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LA PRINCIPESSA ICONA

Non ho mai riso da quando mi sono sposata.

Mrs. Inchbald

Non ho mai conosciuto Diana, principessa di Galles, se non come un’“icona” (la nostra nuova parola per indicare una megacelebrità di calibro superiore a quello della Vergine Maria), ma la mia vita e la sua sono corse parallele per quasi due decenni, e l’ho osservata attentamente come ho sempre fatto con tutte le donne famose.

È apparsa sulla scena l’estate in cui il mio terzo matrimonio andava in pezzi e dato che rappresentava la chimera del “vissero per sempre felici e contenti” proprio nel momento della mia vita in cui questa chimera era più penosa, non provai molta simpatia per lei. Ero madre di una bambina di tre anni e mezzo e avevo puntato cuore e anima su un’unione che ora pareva irrecuperabile. Nel frattempo Diana percorreva la navata della cattedrale di Saint Paul come la pubblicità di tutto quello che io stavo perdendo. Ricordo che passai il giorno del suo matrimonio a ubriacarmi di champagne, per poi crollare sul letto degli ospiti del cottage col tetto di stoppie del mio editore inglese, nel Berkshire. Non fu di grande aiuto il fatto che fossi stata incaricata da Paris Match di scrivere un articolo sulla coppia regale e che il giornale avesse rifiutato il mio pezzo, perché avevo osato pormi apertamente la domanda perché la verginità di Diana fosse tanto importante nel 1981. “Verginità?”: era una parola che non si sentiva dall’era di Doris Day (a proposito della quale pare che un bello spirito abbia detto: “Io l’ho conosciuta prima che diventasse vergine”).

Quindi io divorziavo nel momento in cui Diana si sposava. E peggio ancora, tutta la paccottiglia di cui io e le mie coetanee avevamo cercato per una vita di liberarci, stava tornando come una vendetta: falpalà, tiare, crinoline, maniche a sbuffo, anelli di fidanzamento e – buon Dio! – verginità. Ma cosa diavolo stava succedendo? Mentre noi gridavamo “Basta alimenti”, una nuova generazione (nata mentre noi facevamo dimostrazioni e marce contro la guerra del Vietnam) aveva ripescato le nostre crinoline buttate vie e ci si pavoneggiava dentro! Avevano riscoperto il matrimonio d’interesse come se fosse una grande novità. Eravamo disperatamente anacronistiche.

Ero single e cominciavo a godermi la mia nuova condizione di vita, quando Diana mise al mondo in rapida successione l’erede al trono e il secondo di ricambio. Ancora non si sapeva niente dell’anoressia, della bulimia, di Camilla Parker-Bowles, perciò i servizi fotografici di Diana la Vergine Mamma continuavano a irritarci. Pareva smagrita. I cappellini tipo disco volante avevano ceduto il posto a cappelli stile pentola wok, che a loro volta vennero sostituiti da cappelli stile cachepot, ma veniva sempre sbandierata davanti ai nostri occhi la stessa idea disgustosamente retrograda di femminilità. Un matrimonio come quello di Diana era esattamente ciò da cui la mia generazione era fuggita e che ora ci veniva riproposto come l’ideale platonico. Gli anni Ottanta imperversavano. Erano di moda le limousine, come pure le gonne a sbuffo e i padroni dell’universo. Chi ci capiva niente? Decisi che il mondo era pazzo e continuai a crescere mia figlia, a scrivere i miei libri e pagare il mutuo della mia casa.

Ma ormai la bella fiaba sembrava cominciare a logorarsi. Diana e Charles guardavano in direzioni opposte nelle foto sui tabloid, se ancora non sui tovagliolini da tè. C’era qualcosa che non andava. Lei aveva due adorabili bambini e io una adorabile bambina, ma lei saltava i pasti e si gettava dalle scale. La verginità seguita da anelli di zaffiro e felicità coniugale pareva non funzionasse. Ma come? La favola di Cenerentola è solo un’illusione? Ma allora ditelo! Era il 1989 e io mi sposavo col mio migliore amico, mentre Diana pareva sull’orlo di una crisi.

Ci siamo sposati tra i boschi del Vermont davanti a un giudice di pace donna e il mio regalo di fidanzamento non era un diamante, ma una prima edizione dell’ Ulisse. Durante la cerimonia, ho letto una poesia che avevo scritto per lui, e lui ha pronunciato le preghiere ebree per il matrimonio. Stranamente, io mi sposavo con un uomo che non pareva mai stanco di conversare, mentre Diana scopriva di non avere niente da dire al suo principe. Né lui a lei. Bisticci e litigi erano all’ordine del giorno. Nell’estate del ’92, quando Andrew Morton pubblicò le confidenze che Diana gli aveva spifferato, la fiaba si rivelò per quello che era: una falsità. Il principe aveva un’amante. Sotto il materasso, la bella principessa aveva un pisello grande come il cavallo di Camilla. La decantata verginità di Diana non era servita a niente. Andava tutto storto a palazzo quando l’orologio batteva la mezzanotte.

Cominciò la guerra dei coniugi. Quando la timida Lady D emerse in tutta la sua statura di donna disprezzata, Charles parve proprio non riuscire a capacitarsi dei motivi della rabbia della consorte: ma come, aveva le sue perle e i suoi diamanti, che altro diavolo voleva? Non l’amore, di certo! La sciocca Ranger Sloane non sapeva che l’amore non faceva parte del patto? Evidentemente no. Pareva che la principessa dopo tutto avesse creduto davvero alla storia di Cenerentola. Ma quanto era retro! Anche la regina si allarmò. E anche Philip, il perfetto principe consorte, immacolato per i servizi fotografici ma con un’idea tutta sua per quel che riguardava le amanti, non riusciva a crederci. Ma quella ragazza non conosceva le regole? Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Ma quale principessa si lamenterebbe mai delle dimensioni del pisello sotto il suo materasso?

Diana delusa non “tirava” quanto la timida Lady D vergine. La stampa se la cava quando si tratta di vergini e puttane, ma non sa che pesci prendere con una principessa che non è né l’una né l’altra.

Il periodo successivo della vita di Diana fu tumultuoso. La sua stampa peggiorò, quando cominciarono a delinearsi all’orizzonte separazione e divorzio. Diana doveva fare qualcosa per salvarsi la pelle. Aveva recitato la parte della timida verginella. Adesso era ora di assumere il ruolo della donna di mondo. Cosa non facile da realizzare per qualsiasi donna, e l’album dei ritagli di giornale di Diana ne rivela i pericoli. Diana venne messa alla berlina per aver cercato di avere una vita amorosa, braccata in palestra e davanti allo studio dello psichiatra dal quale era in cura per disturbi alimentari. Le venne rubata l’anima dalla pellicola, e a ogni foto il suo centro spirituale ne usciva più malconcio. Anche i suoi amici paparazzi cercavano di farla sembrare matta. Non più virginale, Diana, che si rifiutava di tenere la bocca chiusa e di sparire da brava ragazza, diventò una specie di zimbello dei media. E questo proprio quando, a quanto pare, lei decise di abbracciare le cause umanitarie.

Aveva un’aria così sana e in forma quando stringeva la mano ai malati di AIDS; pareva così adorabile e di coscia lunga quando teneva in grembo un bambino ridotto con una gamba sola dall’esplosione di una mina antiuomo. Erano le foto di una vita. Erano le foto che i pubblicitari di Benetton avevano cercato di realizzare senza riuscirci. Gli abiti firmati risaltano così bene accanto agli stracci. Tutte le riviste di moda erano d’accordo. Erano talmente bramosi di sfruttare le sue foto da dire qualsiasi sciocchezza pur di vendere i giornali? La risposta era un “sì” assordante.

Perché dovrei dubitare che Diana fosse davvero gentile? Sono sicura che non le è mai venuto in mente di rinunciare a tutto il suo elegante guardaroba e donarlo alle vittime delle mine perché si comperassero delle protesi. Sono sicura che non le è mai passato per la testa che un paio di orecchini di diamanti e perle potesse finanziare un’intera opera di carità per un anno.

A questo punto Diana ha fatto la mossa sbagliata che tutti ben conosciamo. Ha cominciato a godersi la propria libertà di donna single e a scorrazzare sullo yacht del ricco arabo. Buon dio, forse la principessa dai capelli d’oro aveva davvero rapporti sessuali con un egiziano dalla pelle scura! Diana aveva pubblicamente infranto la regola cardinale delle principesse d’oro.

Quindi ancora prima della morte di Diana cominciò a esserci qualche segno di reazione sfavorevole nei media. Vogliamo davvero un patrigno arabo per il principe e il suo fratellino? I tabloid fecero una vera battaglia campale con la coppia Dodi-Lady D. Le famose foto sulla barca vennero “ritoccate digitalmente” per far vedere “il bacio”. Diana era descritta come la sirena del Mediterraneo, così come un tempo Jackie O. era stata la sirena dell’Egeo. Le ondine agitavano le loro code lucenti, ma nubi nere si addensavano all’orizzonte.

Come potevano mai i Windsor esser contenti che Diana li avesse spazzati via da tutte le prime pagine? Diana divorziata faceva ancora più cassetta di Lady D sposata. L’accoppiata Dodi-Diana era una delizia da leccarsi i baffi. Pensate alle spese folli nei negozi, agli yacht, alle case lussuose. Pensate agli stuoli di designer, arredatori e gioiellieri che avrebbero tratto vantaggio da questa unione! E poi, di colpo, Diana e Dodi morirono. Il mio primo pensiero fu: sono stati i servizi segreti di Sua Maestà. Ma ammetto tranquillamente di avere una forma mentale di tipo cospiratorio.*

La verità era che Diana era arrivata fin dove poteva da viva. Le vergini non possono restare per sempre vergini né possono diventare puttane pubbliche. Perciò devono morire. Da Giulietta alla Bella Addormentata, pensate un po’ alla sorte grama delle vergini. Il bacio uccide tanto spesso quanto guarisce.

In morte, l’apoteosi di Diana è stata completa. È ascesa al regno popolato da Marilyn Monroe, Evita Perón, Jean Harlow, Amelia Earhart e Sylvia Plath – tutte morte quando erano ancora giovani e fotogeniche. Se c’è una cosa che il mondo disprezza più delle arroganti giovani donne, sono le arroganti vecchie signore. Morire giovane è sempre stata la mossa migliore per la carriera di una donna.

Diciamocelo chiaramente: la vera tragedia di Diana sarebbe stata sopravvivere alla propria bellezza e cercare di farcela solo con le opere di bene. Supponiamo che avesse l’aspetto di Madre Teresa di Calcutta o anche della principessa Anna. Immaginate che sentimenti le avrebbe riservato la stampa. E invece adorarono l’icona morta a soli trentasei anni, per la quale venne riciclata la canzone di Marilyn Monroe, Candle in the Wind.

Il fatto che la canzone sia stata riciclata dovrebbe ricordarci che l’icona è più forte della persona. Avevamo bisogno di un’icona morta, e abbiamo avuto un’icona morta. Dopo tutto non c’è come una principessa morta, per far vendere le riviste.

Chissà com’era Diana realmente? Ora è un’icona, e le icone vengono per lo più giudicate dalle apparenze, Lei pareva gentile. Era la regina del servizio fotografico, dell’intervista in Tv in prima serata, il best seller dei tabloid. La sua bontà non è mai stata messa in discussione.

Le cose che Diana faceva per carità – partecipare a gala di beneficenza, posare per i fotografi – sono veramente pesanti (personalmente detesto ambedue queste attività), ma non sono certo pesanti come sbattersi dalle nove alle cinque per campare, senza bambinaie, senza chauffeurs, senza terapisti. Probabilmente era una cara ragazza (perché dovrei dubitarne?) e più empatica della solita Ranger Sloane, ma dopo tutto era sempre una Ranger Sloane. Trovo che, più strana della sua stessa autoglorificazione sia la glorificazione che ne fanno tutti gli altri.

Immaginiamo che dietro la maschera ci fosse un’altra donna – una donna smarrita e confusa sul proprio ruolo, come molte di noi. Era una donna che voleva lasciare dietro di sé un mondo migliore, che voleva essere una buona madre, una moglie fedele, una persona privata. L’icona Diana ha sostituito questa donna reale. La vera Diana è stata obliterata dalla Diana pubblica. E questa è la tragedia peggiore. Viviamo in un mondo che adora talmente la fama che ci rifiutiamo di ammettere quanto essa distorca la vita di una persona. Quando era troppo giovane per sapere cosa stesse facendo, Diana ha stretto un patto faustiano: ha regalato per sempre la sua privacy. Assurta al grande pantheon delle eroine, la fanciulla dolce e innocente che probabilmente era si è irrigidita nell’iconografia. È accaduto appena la sua faccia è comparsa sui tovagliolini da tè. In quel momento ha rinunciato alla vita reale per essere l’eroina di una soap opera. E non ha più potuto tornare a essere reale.

* Comunque mai cospiratoria quanto la stampa egiziana, che nel momento in cui scrivo queste righe sta pensando al coinvolgimento del Mossad nella morte di Lady D-Dodi. La loro teoria è che gli ebrei volevano Diana morta in modo che non potesse convertirsi all’Islam come la sua amica Jemima Goldsmith. Questa è una teoria cospiratoria per dimostrare quando l’insopprimibile antisemitismo possa essere spinto fino all’assurdo.