La sindrome delle gambe senza riposo
Il diavolo fa grande tripudio, quando può togliere la gioia dello spirito al servo di Dio.
San Francesco d’Assisi
Mai avrei pensato di dover prestare soccorso a un frate posseduto dal demonio.
Tengo l’ambulatorio per i disturbi del sonno di martedì. È sempre molto affollato, così, quando un mio collega non riesce a trovare posto per un’urgenza, sa che può inviare direttamente il paziente poco prima che le visite inizino dicendogli di intercettarmi. Un giorno, mentre stavo scendendo in ambulatorio, ho intravisto nei corridoi della clinica un giovane religioso, alto, con i calzari di cuoio e i piedi nudi nonostante la temperatura ancora molto fredda di un febbraio già inoltrato. Stava camminando con il rosario in mano, ripercorreva i propri passi avanti e indietro recitando sottovoce parole incomprensibili.
«Buongiorno padre» dissi fermandomi a qualche metro di distanza da lui.
«Buongiorno, buongiorno… Padre nostro… il tuo nome… come in cielo così in terra…»
«Va tutto bene? Sta aspettando qualcuno?»
«Sì, stavo cercando il dottor Plazzi, ho un problema, mi hanno detto di venire qui.»
Mi presentai, e lo invitai ad accomodarsi di fronte al mio ambulatorio.
«Dottore, sarebbe possibile anticipare la mia visita?»
Gettai un occhio verso la sala d’aspetto. «Temo ci siano già alcune persone in fila.»
«La prego dottore, non ce la faccio a restare seduto a lungo.»
Tremava vistosamente. Mi sembrò qualcosa di più di una semplice richiesta di chi ha fretta; il giovane frate, Padre G., mi parve molto educato e rispettoso delle altre persone in attesa. Decisi allora di assecondare la sua richiesta, e per non sollevare problemi con i coordinatori dell’ambulatorio e con gli altri pazienti proposi di incamminarci velocemente verso il laboratorio del sonno.
«Venga padre, faccia in fretta, di qua…»
«Grazie dottore, grazie.»
Percorrendo un lungo corridoio raggiungemmo l’edificio principale e poi, attraverso le scale, i sotterranei dove ha sede il laboratorio. Durante lo spostamento ne approfittai per raccogliere alcune informazioni fondamentali da Padre G. La sua visita mi era stata richiesta il giorno prima dal suo mentore e guida spirituale, Padre Guglielmo, un uomo tanto devoto a Dio quanto attento e acuto osservatore delle centinaia di uomini che ogni giorno incontrava. Il vecchio frate era così in pensiero per lo strano comportamento del suo giovane fratello da convincersi a chiamarmi. «Non sappiamo più cosa fare professore, non sappiamo che cosa gli stia accadendo. Io e gli altri fratelli siamo molto preoccupati» mi aveva detto. Già dalla sua telefonata avevo percepito un campanello di allarme, di urgenza, di gravità, ma non avevo assolutamente compreso il cuore del problema. Mi bastò però ascoltare Padre G. per pochi minuti e guardarlo mimare i suoi sintomi di fianco a me per arrivare in breve tempo a una conclusione: raggiunto il laboratorio avevo già la diagnosi nella penna.
Restava da capire il perché a Padre G. stessero succedendo certe insolite cose.
Padre G. aveva trentacinque anni compiuti e nella sua famiglia non c’erano mai state malattie neurologiche. Suo padre aveva però subito un trapianto di reni, essendo stati danneggiati entrambi da una forma di ipertensione arteriosa resistente o forse mal trattata. Dopo il servizio militare volontario Padre G., grande lavoratore, bravo contadino e appassionato di arti marziali, si era avvicinato alla vita religiosa e a ventinove anni aveva pronunciato i voti di povertà, castità e obbedienza dei frati francescani. Non si era mai staccato dal suo maestro, Padre Guglielmo, che era diventato dunque un testimone importante di quanto gli stava accadendo da oltre tre mesi.
Durante la telefonata Padre Guglielmo mi aveva assicurato che il giovane Padre G., da quando lo aveva conosciuto, era un servo di Dio impeccabile. Mai una parola di troppo o un gesto fuori posto. Il suo comportamento era sempre stato un modello di riferimento per tutti gli altri fratelli. Da qualche mese, però, Padre G. aveva iniziato a dargli una serie di preoccupazioni: durante la preghiera della sera, quando era costretto a restare seduto, veniva colto da dolori urenti, un bruciore insopportabile alle gambe, esattamente nella parte anteriore. Poteva resistere per qualche decina di minuti con stratagemmi che aveva imparato sperimentandoli su se stesso. Se per esempio spingeva a terra con forza la parte anteriore del piede, oppure se sfregava le gambe fra loro, se faceva movimenti alternanti di flessione ed estensione dei piedi oppure se oscillava sul tronco, il dolore piano piano si attenuava, fino a scomparire del tutto, almeno per qualche minuto. Poi ricompariva, così violentemente da costringerlo ad alzarsi di scatto: sentiva le gambe avvolte da piante rampicanti, da edere pruriginose, e una morsa insopportabile gli afferrava le caviglie. Era come se un cane lo stesse mordendo. Anche in questi casi, non appena si alzava, dopo qualche passo veloce – meglio ancora se battendo i piedi a terra –, tutto scompariva.
A causa di queste misteriose manifestazioni Padre G. non riusciva più a seguire gli esercizi spirituali, e non sapeva cosa fosse questa forza sconosciuta che lo tormentava. Non voleva farsi vedere così, non voleva che gli altri fratelli scoprissero questa sua condizione. Provava paura, dolore e anche rabbia. Una volta durante la preghiera si era dimenato da seduto per cercare di resistere alla smania dolorosa che gli avvolgeva le gambe. Si era dovuto alzare bruscamente dagli scranni del coro, correndo, battendo i piedi e urlando: «Basta! Ti prego lasciami stare!». Aveva visto gli sguardi dei suoi fratelli, stupiti, impauriti, preoccupati. Camminando e camminando pensava: «Cosa può essere? Sta accadendo qualcosa alla mia anima? Alla mia fede? È forse il diavolo che non vuole farmi pregare? Che manda le sue ortiche velenose e i suoi lupi a mordermi come fece con Francesco?».
La domanda se qualcosa di malvagio fosse tanto forte da impedirgli la preghiera attraversava di continuo la sua mente. Era certo una domanda che anche Padre Guglielmo e gli altri confratelli si stavano ponendo. E la cosa non faceva stare tranquillo nessuno di loro.
E non sapevano tutto: quello che riuscivano a vedere durante le ore di preghiera era soltanto la punta di un iceberg. Una volta in stanza, quando si inginocchiava per pregare, ma soprattutto quando stremato, sfinito, si coricava per dormire, i morsi e il bruciore riprendevano. Ancora più ferocemente.
Padre G. riusciva a pregare inginocchiato passandosi la corda della tunica sotto le ginocchia o stringendosela intorno ai polpacci, ma non riusciva a mettersi a letto se prima non si era sfinito fisicamente a forza di saltare, correre sul posto, fare flessioni. Durante la notte veniva più volte risvegliato dal dolore alle gambe, in alcuni casi da un crampo al polpaccio. Allora era costretto a sottoporsi di nuovo a una sessione di ginnastica notturna estenuante prima di riuscire a coricarsi e dormire per poche ore.
La sveglia all’alba era una tortura. Quando si inginocchiava di nuovo a pregare, con la corda stretta attorno alle ginocchia, spesso aveva dei colpi di sonno che gli facevano ciondolare bruscamente la testa in avanti. Fortunatamente la sua cella si trovava al piano terra ed era l’ultima nel lungo corridoio. La cella vicina era abitata da Padre S., un fortissimo russatore. Padre G. l’aveva sentito russare ininterrottamente tutte le notti, non si era certamente accorto di nulla, e almeno di notte riusciva a tenere nascoste le sue terribili manifestazioni.
Quando fu davanti a me, nel laboratorio, Padre G. mi pose la domanda che lo tormentava da mesi.
«Dottore, mi dica la verità, quello che mi sta succedendo è opera di un intervento demoniaco?»
«Caro padre, non ho alcuna competenza in fatto di demoni. Ma sono più che certo che la sua malattia ha un nome ben preciso, e sicuramente anche una cura: si tratta della “sindrome delle gambe senza riposo”.»
«Quindi non è Satana che vuole distogliermi dalla luce del Signore?»
«In questo caso no, può stare più che tranquillo.»
La sindrome delle gambe senza riposo può essere una malattia molto dura e, a suo modo, affascinante, con alle spalle una storia decisamente curiosa. Tutti gli studenti di medicina conoscono a memoria, fin dal primo anno di corso, la composizione del poligono di Willis, il sistema di collegamento fra i vasi arteriosi intracranici che assicura l’afflusso di sangue al cervello. Pochi medici tuttavia sanno che nel 1672 Thomas Willis aveva descritto i sintomi di diverse malattie che oggi riteniamo scoperte molto più recenti, ingannati nelle date dalle informazioni che possiamo ricavare da una ricerca effettuata per mezzo di un motore di ricerca scientifico. Nel suo ultimo libro di fisiopatologia, De animae brutorum, infatti, il medico britannico ormai cinquantenne, all’apice della sua carriera e fermo oppositore della teoria cartesiana, era fortemente convinto che l’uomo avesse due anime: una unicamente umana, razionale e immortale, e una mortale, comune a tutte le creature del regno animale. Grazie alla sua grande esperienza clinica e alle sue capacità di osservazione, Willis riconobbe la differenza fra malattie organiche e malattie mentali, e attribuì queste ultime al prevalere di disfunzioni dell’anima animale (appunto l’anima brutorum) situata all’interno del corpo umano. Così, fra le tante malattie descritte da Willis, oltre alle cefalee, l’apoplessia, le paralisi e la melancolia, troviamo anche la prima descrizione della sindrome delle gambe senza riposo.
Oggi, trecentocinquanta anni dopo la prima descrizione di Willis, la sindrome delle gambe senza riposo, un disturbo molto frequente, sottovalutato e sottodiagnosticato, stenta a trovare una collocazione nosografica definitiva, conteso fra i disturbi del sonno e le patologie neurologiche del movimento. Tuttavia, le grandi capacità di osservazione di Willis e la mole enorme di attività clinica lo avevano portato a conferire una dignità clinica talmente rilevante a questo disturbo da decidere di inserirlo nel libro che avrebbe dovuto rappresentare la sintesi delle sue scoperte e del suo pensiero. Willis attribuì alla sindrome delle gambe senza riposo tutta la drammaticità delle malattie più gravi, paragonando le sofferenze di una persona che ne è affetta a quelle di un prigioniero nella camera della tortura.
La sindrome delle gambe senza riposo, oggi più nota con l’acronimo rls (restless legs syndrome) è un disturbo neurologico causato da una disfunzione dei sistemi sensitivo e motorio che compare nel momento in cui, rilassati e sonnolenti, spesso già distesi nel letto, ci accingiamo a dormire. Il grande neurologo del Queen Square Institute of Neurology di Londra, MacDonald Critchley, denominò questa agognata finestra temporale che si spalanca alla fine di ogni nostra giornata «pre-dormitum». È in questo momento che si presenta la rls, creando una sensazione di disagio alle gambe, fra il tallone e il ginocchio, costringendoci a muoverle, a volte ad alzarci dal letto. Questo fenomeno sbarra il nostro accesso al sonno ed è spesso causa di grave insonnia.
Sintomi sensitivo-motori fastidiosi, talora dolorosi, che coinvolgono più frequentemente gli arti inferiori e si manifestano principalmente alla sera o nelle ore notturne durante il riposo, durante i risvegli notturni, o in entrambe le occasioni, sono infatti le caratteristiche cliniche della rls. Il paziente lamenta bruciore, prurito, formicolii, spasmi, movimenti involontari alle gambe o alle braccia e soprattutto una fastidiosa irrequietezza causa della necessità di muovere le gambe, alzarsi in piedi e camminare. I sintomi della rls determinano un’insonnia caratterizzata da un aumento del tempo della fase di addormentamento e la frammentazione del sonno, e la conseguente sonnolenza diurna e il marcato quadro di affaticamento possono compromettere seriamente la qualità di vita. La rls, inoltre, induce un disturbo ansioso-depressivo e rappresenta un importante fattore di rischio cardiovascolare.
La prevalenza della rls è elevata ma il più delle volte non è diagnosticata, e la sua patogenesi resta ancora non completamente chiarita. Nella forma idiopatica, ossia non associata a una patologia maggiore, è spesso familiare e si trasmette con modalità dominante. Ma non va comunque sottovalutata, poiché è frequente nelle condizioni di anemia e nella popolazione con insufficienza renale, dove può rappresentare un sintomo di esordio e può anche compromettere l’aderenza alla dialisi.
Era questo che stava accadendo a Padre G., occorreva però capire il perché fosse capitato proprio a lui, e perché il disturbo fosse comparso nel suo corpo in una forma così violenta e improvvisa.
Alla visita neurologica Padre G. risultò completamente normale. Era in ottime condizioni fisiche. Si era procurato due profonde ulcere sulle ginocchia, tenendovi la corda sotto quando si inginocchiava durante la preghiera. Le gambe erano coperte da abrasioni, causate dai graffi e dalla corda del saio. Nonostante fosse normopeso la sua pressione arteriosa era piuttosto alta, oltre i valori di normalità. Anche durante la visita, mentre era coricato, aveva un evidente bisogno di muovere le gambe.
Spiegai a Padre G. che soffriva di rls, la diagnosi veniva fatta in base a criteri clinici, ero quindi in grado di confermarla e di prescrivergli un farmaco sintomatico: avrebbe potuto dormire meglio dalla sera stessa. Occorreva tuttavia eseguire alcuni accertamenti per escludere una forma secondaria di rls, ossia l’associazione a particolari condizioni cliniche nelle quali la prevalenza di rls è più alta. Mi preoccupava l’esordio repentino della malattia, la familiarità di insufficienza renale nel padre e l’ipertensione, anche se poteva essere un riscontro casuale. Nello specifico, volevo escludere qualsiasi problema renale.
Ricapitolai con lui i criteri diagnostici proposti nel 2003 da un gruppo di esperti dell’International Restless Legs Syndrome Study Group. I criteri, che il lettore potrà tenere a mente qualora la storia di Padre G. gli avesse acceso qualche campanello di allarme, permettono di identificare e diagnosticare facilmente il disturbo e sono declinati in quattro punti: 1) la necessità impellente di muovere le gambe in genere associata a sgradevoli e fastidiosi disturbi sensoriali agli arti inferiori; 2) l’irrequietezza motoria e i disturbi sensoriali iniziano e peggiorano durante il riposo o l’inattività, quando il soggetto è seduto o sdraiato; 3) l’irrequietezza motoria e sensazioni fastidiose sono prontamente, parzialmente o totalmente alleviate dal movimento come il camminare o il tendere i muscoli; 4) il desiderio di muovere le gambe e le sensazioni spiacevoli presentano una variabilità circadiana: insorgono o peggiorano la sera o la notte.
Padre G., dopo aver appreso che quello che stava vivendo non era un artificio del demonio, ma il manifestarsi di una malattia molto nota e diffusa, apparve decisamente più rilassato. A volte comunicare subito la diagnosi ai pazienti può provocare un piccolo shock, anche quando le notizie sembrerebbero essere tendenzialmente positive. In altri casi, come in questo, rappresenta invece il primo passo terapeutico, a volte il più importante.
Poiché eravamo già nel laboratorio del sonno proposi a Padre G. di sottoporsi subito al test di immobilizzazione (il suggested immobilization test, sit). Si tratta di un test proposto da Jacques Monplaisir di Montréal per valutare la gravità del disturbo e quantificare l’eventuale risposta alla terapia.
Mentre ritornavo alle altre visite Padre G. si apprestava dunque a verificare l’efficacia di una possibile terapia. Durante il sit vengono posizionati, in corrispondenza dei muscoli tibiali anteriori di entrambe le gambe, due elettrodi che registrano l’attività elettromiografica. L’elettromiografia è la più antica pratica neurofisiologica che consente di tradurre in una traccia l’attività elettrica di un muscolo che si contrae, ed è utilizzata per studiare obiettivamente e quantificare il danno muscolare in malattie neurologiche come, per esempio, le contrazioni muscolari involontarie nella rls. Il muscolo tibiale anteriore è deputato al sollevamento del piede rispetto all’articolazione della caviglia e il tecnico può reperirlo facilmente nella loggia laterale della gamba, all’esterno della tibia. Si chiede al paziente disteso di sollevare verso l’alto la punta del piede e si apprezzerà con facilità la contrazione del muscolo sul quale posizionare due piccole coppette d’argento nichelato e di pasta conduttrice. Il muscolo contraendosi emette un’attività elettrica facilmente registrabile con il poligrafo. È così possibile documentare il numero, la frequenza e l’intensità delle contrazioni di un paziente sotto l’effetto della smania della rls.
Dopo neanche dieci minuti mi chiamarono in ambulatorio. Padre G., per quanto fosse determinato, non riusciva a resistere.
«Sto male, mi brucia tutto, fatemi alzare!» aveva detto agli operatori.
Detti istruzione di interrompere subito il test, lasciando però gli elettrodi, e di somministrare a Padre G. una piccola quantità di pramipexolo, un farmaco agonista della dopamina registrato in usa e in Europa per il trattamento della rls. Infatti, nonostante i meccanismi cerebrali in grado di produrre i sintomi strazianti della rls non siano ancora chiariti, è certo invece che i farmaci dopaminergici sono spesso molto efficaci nell’alleviare la rls. La mia speranza era vedere un effetto immediato anche nel disperato Padre G.
Scesi in laboratorio dopo circa mezz’ora. Padre G. stava camminando con il rosario in mano, anche stavolta scalzo. Il suo viso era molto più rilassato, anche se aveva timore di distendersi. Ma era il momento, doveva tornare dentro per ripetere l’esame. Si stese sul letto del laboratorio mentre io nel frattempo visionavo il video del primo test. Il suo volto durante la registrazione era una maschera di dolore, e aveva contrazioni continue in tutto il corpo. Le sue gambe sbucavano dal saio e calciavano violentemente in aria! Questi movimenti erano soltanto in parte controllabili con la volontà, ma per lo più sfuggivano elettricamente al suo controllo. La combinazione fra l’abito clericale e la scompostezza dei movimenti metteva davvero angoscia. Si può credere o non credere alle forze del male, ma guardare un giovane prete muoversi come una tarantola nel letto, con il saio francescano e un crocifisso di legno sbalzato in aria dalle continue scosse, fa comunque la sua inquietante impressione.
Padre G. giaceva supino sul letto. Finalmente fermo e rilassato, sorrideva. Mi allungò la mano e gliela presi, stringemmo entrambi con forza e improvvisamente cominciò a piangere.
«Adesso tutto questo finirà vero?» mi chiese profondamente commosso.
Avevamo un buon farmaco per consentirgli di ritornare alla sua vita, ne eravamo certi; era solo necessario proseguire la registrazione ancora un po’. Il povero frate stremato si addormentò in pochi minuti, e presto comparve quello che ci aspettavamo. Periodicamente, ogni circa 20 secondi, le gambe di Padre G. si muovevano, a volte sincrone, a volte una sola, a volte alternate. Era ben visibile l’estensione dell’alluce, cui seguivano in serie la flessione della caviglia, del ginocchio e talvolta dell’anca. Ogni movimento aveva la durata di un paio di secondi. Nel laboratorio conoscevamo bene quella specie di pantomima dell’incespicare. Si trattava di un disturbo del movimento durante il sonno che si associa, in oltre l’80 per cento dei casi, a una rls. Nonostante questo fenomeno sia stato descritto per la prima volta da ricercatori italiani e da loro denominato «mioclono notturno», viene correntemente identificato con l’acronimo plms (periodic limb movements during sleep, movimenti periodici degli arti durante il sonno) ed è un indicatore polisonnografico di rls.
Quando Padre G. ritornò alla visita di controllo, dopo un mese, ci riferì che con una bassa dose di farmaco alla sera si era completamente ristabilito. Accantonata l’ipotesi demoniaca, era ritornato a percorrere con serenità possibili indizi di rls nella sua vita e nella sua famiglia, e ricordò come dopo un intervento di appendicectomia complicato, dieci anni prima, avesse avvertito qualcosa di simile quando durante la convalescenza era stato costretto a letto. Aveva anche sentito telefonicamente suo padre che aveva confermato di avvertire, saltuariamente, una sensazione di smania alle gambe quando si coricava molto stanco, e che aveva il sospetto che anche sua madre, la nonna di Padre G., avesse sofferto di qualcosa di simile. Spesso al mattino la casa della nonna mostrava infatti indizi di un’intensa attività notturna: c’erano già pile di panni stirati sul grande tavolo del soggiorno, e dolci dall’odore irresistibile sfornati prima del sorgere del sole.
Fortunatamente gli accertamenti cui Padre G. si era sottoposto erano tutti normali. Nessun segno di insufficienza renale né di uremia, e la pressione si era normalizzata. Il dosaggio ematico della ferritina, uno dei possibili indicatori della rls, indicava valori bassi. Un basso livello di ferritina viene considerato un sensibile indicatore di carenza di ferro. Il ferro, oltre a essere un elemento costituente fondamentale di molti complessi proteici, si concentra in una struttura del tronco cerebrale, nella substantia nigra, conferendole il tipico colore nero. La carenza di ferro, nei pazienti affetti da rls, potrebbe quindi alterare la funzione di questa struttura coinvolta nei meccanismi di controllo del movimento, della dipendenza e della ricompensa, e giocare dunque un importante ruolo nella patofisiologia della rls (per esempio, si sa che la supplementazione di ferro è in grado di alleviare i sintomi della rls in pazienti che ne sono gravemente carenti; allo stesso modo, sappiamo che la rls può peggiorare in condizioni fisiologiche associate a una carenza di ferro, come una gravidanza).
Oggi, a oltre dieci anni dalla comparsa della malattia, Padre G. sta finalmente bene. Non ha più avuto bisogno di me, ma continuiamo a sentirci regolarmente per gli auguri di Natale.
«Che Dio la protegga dai dolori dottore» mi ha scritto l’ultima volta.
«Basterebbe qualche buon farmaco, caro padre» ho risposto, sapendo che Padre G., seppur timidamente, avrebbe sorriso.