D. Quale domanda rivolgerebbe a Gesù, se ne avesse la possibilità?
R. […] Un tempo, da vescovo e responsabile della Chiesa, gli avrei domandato: perché permetti che esista un divario tra molti giovani, soprattutto quelli cui non manca nulla, e la Chiesa, con tutti i tesori celesti che può portare agli uomini? Perché le due parti non possono essere più vicine? Gli chiederei: perché permetti che molti giovani diventino indifferenti, al punto di perdere, a volte, persino la gioia di vivere?
C.M. Martini, Conversazioni notturne a Gerusalemme, Mondadori, Milano 2008, 11.
Il fossato che separa le nuove generazioni – la maggior parte di coloro che fanno parte delle nuove generazioni, almeno in Occidente – e l’universo ecclesiale, negli anni che ci dividono dalla morte del cardinale Martini, ha continuato ad allargarsi. Il fatto ora è talmente sotto gli occhi di tutti che non è più neppure necessario citare questa o quell’altra indagine sul sentimento religioso nel tempo che ci è dato vivere per averne contezza o conferma. Il punto è semplice. Più sei avanti con l’età, più sei vicino a un’esperienza religiosa, più sei all’inizio della tua avventura esistenziale più sei lontano da quel tipo di esperienza. E se nel passato questo era vero soprattutto sul versante dei giovani maschi, oggi vale anche, in larga misura, per il versante delle giovani donne. Ed è così che siamo forse davanti alla prima generazione o alle prime generazioni umane che stanno imparando a vivere senza la Chiesa e senza Dio. L’esperienza religiosa diventa per loro semplicemente irrilevante. Se ne può fare a meno e di fatto se ne fa a meno.
Proprio per tale situazione, ci toccano così tanto e così da vicino quegli interrogativi che Martini porrebbe direttamente a Gesù, dopo quelli di natura più personale. Ci toccano perché toccano drammaticamente proprio il nodo appena accennato: il nodo di un legame sempre più fragile della Chiesa con i giovani e con le giovani e il nodo della capacità della prima di attivare idee, risorse e strategie per rafforzarlo, quel fragile legame, per evitare infine che si spezzi per sempre, quel fragile legame.
E si capisce pure perché è proprio di questo che Martini vorrebbe interrogare Gesù. Tra le mille e più questioni che uno studioso di immensa levatura e un uomo di Chiesa unico nel suo genere quale è stato Martini potrebbe più che giustamente porre all’attenzione del Signore Gesù, quella della distanza dei giovani è la più prossima al suo cuore e al suo pensiero.
Del resto, è inutile girarci intorno: senza giovani, la Chiesa semplicemente muore. Almeno da noi, in Europa, ma anche negli Stati Uniti, in Canada, in Australia. E questo è senza dubbio il vero dramma con cui i credenti di oggi – i credenti occidentali – sono messi a confronto. Più che dalla messa in latino, più che dai viri probati, più che dalla questione di come riammettere alla vita sacramentale i fedeli divorziati e risposati, più che dalla possibilità di avere diaconesse, più che dalla riforma della Curia, è dal suo rapporto con le giovani generazioni che ne va della vita buona della Chiesa, in Occidente, almeno e per ora.
Senza nuovi giovani credenti, infatti, da dove verranno i nuovi sacerdoti, i nuovi consacrati, le nuove consacrate? Senza nuovi giovani credenti, infatti, da dove verranno quelle famiglie «piccola Chiesa» che trasmettono ai cuccioli la bellezza del Vangelo? Senza nuovi giovani credenti, infatti, da dove verranno quei discepoli e quelle discepole del Signore in grado di immettere la parola cristiana dell’amore e del dono nei circuiti vitali di una società, di una cultura e finanche di una politica sempre più alimentate dal narcisismo e dall’egoismo? Senza nuovi giovani credenti, ancora, da dove verranno la gioia e l’entusiasmo del ritrovarsi insieme e celebrare il giorno del Signore? Non celebriamo già sin d’ora fin troppo stancamente – e non più poeticamente – i misteri della nostra fede? Senza nuovi giovani credenti, da ultimo, che fine faranno le tante associazioni, i tanti movimenti e i tanti cammini che gravitano nell’orbita del mondo cattolico?
Non è pertanto possibile guardare agli sviluppi dell’attuale scenario ecclesiale, a partire dalla questione giovani e Chiesa, senza adottare la prospettiva che qui Martini utilizza: la prospettiva di un robusto «corpo a corpo» in un dialogo orante con Gesù. Perché accade tutto questo? Perché Egli lo permette? Perché non si possono ritrovare insieme giovani e comunità cristiana?
Senza dimenticare, poi, e Martini non lo fa, l’altro rovescio della medaglia, quello relativo a ciò che la Chiesa potrebbe pur offrire di buono agli stessi giovani. Perché, se è senz’altro vero che è la Chiesa ad avere di essi bisogno, è altrettanto vero che i giovani possono trovare in essa innumerevoli «tesori celesti».
A dispetto infatti della personale grandezza e a volte della personale piccolezza di chi la rappresenta ufficialmente, è nella Chiesa che è sempre possibile incrociare i propri passi con quelli di Gesù, con colui che è davvero l’uomo della gioia e la gioia dell’uomo; è nella Chiesa che è sempre possibile imparare a pregare e dunque a rendere giustizia a se stessi, alla propria condizione precaria e fragile, alla propria storia di vita e all’autentico volto paterno di Dio, rivelatoci da Gesù; è nella Chiesa che ci è data infine la possibilità di partecipare a un gruppo di uomini e di donne tenuti insieme non per meri interessi di sangue o di soldi ma per il comune interesse per l’avvento di quel regno di giustizia, di pace e di fraternità che sta al centro del Vangelo: in una parola dal comune interesse di fare più bello il mondo che abitiamo.
E se è pur vero che molti sono i modi attraverso i quali un giovane si può incontrare con Gesù, con la rivelazione del mistero trinitario di Dio e con il Vangelo del Regno, è altrettanto vero che nessuno è più piano e più diretto di quello che passa attraverso la realtà della Chiesa.
Ed è così che Martini esplode in un altro interrogativo: Signore, perché non ci dai idee migliori? E chissà se non sia stata proprio una tale invocazione che almeno da lontano non abbia pure giocato un qualche ruolo nell’ispirare il confratello di Martini, divenuto papa Francesco, Jorge Mario Bergoglio, a dedicare la XV Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi proprio al tema «I giovani, la fede e il discernimento», celebratasi nel mese di ottobre del 2018. I numerosi documenti che ne hanno accompagnato e definito il cammino – dal Documento preparatorio, passando dall’Instrumentum Laboris, dal Documento finale della riunione pre-sinodale e dal Documento finale, sino all’esortazione post-sinodale Christus vivit – non mancano, in verità, di indicare buone idee e valenti prassi per dare una svolta all’azione pastorale dedicata alle nuove generazioni. Come a dire che il Signore idee migliori ce le ha pure donate.
Eppure, non senza una grande amarezza nel cuore, ci tocca constatare che nulla ancora sia stato concretamente realizzato per provare a riavvicinare l’universo giovanile e la Chiesa. Le due parti restano ancora lontane. Ed è per questo che non possiamo non chiederci: Che cosa, allora, non abbiamo ancora capito di questa grande sfida che il tempo che viviamo pone alla Chiesa? Che cosa non abbiamo fatto? Che cosa ci è mancato e ancora ci manca?
E a chi scrive pare che quel che ancora non abbiamo capito, che quel che ancora non abbiamo fatto, che quel che ci è mancato e ancora ci manca è che probabilmente non ci mancano i giovani che mancano, che non sentiamo a sufficienza la loro mancanza. Più in generale, e lo si dice qui quasi sotto voce, è come se, a un certo punto, la maggior parte delle persone che va ancora in Chiesa avesse semplicemente imparato a vivere la propria esperienza credente senza i giovani; è come se agli uomini e alle donne che hanno in mano le redini della Chiesa non mancassero più proprio i giovani che puntualmente mancano alla celebrazione del giorno del Signore; è come se, alla fine dei conti, questa nostra Chiesa avesse dimenticato di aver dimenticato i giovani. In questa situazione, un Sinodo, come una colomba, non fa primavera!
Ed è per questo che, se oggi potessimo chiedere al cardinale Martini cosa domanderebbe alla sua Chiesa, agli uomini e alle donne della comunità cristiana, forse è questo che ci direbbe: Perché permettete ancora che esista un divario così grande tra molti, moltissimi giovani e la Chiesa? Perché non fate nulla per colmare il largo fossato che si è creato tra voi e loro? Perché permettete ancora che molti, moltissimi giovani non si avvalgano e godano dei tesori celesti presenti nella Chiesa e finiscano – almeno alcuni di loro – a perdere la gioia della vita? Dove è finita la vostra passione per il Vangelo? Perché non cercate idee migliori? Perché non siete più forti nell’amore? Perché non affrontate con più coraggio i problemi di oggi? Perché il pensiero di questa Chiesa che manca all’appello, la Chiesa dei giovani che mancano, sembra quasi non mancarvi più?
Se c’è ora un punto dal quale ripartire, una leva di Archimede sulla quale fare appoggio, per provare a ricucire il legame sin troppo fragile tra la Chiesa e le nuove generazioni, quel punto, quella leva di Archimede, in verità non potrà che essere un’ultima, semplice domanda: quanto ci mancano i giovani che ci mancano?