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La faccenda dell’ambasciata di Svezia mi fece faticare più del previsto. Mi pare di esserci andato almeno una dozzina di volte. In bicicletta lungo il Malecón. Dieci chilometri all’andata. Dieci chilometri al ritorno. Avevano sempre bisogno di altri dati, compilare schede su schede. Agneta intanto doveva sbattersi quanto o più di me, a Stoccolma. Ogni tanto pensavo che mi stessero prendendo in giro. Invece no. Il vero motivo, secondo me, è che si annoiano dietro i loro vetri antiproiettile e le garitte blindate. Sono talmente protetti da terroristi, invasori, microbi, malattie tropi-

cali e altre minacce che, evidentemente, si annoiano e devono inventarsi qualcosa che gli complichi la vita. A un certo punto il tipo, sprezzante, socchiudendo gli occhi, mi ha detto: “Ormai ho capito che voi cubani fate sempre tutto all’ultimo momento”. Mi stava provocando. Cercava qualche pretesto per negarmi il visto. Ho forse la faccia da delinquente, da magnaccia di Gloria, da strafatto di marijuana? No. Non credo. Quindi, lo ignorai. Anche se avrei potuto dirgli: “Egregio signore, è più di un mese che mi rompo i coglioni con queste scartoffie. Lei crede forse di concedermi l’ingresso in paradiso? Se lo infili nel culo, il suo visto. Non vado più da nessuna parte. Siete voi a rimetterci. Vi piacerebbe avere un animale tropicale come me che vi faccia visita di tanto in tanto”.

Ma non reagii, ovviamente. Ostentai un sorriso simile al suo, da cinico, e chiesi, come se non me ne fregasse niente: “Allora, facciamo domani?”. “Sì, signore. Le prometto che domani il suo visto sarà pronto”. Il giorno dopo, finalmente, potei ritirarlo e andai subito alla compagnia aerea, dove mi diedero il biglietto e il mio umore migliorò come per incanto. Mi sedetti in un caffè lì vicino e mi scolai due o tre birre per festeggiare l’evento. Non so come mi sia saltato in testa, ma di fatto scrissi su due piedi una poesia dedicata a Gloria. Non proprio una poesia d’amore. Forse, piuttosto, una poesia scritta con le viscere. Mi sentivo libero. Il mio spirito si stava espandendo. In quel momento i vari pedrito sadici e cinici che mi porto dentro riemergevano vittoriosi.

Io sono il vampiro

che sempre ti sorprende e succhia il tuo sangue.

Mi nutro del tuo sudore, delle tue lacrime,

dei tuoi umori.

Ti tolgo il fiato

e ti penetro baciandoti finché non ti rendi più conto che vivo dentro di te.

Come un parassita. Come una serpe.

Come un virus.

Sono il tuo cuore e la tua merda. Sono il tuo cervello e le tue mani. Sono i tuoi piedi e la tua lingua.

E così ti porterò alla follia

come un demone rinchiuso nel tuo petto. Sarai mia senza scampo.

La donna del diavolo. E quando dormo,

perché allora mi addormenterò, mi pianterai i canini nella gola e sarai tu la mia vampira

e succhierai il mio sangue. E ti nutrirai del mio sudore,

delle mie lacrime e del mio seme.

Mi toglierai il fiato

e mi penetrerai baciandomi fino in fondo all’anima.

E io vivrò dentro di te. E tu vivrai dentro di me.