Immersioni in apnea nell’oceano dei sogni
Tutti erano eccitati, meno il ragazzo grasso, il quale se la dormiva saporitamente come se il tuonar del cannone fosse stata la sua ninnanna.
Charles Dickens, Il Circolo Pickwick
Ci sono uomini e donne che aprono prima degli altri le porte dell’ignoto, e dopo un garbato inchino ci invitano a entrare. Uno di questi, della cui straordinaria vita ora vi racconterò, è il Signor M.
Quando il Signor M. si presentava alla visita di controllo annuale, tutti noi in ambulatorio eravamo pronti a ricevere un protagonista vivente della storia della medicina. Le narrazioni del suo caso riecheggiavano in tutto l’ospedale, tra i medici, i tecnici e gli infermieri, e ogni volta che qualcuno ne riportava un dettaglio, una sfumatura, un particolare, questo veniva iperbolizzato fino a comporre il mosaico di un evento leggendario. Il Signor M. ne era consapevole. Ormai settantenne, arrivava sempre in orario all’appuntamento e impeccabile nell’abbigliamento. I vestiti di vecchia sartoria erano visibilmente riadattati, la camicia cadeva su un ventre molle, indice di un dimagrimento cospicuo, raccontato ancor meglio dall’abbondante cintura dei pantaloni, lunghissima e piena di buchi traforati a mano nel tempo e segnati dalla fibbia.
Era impossibile non accorgersi delle sue apparizioni. Saltava subito all’occhio per il foulard da collo a colori vivaci che copriva solo in parte una placca d’oro fissata da una sottile catenina: lo sfoggiava sempre per nascondere il foro della tracheotomia. Eppure, nonostante la tracheotomia, la voce del signor M. era chiara e squillante, priva di quella raucedine che solitamente si presenta in seguito a un intervento di demolizione della laringe – come quasi sempre accade quando viene praticata un’operazione chirurgica di questo tipo in presenza di un cancro. Il Signor M., infatti, non era stato operato per un tumore. Molto più imprevedibile e strana era la ragione di quel foro.
La sua visita si limitava sempre a un normale controllo di routine ai parametri di un uomo che stava invecchiando bene, senza patologie di rilievo. Ma era anche un rituale dovuto, atteso. Si sedeva ogni volta con la massima calma, con movimenti lenti, misurati, eleganti. Si accomodava sulla sedia con un’espressione nel volto che sembrava dire: «Mettetevi comodi! Ora vi racconto un’altra storia…». E la storia sarebbe arrivata lentamente, con reciproca soddisfazione sia degli uditori che del narratore.
Nel 1970, a trentaquattro anni, il Signor M. aveva avuto una diagnosi di «sindrome di Pickwick». Questo termine, come racconta uno dei testimoni della nascita della medicina del sonno negli anni settanta, Peretz Lavie, nel suo Restless Nights (un bellissimo libro sulla storia di questa curiosa malattia), era stato introdotto nella letteratura medico-scientifica alle soglie del Novecento da Sir William Osler, il padre della medicina moderna, nella terza edizione del suo trattato The Principles and Practice of Medicine, per definire scientificamente persone estremamente obese e sonnolente. Osler prese spunto per il nome da un personaggio dei racconti del Circolo Pickwick, scritto da Charles Dickens intorno al 1835, Big (fat) Joe, un vetturino corpulento e rubicondo il quale, ogni volta che sostava seduto sul suo calesse, si addormentava e russava fragorosamente. Niente riusciva a fargli tenere gli occhi aperti, a parte qualche pasticcetto di vitello sottratto furtivamente al suo padrone, la cui degustazione subito lo faceva ripiombare in un sonno profondo e irraggiungibile, e nulla sembrava sconvolgere la sua figura corpacciuta comodamente stravaccata nella vettura. «Maledetto ragazzo, s’è addormentato di nuovo!» continua a esclamare il signor Wardle a ogni sua ricaduta, irritato ma anche incuriosito da quel giovane e strampalato fenomeno da baraccone.
Come Big Joe, anche il Signor M. nel 1970 era marcatamente obeso, aveva un’ipertensione arteriosa scarsamente responsiva alla terapia che gli causava violenti mal di testa e una sonnolenza invalidante e responsabile di allarmanti colpi di sonno che gli impediva di mettersi alla guida. La sindrome di Pickwick viveva in quegli anni un momento di grande attenzione ed era al centro di un vivace dibattito scientifico. Tra il 1955 e il 1956, due importanti gruppi di pneumologi americani avevano indicato una possibile spiegazione in grado di giustificare le molteplici caratteristiche di questa bizzarra ma sempre più frequente patologia del mondo occidentale. I lavori a sostegno della loro tesi furono poi riportati sull’American Journal of Medicine e sul Journal of Clinical Investigations: stando a quanto avevano scoperto, l’enorme accumulo di grasso sulla gabbia toracica era il responsabile di una riduzione della capacità respiratoria, che provocava a sua volta una ridotta ossigenazione del sangue – causa della sonnolenza patologica –, e di un aumento dell’anidride carbonica, responsabile a sua volta di un patologico aumento del volume del cuore. Nonostante l’autorevolezza degli autori, non tutti concordavano con questa ipotesi fisiopatologica, e nei mesi successivi numerosi studi alternativi impegnarono ricercatori di tutto il mondo. Per la prima volta l’obesità non era soltanto una questione estetica o sociale, ma iniziava a essere considerata una vera patologia medica.
Il Signor M. rappresentava, per le sue caratteristiche cliniche e il suo carattere estremamente disponibile, il soggetto ideale per uno studio sperimentale del fenomeno. Infatti, accettò subito di prendere parte allo studio, e su invito del cardiologo che lo seguiva fu condotto alla Clinica delle malattie nervose e mentali di Bologna, dove lo attendeva un’équipe di giovani medici diretta da Elio Lugaresi.
«Dovremo trattenerla in ospedale per tutta la notte, è un problema?»
«Va benissimo, facciamolo!» disse convinto il Signor M., e la lunga notte di esperimenti cominciò.
Il neurologo Coccagna e l’anestesista Verrucchi lo presero in carico. Due tecnici di elettroencefalografia si offrirono invece di seguirlo al di fuori dell’orario di lavoro. Il laboratorio del sonno era stato allestito in una silenziosa ala laterale dell’antica clinica, in quello che un tempo era un grande bagno per trattamenti psichiatrici; in una stanza medici e tecnici armeggiavano intorno a un enorme poligrafo e osservavano attraverso un vetro specchiato il paziente che dormiva, collegato al poligrafo, in una stanza adiacente. Il poligrafo a cui il Signor M. era collegato registrava simultaneamente l’elettroencefalogramma, il tono muscolare e l’elettrooculogramma (necessario per rilevare il movimento degli occhi durante il sonno rem), parametri essenziali per il riconoscimento della veglia e dei diversi stadi del sonno. Il Signor M. era monitorato non solo per uno studio del sonno, con elettrodi incollati sul cuoio capelluto e sui muscoli, ma anche per la sua attività respiratoria e quella cardiocircolatoria, con l’elettrocardiogramma, con elettrodi termistori nasali e orali, con sensori piezoelettrici artigianali che monitoravano i movimenti respiratori del torace e dell’addome, con elettrodi posizionati sui muscoli respiratori e con un sondino che attraverso il naso scendeva nel terzo medio dell’esofago e descriveva le oscillazioni della pressione endotoracica legate alla respirazione. Un ago cannula inserito nell’arteria radiale consentiva poi di monitorare la pressione arteriosa sistemica a ogni istante e di prelevare, attraverso un deviatore a tre vie, campioni di sangue arterioso che immediatamente venivano esaminati per determinare i valori di ossigeno e anidride carbonica durante la veglia e durante le diverse fasi del sonno.
Attraverso il vetro che divideva le due stanze, la figura del Signor M., totalmente avvolta e traforata da tubi, aghi ed elettrodi, rifletteva l’immagine di un personaggio della letteratura gotica, una corpulenta ma docilissima Creatura del Frankenstein di Mary Shelley, o un torpido e anchilosato umanoide precipitato sulla terra da un mondo lontano.
L’anestesista inserì una microsonda di Grandjean in una vena dell’avambraccio, e poi risalì per via retrograda fino al cuore, attraversò l’atrio e il ventricolo destro fino all’arteria polmonare, e da lì venne monitorata per tutta la durata della registrazione la pressione arteriosa polmonare. La poligrafia registrava simultaneamente una miriade di parametri biologici. Si sarebbe potuto così osservare il sincronismo dei fenomeni registrati, e soprattutto qual era l’alterazione in grado di generare una slavina di eventi patologici. Il Signor M. si sottopose pazientemente alle complesse procedure di preparazione e si addormentò senza difficoltà – un’ulteriore prova della sua sonnolenza patologica.
I risultati dello studio furono subito incoraggianti, e portarono a galla informazioni preziose sul funzionamento del corpo umano: dal sonno del Signor M. i medici raccolsero infatti un’enorme quantità di dati fino ad allora del tutto sconosciuti su respiro, ventilazione, attività cardiaca, pressione polmonare ed arteriosa sistemica, sia in stato di veglia sia durante il sonno, destinati a rimettere in discussione le teorie fino a quel momento sbandierate dai medici di tutto il mondo.
Gli studi poligrafici effettuati suggerivano, in contrasto con gli importanti studi americani del tempo, che la causa della sindrome di Pickwick fossero prolungate apnee ostruttive, in particolare ostruzioni del faringe della durata di oltre 30 secondi. Quasi simultaneamente, a Friburgo e a Marsiglia due gruppi di neurofisiologi clinici avevano monitorato con polisonnigrafi artigianali il sonno di soggetti affetti da sindrome di Pickwick. Entrambi avevano osservato come i loro pazienti respirassero in modo periodico durante il sonno, interrompendo la respirazione per decine di secondi – fino a oltre un minuto! –, ritmicamente. Ma le inferenze che ne ricavavano erano completamente diverse. I tedeschi erano convinti che la tendenza a respirare periodicamente durante il sonno, l’estrema obesità e la sonnolenza diurna fossero causate da una disfunzione cerebrale, e più precisamente dell’ipotalamo. Il gruppo franco-italiano di Marsiglia documentò invece che le apnee erano ostruttive e correttamente suggerì che la sonnolenza fosse dovuta alla frammentazione del sonno, causata appunto dalle apnee, che ogni notte provocavano centinaia di microrisvegli. L’équipe bolognese sospettava che le apnee fossero anche la causa della catastrofica ipertensione della sindrome di Pickwick, e quindi anche di quella del Signor M.
Il sospetto quella notte fu confermato. I valori di anidride carbonica e ossigeno, normali in veglia, peggioravano progressivamente durante il sonno raggiungendo i valori più patologici nel sonno rem. Lo stesso accadeva alla pressione polmonare e a quella sistemica: già relativamente elevate in veglia, peggiorarono con l’approfondimento del sonno fino a raggiungere valori incredibilmente alti durante il sonno rem. Le apnee si associavano a picchi pressori marcati e durante la notte la pressione arteriosa, così come quella polmonare misurata dalla microsonda posizionata nel cuore destro, aumentavano progressivamente anziché calare. Quello che quella notte fu osservato per la prima volta era un quadro cardiocircolatorio catastrofico, e fu lampante come le enormi oscillazioni delle pressioni fossero associate alle apnee. All’arresto del respiro di ogni apnea, frequenza cardiaca, pressione arteriosa sistemica e polmonare si abbassavano, mentre con la ripresa del respiro compariva un enorme aumento di tutte queste attività: la frequenza cardiaca superava i 130 battiti, la pressione arteriosa i 200 millimetri di mercurio, la pressione polmonare i 120. I dati superavano di gran lunga quelli dei valori accettabili, e la condizione del Signor M. appariva molto più complessa e in pericolo di quanto si fosse fino a quel momento immaginato. Non c’era più alcun dubbio: il primo sasso responsabile della disastrosa slavina di eventi patologici della sindrome di Pickwick era l’apnea.
Allo studio polisonnografico seguì un’osservazione cineradiografica. Questo tipo di osservazione, che sfrutta una metodica a raggi X, consentiva di osservare in diretta e filmare le modificazioni anatomiche delle prime vie aeree durante le apnee. Non appena il Signor M. si addormentava, russando fragorosamente, il suo respiro si interrompeva e la lingua scivolava verso il basso, ostruendo le vie respiratorie per tutta la durata dell’apnea. Era chiaro che quella fosse la sede dell’ostruzione responsabile delle apnee. Coccagna e Lugaresi discussero il caso con il dottor Caliceti, un brillante giovane chirurgo: la sua idea era provare a bypassare l’ostruzione delle prime vie aeree; oltre al Signor M. avevano studiato altri cinque pazienti con sindrome di Pickwick, e il quadro polisonnografico dei sei soggetti era perfettamente sovrapponibile. Risolti i problemi etici relativi a un trattamento sperimentale (che come sempre può incontrare molti sospetti e obiezioni), il giovane chirurgo praticò ai sei pazienti una tracheotomia.
Il Signor M. raccontava come dal giorno successivo all’intervento la sonnolenza fosse scomparsa. Dopo pochi giorni anche la pressione arteriosa era diventata normale, non solo in sonno, come era ovvio accadesse, ma anche in veglia. I medici ripeterono lo studio notturno: il foro della tracheotomia praticato alla base del collo dal quale il paziente respirava era ben sotto al livello dell’ostruzione causata dalla lingua, e garantiva così un respiro regolare durante il sonno; le apnee erano assenti, il profilo della pressione normale.
Il Signor M. sapeva di aver anticipato i grandi studi epidemiologici americani che avrebbero confermato, ben trent’anni dopo, la stretta relazione fra apnee in sonno e ipertensione arteriosa. La pubblicazione dei risultati del gruppo di Lugaresi uscì su una rivista assai meno blasonata dei lavori pneumologici americani, il Bulletin Européen de Physiopathologie Respiratoire, ma con un’ottima reputazione scientifica. Stimolò una cascata di nuovi studi e catalizzò interessi eterogenei intorno alla sindrome di Pickwick, divenuto ormai un termine desueto di fronte a una nuova definizione eziologica della malattia. Grandi e affermati scienziati provenienti da diverse specialità – neurologi, neurofisiologi, pneumologi, cardiologi, chirurghi maxillofacciali e otorinolaringoiatri, dentisti, giovani ricercatori, fisiologi esperti nello studio di modelli animali – si dedicarono allo studio della «sindrome delle apnee ostruttive in sonno» in tutto il mondo e spalancarono la porta di una nuova branca della medicina: la medicina del sonno. Colin Sullivan, giovane ricercatore nel laboratorio di fisiopatologia dell’Università di Sidney, dopo aver letto sul Bulletin Européen de Physiopathologie Respiratoire i dati dello studio bolognese ottenne una borsa di studio e partì per Toronto, dove condusse ulteriori esperimenti sui cani nel laboratorio di Eliot Phillipson, il più importante esperto di fisiologia respiratoria animale. Rientrato a Sydney, Sullivan nel 1980 inventerà la cpap, la «macchinetta», come viene spesso chiamata dai pazienti, che ha cambiato la vita a milioni di persone affette da sindrome delle apnee ostruttive in tutto il mondo.
La prima descrizione polisonnografica della sindrome di Pickwick, il caso del Signor M., ha quindi inaugurato un nuovo capitolo della storia della medicina moderna, ed è stata riconosciuta come una delle dieci scoperte più importanti dello scorso secolo dall’American Academy of Neurology.
Questa particolare patologia è oggi conosciuta come la «sindrome delle apnee ostruttive in sonno», comunemente nota con l’acronimo osas, obstructive sleep apnea syndrome, ed è un disturbo molto comune: circa il 3 per cento della popolazione ne soffre, ma si tratta di un dato verosimilmente sottostimato. Nella forma conclamata si caratterizza per ripetuti episodi di ostruzione delle prime vie aeree durante il sonno, che può essere completa (nel caso delle apnee) o parziale (nel caso delle ipopnee). Solitamente le apnee compaiono in un russatore, determinando un russamento intermittente (le pause generalmente comprese fra 10 e 30 secondi sono le apnee), un sonno scarsamente ristoratore, sonnolenza diurna marcata e ipertensione arteriosa. L’osas colpisce prevalentemente persone sovrappeso e obese, anche se alcune condizioni anatomiche, come per esempio tonsille molto voluminose, una mandibola retroposta, un collo o una lingua sproporzionatamente grossi o una difficoltosa respirazione nasale, possono determinarne la comparsa anche nel soggetto di peso normale. L’osas può poi comparire a ogni età e, stando agli studi epidemiologici, prevale nel sesso maschile.
Il grave rischio cardiovascolare e quello di incidenti legati alla sonnolenza fanno dell’osas una delle patologie più importanti in termini di prevenzione e trattamento, il quale si basa sulla prevenzione dell’ostruzione delle prime vie aeree durante il sonno. La tecnica più nota, diffusa e efficace è proprio la cpap, ideata da Sullivan secondo il principio della continuous positive airway pressure: un piccolo compressore immette, attraverso un circuito costituito da un tubo di collegamento e una mascherina che si posiziona solo sul naso o in alternativa sulla bocca e sul naso, un flusso di aria continua nelle prime vie aeree. Questo flusso, sempre a pressione molto bassa, va individualmente adattato, calibrato, affinché le prime vie aeree siano mantenute aperte anche durante il sonno. In questo modo, indossando la cpap per tutta la durata del sonno si evitano le apnee e spesso anche il russamento. Durante la notte la cpap garantisce una regolare ventilazione, il corretto scambio polmonare di ossigeno e anidride carbonica, la fisiologica riduzione della pressione arteriosa e la stabilità del sonno. Il giorno successivo la sonnolenza scompare e spesso la pressione arteriosa si normalizza. La cpap però non può risolvere il problema del sovrappeso, né aiuterà il paziente obeso a dimagrire o a liberarsi da acciacchi e rischi legati al peso corporeo.
Oggi esistono anche misure alternative alla cpap: apparecchi odontoiatrici in grado di far scivolare in avanti la mandibola e conseguentemente la lingua, allargando lo spazio respiratorio delle prime vie aeree, o tecniche chirurgiche in grado di ampliare, chirurgicamente, le prime vie aeree. Gli studi epidemiologici indicano, infine, come un trattamento precoce di un’ostruzione delle prime vie aeree, fin dall’adolescenza, possa rappresentare una prevenzione importante dell’osas e dei rischi a essa correlati.
Il Signor M., nonostante diversi tentativi, decise infine di non utilizzare la cpap. Questa gli avrebbe finalmente consentito di chiudere la tracheotomia, ma ha preferito continuare a portare sul collo la placca d’oro, a sfoggiarla con orgoglio e commozione ogni volta che veniva in ambulatorio come se fosse una medaglia olimpica, e restare fino alla fine testimone vivente di una delle più importanti ricerche scientifiche della storia della medicina. Il suo straordinario caso ha tracciato un filo rosso nello studio sul russamento e le apnee in sonno, e costruito una strada per l’evoluzione di una condizione parafisiologica in malattia, tuttora percorsa da centinaia di studiosi alla ricerca della cura definitiva per un problema di enorme impatto sulla salute, sulla qualità della vita, e sui costi della sicurezza e della sanità.
È questa, in fondo, la storia che più di tutte il Signor M. non si stancava mai di raccontare.