Esistono ragazzine talmente innamorate delle parole, da baciare la foto dell’autore sulla copertina dei libri. Io ero una di queste. Il mio grande desiderio era fare la scrittrice. Anche se questo desiderio oggi potrebbe sembrare simile all’aspirazione di fare il maniscalco nell’era dell’automobile, l’immagine infantile che io avevo di quel che fa lo scrittore conferiva poteri sovrumani alla professione. Lo scrittore se ne stava seduto privatamente alla sua scrivania e faceva accadere cose pubbliche. Era un potere simile a quello di Dio. E il senso di soddisfazione doveva essere lo stesso. Far scorrere le parole sulla pagina, era come far piovere. Dall’inchiostro sbocciavano i fiori. Uragani e rivoluzioni venivano scatenati dallo scricchiolio della penna sulla carta.
Dato che il mio primo romanzo aveva praticamente fomentato una specie di rivoluzione della coscienza, per un po’ mi sono cullata nell’illusione che la parola potesse veramente cambiare il mondo. Ma poi l’illusione è svanita. Adesso ripongo ancora la mia fiducia nella parola – ma in modo più umile.
Non so esattamente come scrivere possa cambiare il mondo, ma sono convinta che avvenga. È una cosa indiretta – come le gallerie scavate dai vermi che danno aria alla terra. E non è sempre deliberata – come la coda di polvere scintillante che le stelle comete si trascinano dietro. Ma ha un effetto sul cosmo. Prima di essere scritte, le cose non esistono allo stesso modo. L’atto di fissarle nelle parole conferisce loro il valore di moneta di scambio.
Ho sempre desiderato battere questa moneta: essere una “donna di lettere”, qualsiasi cosa significhi questa antica espressione. Ho cominciato con la poesia, perché era diretta, immediata e breve. Era l’estasi di strofinare fiammiferi al buio. Poi sono passata al romanzo perché il romanzo può contenere satira e commento sociale, ma anche raccontare una storia. Ma ho anche scritto aforismi, piccoli saggi su argomenti vari che colpivano la mia attenzione. Una scelta di tali saggi appare in questo libro.
Per quanto riguarda gli scritti che avevo già pubblicato, ho tagliato senza pietà. Di 1000 pagine, ho pensato di salvarne forse 250. A volte un articolo già uscito me ne ha ispirato uno nuovo. A volte mi sono permessa di ripartire da zero.
La prima parte del libro segue alcuni cambiamenti di potere avvenuti negli ultimi venticinque anni tra i due sessi.
Oggi il nostro atteggiamento di fronte alle donne di potere è ambivalente. Questa ambivalenza è cambiata negli ultimi dieci anni e cambierà ancora di più quando le nostre figlie audaci e insolenti conquisteranno il mondo. L’iconizzazione della principessa Diana è stata un passo avanti o indietro, per le donne? Pongo la domanda senza essere troppo sicura della risposta. Abbiamo bisogno di discuterne ancora un po’, prima della canonizzazione.
Anche la dialettica madre-figlia mi affascina. Non solo perché sono anch’io una madre e una figlia, ma anche perché credo che l’alternarsi di periodi di grande femminismo e di reazione negativa possa essere ricondotto proprio a questa dialettica. Se oggi la parola “femminismo” è fuori moda, è perché la si associa agli anni Settanta – il mitico decennio della nascita delle nostre figlie. Come potrebbe essere reale o radicale per esse qualcosa che le loro madri hanno sostenuto e difeso? Bisogna dire comunque che le nostre figlie vogliono tutto quello che il femminismo sostiene: parità di retribuzione, matrimonio paritario e un posto alla Casa Bianca (senza doverci entrare di contrabbando, portate dal presidente per doveri tutt’altro che presidenziali).
Il femminismo è l’atmosfera della loro vita, è l’aria che respirano. Non serve quasi nemmeno più nominarlo. E questo è un bene.
La parte del libro dedicata al sesso è per lo più di carattere letterario. Questo perché sono cresciuta perdendomi nella letteratura “come in un’orgia perpetua”, per citare Flaubert, e le orge letterarie sospetto siano ancora più gratificanti di quelle reali. La censura di Lolita (che minaccia anche la seconda versione cinematografica), i voli scatologici di Mark Twain e l’ossessione di Anaïs Nin per il padre (che ha dato origine a un intero genere di memorie femminili) sono forse argomenti che vale la pena di analizzare visto che hanno contribuito a cambiare il nostro paesaggio sessuale. Se il pene del presidente americano non è più un fatto privato, se a volte avremmo tanta voglia di leggere un libro di memorie in cui la figlia non ricordi di essere stata molestata dal padre, dobbiamo darne la colpa a Twain e alla Nin, a Miller e a Nabokov. In realtà io non incolpo nessuno. Come ha detto Anthony Burgess: “Non ho mai avuto la tendenza a biasimare chi cerca il sesso in letteratura; cercando il sesso, si può anche trovare qualcos’altro.”
La terza parte, “Pane e Rose” prende il titolo da un vecchio inno del 1914, che fa:
Mentre marciamo e marciamo,
combattiamo anche per gli uomini
perché sono figli di donne
e facciamo loro ancora da madre.
La nostra vita non dovrebbe essere solo fatica
dalla nascita alla morte.
Il cuore ha fame come il corpo,
vogliamo il pane, ma vogliamo anche le rose.
Poche donne considerano il potere fine a se stesso. Lo scopo del potere è la libertà di coltivare le rose. Dobbiamo rimuovere gli ultimi ostacoli all’eguaglianza per poter dare forza a noi e agli altri. Dobbiamo eliminare la discriminazione sessuale, per poter fare fiorire le rose.
Nella terza parte suggerisco la mia ricetta personale per restare sani in un mondo che ha il vizio del dibattito litigioso. La poesia mi ha salvato la vita. Penso possa salvare anche la vostra. Ezra Pound diceva che la poesia è il sistema nervoso della razza umana e che un animale senza sistema nervoso muore presto. Mi sembra un’ottima e concisa diagnosi della malattia della nostra cultura.
Se ho scritto molto sull’Italia, e soprattutto su Venezia, è perché Venezia è un luogo che mi ricorda perché scrivo: per creare qualcosa insieme effimero ed eterno – città d’aria, città d’acqua.
Molte volte nella mia vita sono tornata a Venezia per incominciare un romanzo o per finirlo. I miraggi acquatici di Venezia alimentano la fantasia. L’abbondanza di fantasmi sussurranti mi ricorda quanto breve sia il mio tempo.