Un uomo in casa ne vale due per la strada.
Mae West
L’uomo perfetto – per ogni donna – è l’uomo che l’ama devotamente e la scopa spesso, bene e con passione, che la adora e la ammira, che è affidabile ed eccitante al tempo stesso: un Adone terreno e una celeste figura paterna, un bel figlio, un papà solido, un amante bacchico con gli occhi stralunati e un amico calmo, sobrio ma sempre spiritoso e divertente. È possibile trovare tutte queste qualità in un uomo? Assai improbabile! E anche ammesso che le trovassimo, resisterebbero a tutte le traversie della vita? Davvero improbabile.
Dinanzi a questo problema, che deve fare una donna? Una soluzione potrebbe essere avere due o tre uomini simultaneamente – se questo non creasse tanti casini logistici. Che succede, per esempio, quando l’amante numero 1 e l’amante numero 2 decidono di arrivare sullo stesso treno per lo stesso week-end? E come la mettiamo per i compleanni e per Natale? O per Hannukkah? Una mezza soluzione potrebbe essere avere un amante WASP e uno ebreo – con magari un buddista o un ateo nel mezzo, per buona misura, così si possono scalare le festività. Ma poi finiresti per “scalare” anche tu, perché il fatto è che nessuno può passare il 100% del proprio tempo a farsi scopare, a organizzare come farsi scopare, a offrire AA (attenzioni affettuose) a una varietà di uomini con una molteplicità di esigenze. E quale donna col sale in zucca vorrebbe impegnarsi con un uomo senza curarsi delle sue esigenze?
Un amico divorziato mi ha detto recentemente: “Quando ero sposato, passavo forse il 20% del tempo a portare a letto. Adesso che sono divorziato passo tra l’85 e il 90% del tempo a farmi portare a letto.” Ecco il problema ridotto alla sua essenza: per mettere insieme l’uomo perfetto servendosi di due, tre o quattro candidati con qualche leggera imperfezione ci vuole troppo tempo e troppa fatica. Alla fine siamo portati alla monogamia non dall’etica, ma dalla stanchezza. Un candidato vince sugli altri, e noi cediamo alle blandizie di un uomo (si spera) perfetto. A favore di questa soluzione giocano: convenienza, onestà, semplicità e stabilità. Ma ha poi davvero la stabilità? Le statistiche dei divorzi dimostrano che le nostre monogamie tendono a essere episodiche. Prima o poi ambedue i partner cominciano a darsi da fare, e la maggior parte dei figli nati oggi possono aspettarsi di crescere in case di futuri single (o di diventare i figliastri di qualcun altro). Il vecchio sistema “europeo” – se così lo possiamo chiamare – del matrimonio fisso, accompagnato da una serie di liaison altrettanto stabili, comincia a sembrarci sempre meglio quando consideriamo il disastro della nostra vita, della vita dei nostri figli, e il nostro attuale e traballante sistema di monogamia episodica.
Un affascinante giovanotto una volta mi ha detto: “Sposati pure tutte le volte che vuoi, ma promettimi che sarò io il tuo unico amante.” Parafrasava Oscar Wilde, ma la sua ansiosa supplica nascondeva un vero desiderio: il desiderio di stabilità in un mondo instabile. Se il matrimonio non è più in grado di darci questa stabilità, allora forse ci riusciranno le relazioni amorose. Una delle mie fantasie preferite è quella di sposarmi, sposarmi e sposarmi, ma di avere nel frattempo sempre un solo amante. Ma si tratta appunto di una fantasia. Non sono né abbastanza giovane né abbastanza pazza o uscita indenne dai precedenti divorzi, per sopportare il naufragio psicologico di dividermi ancora una volta. Il che mi lascia, come chiunque altra, ancora alla ricerca del Santo Graal dell’uomo perfetto – dovunque e chiunque sia.
Pur sapendo molto bene che la vita è troppo imprevedibile, ricca e strana perché l’amore arrivi sotto forma di un modello prestabilito, previsto e prefabbricato, provo cionondimeno la tentazione di mettere insieme una specie di identikit dell’uomo perfetto.
E va bene. È bello – ma non senza qualche ruvida imperfezione nei tratti: non so, per esempio il naso che una volta è stato rotto, oppure due denti leggermente accavallati. È enormemente intelligente, ma mai pedante: la sua intelligenza è permeata di humour. Anzi, il fatto che sia spiritoso, che abbia senso dello humour è iportantissimo. Deve saper ridere a letto. E anche se sotto le lenzuola è instancabile, non ha l’ossessione del sesso. Non pensa al sesso come a una performance, a una prestazione personale, e non si autoflagella se non ha un’erezione continua: anzi, si aspetta che nemmeno la sua donna glielo rinfacci. Nei confronti del sesso ha un atteggiamento rilassato; ha in proposito il senso del divertimento; è appassionato senza essere priapico.
Queste qualità sono rare in un mondo in cui la performance sessuale è diventata obbligatoria quanto lo era una volta l’astinenza – o comunque la sua finzione. Il peggior effetto secondario della cosiddetta “rivoluzione sessuale” è la sostituzione della passione con la performance. Per molti uomini il sesso è diventato un’altra zona di crudele competizione. Un giovanotto di ventiquattro anni – figlio di una scrittrice mia amica – mi ha confessato che dall’età di sedici anni fino ai ventuno non si era mai “permesso” di avere un orgasmo con una donna, tale era la preoccupazione di soddisfare la partner. “C’erano tutte quelle donne come te e mia madre che scrivevano libri e articoli sul fatto che gli uomini sono insensibili alle esigenze della donna. Così ho immaginato che la cosa principale fosse dare a una ragazza più orgasmi possibile. Ero così controllato che non riuscivo nemmeno a venire. Adesso dico: ‘Chi se ne frega.’ Che bello sarebbe tornare all’immagine della virilità alla John Wayne, quando gli uomini potevano avere un’eiaculazione precoce senza farne un dramma!”
Ciò che il giovanotto non prende in considerazione in questa sua supposta nostalgia per l’immagine di John Wayne è che nessun uomo della generazione di John Wayne avrebbe mai potuto avere una conversazione così intima con un’amica della madre, durante una cena (in casa di sua madre). Qualcosa è davvero cambiato per sempre negli uomini grazie alla rivoluzione sessuale e al movimento delle donne, e questo cambiamento potrebbe essere riassunto in una maggiore apertura. Non solo gli uomini oggi sono in grado di parlare di sesso con le donne, ma ragazzi ventenni e signore trentacinquenni spesso si eccitano parlandone a letto – esplosiva combinazione sovente esaltata dai romanzieri e dai registi francesi, ma curiosamente negletta nella cosiddetta terra delle “opportunità”. Comunque nessuno (a qualsiasi età) sembra immune dalla mania della performance. La nostra società, una volta deciso collettivamente che il sesso senza amore è accettabile, se non proprio ottimale, sembra aver rimpiazzato il desideratum dell’amore eterno col desideratum dell’eterna erezione. Quando il sesso diventa competitivo come il racquetball o il mercato azionario, vuol dire che qualche qualità essenziale di certo è andata perduta.
Il mio uomo perfetto, quindi, non è schiavo della performance. Non chiede: “Come vado?”, quando siamo a letto. Non ha un crollo nervoso se una sera non gli si rizza, ed è abbastanza sicuro di sé da sapere di essere amato per il suo cervello e il suo spirito e non solo per il suo cazzo.
Che altre qualità ha? Generosità, tenerezza, la capacità di ammettere di poter anche avere torto ogni tanto, il senso del divertimento, la consapevolezza che il sesso migliore riesce quando i due partner sono compagni di gioco e condividono le stesse fantasie. Non deve necessariamente essere ricco: la sua generosità può esprimersi semplicemente nel fare le uova alla Benedicte la domenica mattina o tagliare la legna per il camino o mandarmi un mazzo di rose quando mi sento giù. Non ha pregiudizi; non si infuria per delle stupidaggini – per esempio quando prendo male le curve sulla strada, oppure per il modo in cui allineo i barattoli sugli scaffali in cucina. È abbastanza maturo da sapere che la vita è troppo breve per sprecarla a bisticciare su delle sciocchezze. Non prende a prestito la mia auto d’epoca e me la sfascia; mi dà una sfregatina alla schiena, se ho avuto una giornataccia. Non corre a scopare la mia migliore amica se io lo trascuro un po’ perché ho una scadenza di lavoro da rispettare, e si sa divertire allegramente, senza ripicche, se io devo partire per un viaggio di lavoro. Adora bambini e cani, ma non cerca di lusingarmi e blandirmi attraverso mia figlia (il cane è tutta un’altra faccenda). Non chiede fedeltà a me se non è pronto a ricambiarla, e non si impegola in giochi erotici che non sa controllare (tipo dirmi che lo ecciterebbe molto se io andassi a letto col suo migliore amico, per poi lapidarmi – o lasciarmi – accusandomi di esserci andata veramente). Deve essere un uomo d’onore, con quell’antiquata dote che si chiama “integrità”.
È ragionevolmente ambivalente dal lato emozionale, per cui sai sempre a che punto stai con lui; non dà agli altri la colpa delle sue paure e delle sue inadeguatezze. Esiste questo paragone di virtù? “In realtà l’uomo perfetto è Mel Diamond, il mio tintore, che ha un negozio a Flatbush,” mi ha detto un’amica, “ma lui non vuole che si sappia in giro per paura di essere assalito da orde di donne fameliche.” (Se qualcuno che si chiama Mel Diamond sta leggendo questo libro, stia pure tranquillo che la scelta di questo nome da parte della mia amica è stata puramente casuale. Quindi si rilassi e si goda le orde.)
“L’uomo perfetto è qualcuno che tu ami e che ti ama,” ha detto la psicologa Mildred Newman.
“Se dovessi scegliere una qualità,” ha detto Carly Simon, cantautrice, “direi il senso di allegria, di gioia.”
“L’uomo perfetto non esiste, e nessuno nemmeno ci si avvicina,” ha detto Helen Gurley Brown. “Per essere una persona felice, meglio non tentare nemmeno di raggiungere la perfezione! È completamente assurdo pensare che una cosa simile esista. Detto questo, dirò che l’uomo perfetto dà mance troppo generose, critica troppo poco e non farebbe funzionare l’aria condizionata in gennaio.”
“L’uomo perfetto è in contatto con la propria vulnerabilità e il proprio amore; possiede dolcezza e tenerezza e non ha paura del suo lato femminile,” ha detto Diane Von Furstenberg. “Inoltre, lo puoi trovare solo quando non lo stai veramente cercando.”
Sono d’accordo con queste definizioni di perfezione. “La perfezione è terribile, non può avere figli,” ha detto Sylvia Plath in una delle sue poesie di Ariel. Alludeva al fatto, penso, che la perfezione è definitiva, chiusa e non lascia spazio alla crescita. E certamente quando cerchiamo l’uomo “perfetto”, sappiamo benissimo che, se trovassimo la perfezione, sarebbe inumana. In definitiva amiamo le persone per la loro umanità, non per la loro perfezione ma nonostante la loro imperfezione. Un uomo che meriterebbe “un bel dieci” in bellezza, mi terrorizzerebbe. Quando penso agli uomini che ho amato di più e alle cose che mi parevano più attraenti in loro al colmo della passione, ricordo sempre le loro piccole imperfezioni: un incisivo storto, sopracciglia spioventi o troppo folte, occhi di colore leggermente diverso. Perfino il gobbo Quasimodo potrebbe essere adorabile se avesse l’odore e il tocco giusto.
Il che ci porta a un altro elemento imponderabile della vita. Perché l’odore di una persona ti eccita, mentre quello di un’altra ti ripugna? È tutta questione di feromoni o di decisioni assunte dal DNA prima che la nostra mente abbia avuto modo di prenderle in considerazione? (I feromoni sono sostanze riconosciute nel mondo degli insetti, che ora cominciano a essere isolate anche negli umani, e che spiegano le attrazioni altrimenti incomprensibili tra due individui.) E quanto a questo, perché il tocco di una persona ti eccita e quello di un’altra no? La cosa mi lascia sempre più perplessa, man mano che progredisco nel cammino della vita. Di sicuro, io devo aver scelto i miei compagni in modo capriccioso o sbagliato, visto che ben tre matrimoni sono naufragati. Li ho proprio scelti male? Oppure ho semplicemente scelto compagni di viaggio differenti per stadi diversi del mio percorso? E per il fatto che la mia vocazione di scrittrice rendeva il viaggio complicato, i compagni non potevano necessariamente restare gli stessi? Quest’ultima spiegazione, direi piuttosto ottimistica, mi piace più dell’idea di essere condannata a fare scelte cattive e nevrotiche.
Il mio primo marito era un compagno di college, uno studente laureato, nel periodo in cui gli studi erano per me di enorme importanza. Leggevamo Shakespeare insieme a letto e ci tuffavamo nella storia medioevale, nella letteratura del Settecento e nei vecchi film. Siamo state anime gemelle per un certo periodo della nostra vita, ma poi le nostre anime sono cambiate. Il mio secondo marito rappresentava la stabilità, l’ordine e la salute mentale in un momento in cui mi immergevo nel mio inconscio per trarne le prime vere poesie. Avevo bisogno di lui per riportarmi a riva quando sentivo che stavo cedendo al fascino degli abissi, e lui espletava benissimo questa funzione. Una volta imparato a farlo da sola, il suo ruolo diventò sempre più artificioso e i suoi difetti – specie la mancanza di senso dello humour – risultarono sempre più evidenti.
Il mio terzo marito divideva con me la voglia di un figlio, la passione di creare una vita, di leggere e scrivere romanzi mentre allevavamo nostra figlia. Per un po’ siamo anche state anime gemelle, ma poi le nostre esigenze e le nostre anime sono cambiate. Questo si chiama “fallimento” o è un complicato tipo di destino? Preferisco credere a quest’ultima ipotesi. Ciascuna di queste scelte aveva una sua logica peculiare, nel momento in cui veniva fatta. Il fatto che l’unione non sia poi durata, non invalida la scelta. Ognuno dei miei tre matrimoni ha avuto le sue gioie. Il terzo ha conosciuto sei anni di grande felicità, prima del terribile anno di dolore.
Forse la mia vita è stata più complicata per la fortuna/sciagura di essere diventata una scrittrice famosa, un personaggio pubblico, una donna che a volte i media hanno voluto vedere come scandalosa. Ma in fondo credo che il mio destino (e i vari stadi di sviluppo attraverso i quali l’ho trovato o lui ha trovato me) non sia stato poi molto diverso da quello di altre donne della mia generazione.
Allevate a credere che avevamo bisogno degli uomini come figure genitoriali, siamo cresciute in un mondo in cui ci siamo dovute fare carico di fardelli che le nostre madri solevano ritenere mascolini: guadagnarsi la vita, gestire soldi e tasse, per non parlare di spalare la neve e cambiare le gomme dell’auto. Ci siamo scoperte più capaci di coccolare e sostentare gli uomini che di trovare uomini in grado di sostentare noi. Educate a ritenerci deboli (e quindi bisognose del sostegno maschile), ci siamo scoperte sempre più forti. Gli uomini della nostra vita, scoprivamo, si appoggiavano molto di più a noi di quanto noi facevamo con loro. Eravamo partite cercando dei padri e ci siamo ritrovate con dei figli. Eravamo pronte ad assaporare le gioie di questo rapporto, ma vedevamo anche che purtroppo aveva il cartellino del prezzo attaccato. La cosa che più spesso ci sfuggiva era trovare dei veri partner.
In questa odissea di ricerca di padri e di scoperta di figli, credo di avere fatto un percorso molto simile a quello delle donne del mio tempo. A vent’anni, scrittrice in erba, ho sposato una figura paterna; a trenta, ormai affermata nella carriera, mi sono sentita libera di scegliere un uomo soltanto per il suo “senso della gioia”. Quando poi anche questa situazione si è dimostrata non priva di problemi, ho avuto qualche esitazione e sono rimasta single per otto anni. Ancora oggi considero quello il periodo più critico della mia esistenza. Quando mi sono risposata, ero pronta per un vero partner e ho sposato una persona che ero giunta a considerare il mio migliore amico. È stato un matrimonio diverso da tutti gli altri. E continua a crescere in modo imprevedibile.
Penso sia normale per ragazze di vent’anni, specie se ambiziose, future donne in carriera, sposare uomini non tanto perché sono sexy e dotati di joie de vivre, quanto per le loro qualità paterne, che sostengono e incoraggiano. Una volta affermate professionalmente, cominciamo a scocciarci degli impegni presi con “papà” e vogliamo compagni di gioco, anime gemelle, bei ragazzi, deliziosi giovanotti, senza stare a badare se sono capaci di sparecchiare la tavola o di telefonare quando hanno promesso di farlo. Qualche cinico lo vede come un rovesciamento di ruoli, dove le donne assumono le prerogative che gli uomini hanno avuto per anni, mentre a me sembra il logico sviluppo di una crescente emancipazione della donna. Per secoli le donne non hanno avuto altra scelta che vendere la loro sessualità in cambio dello status sociale. Adesso che lo status ce lo possiamo guadagnare da sole, di colpo la nostra sessualità è diventata molto preziosa per noi e non è più qualcosa che si possa barattare.
“Questo significa che le donne hanno una visione personale della dicotomia puttana/madonna?” mi ha chiesto Nancy Friday, quando ho discusso con lei di questa teoria. Mi domando se debba sempre esserci un aut-aut. L’uomo perfetto di sicuro saprebbe combinare il bel ragazzo e il paparino saggio, ma ahimè è raro incontrarla, questa combinazione. “Il tipo di uomo che si fa un’assicurazione sulla vita non sarà mai molto divertente a letto,” ha detto la scrittrice Fay Weldon, mia amica.
Ah, quanto sarebbe bello se lo fosse! Certo, in genere le donne di successo preferirebbero il sex appeal e la joie de vivre a un’assicurazione sulla vita – l’assicurazione ce la possiamo sempre comperare noi -, ma una relazione a lungo termine richiede affidabilità e senso di gioia. In tutti i rapporti non basati sulla vera eguaglianza ci sono dei problemi; prima o poi una partnership deve diventare paritaria o si spezza. (Se, per esempio, una donna si mette con un uomo molto più giovane di lei o con molto meno successo, o lui cresce per diventare un compagno adeguato oppure la relazione va a fondo.) Alcune tra le più belle storie d’amore sembrano condannate fin dall’inizio, e forse il loro gusto particolare viene proprio dalla loro essenziale brevità: comunque è più facile far durare le cose con un vero partner.
Ma in quale angolo della terra si può trovare un vero partner? Per anni io stessa ho disperato di riuscire a trovarne uno. A questo stadio evolutivo dei rapporti tra i sessi, le donne sono spesso più illuminate dalla propria vita di quanto la società non permetta agli uomini di esserlo. Essendo ancora sottoproletariato, le donne hanno intuizioni da sottoproletariato: un autoironico senso dello humour che sgonfia la pomposità, una visione della classe superiore dal culo in su, per così dire, una prospettiva sociale che solo un outsider può avere. Tutte queste cose ci costringono a crescere. Questa è la merda da cui possono crescere le nostre rose.
D’altro canto, gli uomini continuano a costituire una classe superiore – come dimostra il fatto che non si considerano una classe, ma semplicemente rappresentanti dell’umanità. Tendono ancora a farsi coccolare dalle donne, dalla madre in poi, e si perdono quindi l’occasione di sgonfiare la loro pomposità. Certi uomini eccezionali superano questo stato di cose, ma molti non ci riescono: semplicemente scivolano nei solchi che la società ha preparato per loro e vanno avanti col paraocchi. Naturalmente sono confusi dalla forza e dalla libertà delle donne, e così sono vulnerabili – per certi versi più vulnerabili delle donne. Ma non hanno visto tutto il loro mondo capovolto in questa generazione. La sessualità femminile può anche stupirli, ma la società in cui vivono è largamente governata da persone del loro sesso.
Non voglio affatto sostenere che l’uno o l’altro dei due sessi abbia subìto un trattamento più ingiusto dalla rivoluzione sessuale e femminista – incomplete come sono entrambe queste rivoluzioni. Ambedue i sessi sono stati colpiti al cuore, e barcollano per lo shock. Il problema non è se soffrano di più gli uomini o le donne. Credo che non sia nemmeno appurabile. Ma per una serie di ragioni, le donne sono state costrette ad avere certe intuizioni nella società che sono a disposizione solo degli uomini più empatici, artistici e intelligenti. Quindi è terribilmente difficile per molte donne della mia generazione trovare un vero partner. Non partner di letto o di divertimento, ma uomini in grado di sostenere i fardelli come noi e che possiedono anche la gioia e l’allegria che Carly Simon e io tanto apprezziamo.
Ah, il sogno del vero partner! È lui, dopo tutto, “l’uomo perfetto”. Lo troviamo o ce lo dobbiamo educare? Lo coltiviamo nel nostro giardino o lo importiamo dalla luna? E ammesso che lo troviamo, non è che a venticinque anni impazzirà, a trenta sprofonderà nella depressione, per finire a scopare la baby-sitter a quaranta? Possiamo amarlo senza coccolarlo? Possiamo fargli delle richieste senza che ci lasci? Possiamo trovare un equilibrio tra dare e avere? E sappiamo ricevere con la stessa grazia con cui diamo?
La nostra analisi ci dice che la risposta sta dentro di noi, che quando noi siamo pronte, misteriosamente l’uomo perfetto arriva. A me sembra tutto troppo fiabesco. Ho conosciuto donne che sono state pronte per anni: così pronte e piene di fiducia in se stesse che giudicavano gli uomini in base a standard di perfezione impossibili da trovare – e alla fine si sono abituate a restare sole. E hanno anche scoperto che era piacevole. Il viaggio restava lo stesso, ma i compagni cambiavano. Il vero partner gli era sfuggito per così tanto tempo che alla fine avevano anche smesso di cercarlo.
Pensavo di aver rinunciato all’uomo perfetto, ma in realtà non l’ho mai fatto. Semplicemente ho rivisto le mie idee di perfezione. Avendo capito che avevo dei difetti di carattere, ho finito per desiderare un partner che li avesse anche lui.
L’uomo perfetto dopo tutto è quello che vede il meglio di te e che ti mantiene fedele al tuo ideale di beau anche quando tu tentenni. Dato che lui ama sia quella che sei sia quella che puoi diventare, la sua visione ti aiuta a divenire veramente te stessa. E mentre cresci sicura di te nel suo amore, generosamente rispecchi anche la parte migliore di lui.
Una volta ero intrigata dalle cose che mettono fine a una relazione. Adesso mi affascinano di più quelle che la tengono insieme. Un matrimonio che dura è sempre in uno stato di metamorfosi. L’uomo perfetto trasforma la donna perfetta. I due si riconoscono l’un l’altra per la volontà di trasformarsi.