I sussulti che ci fanno balzare dal letto
Una volta che ti pompano 200 volt nel corpo, hai la tendenza a passare il resto della vita in un posacenere.
Woody Allen, La maledizione dello scorpione di giada
Quasi tutti, più o meno frequentemente, abbiamo avvertito un sussulto violento nell’esatto momento in cui stavamo per prendere sonno, soprattutto se in quell’occasione eravamo molto stanchi. Una scossa repentina, un gesto elettrico che ci ha fatto sobbalzare all’improvviso, dandoci l’impressione di cadere nel vuoto, di ruzzolare per terra da una sedia o da uno scalino.
Il giorno in cui il Signor A., a settantadue anni, richiese una visita presso il Centro del sonno, era ormai esasperato da un fastidioso e insolito disturbo che gli impediva di addormentarsi. Il motivo della visita, filtrato dall’infermiera che da anni si occupava del triage all’ambulatorio del centro, suggeriva già una possibile diagnosi.
«Di cosa si tratta?»
«Il paziente ha detto che ogni notte, prima di dormire, qualcosa lo fa saltare in aria.»
«In che senso lo fa saltare in aria?»
«Ha detto di sentire una scossa, una scarica elettrica improvvisa che gli fa schizzare i muscoli.»
«Da quanto tempo va avanti?»
«Non l’ha detto con precisione, ma sembrava molto sofferente.»
Su due piedi non c’erano molti dubbi, doveva trattarsi quasi con certezza di un disturbo abbastanza evidente, neppure troppo raro: sussulti ipnici eccessivi dell’addormentamento. Un improvviso sussulto che nel momento dell’addormentamento scuote in maniera più o meno simmetrica le braccia, il tronco e talvolta la testa è infatti la forma più tipica del «sussulto ipnico dell’addormentamento», o hypnic jerk. Durante un’hypnic jerk il nostro corpo viene attraversato da un moto involontario della durata di uno, massimo due secondi. Talvolta la scossa può ripetersi dopo pochi secondi dall’addormentamento e farci risvegliare di colpo, col cuore in gola. Si tratta di un disturbo molto diffuso: circa il 70 per cento della popolazione adulta riferisce di averne sofferto, soprattutto in condizioni di estrema stanchezza, stress, privazione di sonno, dopo l’esercizio fisico, oppure stimolati dall’assunzione di caffeina o dall’uso di nicotina.
Le hypnic jerks sono considerate un fenomeno benigno, non lasciano né si associano a segni neurologici. Occasionalmente possono provocare un’insonnia, una difficoltà all’addormentamento, generata proprio dall’ansia che questo fenomeno si manifesti di nuovo: per paura di essere sbalzati nell’addormentamento, finiamo col non riuscire più a prendere sonno.
Le hypnic jerks furono descritte e riportate nella letteratura scientifica per la prima volta nel 1890 da Silas Weir Mitchell, uno dei primi neurologi americani, purtroppo conosciuto soprattutto per aver ideato la rest cure. Seguendo la sua cura per ogni tipo di disagio mentale – basata sull’isolamento assoluto e sulla somministrazione di grandi quantità di proteine e grassi, farmaci sedativi e stimolazioni elettriche –, molte persone impazzirono o ne furono segnate per sempre. Mitchell era un medico molto noto, si era fatto le ossa durante la guerra civile, era uno scrittore di novelle di successo e la sua poliedricità, l’abilità di scrittore e oratore, fece di lui un personaggio autorevole e potente non solo in campo scientifico. Detrattori e illustri sostenitori, tra questi ultimi Friedrich Nietzsche, non fecero altro che diffondere la sua fama, e con questa anche l’utilizzo di una metodica sadica non basata su alcuna evidenza scientifica. Ma Mitchell era anche un clinico raffinato, aveva osservato direttamente e ascoltato a lungo con attenzione i fenomeni del sonno nei suoi pazienti, e rese una perfetta descrizione letteraria delle hypnic jerks.
Il sussulto muscolare si accompagna a volte a fenomeni sensoriali come la sensazione di cadere, più raramente a uno shock elettrico interno, a un’immotivata sensazione di allarme o paura, tachicardia, accelerazione della frequenza respiratoria, una sensazione di venir meno e, soprattutto, risveglia sempre il soggetto che ne soffre. È possibile, ma molto raro, che le hypnic jerks causino lievi lesioni ai piedi o strappi muscolari dovuti al movimento violento e repentino.
Studi condotti a Marsiglia sessant’anni fa da Henri Gastaut dimostrarono che l’hypnic jerk è pressoché identica alla reazione fisiologica che si ha davanti a uno stimolo improvviso esterno, soprattutto sonoro, come per esempio una porta che sbatte o un colpo di pistola. Tale risposta è definita startle (riflesso di trasalimento): un sussulto automatico, un riflesso attivante che risveglia immediatamente il soggetto per prepararlo alla fuga o all’attacco. È così che molte specie animali sono riuscite a sopravvivere nel corso dell’evoluzione. Compresa la nostra.
Nel sussulto ipnico i muscoli si contraggono a cascata, attraversati da un’onda di attivazione che ci percorre dalla testa ai piedi, facendoci trasalire, e in soggetti predisposti, solitamente con disturbo di ansia o con tic accentuati, le hypnic jerks possono essere particolarmente abbondanti e pregiudicare l’addormentamento innescando, come detto, un circolo vizioso con l’ansia.
Visitando il Signor A., ci convincemmo però di essere di fronte a qualcosa di diverso da un semplice caso di eccessive hypnic jerks, anche se non si poteva escludere una forma di sussulti ipnici dell’addormentamento particolarmente drammatica. La mia prima intuizione era stata dunque ben presto smentita.
Il Signor A. aveva una storia personale alle spalle abbastanza eccentrica. Uomo decisamente stravagante, fin dai tempi del liceo era stato un grande lettore. Si era dapprima appassionato ai libri su viaggi e avventure, in cui la sua mente poteva vagabondare tra mete esotiche e terre selvagge, fuggire dai pirati salgariani di Mompracem e tuffarsi dalle scogliere di Moher; poi aveva iniziato a girare il mondo e per decenni aveva vissuto fra Africa e Sudamerica. Dotato di una personalità particolarmente istrionica, si era reinventato educatore e costruttore, fino a che, poco più che cinquantenne, la necessità di un intervento chirurgico per un melanoma lo aveva costretto a rientrare in Italia. Da quel momento i suoi viaggi si interruppero, e l’anima del Signor A. si consumò nella nostalgia dei mondi che non aveva ancora conosciuto.
Dopo l’intervento, il Signor A. andò a vivere in un grande appartamento attrezzato a bed & breakfast a Torino. Questo gli consentiva di mantenersi economicamente e di restare in contatto con il mondo dei viaggi attraverso i racconti dei suoi ospiti stranieri; di ogni persona che arrivava voleva sapere ogni cosa, da dove veniva, cosa si mangiava nel suo paese, quali erano le tradizioni più particolari, e non si stancava mai di ascoltare le storie degli ospiti. Le terapie, i controlli e il basso grado della lesione tumorale gli garantivano una certa tranquillità (anche se alcune diagnosi non ti fanno mai sentire guarito del tutto), e la sua vita, pur privata dell’amato esotismo, trascorreva tutto sommato felicemente.
Erano passati cinque anni dall’intervento quando iniziò a manifestarsi un fastidioso disturbo caratterizzato da scatti continui che comparivano ogni qual volta si coricava. Nei primi tempi il disturbo era stato gestibile con l’assunzione di benzodiazepine serali, i normali ipnotici e miorilassanti; poi però si era fatto sempre più intenso. Le scosse iniziavano non appena, stanco e sonnolento, si metteva a letto per dormire, e si ripetevano fino a centinaia di volte facendolo sussultare sul materasso anche al punto di sbalzarlo dal letto.
«Ogni sera» mi raccontò «non appena ripongo il libro che sto leggendo, stremato dal sonno, chiudo gli occhi e immediatamente avverto un’onda di contrazioni muscolari, della durata di pochi secondi, che mi inarcano il corpo e, appena cessano, mi fanno ripiombare sul letto. Ogni volta che chiudo gli occhi e sento il gradevole torpore del sonno, di nuovo un’altra scossa mi scaglia in aria.»
Se aveva la forza di riprendere il libro in mano e di rituffarsi nella lettura – continuò il Signor A. – tutto cessava, almeno finché riusciva a concentrarsi sulle pagine che aveva davanti. Non appena la sonnolenza prendeva il sopravvento le scosse ricominciavano, e così per ore e ore, a volte fino al mattino.
Il Signor A. dormiva solo, non potevamo quindi sapere se tali movimenti persistessero anche durante il sonno, a sua insaputa. Tuttavia, gli ospiti che occasionalmente l’avevano visto dormire durante il giorno sul divano di casa avevano escluso qualsiasi movimento, e nessuno di loro aveva mai notato nulla di strano. Il Signor A., infine, ci assicurò di non essere mai stato risvegliato da un sussulto, e questo elemento deponeva a sfavore di una forma estrema di hypnic jerks. Non aveva neppure i sintomi di irrequietezza che tipicamente accompagnano la sindrome delle gambe senza riposo, ma nulla si poteva escludere, e visto che non avevo una plausibile ipotesi diagnostica, anche il caso di una forma atipica di una sindrome delle gambe senza riposo particolarmente accentuata era una supposizione da verificare.
Il Signor A., spinto dalla sua connaturata curiosità intellettuale, prima di rivolgersi a noi si era informato circa i vari disturbi del sonno, ed era certo che il problema non fosse affatto localizzato alle gambe. Secondo le sue ricerche, non esisteva una sindrome delle gambe senza riposo con queste caratteristiche, con scatti talmente violenti da precipitarlo giù dal letto. Fortunatamente, tutti gli accertamenti svolti escludevano anche una ricaduta del melanoma. Il suo sistema nervoso centrale non mostrava alcun tipo di danno o lesione. La risonanza magnetica del cervello e del midollo spinale lo escludevano. L’esame neurologico era nella norma. Tutto sembrava assolutamente normale, eppure, viste le sue condizioni, non lo era per nulla.
La gravità del disturbo era inoltre testimoniata dalla difficoltà di trovare una terapia. Anche se assumeva dosi incredibilmente alte di ipnotici, ansiolitici, miorilassanti fino a subirne gli effetti collaterali durante il giorno, il disturbo non recedeva. Gli oppioidi sintetici normalmente utilizzati per la terapia del dolore avevano dato qualche risultato, ma il suo medico aveva sempre mantenuto un atteggiamento prudente. Senza una diagnosi definitiva non voleva alimentare un’ineluttabile dipendenza, né ridurlo a un tossico, ed era così sempre più restio a prescrivere le alte dosi di oppiacei che il Signor A. gli richiedeva.
Il Signor A., durante i suoi viaggi, era venuto in contatto con l’oppio pur senza amarne gli effetti. Spesso si era infatti ritrovato in luoghi dove questa sostanza veniva utilizzata abitualmente, nebbiose fumerie d’oppio come quella che compare in C’era una volta in America di Sergio Leone, dove masnade di fumatori sbuffavano nuvole grigiastre nell’aria, e il Signor A. ne era rimasto sedotto, perché gli ricordavano i racconti di Coleridge e Balzac. Ma a Torino, ormai settantenne, non avrebbe saputo come procurarselo. Quando finalmente pensò di aver identificato in uno dei suoi ospiti un possibile canale, lo mise al corrente del suo disturbo. L’oppio sembrava funzionare meglio di tutti i farmaci che aveva provato, ma quest’uso prolungato e l’illegalità del possesso di oppio – che il Signor A. aveva anche tentato di coltivare in casa! –, lo preoccupava molto.
Aveva molta paura, ma gli sembrava di non vedere altre soluzioni.
«O mi faccio di oppio dottore o devo accettare di essere scaraventato dal letto. Per questo ogni sera sono costretto ad assumerlo.»
Il suo racconto era molto dettagliato, non aveva reticenze, ma non riuscivo tuttavia a classificare il suo disturbo. Poteva essere una forma esasperata di hypnic jerks, tanto grave da non essere mai stata osservata in precedenza, oppure una sindrome delle gambe senza riposo particolarmente accentuata, forse anche a causa dell’abuso di oppio. L’esperienza clinica e le tecniche che avevamo a disposizione imponevano però di sospendere il giudizio fino all’esecuzione di una video-polisonnografia. Sarebbe stato necessario un po’ di tempo per raggiungere una conclusione certa, e per essere sicuri di interpretare correttamente quanto avremmo visto nel laboratorio del sonno pianificai una graduale sospensione degli oppiacei. Se non fosse stato possibile sospendere l’oppio, raccomandai comunque al Signor A. di sostituirlo con un oppioide di sintesi. Avrebbe potuto ridurre la dose gradualmente, e io avrei potuto fargli senza difficoltà la prescrizione.
Dedicammo la preparazione della polisonnografia a un’estesa esplorazione dei muscoli, seguendo la descrizione degli attacchi del Signor A. Posizionammo così gli elettrodi in corrispondenza di oltre venti muscoli per lato, da quelli orbicolari e masticatori procedendo verso il basso per registrare simultaneamente l’attività elettrica dei muscoli del collo, poi i muscoli del tronco, dei glutei, delle cosce e infine delle gambe, immaginando di dover documentare una cascata di attivazione.
L’esame iniziò a mezzanotte circa. Il Signor A. era abbastanza stanco.
«Non è che per caso avete un libro da prestarmi?» chiese sorridendo.
La polisonnografia ci mostrò subito un fenomeno per noi sconosciuto: alla chiusura degli occhi l’elettroencefalogramma rilevava la tipica comparsa del ritmo alpha, un’attività elettrica regolare a 10 cicli al secondo, ben evidente sulle regioni dello scalpo corrispondenti ai lobi occipitali. Dopo alcuni minuti a occhi chiusi, l’attività alpha iniziò a diffondersi anteriormente, indicando una condizione di rilassamento completo, una buona predisposizione al sonno. Prima che sull’elettroencefalogramma potessero essere visibili le modificazioni che indicano la transizione in sonno – l’addormentamento –, il Signor A. venne però scagliato in aria da una scossa violentissima: l’immagine in bianco e nero del laboratorio del sonno, ottenuta con la telecamera a infrarossi, mostrava chiaramente il suo corpo che si inarcava, sempre più in alto, sempre più su, per poi distendersi bruscamente. Interrompemmo subito il fenomeno chiedendo al paziente di leggere e di concentrarsi su altri esercizi mentali che gli avevamo indicato, come contare a voce alta, contare mentalmente, contare a ritroso, a occhi chiusi e aperti.
«1, 2, 3, 4… 3, 2, 1… 1, 2, 3, 4, 5… 6, 7, 8… 7, 6, 5, 4…»
Ma non appena lo invitavamo a prepararsi di nuovo al sonno chiudendo gli occhi e sospendendo ogni attività mentale, ecco che i sobbalzi riprendevano.
Questo accadde quella notte oltre cento volte, indipendentemente dalla posizione, in modo quasi ritmico, causando al paziente ore di incredibile sofferenza. Dopo le tre della notte, il sonno prese infine il sopravvento. L’inizio del sonno, come il Signor A. aveva anticipato durante la precedente visita, sancì l’interruzione del disturbo, e non comparve neppure il più piccolo movimento. E così accadde anche al mattino, quando il Signor A. fu invitato a restare coricato per oltre dieci minuti; nessun sobbalzo.
Era dunque arrivato il momento di studiare il pattern di attivazione muscolare, definire quale fosse il muscolo primariamente coinvolto nella scarica di attivazione e quale fosse il pattern di diffusione. Quello che notammo ci portò a spostare la nostra attenzione sul midollo spinale: il pattern di attivazione documentato dal poligrafo sanciva inequivocabilmente che il primo muscolo ad attivarsi era localizzato a livello del torace. La contrazione iniziava con una rapida attivazione dei muscoli paraspinali toracici, vale a dire le colonne muscolari che fiancheggiano e sorreggono la colonna vertebrale e che permettono al nostro corpo la posizione eretta e i movimenti di flessione, estensione e lateralità. La rapidità della contrazione e le caratteristiche elettromiografiche ci consentivano di classificare il fenomeno come «mioclono». La «mioclonia» indica una contrattura muscolare estremamente rapida, e la contrazione del muscolo paraspinale che avevamo documentato era infatti inferiore al mezzo secondo. A partire dai muscoli paraspinali, sia il destro che il sinistro, l’onda di attivazione si propagava, sempre sotto forma di contrazioni rapidissime, sia verso l’alto (verso la testa), rostralmente, sia verso il basso (verso le gambe), distalmente. In preda a quest’onda il corpo del Signor A. si trasformava in una fionda, scagliando se stesso a oltre trenta centimetri dal piano del letto! Un uomo volante che però, come Icaro, poco dopo ricadeva rovinosamente a terra.
Il fenomeno che stavamo osservando era già stato documentato da un gruppo di neurologi esperti in disturbi del movimento del Queen Square di Londra, capitanati da Peter Brown; ma nel loro studio questo fenomeno non era stato messo in relazione al sonno. Nelle loro ricerche, le caratteristiche neurofisiologiche della velocità di propagazione dell’onda di contrazione muscolare avevano suggerito il coinvolgimento di un circuito di neuroni localizzati all’interno del midollo, la cui attività era modulata dalla corteccia cerebrale. Queste vie intrinseche al midollo erano state denominate vie «propriospinali», per rimarcare la loro localizzazione all’interno del midollo e la loro indipendenza nel funzionamento dalle vie motorie discendenti. Conseguentemente, il fenomeno mioclonico risultante dall’attivazione patologica di questo circuito fu denominato da Brown «mioclono propriospinale», poi descritto dal gruppo di Londra in soggetti studiati a riposo, in una posizione semiseduta, nelle ore del mattino o del pomeriggio, e che non lamentavano insonnia.
Nel caso del Signor A., invece, il mioclono propriospinale non compariva a riposo, ma durante la veglia rilassata che precede l’addormentamento, e gli causava una severa insonnia. Raccogliemmo altri casi irrisolti dall’archivio con caratteristiche simili a quelle del Signor A., e richiamandoli riuscimmo a documentare che, in tutti quanti, il generatore del disturbo era sempre contenuto del midollo, anche se a livelli diversi, poiché il primo muscolo attivato poteva essere a livello del collo, del torace o dell’addome. Il fenomeno era identico negli altri casi: centinaia di movimenti che impedivano l’addormentamento, ritardandolo di ore, costringendo a volte i pazienti – scambiati per pazzi e come tali trattati –, a bere smodate quantità di alcol, assumere morfina o oppioidi per alleviare empiricamente i sintomi. Così facendo si erano trasformati da insonni in malati mentali, sprofondando presto in uno stato di assoluta follia.
A oggi la causa del mioclono propriospinale – classificato fra i disturbi del movimento che compaiono durante il sonno – è ancora dibattuta, e non è stata chiarita del tutto. L’ipotesi più plausibile è stata avanzata da Mark Edwards della St George’s University di Londra; secondo il professore inglese si tratterebbe di un fenomeno «funzionale» o «psicogenico»: una manifestazione motoria sostenuta da un’esperienza particolarmente traumatica occorsa nella vita di una persona. Rileggendo in quest’ottica la vita del Signor A., apparve chiaro come il tumore, seppure clinicamente guarito, avesse cambiato drasticamente le abitudini di vita e avesse molto probabilmente segnato anche la psiche di quest’uomo. A supporto della sua ipotesi, Edwards ha dimostrato che questi movimenti, percepiti dal paziente come involontari, hanno tuttavia un substrato neurofisiologico. Vengono cioè «decisi» dal nostro cervello prima di essere messi in atto. Grazie a complessi studi neurofisiologici e studi funzionali del cervello è stato possibile documentare che, come nei soggetti sani, anche nei pazienti con disturbi funzionali del movimento un’onda denominata «potenziale pre-movimento» – rilevabile con un sofisticato studio elettroencefalografico, finalizzato a esplorare l’attivazione di alcune aree della corteccia cerebrale, in particolare la corteccia pre-frontale – anticipi di circa un secondo sia il movimento volontario sia il patologico movimento funzionale percepito dal paziente come involontario.
La condizione di sonnolenza che precede il sonno potrebbe quindi essere una finestra temporale privilegiata per la comparsa di movimenti funzionali (o psicogeni), grazie anche alla condizione di particolare attivazione in cui in quel momento si trova la corteccia pre-frontale. In questo caso, il disturbo del movimento, anche influenzato dalla posizione distesa, si esprime con le caratteristiche del mioclono propriospinale.
Durante il pre-dormitum – l’esclusiva condizione di rilassamento che precede il sonno –, la corteccia pre-frontale ha un’ultima possibilità per ottenere il predominio. Di lì a poco il sonno avrà la meglio su coscienza e volontà, e tutto verrà inghiottito nel suo profondo abisso di nulla, sogni e incubi.
Grazie a questa scoperta, anche il Signor A. poté finalmente intraprendere una terapia psicologica e comportamentale adeguata al suo disturbo, anziché continuare ad assumere oppio per tutti i giorni come un pazzo rinchiuso nel manicomio della vita.
«Ne userò solo pochissime dosi adesso professore, raramente e solo per occasioni speciali. Alcune volte mi aiuta a lasciare la mia stanza, capisce, a volare verso paesi lontani.»
«Ci vada piano, però.»
«Certamente. La lettura, mi creda, è lo strumento più potente che sia mai stato inventato per viaggiare lontano da casa, e funziona molto meglio degli oppiacei. A proposito, devo andare. Sono giorni che corro dietro all’animale più grande che abbia mai visto in vita mia. È una balena bianca, lo sa professore? Una creatura così enorme che potrebbe inghiottire in un sol boccone il mare intero.»
«E dove l’avrebbe vista questa balena?»
«Al largo dell’Oceano Pacifico. È lì che vado da qualche settimana di notte. Lascio una scia bianca e torbida; pallide acque, gote ancor più pallide, dovunque io navighi. I flutti gelosi si gonfiano ai lati per sommergere la mia traccia…»