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Le cose hanno cominciato impercettibilmente a cambiare. Adesso ad Agneta piace andare a fare la spesa al supermercato e tenere in frigo qualcosa di più che semplice pane e salmone. A volte si toglie addirittura lo sfizio di comprare formaggio di capra greco o

enormi olive andaluse in salamoia. Ci prova gusto a non portare il reggiseno, con i capezzoli che spuntano dalla camicetta. E non cucina più per poi congelare gli avanzi in freezer. La nipote dalle belle tette è venuta a trovarci ed è rimasta sorpresa: “Oh, zia, non hai mai avuto tanto assortimento in frigo. Brava”.

E scherza sulla vicina milionaria: “Ogni anno esce sul giornale con più milioni di prima. L’anno scorso aveva ventidue milioni di corone, però adesso ha un marito. Sorry, non posso fare niente per te, ah ah ah”. Le chiedo: “E se restasse vedova all’improvviso, sola e triste, e avesse bisogno di compagnia?”. “Ci trasferiamo immediatamente a Karesuando, o in Lapponia, ah ah ah”.

Il suo umore è decisamente migliorato. Legge sempre l’oroscopo sui giornali. Sagittario e Acquario. Lei e io. E tira le conclusioni. Oppure andiamo all’ippodromo e scommette con notevole entusiasmo. Progetta di trasferirsi per qualche tempo all’Avana e lavorare lì. Ieri abbiamo fatto colazione sul balcone. Ci sono diversi vasi fioriti sui balconi del condominio, e mi dice:

«I vicini hanno un sacco di fiori».

«Tranne il vicino con i cani e tu».

«Mhm... anch’io potrei avere dei fiori. Li comprerò subito».

Restiamo in silenzio per qualche istante. Poi dico:

«Mi sembra che quando sono arrivato qui stessi attraversando un periodo di noia. O di tristezza. Non so».

«Sì, un po’».

«Non ti importava di cosa succedesse».

«Mhm».

«Adesso ti vedo più attiva».

Le si arrossano gli occhi ed è sul punto di piangere. Va in bagno. Aspetto pazientemente. Finalmente esce. Si è sciacquata la faccia per riprendersi e cerco di confortarla.

«Non preoccuparti, tesoro. Tutti abbiamo i nostri momenti di malinconia e abbandono».

Mi si butta al collo, mi abbraccia e mi bacia. Per la prima volta in vita sua ha un gesto spontaneo. L’accarezzo.

«Ahh, che piacere».

«Ti voglio un gran bene, Pedro».

Ci accarezziamo in silenzio. Mi diventa subito duro e glielo premo sulla coscia, ma non mi va di scopare. È come un’ondata di calore tra noi due. L’amore, il silenzio e la pace.

Nel pomeriggio torna con vasi di fiori e un grosso flacone di fertilizzante. Lavoriamo sodo e sistemiamo tutte le piante. Poi ci sediamo e le parlo della spiaggia di nudisti, non lontana da qui.

«Non chiedermelo più. Non ci voglio andare».

«Ti vergogni?».

«Sì, certo».

«Ah, tesoro mio, accontentami. Ci restano soltanto pochi giorni da passare insieme. Tra una settimana ci separiamo. E chi lo sa. Potrei non tornarci più, in Svezia».

Le scendono le lacrime. Ogni tanto il Pedrito manipolatore salta fuori e sfonda il carognometro. L’accarezzo un po’ qui e un po’ là. Qualche bacetto, e dice:

«Non so dove si trovi».

«Telefona alla tua amica lesbica e chiediglielo».

«Lesbica? Come lo sai?».

«Si vede lontano un miglio».

«Oh, le apparenze...».

«A volte ingannano. E a volte no. Mi piacciono le lesbiche. Mi sento a mio agio con loro. Da ragazzo ho avuto due o tre storie con lesbiche... oh, erano superlesbiche, praticamente maschiacci».

«Oh, per favore, basta. Non raccontare altro. Come può piacerti una donna che sembra un uomo, che si comporta da uomo?».

«Lo sembravano ma non lo erano. Volevano essere sempre sodomizzate. Adoravano la sodomizzazione. Continuano ancora a piacermi le lesbiche mascoline. Come del resto i travestiti. Mi diverto a...».

«Oh, smettila, per favore. Non voglio sapere altro.

Sei un... un... non so come si dice».

«Un pervertito».

«Ecco, sì».

«Però adori le mie perversioni sessuali. E finora hai conosciuto a malapena le prime pagine del catalogo».

«Ce ne sarebbero altre?».

«Ovvio. Questa storia ha una seconda e terza parte, ah ah ah. “Cuban Goduria Show”».

Ha telefonato. Poi cerca il posto sulla carta. Lo individua. Studia le strade. Guarda le previsioni del tempo. Prepara le cose da portare con noi. Ci manca soltanto un sistema di navigazione satellitare. L’indomani mattina ci mettiamo in marcia. È un po’ arrabbiata, ma senza troppa convinzione.

Una tempesta in un bicchier d’acqua. In spiaggia non sarebbe successo assolutamente nulla. E mi sono sentito defraudato. Bella gente, neanche a parlarne. Soltanto vecchi e vecchie trippone che a malapena si reggono in piedi. Passeggiamo un po’ osservando il panorama desolante e Agneta diventa patetica.

«Non capisco. Ci sono persone che si eccitano con questo spettacolo».

«A te invece questi vecchi nudi fanno schifo».

«Sì».

«Perché diventi morbosa. Io li ignoro. Loro se ne stanno lì e noi qui».

«Lo so, lo so».

«La spiaggia non è niente male. Sole tropicale, silenzio, quelli più vicini sono ad almeno cinquanta metri, quindi, di cosa ti lamenti? Spogliati e mettiti comoda».

«Mi tolgo tutto?».

«Tutto. Così uniformi l’abbronzatura. Hai il culo e le tette bianchi».

Ride.

La spiaggia è lunga diversi chilometri. Per buona parte è occupata da gente in costume: uno addosso all’altro, come sardine, con i bambini che rompono le palle facendo un gran chiasso. Poi c’è una scogliera sulla riva e un piccolissimo cartello che dice: “Zona nudisti”. Da una parte e dall’altra del cartello c’è il limbo, cioè un lungo tratto di spiaggia deserta. Poi comincia il territorio del peccato. Dove stiamo noi.

Dopo un po’ le torna il buonumore, nuotiamo, beviamo qualcosa di dissetante, le palpo le tette, la bacio, l’accarezzo, le passo un dito sulla fica, che è già bagnata, do un’occhiata intorno, e in effetti c’è una coppia di vecchi che ci osserva, neanche tanto discretamente. Piace a tutti fare i guardoni. È evidente che quei vecchi si divertono. Ed è una bella cosa far star bene gli altri.

Nel pomeriggio, al ritorno, mi invita a mangiare in un enorme hotel resort, che pubblicizza a grandi lettere il suo porto turistico in grado di accogliere cinquecento yacht e il campo da golf con ventisette buche e i ristoranti specializzati in cucina cinese,

giapponese, messicana, eccetera. Insomma, perfetto. Mi affascinano le donne che sanno spendere i propri soldi. Mangiamo in terrazza, davanti al mare. Un’enorme insalata César con gamberetti, un po’ di vitello, vino rosso. Il vino e l’atmosfera del luogo la rilassano quanto basta a fare certe confessioni che fino a ora aveva tenuto dentro. Le dico che si vive per gradi. Niente è durevole. Se si ha coscienza di ciò, si può apprezzare molto di più il presente.

«È vero. Non ci avevo mai pensato. Ho avuto grandi case a tre piani, con nove camere, cavalli da corsa con tanto di addestratori, cani, barche, giardini, gioielli, ogni venerdì d’estate davamo ricevimenti alle cinque del pomeriggio, uscivamo sui giornali... ohhh... che anni stupendi».

«Tuo marito faceva l’attore o...?».

«No. Affari. Cantieri per barche a vela, un albergo e non so cos’altro. Affari. Adesso vivo un’altra vita. Quella appartiene al passato».

«Adesso sei in una fase frugale. I tuoi vecchi jeans, le scarpe consumate... ora capisco perché non parli mai del passato. Ho avuto fortuna: stoico a Cuba e frugale in Svezia. Che culo!».

«Ohhh...».

«Dovresti raccontarmi tutto, così ci scrivo un romanzo. Come l’amante svedese è riuscita a evolversi passando dal consumismo più spregevole e dal vuoto esistenziale fino alla frugalità del pane integrale, le carote crude, il tè senza zucchero e l’amante tropicale».

Ci hanno portato il caffè e il conto. Lei ha pagato in contanti.

«Dài, Agneta, qui ci vuole del whisky. Compriamo una bottiglia e ci ubriachiamo».

«Oh, no. Devo guidare. Tu però puoi bere quanto vuoi».

«No, al contrario. Voglio che sia tu a bere e a sbronzarti. A quel punto mi racconterai tutto, per poter scrivere L’amante svedese».

«C’è poco da raccontare. La mia vita è così noiosa».

«Gloria dice la stessa cosa. È quello che sostengono sempre le grandi peccatrici».

«No, sul serio. È sempre stata noiosa. Un romanzo del genere sarebbe così insulso che nessuno lo leggerebbe».

Senza volerlo, il pensiero va a Cuba e a Gloria. Se le proponessi di comprare del rum e ubriacarci, lo faremmo subito, andando in riva al mare, e le basterebbero due sorsi per cominciare a narrare le sue avventure. Una dopo l’altra. D’impeto. Camminiamo per le strade del paese che sorge dall’altra parte del porticciolo. Eccessivamente turistico. Mi scordo il whisky e ripenso alla mia giovinezza.

«Questo posto mi ricorda Varadero».

«Varadero Beach?».

«Lo conosci?».

«È famoso. Ci vanno molti svedesi in quella spiaggia».

«Ho vissuto lì fino ai trent’anni. Tra Matanzas e Varadero. Le mie avventure con le lesbiche le ho avute su quella spiaggia, negli anni settanta. Il Decennio Grigio. Per me invece è stato il Decennio Sfrenato. L’Orgia Perpetua».

Passiamo davanti a una gioielleria. In vetrina c’è una bella collezione di catenine d’oro. Le dico:

«Entriamo a vedere quelle catenine».

«Ti piacciono?».

«Ne ho sempre voluta una, ma sono troppo care».

Entriamo. Veniamo serviti in modo ineccepibile. Mi piacciono quelle grosse, di oro battuto. Prezzi eccessivi per le mie tasche. Riprendiamo la passeggiata.

«Troppo care. A Cuba potrei probabilmente comprarle alla metà».

«Così poco? Impossibile».

«Sì, ma non in un negozio. Per la strada, da qualcuno del quartiere».

«Allora... potrebbero essere rubate».

«Infatti sono rubate. Ai turisti, soprattutto».

«Oh, non sta bene. Non dovresti comprarla così».

«Perché no? Costano molto meno».

«A una mia collega hanno proprio rubato una catenina d’oro all’Avana. Tre ore dopo che era arrivata, mentre passeggiava per strada. Gliel’hanno strappata dal collo. Era assicurata e poi se n’è comprata una più bella, però... non sta bene».

«Perché?».

«Saresti complice del furto. Non si fa così».

«Ci sono tante cose a questo mondo che non si dovrebbero fare. Eppure si fanno. E siamo tutti complici. Quando eri ricca, sapevi come faceva i soldi tuo marito?».

«Con i suoi affari. Era denaro guadagnato onestamente».

«Hai un’idea degli stipendi miserabili che pagava e di quante persone costringeva a lavorare come muli? Anche lui rubava, comunque».

«Non credo. Era onesto. Una brava persona. È morto. Era un uomo corretto».

«Nessun uomo d’affari è onesto e corretto. Nessun politico. Nessuno lo è. E poi, cosa sarebbe l’onestà? Non rompere, Agneta. Comprerò una catena d’oro da chi me la venderà a meno! Non mi importa se è sta-

ta rubata a un turista che esibiva i suoi ori in un paese dove la gente fa la fame. Fame e indigenza! Ecco cos’è veramente indecente».

«Indecente è quello che intendi fare tu: ostentare una catena d’oro davanti ai tuoi vicini affamati».

«Io per lo meno riconosco di essere un indecente e un individualista da si salvi chi può. E mi assumo le mie responsabilità. Non mi metto a fare la morale e stronzate simili. E accetto il mondo così com’è».

Restiamo incazzati e taciturni. Continuiamo a camminare.

«Vuoi un caffè? Offro io».

«No, grazie. Risparmia i tuoi soldi per comprare la catena».

«Ah, ricominci?».

«No, per favore, possiamo prendere il caffè a casa».