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Adesso tutto è diventato più facile. Scrivo i miei appunti su un bel quaderno di carta fine. Leggo un piccolo libro di Celtic Blessing con testi alquanto confortanti:

To Christ the seed, To Christ the harvest; To the barn of Christ May we be brought.

To Christ the sea To Christ the fish: In the nets of Christ May we be caught.

A volte la notte risalgo Sveavagen. Un po’ più in alto di Radmansgatan c’è il bar La Habana. Fanno anche da mangiare. È carissimo. Un boccale di birra alla spina costa cinque dollari. Ma c’è sempre musica salsa e i neri avaneri ballano con le svedesi. Allora, per qualche minuto, torno a immergermi nella follia. Mi raccontano come hanno conquistato le loro svedesi sul Malecón o a Guanabo, il modo in cui le hanno sedotte, e adesso se la svignano per venire qui a ballare e sbronzarsi con altre svedesi. Non hanno mai una corona in tasca. Ogni giorno si inventano qualcosa per tirare avanti. Alcuni danno lezioni di ballo. Altri chie-

dono semplicemente soldi alle proprie donne. Non capiscono una parola di svedese. C’è anche un tipo bianco, un antropologo. Depresso. Non balla. È a Stoccolma da quattro anni. Apre bocca di rado. Se va avanti così, morirà di tristezza. “Perché non torni a Cuba?” gli chiedo. Sgrana gli occhi e risponde: “No, no, no, no!”. Penso che finirà per impazzire o suicidarsi. C’è uno di passaggio, che abita a Umea. Neanche lui ha un lavoro, non capisce la lingua e mi inchioda con una lagna di mezz’ora. Si lamenta di tutto. Oh, non li sopporto più. Me ne torno tranquillamente alla mia casetta. In metro o con il treno locale. Ascolto Bruce Springsteen e Lou Reed. Mangio pane, formaggio e salmone. Bevo birra e leggo un saggio di Bertil Malmberg sulla storia della lingua spagnola. Filologia romanza. Nella vita si perde tempo con un sacco di cose inutili. Scrivo pessime poesiole per Gloria. Le metto in una busta e gliele spedisco. Ogni lettera mi costa più di un dollaro. Perché è tutto così caro? O almeno per me, è caro. Suppongo non lo sia per gli svedesi. Fortunatamente, le cose migliori sono gratis. Agneta, per esempio. È tenera, dolce, tranquilla, silenziosa, ha un bel paio di tette, mangia poco e si mantiene in forma. Gran goduriosa. Mi basta stringerle appena i capezzoli, baciarla, e si è già bagnata, chiude gli occhi gemendo e parte. Vola. Gioco con lei. La succhio, la bacio, la masturbo. Alla fine si è decisa a ciucciarmi almeno un po’ l’uccello. Non molto, ma se non altro ci prova. All’inizio non voleva.

«Oh, no. Non l’ho mai fatto. Non posso».

«Ti fa schifo?».

«Schifo? Cioè?».

«Ti ripugna».

«Ripugna?».

«Ah, perdio! Facciamola finita. Ti pare sporco?».

«No, non sta sporco».

«Si dice non è sporco».

«Non è sporco».

«E allora dài, cara mia, succhia, lecca, slingualo, ciucciamelo».

Sono diventato un dizionario dei sinonimi. Persino nel bel mezzo di una scopata devo fermarmi a pensare a tutti i sinonimi possibili delle parole che lei non conosce. In ogni modo, preferisco così. L’alternativa sarebbe parlare in inglese. E non lo sopporto più, l’inglese: la televisione, i libri, la gente per strada. Più lo parlo e meno mi piace. E in svedese riesco a malapena a indovinare qualche parola. Per ora, dico solo “tack”.

Poco alla volta ci si adatta. Sono arrivato a Stoccolma con un aspetto dignitoso. Un paio di jeans consumati, una camicia beige piuttosto pesante e un blazer marrone, da tipico intellettuale liberal. E ho sfoggiato i miei modi migliori. Venti ore di volo dall’Avana. E cacandomi addosso dalla paura ogni volta che si decollava e atterrava. È incontrollabile. Non che me la faccia addosso nel vero senso del termine, ma quasi. Alla fine sono arrivato e dopo due o tre ore, musica, whisky, divano, freddo e cielo piovigginoso fuori. Piacevole. E poi a letto, con la mia amante svedese. Mi aspettavo di peggio. Invece no. Non c’è bisogno di grandi sforzi. Si fa coinvolgere subito. Le basta poco. Non è esigente come le cubane, che vogliono sempre il cazzo dritto, durissimo, che arrivi fino in gola, e non si ammosci per almeno un’ora. Altrimenti, dicono che non le ami. “Non ti piaccio più, papi. Si vede che ormai non ti piaccio più”. E rovinano tutto. Il maschio si deve concentrare al massimo per dimo-

strare che non è vero e che lei è uno schianto e tutto il resto. Tante lo fanno con un doppio fine: così il maschio è costantemente sfinito e non può sbattersi qualcun’altra. L’astuzia femminile è affascinante. Adoro le donne. E imparo da loro.

Con Agneta è molto più semplice. Una slinguata, qualche giochetto con le dita, una sfregatina di uccello, e lei si scalda subito e viene come un’odalisca. Si sbrodola tutta. Non me l’aspettavo. Si dice che gli svedesi sono ingenui e freddi e vivono con la testa fra le nuvole. Ci sarà un motivo se da noi si usa dire “Non fare lo svedese”. E invece, niente del genere. Facciamo delle belle scopate. E lei si lascia andare e dice: “Oh, ma cosa mi stai facendo? Mi fai impazzire”.

L’unico problema è che non dormo bene. Tre o quattro ore, e poi mi sveglio. Appena fa giorno non riesco più a chiudere occhio. E il buio cala alle undici di notte. Alle due del mattino spunta già il sole. Roba da matti. Per me è assurdo. A Umea, ancora peggio. Ci sono dovuto andare un paio di volte. Là è sempre giorno. Poi, d’inverno, è notte perenne.

Per il resto, non succede niente. Il seminario all’università si è svolto senza infamia e senza lode. Adesso mangio salmone, bevo caffè e tè, faccio la mia scopatina giornaliera. O due. Certe volte addirittura tre, ma piccole. Ascolto musica, guardo i tulipani, corro una mezz’oretta a mezzogiorno, giusto per espellere le tossine di tutto questo salmone e formaggio. A mezzogiorno godiamo quasi sempre di un paio d’ore di sole splendente. Abito fuori città. Qui ci sono boschi e prati soffici, laghetti con le anatre e gabbiani chiassosi. Torno tutto sudato, mi sdraio al sole nudo e mi annuso le ascelle. Hanno un odore forte. Chiudo gli occhi e allora compare Gloria, che solleva le braccia per farsi annusare a mio piacimento.

Il suo ricordo non mi lascia in pace. Vorrei fosse qui. In cambio, durante il seminario ho avuto una piccola storia con un’africana culona. Un culo enorme. Due chiappe esagerate, e pure le tette. Una mattina stavamo uscendo dal Parlamento dopo una visita ufficiale, e quella è rimasta incastrata con il culo nella porta girevole. La porta ha quattro sezioni. Davanti a me stava uscendo uno svedese, e dietro c’era l’africana. A quanto pare non aveva fatto in tempo. Il gran culo si è incastrato e la porta si è bloccata. Lo svedese non poteva vedere cosa succedeva alle sue spalle e continuava a spingere per uscire. Dietro di me l’africana strillava e imprecava, ma i divisori di vetro impedivano che si sentisse. Lo svedese spingeva in avanti e l’africana tirava all’indietro. All’improvviso non mi ricordavo più una parola di inglese. Non sapevo cosa dire e non potevo fare da intermediario tra Europa e Africa. I secondi erano lunghi come minuti. Alla fine mi si è schiarito il cervello e ho urlato allo svedese:

«Excuse me! Excuse me! Ehi, you, come back, come back!».

Per dire una simile stronzata non c’era bisogno di pensare tanto. Ho un cervello lentissimo. Lo svedese mi ha sentito, e ha smesso di spingere. Il culo si è disincastrato. Abbiamo fatto finta di niente. Con eleganza e disinvoltura. Specie se una cosa simile succede nel Riksdags. Comunque, una volta in strada, io e l’africana ci siamo guardati. Lei si strofinava le chiappe e diceva: “Ohiohi”. Non ho resistito e sono scoppiato a ridere, e lei ha fatto altrettanto.

Un paio di sere dopo c’è stata una festicciola per quelli che avevano partecipato al seminario. Tranne me, erano tutti docenti universitari e nessuno di loro

ballava. Gente seria, intendo dire. Chiacchieravano, e basta. Avevo visto l’africana che parlava al telefono con il marito. Pare fosse un alto ufficiale dell’esercito, nel suo paese. Lei continuava a dirgli: “Oh, honey, I love you”. Poi mi aveva mostrato una foto con i tre figli e il militare in divisa e lei tutta carina nel suo vestito tipico. Comunque, quella sera aveva bevuto troppo vino. Ci eravamo passati i bicchieri a vicenda e a un certo punto si è avvicinata, con il sorriso più dolce del mondo, chiedendomi di farla ballare. Ma non voleva ballare. Mi stringeva a lei e mi accarezzava la schiena dicendo all’orecchio: “Ohh, very nice, very nice, really, very nice”. Ho la schiena molto sensibile. Ho appoggiato le mani su quell’enorme e stupendo culo africano e cinque minuti dopo eravamo già nella mia stanza al piano superiore. È stato magnifico. I capelli le puzzavano di sporco. Portava le treccine da chissà quanto. Erano graziose, con le perline colorate, ma puzzavano forte. Mi sono concentrato su altre zone. Fuori c’erano tre gradi, ma noi sudavamo. Lei era geniale, dotata di una straordinaria elasticità, e sollevava bene le gambe. Mentre affondavo la faccia tra le cosce mi ha sparato un paio di scoregge. Sonore. Stavo lavorando di lingua e ho avvertito distintamente due flussi d’aria compressa che mi colpivano sulla fronte. Ho guardato meglio. Per fortuna non c’erano schizzi di merda. Okay. Avanti così. Lei era molto ansiosa. Me lo prendeva tra le mani, lo voleva tutto. Avevo il preservativo a portata di mano. Una volta messo l’impermeabile, fuoco a volontà nel fitto della giungla nera. Indimenticabile. Tutto molto folkloristico. Erano quasi le quattro del mattino quando è uscita silenziosamente per andarsene nella sua stanza. Sono sceso giù al ground floor in

cerca di una tazza di tè e a fumarmi un buon sigaro. C’era rimasto ancora qualcuno, laggiù. Un vietnamita gay. Stava guardando il canale di Playboy sdraiato sul divano. Si copriva con una trapunta. Sotto, lavorava di mano. Sega vietcong nell’alba svedese. Ognuno fa quello che può, a questo mondo.

L’indomani ho cercato di ripetere la dose, ma l’africana teneva gli occhi a terra. Non osava guardarmi in faccia e ha detto sottovoce:

«Sorry. Too much wine yesterday at night. Sorry». Ho provato a fare il latin lover. Le ho detto che era stato bellissimo, e non doveva sentirsi in imbarazzo. Tra un uomo e una donna che si piacciono certe cose accadono in modo del tutto naturale. Scemenze del genere. Ma non si è lasciata convincere. Nei giorni seguenti si è tenuta a distanza da me. A quel punto sono andato dal vietnamita a chiedere a che ora

davano i film migliori sul canale di Playboy.