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La domenica alle dieci di sera stavamo guardando The Crossing Guard, di Sean Penn, con un tormentatissimo Jack Nicholson. Agneta mezzo addormentata accanto a me sul divano. Sono andato in cucina. Ho preparato un bel bicchiere di vodka e cola. Tornato in salotto, le chiedo:

«Ne vuoi?».

«No».

«Stamattina hai dormito fino alle undici. Non puoi avere sonno».

«Sì. Questa settimana ho dormito pochissimo. La tosse non mi lascia riposare bene».

«Il sonno non si accumula. Il passato non conta».

«Ma...».

«Se io dovessi recuperare tutto il sonno perso, dovrei restare a letto per i prossimi vent’anni».

«Hai perso così tanto sonno?».

«Uf, sbronze, scopate con due o tre donne contemporaneamente, feste, orge, affari, amici, lavoro, raccolta della canna da zucchero dalle sei del mattino alle otto di sera, follie, nottate, angoscia, depressione, voglia di impiccarmi a una trave del soffitto, di tutto».

«Ahh».

«Le vedi queste occhiaie? Le rughe? La calvizie? Sono cicatrici. Tu invece sei perfetta. Senza una ruga, né capelli bianchi, un corpo perfetto».

«Mi piace averne cura».

«Bere acqua, tè, latte, dormire otto ore, niente figli, casa e lavoro, l’opera, la musica sinfonica, creme nutrienti, passeggiate nei boschi...».

«Eh, lo dici come se fosse una formula».

«La formula Agneta per l’eterna gioventù». Lei ride.

«Non hai mai fumato marijuana?».

«Non ho mai fumato niente. Neanche una sigaretta. Niente».

«Cocaina, peyote?».

«No».

«Amfetamine?».

«Nooo».

«Neanche per farti una bella scopata?».

«No».

«Non hai mai spalmato la crema alla menta a tuo marito?».

«Come?».

«Sulla cappella. Non l’hai mai provata?».

«Oh, no. A chi verrebbe mai in mente?».

«A Cuba è normale. Sembra che l’uccello diventi più grosso, e si gonfia».

«Non lo sapevo».

«Film porno? Riviste? Club privati per lesbiche?».

«Ma no, mai».

«Non ti credo. Agneta, l’immaginazione...».

«Non va bene. Niente di tutto ciò che hai detto è sano».

«Ma chi le inventa le proibizioni? Qualcuno le inventa per sua convenienza e decide per te: “Puoi fare questo, non puoi fare quello. Quest’altro fa male. La tal cosa è morale e la tal altra immorale...” ahh, mi hanno fottuto anche troppo la vita con regole e divieti e ordini. Mi hanno gonfiato i coglioni con tutta la faccenda della morale e l’etica e cos’è giusto o sbagliato. E alla fine scopri che quei signori vivono come gli dèi dell’Olimpo e se la spassano nel lusso. Però lo fanno di nascosto, senza che nessuno li veda, e in pubblico continuano a fare promesse sul futuro migliore».

«Siamo diversi. Tu sei... esausto».

«Ne ho pieni i coglioni che altri pensino e decidano per me. Ognuno deve difendere un po’ di più la propria vita. E avere rispetto per gli altri».

«Sei arrabbiato?».

«Sì, eccome. Mi hanno buttato un sacco di merda addosso».

Siamo rimasti in silenzio guardando il film. Poi, sono tornato alla carica.

«Senti, perché non mi fai un pompino? Mi piace farmelo succhiare. Mi piace moltissimo».

«Ci provo. Tu me lo chiedi e io ci provo».

«Oh, sì... ci provi: ti metti la puntina dell’uccello sui denti e gli fai il solletico. E questo sarebbe un pompino? Devi infilartelo fino in gola. Assaporarlo. Goderne».

«Non lo faccio mai. Non so. Lo faccio, al passato, come si dice?».

«Non l’ho mai fatto. Non l’ho mai succhiato».

«Esatto. Oh, i verbi irregolari... ecco: non l’ho mai fatto, mai... Mai?».

«Succhiato. Succhiare non è un verbo irregolare.

Non ho mai succhiato».

«Con te è stata la prima volta. Succhiare, che brutta parola. Suona male».

«Ti fa schifo?».

«No, no».

«Sì, invece. Ti fa schifo. Uno di questi giorni ti faccio prendere una sbronza e ti costringo a leccarmi il culo. Vedrai che così ti passa lo schifo. Una cura da cavallo».

«Nnno, nno... ppeerr favore, non dirlo neanche».

«Ti fa schifo. Lo sapevo. Ma tu mi ami?».

«Sì, ma...».

«Ma niente. Se mi ami, non può farti schifo. Se ti ripugna è perché non mi ami».

«Oh, no, sei brutale, sei...».

«Viscerale, radicale, violento, tagliente, rozzo. Quello che ti pare, però in fondo non mi ami. Cosa hai imparato stando con tanti uomini?».

«Tanti, proprio no».

«Abbiamo fatto i conti insieme. E stabilito che sono stati dieci o dodici. Va bene, hai ragione. Non sono tanti. Ma sufficienti per imparare qualcosa. Erano così noiosi in questioni di sesso? Vediamo un po’, di cosa si occupavano? Dimmi il mestiere».

«Ohhh, ah ah ah».

«Non ridere. Parlo sul serio. Rispondi subito. Sei stata con qualche giornalista?».

«Sì».

«Professori universitari? Businessmen?».

«Sì».

«Scrittori, artisti?».

«Ehh... uno. Giornalista e scrittore».

«Qualche miliardario?».

«No, no».

«Poveri, molto poveri?».

«Sì, uno».

«Quale?».

«Uf, basta, Pedro Juan».

«Non possiamo fermarci adesso. È una ricerca sociologica sui tuoi amanti. Rispondi in fretta e senza pensarci».

«Ah ah ah».

«Dimmi».

«Che cosa?».

«Di quello povero».

«Allora?».

«Che faceva? Il mestiere».

«Truck driver».

«Camionista? Ecco il tipo giusto! Non ti ha mai scopata dentro il camion? Si è fatto fare un pompino mentre guidava? Ti ha mai portata in un bar malfamato per farsi fare una sega sotto il tavolo?».

«No, no, no, ohhh».

«E che razza di camionista era? Quello offende la categoria».

«No, ah, è durata poco. Soltanto due settimane».

«Sei stata con qualche operaio?».

«No».

«Contadino?».

«No».

«Scaricatore di porto, atleta, pompiere?».

«Ma no, no, ah ah ah».

«Tutti intellettuali, tranne il camionista?».

«Sì».

«Ah, ti mancano un sacco di cose nella vita».

«Hai qualcosa contro gli intellettuali?».

«No».

«Però non ti piacciono».

«Come amanti, nella maggior parte dei casi, non valgono granché. Qualcuno sì, ma bisogna cercarlo bene».

«Tu sei un intellettuale».

«Io?! Non credo proprio».

«Scrivi libri, dipingi, fai il giornalista».

«Ho fatto il giornalista. Nella preistoria. Adesso scrivo e dipingo nel tempo libero. È un hobby».

«Non ci credo».

«Devi crederci perché è così».

«Non ci credo. It’s a joke».

«Non è uno scherzo, Agneta. Non so proprio se riuscirò a scrivere ancora uno o due libri. Se non ho niente da dire, sto zitto».

«Oh».

«Penso di prendere una bancarella di frutta e verdura in un mercato. Lì, in mezzo ai neri, con lo stereo acceso tutto il giorno, Pablito F. G. e La Charanga Habanera, e io a vendere pomodori».