In un piccolo museo c’è la retrospettiva di un pittore molto noto. Il tipo è un trasgressore nato. Di quelli che provocano per il gusto di farlo. Il piacere di rompere le palle. Il quadro più scandaloso della mostra è un grande dipinto a olio: la madre del re
svedese con la gonna sollevata e la fica pelosa e nera all’aria. Di fronte a lei, un tipo in giacca e cravatta, con la patta aperta e l’uccello – grande, grosso e vigoroso – con una supererezione. In secondo piano c’è una coppia che scopa, lei con le tette di fuori. Tutti vestiti elegantemente, in un salone molto chic. Mi piace. C’è poca gente nel museo. Scendiamo le scale in fondo all’edificio. Sono un po’ eccitato, e ritrovarci soli mi stimola ancora di più. Bacio Agneta, le passo la lingua sul collo, le afferro le tette. Lei, stupita:
«Qui? No!».
«Sì, qui, e subito. Se fossi cubana, ti inginocchieresti a succhiarmelo come una vitellina».
Si arrabbia quando le dico “se fossi cubana faresti questo o quest’altro”. Lo faccio apposta.
«Oh, se fossi cubana, se fossi cubana. Scemo».
«E se fossi cubana porteresti la gonna, per lasciarti infilare un dito nella fica. I tuoi jeans mi traumatizzano».
Ho il cazzo duro. Lo tiro fuori.
«Guarda qui, tesoro, dài, leccalo».
«No, no, no».
«E prendilo in mano, che cazzo, stringilo, è tutto tuo».
«No, no».
«Voglio scoparti nel supermercato, stronza. Ti faccio sdraiare sui banconi e te lo ficco dentro».
«Oh, ma...».
«Vuoi farlo qui? Andiamo in bagno».
«Pedro, potrebbero esserci delle telecamere. Magari ci stanno già vedendo. Dài, per favore».
Lo rimetto via. La bacio. Giochiamo. Cerco di farla rilassare. Si è spaventata. Scendiamo le scale. Diamo un’occhiata ai libri nel negozio del museo.
«Agnes, ti offro un caffè lì fuori, al sole».
«No, grazie».
«Piccola, non essere pesa».
«Che significa “pesa”?».
«Lascia perdere. Volevo dire accetta l’invito e rilassati».
«Va bene. Accetto. Ma cos’è pesa?».
«Heavy».
«Oh, io non...».
«Non vuoi scopare né farmi un pompino sulle scale, non vuoi un caffè, fai la faccia preoccupata. Sei heavy, tesoro. Relax, please».
Qualche minuto dopo siamo sotto un albero con caffè e cioccolatini davanti e parliamo dei quadri che abbiamo appena visto.
«Quello è sempre stato un tipo ribelle, pieno di energia. Adesso avrà più di... sessant’anni. Sessantasette, credo. E si è sposato con una donna di quarantaquattro».
«Come te. Va bene».
«Mhm».
«È un tipo interessante, un artista. Non lo sposeresti un uomo così? Tu, che hai quarantaquattro anni. Un uomo di sessantotto, diciamo».
«Ehmm...».
«Faresti un po’ meno sesso che con me. O per niente. O soltanto qualche giochino. Non so come sia a sessantotto anni. Non ne ho idea. Magari con la lingua e le dita».
«Ehm...».
«Te lo sposeresti? Niente sesso, ma un tipo originale e diverso».
«Eh... No, credo di no. Adesso no. Assolutamente».
«Adesso no?».
«Fino a qualche mese fa me lo sarei anche sposato. Ma ora no. Adesso mi interessa molto il sesso».
«Molto?».
«Molto».
«E prima?».
«Prima no. Al sesso non ci pensavo mai». Torniamo a casa carichi di cibarie, birra, succhi,
proteine. Di tutto. Tranquilli, senza correre rischi, senza trasgredire la legge per il crimine di portare proteine nella borsa. Qui non è un delitto avere proteine in frigo. Niente mercato nero, come all’Avana. Qui il frigorifero è sempre pieno. Legalmente pieno, intendo dire.
E ci sediamo a guardare i Simpson. Alle sette di sera. Lo facciamo come se fosse un gioco, ma entrambi sappiamo perfettamente che ogni giorno che passa la nostra situazione somiglia sempre di più a quella di una coppia sposata. Cos’è una coppia di coniugi se non un sistema di complicità? In definitiva è soltanto questo. Tutto il resto può esserci oppure no: l’amore, i figli, il sesso accettabile o pessimo, la routine, le abitudini quotidiane, la confidenza o la reciproca diffidenza, le gelosie, i ricordi, le confessioni riguardo alla vita precedente di ciascuno, i segreti che non saranno mai rivelati, cucinare qualcosa insieme, una birra, un bicchiere di vino, guardare la luce dorata del tramonto. Sono piccoli dettagli senza importanza, forse. Però, poco a poco, tra i due si instaura un sistema di complicità. Tutto, persino guardare il crepuscolo assieme, fa parte di questo sistema. E senza rendersene conto, che ci siano o meno le carte bollate di mezzo, si scivola nell’ingranaggio del matrimonio. So quello che dico. Mi è già successo altre volte.
Da quanti giorni sono qui? Dal 14 maggio. Tra quat-
tro giorni saranno due mesi che stiamo insieme. E fra tre settimane me ne andrò. Eppure, ci sembra di stare insieme da molto più tempo e che durerà per chissà quanto ancora. È un’illusione. Facciamo progetti. Magari potresti trovare un lavoro all’ambasciata all’Avana, le dico. Sì, è possibile, so un po’ di spagnolo e ho esperienza di lavoro internazionale, parlo inglese, francese, russo, mi dice. Io le parlo della mia casa, di cosa potremmo fare nei fine settimana. Ci entusiasmiamo. In fondo sappiamo tutti e due che si tratta di illusioni e sogni, più che di possibilità concrete. Non è proprio irrealizzabile. Soltanto improbabile. Come vincere alla roulette.
Vado sul balcone con una birra e un sigaro. Alla televisione c’è il notiziario. Immagini di un sommergibile. Credo sia inglese. Stanno superando l’equatore, e intanto infilano dei bastoni nel culo alle reclute. Rifanno vedere la stessa scena più volte, ripresa da un dilettante, sicuramente uno dell’equipaggio. Tre marinai, nudi e a faccia in giù sulla coperta del sottomarino. Alcuni tizi camuffati con lenzuoli bianchi e corone da Nettuno li penetrano con i bastoni. Forse sono tubi di gomma. Comunque, sembrano ben solidi e lunghi. Ricorrono addirittura alle martellate per farli penetrare nei culi delle reclute. I tipi a bocca sotto agitano le natiche. Non si capisce se per il dolore o il piacere. Poi compare sullo schermo il giornalista, serissimo e distaccato, in completo blu e cravatta, e si mette a parlare di tutt’altro argomento.
Mi siedo tranquillamente sul balcone, con la mia birra e il sigaro. Il tramonto è sempre un’ottima ora per bere, fumare e non pensare.
Smetto di pensare e arrivo dritto in paradiso. Sento Agneta che traffica in cucina. Sta preparando la ce-
na. Così mi piace. Lei si procura i soldi. Paga i conti. Guida la macchina. Si prende cura di me. E intanto io bevo birra e fumo. Ha ragione. Sono un po’ maschilista. E un pochino magnaccia. Mi sento proprio bene.