“Lolita compie trent’anni” mi era stato originariamente commissionato dal Book of the Month Club per fare da introduzione a un’edizione in facsimile dell’edizione di Putnam del 1958, per il trentennale della Lolita di Vladimir Nabokov. Il saggio è stato poi rivisto per la pubblicazione sulla New York Review of Books (5 giugno 1988), ed è stato infine ritoccato per essere inserito in questo libro.
Dopo aver scritto un saggio sulla curiosa storia editoriale di Lolita, ho scoperto con interesse che anche il film di Adrian Lyne del 1997 tratto da Lolita ha incontrato una sorte simile al libro. Nel maggio del 1998 ho intervistato Adrian Lyne per il New York Observer, dopo avere assistito a una proiezione privata del film. Il mio articolo ha finito per essere una specie di aggiornamento degli usi della censura negli Stati Uniti, della loro evoluzione dal 1954, quando il manoscritto di Lolita venne rifiutato da tutti gli editori americani (come ho detto uscì poi per i tipi dell’Olympia Press di Maurice Girodias, nel 1955), fino al 1998, anno in cui il film di Adrian Lyne non è riuscito a trovare un distributore per le sale cinematografiche degli States ed è stato invece acquistato dalla Showtime, una Tv via cavo.
Anche il pubblico più colto e letterato crede che la censura sia una cosa del passato – un problema affrontato da James Joyce e Bennett Cerf, da Henry Miller e Barney Rosset, ma assente dall’ambiente culturale odierno. Non è affatto vero. La censura sta tornando in modo ancora più strisciante e insidioso. Paura, autocensura, processi nei vari Stati dell’Unione riescono là dove le leggi federali non possono arrivare. Se ci fosse un James Joyce americano pronto a scrivere un Ulisse oggi, potrebbe non trovare un editore o un difensore in un’aula di tribunale.
In qualità di avvocato, Martin Garbus (che era stato interpellato come consulente per i problemi di distribuzione del film Lolita di Lyne) mi ha detto: “Oggi la censura arriva sia da destra sia da sinistra: da gruppi di pressione, da talune femministe, da ristrette comunità religiose e da associazioni conservatrici che fanno pressione sui procuratori statali e federali. È una battaglia molto diversa da quella degli anni Sessanta. È più complicata e pericolosa.”
Poche persone si rendono conto, ha detto Martin Garbus, che
i procuratori federali superstiti della Operation Porn, un’unità legale costituita da Edwin Meese, offrono oggi appoggio legale e incoraggiamento ai procuratori statali o distrettuali. Gruppi come l’American Family Association inscenano dimostrazioni per chiedere la messa al bando di film come Le ultime tentazioni di Gesù Cristo e minacciano le aziende di boicottaggio se si servono di personaggi tipo Madonna come testimonial. Stati come Utah, Alabama e Georgia perseguiranno legalmente materiali del tutto permessi nelle aree urbane. Il paese si sta frantumando in zone sicure e zone insicure.
Nel caso del film Lolita di Lyne, le minacce da parte delle femministe “dworkinite” – per le quali le donne sono sempre tabula rasa, corrotte dagli sporchi maschi – sono state un fattore decisivo nello scoraggiare e allontanare i distributori. L’omicidio di Jon Benet Ramsey occupava grandi spazi nei notiziari durante l’autunno del 1997 (quando si discuteva dell’eventuale distribuzione nelle sale del film di Lyne) e il film di Milos Forman su Larry Flynt (Larry Flynt) aveva incontrato le proteste di Andrea Dworkin, Patricia Ireland e del NOW. Lo stesso gruppo minacciava di boicottare anche il film Lolita perché faceva apparire la vittima dell’incesto come la colpevole. (Se lo pensavano onestamente, non potevano aver visto il film.) Secondo questa frangia di femministe, tutte le ragazze adolescenti sono perfettamente pure di mente, e solo i patrigni cattivi possono corromperle. Qualsiasi libro o film cerchi di parlare di una ragazzina come di una creatura ambivalente, con appetiti sessuali o con una certa confusione edipica, è destinato a finire sulla loro lista di chi si benda gli occhi davanti al male. Possiamo dipingere femministe felici solo su un trattore mentre vendono dolcetti da girl-scout e/o mentre si sforzano di recuperare ricordi perduti di abusi sessuali a opera di qualche loro orrendo parente maschio. La sfortuna di Adrian Lyne è stata fare un film d’arte da 58 milioni di dollari in un’atmosfera del genere. Se i mormoni non avessero boicottato il film, ci avrebbero comunque pensato le femministe dworkinite.
Anche se Garbus sosteneva che il film era “sicuro” dal punto di vista legale, le minacce dei mormoni unite a quelle delle femministe erano abbastanza preoccupanti da scoraggiare i distributori. Fatto sta che nonostante le garanzie legali di Garbus, il film non ha mai avuto una distribuzione nelle sale. A volte la minaccia di boicottaggio è più efficace del boicottaggio stesso.
Per aver commesso il peccato di essere stato fedele al romanzo classico, di avere osato mettere in scena “la fantasia di ogni ragazzina di sostituire la propria madre” (così ha detto mia figlia Molly di diciannove anni che ha visto il film con me), il signor Lyne e il suo film da 58 milioni di dollari hanno ottenuto il premio di consolazione di passare direttamente alla Tv via cavo dell’importante mercato americano. Nell’agosto 1998 Showtime ha trasmesso per la prima volta un film che aspirava a uscire anche sul grande schermo.* Nel frattempo, Lolita naturalmente era già stato proiettato regolarmente nei cinema in Inghilterra, Francia, Italia, Spagna e Russia, e in un sacco di altri paesi storicamente non estranei alla censura, ma gli americani hanno continuato a essere “protetti” nei confronti di questo film da una combinazione di paranoia e trogloditica incapacità a capire che l’arte non è incitamento, e l’incitamento non è arte.
Se presenti la storia di un sordido patrigno che seduce la figliastra, questo non ti rende automaticamente un pervertito o un sostenitore di pervertiti. Il regista Adrian Lyne ha finito per sbattere il naso negli stessi problemi che Vladimir Nabokov aveva incontrato negli anni Cinquanta.
Come mi ha spiegato ironicamente Lyne, “si può fare un film sul cannibalismo, si può fare Il silenzio degli innocenti, si può fare un film sulla necrofilia, come The Kiss. Ma la pedofilia è l’ultimo tabù. Credo sia perché ha troppo a che fare con la famiglia. La gente vuole credere che la sessualità si desti come si conviene all’età di diciotto anni, ma non è così. Ripenso a me stesso da ragazzino. Già a quattordici anni si è un goffo groviglio di sessualità”.
Se si vuole essere precisi, una ragazzina tra i tredici e i diciassette anni non è una bambina, anche se legalmente è minorenne. Se vogliamo sostenere che le ragazze tra i tredici e i diciassette anni non hanno alcun interesse nella seduzione, avremo vita difficile a spiegare l’esistenza di tutte le industrie che campano proprio sul fascino che la seduzione esercita sulle adolescenti: dai video musicali ai cd, al trucco, alle riviste, ai film. Le ragazzine vengono continuamente sfruttate commercialmente in modi assai peggiori di quel che qualsiasi Lolita possa minacciare di fare. Eppure questo tipo di sfruttamento non suscita nemmeno un movimento di sopracciglia.
“Quel che è spaventoso è l’atmosfera di paura che si evoca dicendo che si tratta di un film d’arte,” mi ha detto Lyne. “E la cosa triste è che un’opera d’arte è stata costretta a uscire via cavo mentre chiaramente avrebbe avuto bisogno del grande schermo.”
Poi ha aggiunto: “François Truffaut anni fa ha detto che ai registi americani piace fare film sugli eroi, mentre i registi europei amano fare film su personaggi deboli e vulnerabili, ed è proprio questo che mi ha affascinato.”
Ha fatto un film del genere e ci è riuscito al di là delle sue più audaci speranze. La Lolita di Lyne è esattamente quel genere di tragicommedia che Nabokov intendeva.
L’amante non è né completamente innocente né completamente corrotto, e il pubblico resta travolto dal fatto che i due amanti siano condannati uno alla delusione e l’altro alla morte. Decisamente Lolita non è una buona pubblicità per le gioie del sesso con fanciulle minorenni.
Cos’ha dunque questo film per aver provocato negli USA una tale triste manifestazione di vigliaccheria istituzionale? È un bel ritratto di un amore impossibile, dal tono per lo più elegiaco. È un film che descrive il paesaggio americano che Nabokov aveva raccontato con uno stile visivo surreale che spesso evoca le foto di Diane Arbus, eppure è perfettamente fedele alla visione esteriore di Nabokov di un’America degli anni Quaranta coi suoi squallidi parcheggi di roulotte, i diners sudici e i solitari distributori di benzina.
È un film il cui occhio può indugiare ora su una mosca attaccata alla carta moschicida, ora su una ragazza che succhia una banana come se fosse un cazzo, ora su un frullato di cioccolata con un grosso pezzo di gelato bianco alla vaniglia che ci si squaglia dentro, ora su un olocausto di falene contro una griglia elettrica – senza farci mai dimenticare che il vero nemico di Humbert Humbert e di Lolita è il tempo. I due amanti sono condannati perché Lolita deve crescere e superare lo stato di ninfetta, che è proprio quello che attrae il suo amante. Inoltre Humbert non ama veramente nessun essere vivente: è ossessionato dal ricordo della ragazza morta tanto tempo prima, la sua innamorata bambina del Sud della Francia, quando lui era un ragazzetto di quattordici anni.
È un film che spesso evoca i sogni – specie gli incubi -, un film il cui tono dominante è quello della malinconia e della solitudine, del senso di perdita; un film che riesce nell’impossibile compito di rendere simpatico un pervertito, tanto da farci desiderare di passare una serata con lui, eppure abbastanza miserabile da farci capire che strada senza sbocco sia l’ossessione: l’ossessione, Lolita ce lo fa capire chiaramente, non può condurre a nulla di buono. Perciò questo è un film morale nel senso più profondo della parola. Mostra il contrasto assoluto tra ossessione e amore. Non li confonde, come fanno molti altri film.
Lyne inoltre è riuscito a cogliere lo humour verbale di Nabokov. La sceneggiatura di Stephen Schiff usa abilmente alla lettera i monologhi del libro, recitati da Jeremy Jones nei fuori campo. Giochi visivi e di parole abbondano – dalla voce di Quilty alla radio, udita vagamente da Humbert all’inizio del film, al rapido scorcio di un’insegna davanti a un motel dove scendono Humbert e Lolita, che dice “Soggiorno gratuito per i bambini al di sotto dei 14 anni”.
L’inquietante combinazione dell’abitudine infantile di Lolita di fare palloncini con la gomma da masticare e atteggiarsi con gesti da sirena (imparati dalle riviste tipo Photoplay, che legge in continuazione) è fedele alla visione di Nabokov.
Il film manca degli eccessi dell’altro film di Lyne, Attrazione fatale, una pellicola da 156 milioni di dollari. È un’opera riservata e sotto tono su un argomento che non ci è stato permesso di affrontare nel 1998 più di quanto non lo sia stato possibile nel 1954.
Ecco la cosa stupefacente di Lolita: ha ancora il potere di scioccare. Il mito edipico è un argomento da ripudiare oggi come lo era negli anni Cinquanta – o anche ai tempi di Sigmund Freud.
Continuiamo a negare la realtà della sessualità minorile. Con attacchi incostituzionali come il Child Pornography Act del 1996 combattiamo l’idea stessa che una cosa del genere esista. Ma stiamo ancora accampando scuse per censurare opere d’arte, mentre lasciamo circolare liberamente ogni genere di spazzatura. Lolita è un’elegia all’amore perduto, non un film di sfruttamento minorile. Se avesse mostrato un’adolescente divorata dai cannibali sarebbe stato lasciato circolare liberamente in migliaia di cinema senza che nessuno facesse una piega. Ma visto che tratta dell’incesto – fenomeno universale, ma universalmente negato – ha dovuto subire le stupide imposizioni dei predicatori del politically correct.
Quindi la censura è ancora attuale. Ed è ancora più pericolosa oggi perché è decentralizzata, e quindi più difficile da attaccare. L’idea dell’artista come un incantatore ha ceduto all’idea dell’artista come una minaccia politica. Per molti versi si stava meglio negli anni Cinquanta, quando la censura veniva chiamata col suo vero nome.
* Grazie a questa protesta il film ha poi avuto anche una distribuzione nelle sale a New York City, Los Angeles nell’agosto 1998 e nazionale in settembre.