10. Animali notturni

I rapporti sessuali durante il sonno

Che cosa fareste se una notte il vostro partner sentimentale, mentre è totalmente immerso nel sonno, iniziasse a farvi delle avances sessuali molto spinte, per di più colorate da richieste inaspettatamente licenziose e insospettate oscenità? È quello che è successo a una giovane donna catalana che ho conosciuto a Barcellona e a suo marito, ma probabilmente diversi tra voi potrebbero raccontare un’esperienza simile.

Chissà, però, se voi avete reagito come questa disinvolta coppia di innamorati.

Li incontrai all’Hospital Clinic di Barcellona dove, nella divisione di Neurologia, Joan Santamaria e Alex Iranzo dirigono uno dei più importanti centri per lo studio, la diagnosi e la cura dei disturbi del sonno. Ogni volta che mi invitano per una lezione o per discutere di una possibilità di collaborazione hanno la consuetudine di convocare alcuni dei loro pazienti con casi particolarmente curiosi per stimolare una discussione scientifica. Nonostante io non parli il catalano, la sua somiglianza a tanti dialetti italiani, il ritmo della lingua e la straordinaria abilità di Alex nel condurre l’intervista clinica rendono questo momento della visita a Barcellona sempre estremamente interessante.

Alex e Joan scelgono accuratamente i pazienti che si sottopongono volentieri al gioco istruttivo del «caso clinico». La convocazione avviene in genere a fine giornata, fra le sette e le otto di sera, prima della cena in qualche ristorante catalano, scelto con estrema cura e ogni volta diverso.

Quella sera alla consulenza clandestina di Barcellona partecipammo solo io, Alex e un giovane medico, Carles. Joan sarebbe passato da casa per poi raggiungerci direttamente al banco delle tapas.

Era ormai sera, il Centro del sonno era l’unico spazio con tutte le luci accese al terzo piano dell’Hospital Clinic, al termine del lungo corridoio dalle porte bianche chiuse dei laboratori di neurofisiologia. Il paziente di Alex, Antonio, era già arrivato. Si trattava di un uomo di trentotto anni, accompagnato da sua moglie Maria, di poco più giovane di lui. I due erano sposati da nove anni e avevano due figli. Ci presentammo, ero io l’ospite straniero cui avevano acconsentito di raccontare la loro storia. Mi dettero subito l’impressione di essere molto simpatici, sorridevano, sembravano una coppia affiatata. Dal loro atteggiamento estroverso e dal loro volto sereno intuii che non avremmo dovuto parlare di malattie particolarmente gravi. Eppure c’era qualcosa nella loro timida complicità che faceva subito capire che si sarebbe trattato di qualcosa di molto curioso.

Ci accomodammo in cerchio nel laboratorio, dietro di noi erano già stati accesi i display del poligrafo che ci avrebbero consentito, nella seconda parte dell’incontro, di visionare i tracciati video-polisonnografici. Rimanemmo nell’ambulatorio, e questo significava che non avremmo dovuto visitare Antonio, non sarebbe stato necessario. Evidentemente il suo esame clinico neurologico era normale.

Dopo aver rotto il ghiaccio, il racconto del caso clinico cominciò.

La discussione del caso clinico si svolge in genere secondo una prassi comune: viene introdotto il caso, il motivo della consultazione o dell’accesso in ospedale, il racconto del paziente e di chi lo accompagna, le informazioni attinenti alla ragione della visita e il racconto di come i disturbi attuali si siano manifestati nell’ultimo periodo. Queste informazioni rappresentano l’incipit del racconto anamnestico, il prologo del ricordo, ovvero l’anamnesi patologica recente. A questo punto occorre raccogliere dati riguardanti la famiglia di origine del paziente, la sua provenienza, com’è costituita, eventuali legami di parentela che potrebbero predisporre a incroci genetici, malattie o cause di decesso dei familiari – l’anamnesi familiare, dunque. Segue la raccolta dell’anamnesi fisiologica, un’intervista sulle notizie attinenti alla vita del paziente, a partire dalla sua nascita, alle sue abitudini, al grado di istruzione raggiunto, al lavoro. Completa il quadro l’anamnesi patologica remota: le altre eventuali malattie di cui ha sofferto o soffre il paziente che esulano dalla ragione della visita attuale.

Secondo le abitudini, al momento della discussione del caso l’esposizione dell’anamnesi può seguire l’indice cronologico, partendo dall’anamnesi familiare, oppure più teatralmente può iniziare dall’anamnesi patologica prossima. Durante la discussione del «caso clinico» ogni passaggio, con ordine, deve essere commentato, e si mettono sul piatto tutte le ipotesi che, a mano a mano che si procede con l’esposizione e la discussione, potranno essere modificate, confutate o confermate. L’abilità del coordinatore sta nell’avanzare il maggior numero di ipotesi plausibili e sostenerle tutte, stimolando la discussione finché, una a una, cadranno nel processo della diagnostica differenziale. Ne lascerà infine una sola o poche, tra le quali si annida la diagnosi corretta.

È questo il percorso del ragionamento clinico e il «caso clinico» è l’unico luogo medico dove la sfida è consentita. Non è concesso saltare alle conclusioni, non rispettare i passaggi, esplicitare delle intui­zioni senza avere la forza e la preparazione scientifica di supportarle con le prove e di difenderle correttamente nel confronto dialettico.

Dopo questa prima parte si passa all’esame clinico obiettivo del paziente, vale a dire la visita fisica, e quindi alla valutazione degli accertamenti effettuati, fino a lasciar cadere definitivamente il velo. E poi verranno le considerazioni sulla terapia e le indicazioni più appropriate per quello specifico paziente. La presenza del paziente all’esposizione del «caso clinico» è ormai una rarità. Un medico del Quattrocento se voleva migliorare le proprie conoscenze doveva eseguire un’autopsia in clandestinità, minacciato dall’oscurantismo, e anche oggi, seppure con rischi molto minori, la discussione medica plenaria sul caso esplicito è possibile solo stando dietro il vetro opaco della privacy.

«Signor Ferreira» disse Alex «potrebbe raccontare al professor Plazzi perché ci siamo conosciuti?»

«È successo perché una notte, per una situazione che va avanti da tanto tempo, mia moglie mi ha svegliato con uno schiaffo.»

Il sorriso dell’uomo, che fino a poco prima illuminava il suo viso, si spense di colpo, probabilmente perché il pensiero aveva già iniziato a ripercorrere le possibili conseguenze del suo comportamento di quella notte, oppure semplicemente per la vergogna – conoscevo ormai bene le imprevedibili trasformazioni che una persona può presentare nel sonno, e soprattutto le difficoltà che poi incontra nel condividerle con gli altri. Ma il sorriso ricomparve immediatamente non appena si girò verso Maria.

«Insomma, quella notte stavo cercando di prendere mia moglie, di fare… di avere un rapporto, intendo un rapporto sessuale, ma le ho fatto male… io dormivo in realtà… meglio se continui tu amore!»

Maria, assai più spigliata di lui, ricostruì rapidamente e nei punti essenziali la storia dello strano comportamento notturno di Antonio. La loro relazione era iniziata anni prima del matrimonio. Una delle prime notti in cui dormivano insieme Antonio l’aveva svegliata. Per l’esattezza Maria si era svegliata mentre Antonio le era già addosso. Com’era successo già qualche ora prima, avevano consumato un amplesso dopo il quale Antonio si era riaddormentato improvvisamente.

L’episodio si era ripetuto altre volte, e una notte Antonio era stato particolarmente rude durante il rapporto, sia nel comportamento sia a parole. La mattina successiva Maria gli aveva raccontato la cosa, sentiva il bisogno di parlarne. Era molto soddisfatta della loro relazione, da tutti i punti di vista, ma si chiedeva il perché degli appellativi volgari che a volte si sentiva rivolgere durante gli amplessi notturni. Antonio abbozzò una risposta, si schernì, cercò di scherzare, fino a che decise che era arrivato il momento di parlare. Di quel che era successo la notte precedente non ricordava nulla, ma sapeva bene di cosa si trattava. Gli era già capitato in una sua precedente relazione. Durante il sonno aveva avuto comportamenti sessuali dei quali non serbava alcun ricordo, e anche l’ex ragazza aveva subito le sue avances sessuali notturne. In quel caso lei lo aveva svegliato ogni volta, all’inizio degli approcci, e lui si era ritrovato nel letto, più o meno nudo, con un’erezione, senza provare però alcun desiderio e senza ricordare nulla del perché si trovasse in quella condizione.

Maria non lo aveva mai fermato, c’erano stati rapporti intensi, Antonio si era talvolta spinto ben oltre il proprio senso del pudore, ma non ricordava mai nulla di quello che aveva fatto.

Quando Antonio confessò, Maria stentò a crederci. «Stai scherzando? Vuoi dirmi che quando facciamo l’amore tu in realtà stai dormendo?»

Poi Maria decise di affrontare la cosa a modo suo: dopo pochi giorni, alla cena settimanale con i loro amici più intimi, raccontò a tutti le gesta notturne di Antonio. Antonio provò a buttarla sullo scherzo, sorrideva, poi però accettò il confronto, capiva che Maria stava cercando di togliere qualsiasi ombra dalla loro relazione. Era disposta a dormire con Antonio, voleva stare a letto con lui, e se questa cosa esisteva non bisognava vergognarsene. Antonio a fine serata incassò i complimenti scherzosi degli amici, Maria la complicità delle amiche. Da allora l’aggiornamento delle gesta dei due diventò un siparietto fisso della cena settimanale fra amici.

«Che cos’ha fatto stavolta?»

«Ah, non potete immaginare! Che cosa non ha fatto!»

«Magari anche mio marito avesse questi problemi!»

Maria e Antonio continuarono a vivere assieme, si sposarono e misero al mondo due figli. I suoi comportamenti notturni non sembravano destinati a cambiare col tempo, e anche quando si addormentavano immediatamente, stanchissimi, gli succedeva di avere lunghi e passionali rapporti d’amore. Maria annotava tutto, Antonio invece non ricordava nulla. Era diventato una sorta di gioco per loro, e sostenevano scherzando che uno dei figli fosse stato certamente concepito durante un rapporto notturno.

«Maria, potrebbe raccontarci meglio il comportamento di Antonio durante gli amplessi notturni?»

Maria non sembrava avere problemi a scendere nei particolari dei loro rapporti, da anni i racconti catartici durante la cena con gli amici erano estremamente dettagliati.

«Allora, quando abbiamo questi rapporti Antonio dorme, ha quasi sempre gli occhi chiusi, a volta addirittura russa. Ma il suo corpo è bello sveglio, credetemi. Ha un’erezione sostenuta, è particolarmente vigoroso, mi stringe, mi accarezza, e credo proprio che mi riconosca, perché mi chiama per nome. Non sempre durante questi rapporti riusciamo a fare “tutto”, diciamo. Ogni tanto Antonio crolla come se non fosse successo niente, anche mentre stiamo…»

«E lei cosa fa quando suo marito inizia le avances?»

«Dipende. Spesso lo lascio fare, non mi dispiace per niente… però quando non ho voglia e lo allontano lui non insiste. Si rassegna e si riaddormenta. A volte poi quando la cosa si fa particolarmente focosa Antonio diventa volgare. Mi dice parolacce, cose sboccate, mi chiama in modi che mai utilizzerebbe da sveglio!»

Maria raccontò anche che al termine di ogni rapporto, subito dopo l’orgasmo o in qualsiasi momento, Antonio riprendeva a dormire tranquillamente, come se non fosse successo nulla. Non si era mai svegliato durante il rapporto, questa era una regola. Non c’erano mai stati comportamenti particolarmente violenti. Maria evitava, se poteva, di svegliare Antonio. Non le piaceva vederlo in imbarazzo.

Alex passò allora ad Antonio, che confermò il racconto di Maria. In particolare ammise di non ricordare quasi mai nulla dei loro sfrenati incontri sotto le lenzuola, con le eccezioni di alcune circostanze in cui Maria lo aveva svegliato, sempre dolcemente, sussurrandogli «Dormi Antonio, dobbiamo alzarci presto… ho sonno». In quei casi Antonio si risvegliava spesso con un’erezione, non associata però a nessun ricordo, né ad alcuna sensazione di desiderio.

«Signor Ferreira ha qualche forma di perversione? Guarda spesso materiale pornografico? Avverte impulsi sessuali che potrebbe considerare inappropriati o che preferisce mettere a tacere? Assume stimolanti di qualche tipo, sostanze?» insisté Alex.

«No, non guardo mai film porno, e non credo di avere impulsi strani in genere. E non ho mai assunto droghe o stimolanti sessuali. Amo molto mia moglie, e nutro un grande desiderio sessuale nei suoi confronti. Questo sì.»

Antonio aveva un bellissimo rapporto con la moglie; Maria gli piaceva, la desiderava, in tutti i sensi. Tuttavia, il ritmo dei rapporti sessuali notturni che la donna annotava era decisamente superiore alla frequenza di quelli consapevoli che scaturivano dal desiderio sessuale di entrambi. Il primo medico che Antonio aveva consultato era un sessuologo: nonostante fosse un po’ incredulo per i suoi racconti, lo aveva giudicato assolutamente normale. Un episodio però era stato così violento, seppur quasi solo verbalmente, da convincere Antonio a rivolgersi al centro di Alex e Joan. Si parlava molto di quel centro a Barcellona, uno dei centri del sonno più importanti al mondo, e Antonio sapeva che trattenevano i pazienti una notte per osservarne il comportamento e che con semplici trattamenti farmacologici avevano curato casi molto complessi.

Quella sera rivedemmo assieme i risultati dello studio del sonno effettuato all’Hospital Clinic la notte in cui Antonio fu esaminato, cioè la video-polisonnografia. L’ipnogramma, il grafico che schematizza l’andamento del sonno, dimostrava come il suo avesse una struttura normale. Anche lo studio eseguito nella stanza del sonno confermava la durata tipica del suo sonno: 6 ore e 20 minuti, era il tempo che abitualmente dedicava al sonno anche a casa. La latenza del sonno era molto breve, in circa tre minuti dallo spegnimento della luce Antonio si addormentava. Probabilmente era molto stanco. Nonostante dopo il risveglio mattutino si sentisse ben riposato, Antonio aveva davanti a sé lunghe giornate di lavoro, sport e relazioni sociali. Una volta a letto, il debito di sonno accelerava il processo di addormentamento. Innescato, il sonno si dipanava in modo fisiologico. Circa 20 minuti di sonno leggero, poi il sonno profondo, infine, dopo i cruciali 90 minuti dall’addormentamento, la prima fase di sonno rem. Quattro cicli di sonno si susseguivano senza risvegli importanti. Un russamento accompagnava gli atti respiratori di Antonio, che non aveva apnee. I sensori dell’attività muscolare, i sensori di posizione e gli accelerometri indicavano che Antonio, prima di ogni fase di sonno rem, compiva un movimento – uno dei fisiologici cambiamenti di posizione che impediscono al peso del nostro corpo di comprimere e schiacciare muscoli, vasi e nervi e ai nostri polmoni di espandersi in modo uniforme. Oltre a questi movimenti, i sensori indicavano altre due attivazioni, in corrispondenza del sonno profondo: una nella prima parte del sonno, una a metà della notte. Davanti alla stazione di revisione dei dati andammo subito a recuperare i segmenti di video e di polisonnografia corrispondenti.

Il laboratorio di Barcellona è ben attrezzato per l’analisi dei movimenti patologici durante il sonno, uno dei loro più importanti temi di ricerca. Due monitor affiancati consentivano di osservare le immagini sincronizzate del paziente e della polisonnografia. In un monitor il video ottenuto da una telecamera infrarossi posizionata sul letto della stanza del sonno, nell’altro lo scorrere dei parametri polisonnografici. La temperatura regolabile a piacere permetteva al paziente di dormire senza lenzuola. Il video poteva così registrare la sua immagine per intero.

All’1.20 circa Antonio era sul fianco, sollevò la testa, aveva gli occhi socchiusi. Sollevò anche il tronco puntellandosi sul braccio sinistro. Con la mano destra prese a palpare la superficie del letto di fronte a sé. Poi spostò la mano sulla regione pubica, si sfiorò solamente. Si coricò di nuovo, si girò a pancia in su, iniziò a russare. Il pigiama consentiva di vedere distintamente un rigonfiamento in corrispondenza della regione pubica, e si trattava senza alcun dubbio di un’erezione. Sul monitor a destra scorreva la poligrafia, riavvolgemmo le immagini e osservammo, tutti assieme, quello che per gli altri presenti non era una novità. L’avevano certamente già commentata tante volte, e gli stessi Antonio e Maria sapevano orientarsi senza problemi sul tracciato polisonnografico. È infatti sempre importante informare e spiegare ai pazienti cosa gli sta succedendo. La comprensione del fenomeno patologico implica una migliore accettazione della diagnosi e un’adeguata aderenza alla terapia.

L’episodio avvenne nel sonno profondo. Il tracciato elettroencefalografico era caratterizzato da oscillazioni ampie e lente, a circa tre cicli al secondo. Il movimento non causava un risveglio. La traccia raccolta da due sensori, due piccoli anelli elastici posizionati uno sotto al glande e uno alla base del pene documentavano un’erezione. Quando si coricò nuovamente, Antonio continuò a dormire. Dopo circa due minuti l’erezione scomparve. Il secondo movimento fu identico al primo, anche se speculare poiché Antonio giaceva sul fianco destro. Durante questo movimento non comparve alcuna erezione.

La versatilità della poligrafia permette, con sensori frutto dell’ingegno tecnico, di monitorizzare simultaneamente tantissime variabili che provengono dal nostro corpo. Antonio aveva ottenuto una risposta importante per lui e Maria: i comportamenti sessuali notturni comparivano nel sonno, in uno stato di non consapevolezza, durante episodi di parasonnia, e non erano causati da strane malattie né rappresentavano preoccupanti devianze sessuali. Il tracciato confermava ciò di cui sia lui che Maria erano ben consci: durante gli episodi di sesso Antonio dormiva. Avrebbe così potuto utilizzare una terapia farmacologica per regolarizzare il proprio sonno, e non ci sarebbero state conseguenze sulla passione e sull’attività sessuale cosciente della coppia.

Il disturbo di cui soffre Antonio viene definito scientificamente «sexsomnia». La sexsomnia è una particolare parasonnia, un’attività sessuale agita mentre si dorme, un comportamento sessuale messo in atto durante uno stato di sonno, analogamente al sonnambulismo. Come succede per tanti disturbi che compaiono durante il sonno, soprattutto quando i comportamenti creano imbarazzo o sottopongono il paziente a un giudizio morale da parte del medico, è molto probabile che anche la sexsomnia venga spesso taciuta. Il caso di Antonio, fortunatamente, non presentava gli aspetti medico-legali e giudiziari che possono essere causati da questo disturbo.

La varietà dei comportamenti sessuali della sexsomnia può andare da sospiri, lamenti, masturbazioni anche violente a comportamenti sessuali completi. Nonostante siano noti più casi maschili, anche le donne possono presentare questo disturbo. La fisiopatologia e l’alterazione dei meccanismi fisiologici che causano la sexsomnia non sono noti. Viene ritenuto che, come nel caso del sonnambulismo, un’area cerebrale non segua l’orchestrazione del sonno e, esattamente come in veglia, metta in atto i comportamenti. In questo caso però i comportamenti non sono sotto il controllo volontario, poiché l’insieme del cervello, in quel momento, sta dormendo. Una condizione fisiologica che potrebbe facilitare i comportamenti sessuali notturni deriva dal fatto che anche durante il sonno l’apparato sessuale maschile e femminile presenta attivazioni periodiche. In particolare nell’uomo sono presenti erezioni periodiche durante il sonno, che genericamente corrispondono alla fase di sonno rem. I sensori utilizzati nel caso di Antonio consentono di documentare con facilità una tumescenza del pene e sono utilizzati, per esempio, nella routine andrologica per studiare la funzionalità sessuale. Anche se nella donna non è semplice monitorare queste oscillazioni con sensori superficiali, è noto che l’apparato sessuale femminile, analogamente a quello maschile, presenta attivazioni cicliche durante il sonno.

Anche la sexsomnia, purtroppo, è stata oggetto di numerosi casi giudiziari, alcuni dei quali riportati nella letteratura scientifica e in quella medico-legale. I casi più eclatanti e drammatici sono quelli in cui l’imputato/paziente è un genitore accusato di aver compiuto atti sessuali o violenza sessuale nei confronti di un proprio figlio. Mi sono trovato anche io di fronte a casi drammatici che hanno segnato profondamente vite di vittime e carnefici.

Un caso in particolare mi ha coinvolto: nel 2005 mi convinsi a collaborare con la difesa di un uomo, già condannato in primo grado per aver commesso abusi sessuali sulla figlia minore. L’uomo venne denunciato dalla ex moglie dopo che la loro figlia, una bambina di nove anni, le riferì quello che era successo una sera che era rimasta a dormire dal papà. L’uomo, da poco separato dalla moglie, alloggiava in un piccolo appartamento. Quella sera aveva ospiti e mise a letto la piccola, come sempre nel letto matrimoniale. Dopo essersi intrattenuto con gli amici la raggiunse nel lettone. La piccola si svegliò con la mano del padre che le toccava i genitali. Non appena la bambina si lamentò il padre ritrasse la mano e dormendo si girò dall’altra parte. L’uomo, dopo essere stato arrestato, affermò di non ricordare nulla ma non volle contestare la versione della figlia. Precisò che sua figlia era stata educata a non mentire e che, se affermava una cosa simile, questa doveva essere accaduta. Durante l’incidente probatorio la bambina, infatti, confermò di essere stata toccata dal padre, ma affermò anche di essere certa che il papà aveva agito mentre dormiva. La sentenza che condannava un padre di un reato abominevole affermava, grottescamente, che «l’essere umano possiede meccanismi naturali di difesa, che consentono, anche durante il sonno, un sufficiente livello di consapevolezza, tale da evitare involontari comportamenti delittuosi». Spesso l’ignoranza dei meccanismi regolatori del sonno e della medicina del sonno, e la presunzione del primato dell’etica anche davanti alle regole della natura hanno portato a conseguenze disastrose, cambiando per sempre la vita e il destino delle persone coinvolte. E l’ignoranza della giurisprudenza, la protervia di una giustizia morale quella volta condannarono un uomo per un delitto orribile. Fu anche questo che mi convinse a rimpiazzare nella difesa un mio caro amico, Franco Ferrillo, che durante l’istruttoria dell’appello era purtroppo venuto a mancare. Franco era un uomo probo, mai avrebbe accettato di difendere un uomo indegno. Aveva anche raccolto sufficiente documentazione clinica ed eseguito diverse video-polisonnografie che, registrando numerosi episodi parasonnici, confermavano quello che la figlia del condannato aveva sempre detto. Il suo papà, anche mentre le toccava i genitali, dormiva. L’appello e la sentenza definitiva confermarono la tesi difensiva. L’episodio corrispondeva a una parasonnia e per questo, nel momento in cui aveva commesso il fatto, l’uomo non era in grado di intendere e volere. Dormiva, dunque doveva essere considerato innocente.

Aveva perso la figlia, quella figlia che non aveva mai mentito: la patria potestà gli fu tolta in primo grado. La lentezza del processo l’aveva fatta crescere nella convinzione che suo padre fosse un depravato e l’aveva allontanata per sempre. A suo padre restava soltanto una vita stravolta e il riscatto della sua dignità.

La storia di Antonio e Maria rientra per fortuna in quei casi in cui la sexsomnia, per quanto problematica, non si è trascinata dietro conseguenze gravi. Il loro amore non ne fu infatti minacciato, anzi il disturbo rappresentò un ulteriore punto di forza nel loro legame. L’imbarazzo di Antonio si affievolì a poco a poco nel tempo: era ormai consapevole del suo problema ma anche certo di ricevere la comprensione di sua moglie. Maria poi viveva questa situazione con grande tranquillità e sincerità, e non di rado cedeva ai corteggiamenti espliciti del marito addormentato.

«So che mi ama, che mi vuole. Allora che problema c’è? Anzi, approfitto di questo suo bizzarro lato animalesco per fare cose che probabilmente da svegli non avremmo il coraggio di fare!»