Jimmy il profeta
Jimmy il profeta era un uomo.
Un tipo strano di Milano.
Frequentava i paraggi della Stazione Centrale.
Era vestito sempre molto elegante. Nessuno sapeva chi fosse esattamente né quanti anni avesse. La sua età era indefinibile. Tra i cinquanta e i settant’anni. La barba lunga, ben fatta. Diceva a tutti: “Come sei arrivato, te ne andrai.” Sembrava non sapesse dire altro né altro dovesse dire. Pochi gli davano retta. In una stazione dei treni, poi.
La Stazione Centrale di Milano è un luogo simbolico della trasformazione che stiamo tutti subendo. Dall’esuberanza delle sue origini, quando era un’opera monumentale ispirata a una maestosità egizia poi irrigidita ma per nulla deturpata dal fascismo, si è trasformata nel secondo dopoguerra dello scorso secolo nell’inizio di un’avventura collettiva che si chiamava progresso e sognava la libertà e una dignità nuova. Arrivavano le carrozze dal Meridione piene di gente che sognava una vita migliore, uomini e donne che fuggivano dalla fame in cerca di fabbriche dove assieme costruire un futuro comune che la televisione aveva giurato essere pronto da usare. Un futuro moderno e funzionale fatto di frigoriferi, giradischi, aspirapolveri, moquette per terra e tappezzerie floreali di ogni tipo sui muri di palazzi che crescevano come funghi, dove andare ad abitare guardando tutti, ogni sera, la televisione che si accendeva piano e ti faceva vedere che il sogno di una vita normale non era così lontano.
Poi è arrivata una normalità nuova e pesante da respirare.
Un’aria inaspettata d’incanto guasto. Le cose non andavano come dovevano andare, ma c’era tanta voglia di fare per non morire. Si sparava, anche. Per idealismo, per intraprendere un’avventura che poi si è spenta in sangue inutilmente versato su una ricchezza di plastica combusta, che finiva, aveva un odore di macchine bruciate, un concerto olfattivo di milioni di macchine che prendevano fuoco e venivano buttate, nello stridore di una sinfonia di stragi. Molto dolore, alcuni agi. Il senso che precipitava.
Però si era felici.
Però si era vivi e c’era tanta voglia di festeggiare.
Di mangiare. Tutti assieme. La torta era finita da tempo, ma più quel tempo diventava colossale più aumentava la voglia di mangiare e più si imbandivano tavole e allora nacque la Milano da bere e Jimmy il profeta fece la sua comparsa, era la coscienza centrale di una stazione in cui le fermate si dilatavano e restringevano senza più alcun ritmo regolare, nell’elogio di un’aritmia che divenne presto allucinazione veloce, sempre più veloce e stordita, posseduta da un senso di dominio impotente e scivoloso in cui sono caduti in tanti, a cui nessuno farà un monumento.
La Stazione Centrale è così diventata una sorta di centro commerciale disabitato, si è mascherata da grande store pietrificato.
Archeologia griffata.
Ha nascosto il suo passato, si è riempita di merce invenduta in negozi infrequentati mentre i sogni persistevano, arrivando da altrove, in un mondo più violento e piccolino, cose tipo globalizzazione.
Negli ultimi tempi, la Stazione Centrale, specialmente di notte, sembrava un accampamento, o un cielo rovesciato costellato da stelle sdraiate a terra, ogni stella una diversa disperazione implosa dentro.
Dall’Africa che è in Africa e ovunque nel mondo, l’Africa di ovunque grida il nome di un medicinale, il bisogno impellente del sapone e di pannolini per i neonati.
Oggi c’è tanta polizia.
Controlli.
Sicurezza.
La parvenza dei sogni è ciò per cui diamo più facilmente la vita.
La parvenza. Jimmy era lì a ripetere la sua frase: “Come sei arrivato, te ne andrai”, ma nessuno ci faceva più caso. Qualcuno gli dava una monetina.
Correvano voci su di lui.
Si diceva che avesse lavorato in banca e che poi se ne fosse andato all’improvviso, regalando tutto ai poveri. Ma le voci diminuivano con una potenza di pietra, e tutto nella coscienza si calcificava, nei transumanti della Stazione, in un mesozoico pieno di pubblicità girevoli di mutandine deliziose, di canali calcio h 24 e cioccolatini da comprare.
Quando Jimmy è sparito quasi nessuno se ne è accorto. Come era arrivato se n’era andato.