente, in ogni occasione della giornata, il nostro spirito si fa abitualmente rivolto a Dio. Quindi, quasi insensibilmente, siamo in stato di offerta, in perenne stato di intenzione retta che si trasforma facilmente in preghiera. Non si tratta allora di pregare con le labbra o con la mente in ogni istante, ma di essere coscienti che, in ogni istante, siamo offerta a Dio.
Una soluzione più profonda si ha, forse, piuttosto nella preghiera mistica, quando il Signore fa Lui stesso la preghiera incessante… Ma a questo non saprei dare una risposta e confesso che, se guardiamo alla sua storia, vediamo come la Chiesa, sempre preoccupata di rispondere a questa richiesta, sia stata anche consapevole di non aver mai dato una risposta completa.
C.M. Martini, Il sole dentro, Piemme, Milano 2016, 221s.
Padre Carlo Maria Martini, dal 1969 Rettore del Pontificio Istituto Biblico, nel 1975 viene chiamato dalle carmelitane scalze di Piacenza a dettare gli Esercizi Spirituali alla comunità. I testi però saranno stampati solo nel 2016, dopo un ritrovamento nell’archivio del monastero: Il sole dentro. Le nostre fragilità e la forza di Dio. Il combattimento spirituale (d’ora in poi IS).
Il brano proposto in apertura è tratto proprio da questo testo perché presenta il volto di Carlo Maria Martini in tutta la sua trasparenza e sincerità dinanzi al grande e inafferrabile mistero della preghiera, che gli incute disagio e timore per la sua difficoltà, balbettando dinanzi al mistero dell’Altissimo che si rivela.
Mentre si rivolge a una comunità come quella carmelitana che, almeno nell’intento e nel desiderio vivo, si propone di fare della propria vita un grido orante e incessante, in realtà si rivolge a ogni cristiano.
Scriverà nel 1980, ormai arcivescovo di Milano, nella sua prima lettera alla diocesi La dimensione contemplativa della vita:
Questo discorso sulla dimensione contemplativa della vita si dirige a ogni uomo e donna che intenda condurre un’esistenza ordinata e sottrarsi a quella frattura tra lavoro e persona che minaccia oggi un poco tutti.60
Le meditazioni si radicano nella Parola, vengono però lette nel contesto della Regola carmelitana, in cui la Lettera agli Efesini (6,1-24) nella sua conclusione viene assunta come stile di vita dei padri eremiti, gli antenati/simbolici, ai quali Teresa di Gesù richiamerà la sua Riforma: «Ricordiamoci dei nostri santi del Monte Carmelo»61 e trasmessa di anello in anello a ogni generazione:
Attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.
Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il Vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio. Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi.
Vita come lotta, perché vita orante. Vita però non solo carmelitana ma di ogni cristiano, pur nella sua specificità individuale, che abbia riconosciuto in sé l’irruzione dell’Altissimo e abbia risposto con il desiderio di conoscerLo e farLo conoscere.
La preghiera è, in qualche modo, l’essere stesso dell’uomo che si pone in trasparenza alla luce di Dio, si riconosce per quello che è e, riconoscendosi, riconosce la grandezza di Dio, la sua santità, il suo amore, la sua volontà di misericordia, insomma tutta la divina realtà e il divino disegno di salvezza come si sono rivelati nel Signore Gesù crocifisso e risorto.62
Le cinque arcate portanti del ponte che Carlo Maria Martini costruisce fra l’Altissimo Creatore e la sua creatura vengono stagliandosi luminose anche se impegnative.
Il taglio del predicatore non è avvolto infatti da un roseo romanticismo o da afflati sentimentali, linguaggio e impostazione sono gravi, ineludibili eppure sereni e invitanti.
L’arcata della preghiera incessante:
La preghiera… deve essere «in ogni tempo». E già qui comincia una grossa difficoltà: che cosa vuol dire «pregare incessantemente»? Non è il solo passo del Nuovo Testamento in cui si parla di preghiera incessante. C’è anche la parola di Gesù: Bisogna pregare sempre e non stancarsi mai…
L’interrogativo però è pressante: che cosa significa?
Le possibili spiegazioni rischiano soltanto di formare un puzzle, relativo a ogni persona che desideri o si ritenga orante.
Quanto conta è mettersi in ascolto e comprendere per quale strada il Signore conduce e, di conseguenza, decidersi:
Forse il Signore vuole proprio così, cioè che ci sforziamo di fare il meglio che possiamo, di arrivare a quel grado di preghiera a cui lo Spirito ci chiama, in maniera da potervi corrispondere. Senza preoccuparci, quindi, tanto della «lettera» – cioè se veramente sia possibile giungere a una vita in cui non vi sia neppure un minuto senza preghiera – ma preoccupandoci dello «spirito», cioè cercando di rispondere alla chiamata di preghiera che Dio mi propone. Forse sarà una chiamata che mi porta a un più abituale raccoglimento; o a un raccoglimento più frequente; a un riprendermi presto dalle distrazioni. Ciascuno, credo, deve con molta umiltà vedere almeno queste cose: qual è il tipo di servizio che Dio vuole; qual è la strada che Dio mi vuol far percorrere […] in maniera che possiamo, ciascuno di noi, rispondere nel nostro modo – forse piccolo, semplice, ma sempre gradito a Dio – al suo invito. (IS 221-222)
Incessante quindi, in libertà assoluta quale adesione grata.
L’arcata della perseveranza:
[…] la preghiera ha sempre bisogno di perseveranza, ha bisogno di essere sostenuta coraggiosamente: è una lotta, come dice altrove san Paolo, e quindi deve essere affrontata con animo coraggioso. (IS 223)
Lotta sferrata sotto le intemperie, le fluttuazioni del tempo e delle vicissitudini, sperimentando anche il deserto in cui l’Assente sembra abbandonare ma vuole solo portare alla trasparenza:
Non senza di te… Si è malati di assenza perché si è malati dell’unico. L’Uno, non c’è più. «L’hanno portato via», dicono numerosi i canti mistici che, raccontandone la perdita, inaugurano la storia dei suoi ritorni, altrove e altrimenti, ma in registri che sono effetto più che confutazione della sua assenza…63
Vicissitudini sempre stemperate e rese vitali dal Sole stesso. Con una decisione inossidabile:
Come altre volte, tornerà il sereno. Dovremo solo attendere il riapparire del sole interiore, della luce dell’anima, con disposizione paziente, risoluta e coraggiosa. (IS 65)
L’arcata della veglia:
[…] la veglia è il «tempo quieto», il tempo in cui ci sottraiamo finalmente alle altre occupazioni; si chiudono, anche per chi può avere tante cose da fare, le attività della giornata. Mi pare, in fondo, che qui ci venga detto che per la preghiera bisogna conservare il tempo migliore, il tempo più quieto, il tempo tranquillo. (IS 222)
Ritagli di tempo? O tempi preziosamente custoditi che imprimono il tono alla giornata e all’intera vita? Opzione fondante. Opzione rigenerante.
L’arcata del vegliare sulla preghiera:
Credo che la preghiera stia appunto nel giusto mezzo tra un’attenzione che non è a sé, ma a Dio e che, implicitamente, è vigile, cioè non si lascia trasformare in routine, abitudine, o trascinare semplicemente dall’orario o da altre cose; è qualcosa di estremamente delicato, che Dio solo può insegnare. (IS 223)
Il Maestro è eccellente, l’allievo si lascia educare? Non è sufficiente optare per un ritmo, è necessario amarlo, prediligerlo. Incarnarlo.
Procedendo nel cammino su questo ponte, urge un interrogativo: esiste una connotazione tipica della preghiera cristiana? Carlo Maria Martini per rispondere attinge all’insegnamento del suo maestro, padre Mollat: «Mi sembra di avere trovato questo: cioè che la caratteristica specifica della preghiera cristiana è che si tratta di “preghiera nello Spirito”; questo non si trova in nessuna altra religione e neppure nell’Antico Testamento: non c’è nessun testo dell’Antico Testamento che congiunge la preghiera con lo Spirito Santo, lo Spirito di Dio. Invece, nel Nuovo Testamento, la preghiera “nello Spirito” è un’evidenza».
La preghiera nello Spirito:
Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità. (Giovanni 4,23)
Preghiera «nello Spirito» vuol dire che la preghiera si attua nella sua specificità quando è nello Spirito Santo. Ma con questo non abbiamo ancora detto molto: che cosa vuol dire che si attua quando è nello Spirito Santo?
Debbo dire subito che si tratta più di una esperienza, che non di qualcosa che si possa descrivere. Forse un testo che ci aiuta, tra gli altri, è la Lettera ai Romani, capitolo 8, versetti da 23 a 26. Come ho già detto, mi trovo in imbarazzo di fronte a questi testi, ma cerco di dire qualcosa leggendo nella Parola, così come la capisco. Dice, dunque, la Lettera ai Romani: Tutta la creazione geme e soffre fino a oggi nelle doglie del parto… Siamo in una situazione di «già salvati», ma ancora aspettiamo il Regno definitivo. Essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli. (IS 227)
L’orante desidera ardentemente questa figliolanza, vuole che diventi palese e profonda. Deve superare ogni possibile desiderio, anche estremamente interiore e sicuro, per diventare un unico e solo desiderio:
che la perfezione di Dio si manifesti, che le lacrime siano tolte, che la verità risplenda, che Dio si mostri nella sua gloria. In fondo, tutti i nostri desideri sono un gemito verso il Regno di Dio. (IS 228)
Tocchiamo con mano ripetutamente però che la nostra debolezza fa cilecca, che siamo prostrati, provati, tentati da mille interrogativi che possono diventare lancinanti e ci tormentano perché il come ci sfugge. La claudicanza è dimensione umana afferma Haim Baharier:
La claudicanza la considero una condizione comune a tutto il genere umano; a imitazione non dell’imperfezione ma della perfettibilità, intesa come percorso. Ce lo suggerisce la Torà. È nella Genesi. Quando vennero creati luna e sole, essi furono all’inizio ugualmente grandi, ci dice il testo, i due grandi luminari del cielo. Ma la luna protestò: due sovrani non possono fregiarsi della medesima corona. Hai ragione, rispose il Creatore, vai e rimpicciolisci! Diventa claudicante. La claudicanza di cui parlo è una fiera menomazione, perché grandezza e precarietà non sono in alternativa, ma costituiscono il modus vivendi dell’uomo responsabile.64
Carlo Maria Martini non elude questo enigma, lo guarda con fermezza e vuole dirigere l’orante verso la postura corretta, l’unica corretta:
Siamo sicuri di essere davanti a Dio nella disposizione giusta dell’orante, cioè di colui che si cancella, per così dire, che si lascia fare, si lascia trasformare, vuole veramente ottenere non ciò che ha in mente, ma ciò che il Padre sa che è il suo bene? È vero che noi possiamo benissimo a parole pregare così: «Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà…», e siamo certi allora di chiedere cose perfette. Ma, siccome la preghiera è il gemito del nostro cuore, siamo certi che veramente e fino in fondo desideriamo proprio questo? Oppure le circostanze ci mostrano che, in realtà, desideravamo forse altro e, di conseguenza, ci stupiamo e ci lamentiamo perché le cose non vanno a nostro modo? Poiché Dio veramente prende in parola questa domanda: «Sia fatta la tua volontà». (IS 229)
Si corre il rischio della disperazione, del tarlo che rode lo spirito e giunge fino a distruggere l’orante che tocca concretamente la sua debolezza costituzionale, la sua claudicanza nel cammino della vita. Proprio qui avviene la svolta che trasforma la preghiera dell’orante in preghiera nello Spirito.
Ci viene in aiuto:
È interessante anche domandarsi: che cosa vuol dire questa parola, «ci viene in aiuto»? Si tratta di un’esperienza interiore molto profonda, per lo più non direttamente raggiungibile dalla nostra sensibilità; quindi di un’esperienza e di una realtà di fede, nella Lettera agli Ebrei, capitolo 2, versetto 16, dove l’autore ci dice che Gesù si prende cura di noi: quindi lo Spirito si prende cura della nostra preghiera, se ne preoccupa.
Dunque, lo Spirito Santo si prende cura di noi, di noi poveri, che non sappiamo come regolarci, che abbiamo timore di regolarci male, che non sappiamo andare a fondo di noi stessi. (IS 221)
È avvenuta una grande trasformazione, ontologica, che ha educato i nostri sensi interiori e li ha convogliati, vivi e percettivi, a una realtà nuova, a quella povertà che, invero, palesa il suo volto di autentica ricchezza. Allora può sgorgare la voce stessa dello Spirito.
Intercede «con gemiti inesprimibili»:
Ed è quello che la Lettera ai Romani (8,34) ci dice che fa Gesù stesso: Chi sarà contro di noi, se Dio è con noi? Chi accuserà gli eletti di Dio, chi condannerà? Cristo Gesù che è morto, anzi che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?
Dunque, Gesù è di fronte a Dio continuamente in questa situazione di intercessione, e lo Spirito si unisce in questa intercessione per noi che stiamo pregando. La nostra preghiera non è orazione di solitari, ma nello Spirito: preghiera con lo Spirito, in unione stretta con Lui. (IS 232)
L’orante non è mai solo, quando sperimenta l’acuta punta della solitudine non è teso all’ascolto dei gemiti, perché allora percepirebbe che non è lui stesso a pronunciarli ma è lo Spirito che in lui e per lui geme.
Carlo Maria Martini dona un suggerimento validissimo, anche se arduo da concretare: guardarsi dentro e rimanere stupiti, apprendere a sostare.
Aggiustando:
Credo che forse potremmo qualche volta fermarci a contemplare lo Spirito che intercede, che prega per noi, che sta presentando dinanzi a Dio la nostra meschina situazione e la sta «aggiustando», la sta sistemando; e godere, di conseguenza, per questa azione, e unire la nostra preghiera semplice, povera alla preghiera potentissima, che mi sembra specificamente essere la preghiera del Cristo risorto, cioè del Cristo nella potenza, nella pienezza dello Spirito che gli è stata data attraverso la risurrezione. (IS 233)
Non subentra la timorosa vergogna di chi ha sbagliato o ha fallito, emerge ben altro ed è ricco di grande positività:
[…] una grande fiducia, perché una preghiera fatta con questa coscienza (che non è nostra, non è un nostro tentativo timido di metterci in giusta relazione con Dio, ma è un lasciarci condurre da Dio alla giusta relazione con Lui) è santificante, trasformante, purificante: è il giusto atteggiamento di ascolto di fronte a Dio. (IS 233)
L’ascolto gravido di abbandono e di ogni moto che possa distogliere, incredibile ma vero, coincide con la massima e perigliosa attività.
Il grande combattimento:
La nostra vita partecipa al grande combattimento di Cristo e della Chiesa.
Siamo quindi parte del grande combattimento contro le tenebre, contro l’incredulità, atto a far risplendere la rivelazione e la fede, a indicare il significato vero della vita e dell’uomo. Noi partecipiamo, siamo parte intima di questo grande combattimento; in questa lotta, ci sentiamo personalmente deboli e fragili e dobbiamo fortificarci e armarci. (IS 235)
Il combattimento richiede delle armi particolari, non offensive bensì custodenti ma pur sempre armi:
–la chiarezza riguardo al piano divino rivelato di salvezza, per il quale siamo scelti e partecipiamo a questo movimento che tutto ricapitola nel Cristo;
–l’umiltà quindi di saperci graziati da Dio per misericordia, e quindi chiamati a esercitare misericordia verso gli altri;
–con la pace del cuore, che viene da questo messaggio, da questa buona notizia: pace del cuore e pace tra noi, che ci permette di essere segno di riconciliazione nella Chiesa e nel mondo;
–vivendo in adesione di fede – adesione personale a Dio – in professione di fede nei misteri del Credo; in sguardo di fede verso tutte le cose che sono sotto il mistero di Dio, affidàti fiduciosamente alla sua azione salvifica, la quale ci inserisce nella morte e risurrezione di Gesù, mistero che dobbiamo ripercorrere a nostra volta; esposti alla spada dello Spirito, che è la Parola di Dio, del cui ascolto dobbiamo vivere e da cui dobbiamo lasciarci formare;
–nell’intenzione retta, la quale consacra ogni nostra azione in unione al sacrificio di Cristo, e ne fa un sacrificio gradito a Dio in ogni istante della giornata. (IS 235-236)
Armatura semplice e immediata? Tutt’altro. Piuttosto complessa e in costante… manutenzione.
Lo sbocco è una conclusione vertiginosa che spalanca un’esistenza ubiqua e universalmente feconda:
[…] nella preghiera incessante nello Spirito.
L’invito sollecito porta a essere solidali con tutti gli uomini che lottano per la fede, pregare per loro, praticare la preghiera in tutte le sue sfaccettature.
La preghiera apostolica:
La prima è che, certamente, i santi hanno praticato la preghiera apostolica. Chiamiamo preghiera «apostolica» quella che ingloba in sé le intenzioni, le sofferenze, i desideri, le difficoltà di tutti coloro che nella Chiesa soffrono e, ampliando ancora il concetto, di tutti coloro che la Chiesa vorrebbe fare suoi, di tutti gli uomini che sono immersi nella difficoltà, nella fame, nella sofferenza, nel peccato, nell’oscurità. (IS 238)
Un grembo che accoglie e che non si stanca mai di accogliere, portare in sé, filtrare ed eliminare ogni traccia di male e di malessere per ridonare un flusso che emani solo e puramente: la voce dello Spirito.
La preghiera universale:
Credo che qui sia davvero importante l’esperienza dei santi, e l’esperienza che anche noi possiamo fare come «santi» – come, abbiamo visto, san Paolo ci chiama santi, cioè consacrati –: è lo Spirito che insegna a ciascuno come muoversi nella propria preghiera e quale parte concreta di tempo dare, in essa, anche al pensiero degli altri. (IS 240)
Un mantello protettore ubiquo che può alitare dovunque e sempre, senza vincoli di sorta e che tutti ospita.
La nostra preghiera, quella in cui lo Spirito di Cristo ci insegna a pregare, sostiene la nostra debolezza, che non sa bene che cosa chiedere, e ci illumina su cosa chiedere, su come chiedere: chiedere ciò che Cristo chiede, chiedere con la sua grande visuale di adorazione del Padre e di glorificazione del Padre nel mistero della Chiesa. Per cui penso che dovremmo sentire che ogni nostra preghiera per gli altri non è una piccola intenzione privata, da portare avanti come un personale punto d’onore speciale, ma è qualcosa da inserire nel cuore di Cristo, nel cuore della Chiesa, dove allora diventa davvero nostra… (IS 240)
Fra gli scogli del procedere, la debolezza si inquieta e non sa riconoscere i carati della richiesta, non sa lasciarsi collocare là dove ogni richiesta acquista e gode la sua verità scintillante:
Preghiera che è nostra, perché lo Spirito di Cristo abita in noi ed è Lui a metterla in noi. E noi siamo, attraverso lo Spirito di Cristo, in strettissima unione con la sua intercessione, siamo parte della sua intercessione. (IS 240)
Siamo in Lui e allora balena quell’adorazione che, lasciata nelle nostre mani, è ben povera cosa, mentre scaturendo dallo stesso cuore di Cristo
è perfetta adorazione del Padre, è perfetta oblazione, è perfetta intercessione per tutte le miserie umane – nessuna esclusa – per tutte le sofferenze, per tutte le situazioni oscure. (IS 242)
Pregare nel nome di Cristo, in realtà che cosa significa? È mai possibile lasciarsi attrarre e scendere in questa profondità?
Vuol dire pregare anche nel cuore stesso della sua intercessione e, quindi, stando – per così dire – al di sopra di tutta la Chiesa e dentro la Chiesa, sentendo le sofferenze della Chiesa così come Gesù le sente, e offrendole al Padre con quella intercessione senza sosta che san Paolo ci presenta come l’azione costante di Cristo nell’eternità. (IS 242)
Nella storia, nella nostra storia e nella storia di ciascuno e di ciascuna eppure già viventi dinanzi al Volto dell’Amore Trinitario.
Ponte perciò con le sue arcate, gettato non con vane parole lasciate volare nell’aere ma parole emerse dalla profonda postura personale, mai dismessa in tutta l’esistenza;
[…] la sua incessante preghiera: prima di proporla agli altri, Martini aveva vissuto e sperimentato a lungo la dimensione contemplativa della vita, aprendo incessantemente il suo cuore a Dio e proprio così sperimentando di non essere mai solo. La preghiera non è tanto un nostro modo di amare Dio, quanto un lasciarci amare da lui. Pregare è stare sulla soglia dell’infinito e lasciarsi toccare dal miracolo che la tenerezza divina sa compiere verso chiunque l’invochi con desiderio, spirito e cuore. Martini viveva continuamente su questa soglia, totalmente affidato alla misteriosa Presenza.65
60 C.M. Martini, La dimensione contemplativa della vita, n. 15.
61 C. Dobner, Luce carmelitana. Dalla santa radice, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005, 36s.
62 C.M. Martini, La dimensione contemplativa della vita, n. 31.
63 M. De Certeau, Fabula mystica. La spiritualità religiosa tra il XVI e il XVII secolo, il Mulino, Bologna 1987, 37s.
64 H. Baharier, La valigia quasi vuota, Garzanti, Milano 2014, 27.
65 B. Forte, Il Cardinale Martini e l’audacia della verità, in «Il Sole 24 Ore», 11 agosto 2013.