La saggezza multicolore di Dio (Efesini 3,10)

Le religioni, la preghiera e la pace

di Walter Kasper

Le religioni possono fare molto per la pace e per questo debbono conoscersi, aiutarsi, fermentarsi a vicenda per scoprire sempre meglio il grande mistero che è nascosto nel cuore dell’uomo da Colui che lo ha fatto a sua immagine. Anche se il Cristianesimo riconosce in Cristo la pienezza della rivelazione di Dio, esso sa che tale rivelazione è in qualche modo presente in ogni cuore, perché Dio vuole la salvezza di tutti e conduce tutti, mediante un cammino di purificazione, al superamento di sé verso una piena autenticità.

C.M. Martini con E. Mascheroni, I colori di Dio, Monti, Saronno (Va) 2007, 15.

Tra i tanti bei testi lasciatici dal cardinale Carlo Maria Martini, ce n’è uno poco conosciuto e quasi nascosto in un libro illustrato, I colori di Dio, con belle foto di persone in preghiera di tutte le grandi religioni dell’umanità. Martini mostra vividamente che, per quanto le religioni siano diverse, hanno in comune la preghiera.

Ci si può chiedere come Martini sia arrivato a queste affermazioni di ampio respiro, che sono chiaramente segnate dall’esperienza della sua preghiera cristiana. Martini – come diceva lui stesso – non si considerava un esperto nello studio delle religioni e della religione comparata; non era neppure un rappresentante ufficiale del dialogo interreligioso, come lo ha assunto la Chiesa cattolica dopo il Concilio Vaticano II. Egli considerava importanti questi due tipi di dialogo, ma entrambi non erano, o almeno non principalmente, una sua preoccupazione personale. Ha parlato di un dialogo che viene dal profondo del cuore sulla base di incontri concreti con persone delle grandi religioni. Questi sono stati, oltre ai primi incontri con gli ebrei, incontri che ha avuto durante i suoi viaggi nel Vicino Oriente e in Asia. Martini parlava sempre di un dialogo in ascolto, quello che si intende è un dialogo che ascolta con il cuore.

Martini era come cristiano e come membro dell’Ordine della Compagnia di Gesù plasmato dalle testimonianze bibliche dell’esperienza di preghiera di Gesù. Gli Esercizi di Ignazio di Loyola, che egli stesso ha fatto e che ha spesso predicato, sono fondamentalmente una scuola di preghiera di Gesù. Per Ignazio la preghiera non era solo una questione di situazioni limite ed eccezionali della vita o di pochi minuti della vita quotidiana; la sua preoccupazione era di trovare Dio in tutte le cose. Così per Martini la preghiera era il centro più intimo della sua vita e del suo lavoro, e la fonte da cui attingeva sempre nuove forze. Era, per così dire, la settima dimora del suo castello dell’anima, di cui parlava Teresa d’Avila.

Secondo le testimonianze del Nuovo Testamento Gesù viveva, agiva e parlava dalla sua profonda comunione di preghiera con Dio, che chiamava suo Padre in modo molto intimo e unico. Prima di iniziare il suo ministero pubblico, Gesù si ritirò nel deserto per quaranta giorni (Marco 1,12-13), prima di prendere decisioni importanti (Luca 6,12) ha trascorso intere notti di preghiera in solitudine. I suoi discepoli ovviamente lo guardavano e gli chiedevano: «Insegnaci a pregare». Egli insegnò loro a pregare il Padre Nostro (Luca 11,1-4; Matteo 6,9-13). La preghiera del discepolo di Gesù dovrebbe essere senza grandi parole e gesti teatrali, semplici, essenziali, ma pieni di fiducia (Matteo 6,5-8; 7,7-11). Gesù poteva giubilare nella preghiera con gioia (Matteo 11,25,27; Luca 10,21s.).

Nel giardino del Getsemani, la preghiera di Gesù si è trasformata in una drammatica lotta con la volontà di Dio (Marco 14,16-21) e nel grido di abbandono sulla croce ha gridato tutta la miseria dell’abbandono dell’uomo da Dio (Marco 15,34).

Non c’è da stupirsi che l’ammonizione di Gesù di pregare sempre e senza stancarsi mai (Luca 18,1) scorra come un filo rosso attraverso gli scritti del Nuovo Testamento (1 Tessalonicesi 5,17; Romani 12,12; Filippesi 4,6-7; Efesini 6,18; Colossesi 4,2). La preghiera è il centro più interno e la fonte di vita della vita cristiana. Non c’è vita cristiana viva senza un’intensa preghiera. Secondo Teresa d’Avila, la preghiera è come parlare con un amico con cui ci troviamo spesso e volentieri a parlare perché siamo sicuri che ci ama.

Tutta la storia della rivelazione è un continuo dialogo di Dio con gli esseri umani, in cui Dio si rivolge a noi come amici. Dio non ci comunica «qualcosa» nella sua rivelazione, ci comunica se stesso e si dona completamente a noi. Il culmine di questa autocomunicazione di Dio è Gesù Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione (Dei Verbum 2). Nella fede che risponde l’uomo si abbandona tutto a Dio liberamente (Dei Verbum 5). Dopo il ritorno di Gesù al Padre, Dio continua questo dialogo nello Spirito Santo con la Chiesa, la Sposa di suo Figlio. Inoltre, per mezzo della Chiesa la viva voce del Vangelo risuona nel mondo per invitare tutti a questo dialogo con Dio (Dei Verbum 8).

La lettura delle Scritture, che è l’autorevole testimonianza scritta di questo dialogo, dovrebbe quindi diventare di nuovo un colloquio tra Dio e l’uomo. La lettura è quindi per sua natura legata alla preghiera (Dei Verbum 25). Martini, come significativo e rispettato studioso della Sacra Scrittura, era allo stesso tempo un maestro dell’iniziazione a una lettura della Sacra Scrittura accompagnata dalla preghiera. Considerava questa attività come la sua attività principale come sacerdote, come insegnante accademico e come vescovo che brillava ben oltre la sua diocesi di Milano.

L’occupazione accademica e soprattutto lo studio personale delle Sacre Scritture dell’antica e della nuova alleanza hanno portato Martini quasi inevitabilmente all’incontro con il popolo di Dio dell’antica alleanza, con il quale condividiamo i patriarchi della fede, i dieci comandamenti dati da Dio attraverso Mosè, gli scritti del Primo Testamento, che chiamano il Tanach. Da loro Gesù è secondo la carne e noi siamo come un olivo selvatico innestato nella santa radice d’Israele (Romani 9,4-5;11,16-17). Insieme con gli ebrei preghiamo i Salmi. Sono profonde e impressionanti testimonianze di preghiera in tutte le sue forme espressive, come lode, ringraziamento e adorazione, come grido di aiuto nelle ore di bisogno, solitudine e abbandono, di persecuzione, sofferenza e morte, come richiesta quotidiana, come espressione di speranza, conforto, gioia e pace, come lamento, sfida, lotta interiore con la volontà di Dio, spesso anche espressione del vuoto interiore e della aridità, di domande e della ricerca.

Condividiamo tutte queste esperienze con il popolo ebraico. Molte forme di antigiudaismo nella storia ci alienano oggi, e noi cristiani condanniamo ogni forma di antisemitismo, vecchio e nuovo. Il nostro rapporto deve essere improntato all’amicizia e alla cooperazione, e non da ultimo, come con Gesù stesso, alla preghiera l’uno per l’altro. Insieme siamo in cammino verso il Regno di Dio, che nella sua pienezza è solo in arrivo. Questa speranza escatologica ci unisce. Da tutto questo cresceva il fervido desiderio di Martini di trascorrere gli ultimi anni della sua vita a Gerusalemme, un desiderio la cui realizzazione dovette abbandonare a causa di una grave malattia.

Solo più tardi Martini rivolse la sua attenzione e incontrò le religioni non ebraiche e non cristiane. Ha vissuto la crescente presenza dei musulmani in Italia e ha percepito l’alba di una nuova era, che oggi viviamo come una tragedia umanitaria e una sfida in un’ondata migratoria mondiale di molti milioni di persone. Questa esperienza fece riflettere Martini, lo aprì alle altre religioni e si lasciò profondamente impressionare dall’esperienza di preghiera di persone di altre fedi.

Per quanto è consentito il confronto, era simile a Gesù. Gesù dopo i conflitti con gli ebrei, si era recato nell’area pagana di Tiro e Sidone (Marco 7,24-30; Matteo 15,21-28). Lì una donna siro-fenicia si avvicinò a lui, era una Gentile, cadde ai suoi piedi e chiese la guarigione di sua figlia. All’inizio Gesù la rifiuta, sa di essere inviato solo al popolo eletto di Israele. Ma la donna insiste e non si arrende. Finalmente la fede della donna supera la sua resistenza. Egli riconosce che almeno le briciole della tavola cadranno per gli altri. Dio è più grande e non c’è solo in Israele e per Israele (e come si può dire: non solo nella Chiesa e per la Chiesa). Egli è presente per tutti e in tutti i popoli.

La storia della donna siro-fenicia e la forza della sua supplica non è così straordinaria nella Bibbia come si potrebbe pensare. Ci ricorda l’incontro del profeta Elia con la vedova di Sarepta della vicina Sidone (1 Libro dei Re 17,8-24), della moabita Ruth, che si è allineata nella linea degli antenati di Davide con la frase «Il tuo popolo è il mio popolo e il tuo Dio è il mio Dio» (Ruth 1,16) e quindi nell’albero genealogico di Gesù (Matteo 1,5). Con Gesù stesso ci imbattiamo nei seguenti incontri: a) con il capitano romano di Cafarnao (Matteo 8,5-13; Luca 7,1-10), b) con la samaritana al pozzo di Giacobbe (Giovanni 4) e c) con i greci, a cui Gesù ha mostrato che ora è giunta la sua «ora» (Giovanni 12,20-23). Come il profeta Isaia, Gesù prevede il pellegrinaggio escatologico delle nazioni (Isaia 2,2-5; Michea 4,1-3), in cui molti verranno da Oriente e da Occidente e siederanno a tavola con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli (Matteo 8,11-12). Suppongo che ci saranno grandi sorprese anche per noi, su chi apparterrà al Regno di Dio alla fine e chi no.

Con Gesù, poi con Pietro e in altri modi con Martini, sono stati incontri concreti che ci hanno aperto gli occhi sul fatto che in ogni popolo ci sono persone che temono Dio (Atti degli Apostoli 10,35) e che la Chiesa è stata presente in modo nascosto fin dal giusto Abele (Lumen Gentium 2), così che ovunque ci sono persone che cercano Dio, che lo sentono e lo trovano, perché non è lontano da nessuno di noi (Atti degli Apostoli 17,27). Già la Chiesa primitiva, nel suo cammino verso la missione, ha avuto l’esperienza che lo Spirito Santo l’ha preceduta e che può condurre le persone alla fede su sentieri che solo Dio conosce (Ad Gentes 7). Che ci siano dei santi pagani era ben noto anche ai Padri della Chiesa: Abele, Enoch, Noè, Melchisedech e altri.

Questo non ha nulla a che vedere con l’egualitarismo. I profeti e Paolo sanno bene e criticano che ci sono idoli inquietanti tra i pagani, dove la gloria di Dio viene scambiata con immagini di uomini e animali (Romani 1,23). Al contrario, la Bibbia conosce la grandezza e la gloria infinitamente sublime di Dio, che è sopra tutto ciò che è visibile, e di cui nessuno può o deve potersi formare un’immagine (Esodo 20,4; Deuteronomio 5,8).

D’altra parte, qualcosa di sacro si illumina su ogni volto umano. Dio stesso ha creato l’essere umano, uomo e donna, a sua immagine e somiglianza (Genesi 1,27; 5,1-2). Pertanto, la vita di ogni essere umano è inviolabile e santa (Genesi 9,6; Esodo 20,13; Deuteronomio 5,17). La legge fondamentale di Dio, la Regola d’oro, che si trova in tutte le religioni e culture a noi note, è scritta nel cuore dell’uomo da Dio (Romani 2,15). È la regola dell’umanità, rispettare e trattare ogni persona come un essere umano, proprio come se stessa; è una sintesi della Legge e dei Profeti (Matteo 7,12; Luca 6,31).

L’unica immagine autorevole e perfetta di Dio è solo Gesù Cristo (Colossesi 1,15; 2 Corinzi 4,4; Ebrei 1,3). Egli è la luce del mondo (Giovanni 8,12), la luce che risplende nel mondo e che risplende in ogni uomo (Giovanni 1,4-9). La luce non solo dissipa le tenebre, ma scopre visibilmente la realtà. La luce di Cristo non spegne le tante piccole luci, ma le porta alla luce, affinché tutti coloro che fanno la verità vengano alla luce (Giovanni 3,21). Alla luce di Cristo vediamo di nuovo la realtà. Sappiamo che tutto è creato in Cristo e per Lui (Colossesi 1,15-16). Cristo è come il segno d’acqua in tutta la realtà della creazione. Il suo Spirito è all’opera nella creazione fin dall’inizio per trasformare il caos in cosmo (Genesi 1,2). È presente nel gemito e nelle doglie del parto del mondo, nelle sue crisi e nei suoi nuovi inizi. Tutta la creazione attende con ansia la rivelazione dei figli (e delle figlie) di Dio (Romani 8,19.28).

Il Concilio Vaticano II ha ripreso più volte questa visione universale, rivelato il terreno comune di tutte le religioni e sottolineato che la Chiesa cattolica non rifiuta nulla di ciò che è vero e santo nelle religioni. Piuttosto, riconosce in esse un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini e proclama che gli uomini trovano in Cristo la pienezza della vita religiosa in cui Dio riconcilia a sé tutte le cose (2 Corinzi 5,18-19, cfr. Nostra Aetate 2; Lumen Gentium 2; Gaudium et Spes 10; 22; 45; Ad Gentes 2f). Perciò possiamo riconoscere nelle persone in preghiera di altre religioni la presenza effettiva di Dio e del suo Spirito. Il volume I colori di Dio, co-edito dal cardinale Martini, ne è una testimonianza impressionante.

In tutte le grandi religioni dell’umanità, soprattutto nell’Islam (per esempio nel Sufismo), nell’Induismo (soprattutto nel Bhakti-Hinduismo) e nel Buddismo (come le correnti del Buddismo Mahayana), ci sono mistici che vedono simboli nelle immagini e nei riti per noi spesso estranei di queste religioni, che consapevolmente non confondono con il Divino stesso, ma li intendono piuttosto come immagini e simboli per l’indicibile, inesprimibile, intangibile e irrappresentabile Divino. Tra loro e la mistica cristiana ed ebraica ci sono molte possibilità di conversazione e punti di contatto.75

Non c’è solo la mistica degli occhi chiusi, che nella preghiera cerca distanza dal trambusto e dal rumore del mondo; c’è nella Chiesa come fuori della Chiesa anche la mistica degli occhi aperti, che nel bisogno e nelle ferite del mondo ascolta la chiamata di Dio. Nella parabola del Buon Samaritano, Gesù, tra tutti gli uomini, nella figura di un Samaritano che allora era considerato un «mezzo pagano» guardato con sospetto, ci ha presentato un esempio di carità attiva (Luca 10,25-37). Come il Signore risorto e trasfigurato, anche Gesù porta le stimmate ed è anche oggi riconoscibile dalle ferite del corpo e dell’anima (Luca 24,39; Giovanni 20,19-23). «Qualunque cosa abbiate fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatta a me» (Matteo 25).

Ci sono dei non cristiani attivi nel mondo, uomini e donne, si pensi al Mahatma Gandhi, Dag Hammarskjöld, che erano e sono mistici. Madre Teresa di Calcutta, conosciuta ben oltre la Chiesa cattolica, era una mistica, come abbiamo appreso in seguito dalla sua biografia, e la fratellanza universale di Charles de Foucauld ci rende consapevoli che la mistica che non arriva nella vita quotidiana è fin dall’inizio poco plausibile e profondamente sospetta. Il dialogo interreligioso non può quindi essere condotto solo in ambito accademico o esoterico; deve avvenire soprattutto nella vita quotidiana.

In tutte le forme di incontro interreligioso è necessario il dono del discernimento degli spiriti. «Esaminate tutte le cose, e tenete ciò che è buono» (1 Tessalonicesi 5,21). Per i cristiani, Gesù Cristo è la chiave, il centro e la meta di tutta la storia umana (Gaudium et Spes 10). Egli è per noi la misura più importante del discernimento. Ma gli esempi della vita di Gesù stesso e della Chiesa primitiva dimostrano che l’incontro con persone di altre religioni può aiutarci a comprendere meglio e più profondamente la novità mai esauribile e storicamente mai raggiungibile di Gesù Cristo e il mistero del Dio di Gesù Cristo sempre più grande. Il viaggio alla scoperta di altre religioni ci preserva dalla ristrettezza settaria e dalla ottusità fanatica; può anche condurci alla scoperta della universalità cattolica della nostra stessa fede cristiana, intesa nel senso originario del termine.

Il Concilio Vaticano II ha pubblicato un documento fondamentale sul rapporto con le religioni non cristiane, che inizia con le parole Nostra aetate, «Nel nostro tempo». Questo tema è infatti di particolare importanza nel nostro tempo. Le religioni possono, e purtroppo lo hanno spesso fatto, causare e alimentare conflitti, ma hanno anche un potenziale di pace che non può essere sostituito da nient’altro e che è vitale per il futuro dell’umanità nel nostro mondo globalizzato, carico di molti conflitti.

Le persone di altre religioni non vivono oggi in Paesi e continenti lontani; oggi spesso vivono porta a porta vicino a noi, e molte donne siro-fenice bussano alla nostra porta chiedendo aiuto per i loro figli. La pace è molto di più del silenzio delle armi. Una pace duratura richiede la pace interiore, e a causa della fraternità dell’unica famiglia umana un ordine di giustizia e il rispetto per l’alterità degli altri. Qui entrano in gioco le religioni e noi cristiani dobbiamo essere sale della terra e luce del mondo (Matteo 5,13-14). L’incontro, il dialogo e la collaborazione tra le religioni, così come la preghiera per gli altri e per la pace nel mondo, sono l’imperativo del momento.

75 È importante notare che la mistica cristiana non deve essere identificata con fenomeni estatici straordinari come visioni e audizioni. Naturalmente non va confuso con il sentimentalismo finto-religioso, con il nuovo kitsch religioso o gli eventi di benessere. Né è un regalo per pochi eletti. Secondo Karl Rahner e altri teologi, la mistica cristiana può essere intesa come una forma interiorizzata di vita normale di fede in mezzo alla vita del mondo. È l’esperienza interiore della consolante presenza di Dio e dell’essere trattenuti da Dio, o la dolorosa esperienza della sua presunta assenza, della sua aridità e del proprio vuoto interiore; può finalmente diventare anche un lamento davanti a Dio e una lotta con Dio. Ci sono livelli di intensità, che Teresa d’Avila ha descritto come sette dimore di Dio con noi e in noi. Ma in linea di principio, questo rendersi conto interiore appartiene a ogni vita cristiana più intensa.