Ty fissò per un lungo istante Amy, seduta accanto a lui, pensando che per anni aveva usato rabbia o freddezza per mantenere le distanze dalle persone.
Il risultato era stato solitudine e depressione. Un vuoto così profondo nel quale avrebbe potuto facilmente perdersi se si fosse lasciato andare.
Ma adesso c’era Amy accanto a lui, che gli stava lanciando una corda per uscire da quel pozzo oscuro. Anche se trovava assurdo il pensiero che una donna potesse salvarlo. Assurdo persino pensare che avesse bisogno di aiuto. In quel momento però si rese conto di quanto fosse reale il rischio di sprofondare davvero nella depressione.
I cowboy più anziani che in passato avevano lavorato al ranch, per stimolarlo a fare sempre del suo meglio gli avevano ripetuto spesso da ragazzo una frase che gli era rimasta impressa.
Se fai sempre quello che hai sempre fatto, otterrai sempre quello che hai sempre avuto.
E tutt’a un tratto lui si rese conto di volere qualcosa di diverso.
Una vita diversa.
Stava ancora desiderando, desiderando...
Come aveva fatto da bambino.
Ma adesso, guardando Amy, sperò di non doversene pentire.
«Come ti ho già detto, mia madre se ne andò quando io avevo l’età di Jamey» esordì in tono piatto. «Io non me lo ricordo e mio padre non mi ha mai raccontato nulla in proposito, nemmeno quando sono cresciuto. Non parlava mai di lei. Sul comodino e nel portafoglio teneva una foto di Ruth Anne, la sua prima moglie. Al punto che fino all’età di cinque anni ero convinto che quella fosse mia madre. In realtà era un’altra persona.»
«Come si chiamava invece tua madre?» gli domandò Amy.
«Millie... Millicent Williams» rispose Ty. «Avevo circa sette anni quando un giorno lei telefonò. Mia madre telefonò, capisci? Voleva portarmi a Disneyland, ma mio padre non volle lasciarmi andare. Da quel momento non seppi più nulla di lei. Non telefonò mai più. Mio padre si rifiutava di discutere di quell’argomento ogni volta che ne accennavo, e ti assicuro che lo facevo spesso. Perché io volevo conoscere mia madre! Lei era là, da qualche parte nel mondo e desiderava portarmi a Disneyland... Così cominciai a pensare che un giorno o l’altro sarebbe tornata a ranch. Sarei tornato da scuola e l’avrei trovata qui ad aspettarmi. Con una scatola di cioccolatini. O con un albero di Natale sotto il quale c’erano dei regali per me.» Tacque un istante e scosse il capo, ricordando quelle assurde speranze di bambino. «Io e mio padre vivevamo in un mondo completamente maschile. Cavalli, bestiame, rodei, ma i nostri vicini di casa ci invitavano spesso a pranzo alla domenica così avevo l’occasione di vedere come vivevano gli altri. Famiglie che avevano le tende alle finestre, fiori nei vasi e non motori di trattori sul tavolo di cucina, poltrone e non vitelli appena nati avvolti in una coperta davanti al camino. Case che profumavano di cera e dolci, non di olio per motore e cuoio. Quando cominciai ad andare alla scuola materna scoprii che esisteva la festa della mamma, una ricorrenza di cui ero rimasto ignaro fino ad allora. Per l’occasione i miei compagni facevano dei lavoretti per le loro madri e glieli regalavano. Io mettevo i miei in una scatola che avevo sotto il letto. Li tenevo da parte per regalarli a mia madre quando fosse tornata.»
Ty tacque di nuovo per un istante prima di continuare, passandosi una mano fra i capelli, come se quei ricordi lontani avessero ancora il potere di farlo soffrire.
«Devo dire anche che le madri dei miei amici, tutte donne di buon cuore, facevano del loro meglio per vegliare su di me. Mi tagliavano i capelli quando erano troppo lunghi, mi rattoppavano i jeans, mi regalavano biscotti e dolci. Il Natale era comunque il momento peggiore per me... Tutti avevano una casa che sembrava tale e per l’occasione diventava ancora più bella, con le decorazioni, l’albero, le calze di lana appese alla mensola del camino. I miei amici parlavano di Babbo Natale, mentre mio padre mi aveva detto quando avevo due anni che erano tutte fandonie. Ogni anno mi regalava un nuovo paio di guanti da lavoro e gli abiti che mi sarebbero serviti. Jeans, camicie, maglioni e stivali. Non voglio dire che non li apprezzassi, ma io avrei voluto ricevere dell’altro a Natale... Qualche giocattolo, dei libri. Qualcosa per divertirmi, insomma. O che mi portasse a Disneyland come si era offerta di fare mia madre. Crescendo cominciai a chiedermi anche che aspetto avesse, considerato che in casa non c’erano sue fotografie... Immaginai che assomigliasse un po’ a ognuna della madri dei miei amici. Carina come quella di Terry Campbell, brava a cucinare la crostata di limone come quella di Jody Wentworth o che faceva sempre regali stupendi come quella di Julia Farnstead. Che mi rimproverava come la signora Holmes il giorno che scoprì che bevevo di nascosto il whisky di mio padre. E tutto questo non faceva che alimentare una specie di inconscio rancore nei confronti di mio padre. A tredici anni ero una testa calda, fumavo e facevo a pugni con tutti, perché sapevo che questo gli dispiaceva. Avevo appena finito il liceo quando un giorno rientrando a casa lo trovai seduto in cucina con la testa fra le mani e un pacco di lettere sul tavolo. Mi guardò e mi disse che aveva appena ricevuto la notizia che mia madre era morta. Mi diede le lettere, dicendo che aspettava da tempo il momento per darmele ma non gli sembrava mai quello giusto. In quell’istante provai un orribile senso di rabbia e rancore. Lui si alzò e se ne andò. Leggere quelle lettere non fece che peggiorare quello stato d’animo. Mia madre mi aveva scritto delle lettere e mio padre non me le aveva mai date... Neanche una. Nemmeno quando avevo visto che soffrivo per la sua assenza il giorno del mio compleanno, a Natale, per la festa della mamma» concluse, provando lo stesso sentimento di rabbia e rancore di un tempo.
«E poi cosa accadde?» domandò Amy.
«Quella sera stessa feci i bagagli e me ne andai.»
«Dove?» gli chiese, preoccupata.
«In un ranch vicino cercavano personale. Mi presentai e cominciai a lavorare prima come cowboy, come facevo durante le vacanze scolastiche qui al ranch. Poi feci anche una breve esperienza nel circuito dei rodei... Anni bruciati» commentò Ty, scuotendo il capo. «Un ragazzo arrabbiato con il mondo intero è un pericolo per se stesso e per gli altri. Guadagnavo molto ma correvo dei rischi pazzeschi, montando puledri selvaggi, tori, e conducendo una vita sregolata. Un paio d’anni dopo ricevetti una telefonata da un amico che mi informò che mio padre era caduto da cavallo ed era rimasto paralizzato. Tornai a casa e lui mi disse soltanto che mi cedeva la proprietà del ranch e toccava a me occuparmene. E così faccio da allora. Fine della storia.»
Ty attese in silenzio la reazione di Amy.
Che facesse la cosa sbagliata, provandogli che aveva fatto male a concederle fiducia e a confidarsi con lei.
Aspettò che gli desse qualche consiglio sdolcinato, che lo commiserasse e potesse detestarla per questo.
«Oh Ty» si limitò invece a dire Amy, con un’espressione e un tono di voce così dolce che gli andarono dritti al cuore.
D’impulso la attirò a sé e se la strinse al cuore, sentendo svanire la rabbia e il rancore che aveva provato poco prima.
Amy non aggiunse altro, ma Ty percepiva comunque la vicinanza non solo fisica ma anche emotiva di lei.
Rimasero così a lungo, senza parlare, fino a quando il sonno non ebbe la meglio su entrambi.
Quando Ty si svegliò un paio d’ore più tardi, provò uno strano senso di liberazione. Da ciò dedusse che gli aveva fatto bene confidarsi con Amy. Si scostò da lei, facendo attenzione a non svegliarla e dopo avere infilato giacca e stivali uscì di casa.
Era buio, la mezzanotte era passata da un pezzo, ma finalmente aveva smesso di nevicare. Le stelle brillavano nel cielo scuro come velluto.
Raggiunse la scuderia, entrò nella selleria e prese la piccola sella che aveva usato da bambino. Adesso che era un uomo, gli sembrò incredibilmente piccola.
Aveva deciso di regalarla a Jamey. E aveva in serbo qualcosa anche per Amy.
Non voleva che si svegliassero la mattina di Natale e non trovassero alcun dono da parte sua, considerato che Amy si era data da fare per tutta la vigilia in modo che tutti ricevessero qualcosa.
Così, nel freddo della selleria, alla luce di una lampadina, Ty pulì e lucidò la piccola sella di cuoio, inutilizzata da anni.
Quando lui ebbe finito, rientrò in casa. Amy non era più sul divano e immaginò che adesso stesse dormendo nella camera degli ospiti.
Era quasi l’alba del giorno di Natale, e Ty tirò un sospiro di sollievo per il fatto che lei non fosse rimasta in piedi ad aspettarlo.
Si sentiva... fragile.
Ancora scosso dalla lunga confessione di poche ore prima, sentiva il bisogno di stare un po’ da solo per riflettere e riordinare le proprie emozioni.
Incartò prima la sella, ornandola con un nastro poi fece lo stesso con il volume di Lonesome Dove, prima di mettere entrambi sotto l’albero.
In quel momento si rese conto che stava per regalare due oggetti ai quali era affezionato, ma non si sentì affatto triste per questo. Vulnerabile e sensibile, ma non triste. Forse perché dopo molti anni aveva l’impressione di essere finalmente uscito da un lungo tunnel buio.
Quella mattina, Amy sentì gli occhi riempirsi di lacrime quando vide la sella per Jamey. E le lasciò scorrere liberamente quando scartò il suo regalo e lesse il titolo del libro.
Anche a Ty venne un nodo in gola quando aprì i suoi regali e trovò il guantone da forno rammendato e i due libri. Non conosceva gli autori ma Amy gli assicurò che non si trattava di romanzi rosa.
Anche Jamey aprì i suoi regali, incantato dal suono che faceva la carta mentre la strappava.
Il contenuto del primo, una deliziosa tutina verde, lo lasciò del tutto indifferente.
«E questa dove l’hai trovata? Te l’ha portata un elfo?» le domandò Ty.
«L’ho comprata a Calgary prima di partire» rispose Amy. «Non è carina? Gliela farò indossare oggi, quando andremo da tuo padre.»
Ty si irrigidì. Le aveva raccontato tutta la storia. Possibile che Amy volesse ancora andare a pranzo alla fattoria?
Si era fidato di lei. Si era aspettato che avesse capito e preso le sue difese.
Le aveva raccontato di suo padre, di come lo avesse privato di mattine come quelle. Ma adesso ebbe l’impressione che Amy non lo avesse neppure ascoltato, persa nel suo mondo incantato. Se infatti avesse capito quello che le aveva detto, non gli avrebbe proposto di fare visita a suo padre il giorno di Natale.
Amy si chinò per aiutare Jamey a scartare uno dei regali, un orsetto di peluche, e Ty immaginò che non si fosse resa conto di averlo deluso.
Meglio così, si disse.
Avrebbe sofferto meno quando lei se ne fosse andata. Mancava poco ormai... Aveva smesso di nevicare e a quell’ora gli spazzaneve dovevano avere già ripulito anche le strade secondarie.
Peccato solo che la prospettiva di liberarsi dei suoi ospiti non gli provocasse alcuna gioia.
«Vado a dare un po’ di fieno ai cavalli e alla mandria» la avvertì lui a quel punto. «Subito dopo io libererò il viale d’accesso al ranch con il trattore.»
«Ma è Natale!» protestò Amy.
«Lo so» rispose lui. Le voltò le spalle e uscì di casa.
«Vado a controllare il tacchino nel forno» annunciò Beth.
Amy annuì, gustando l’atmosfera natalizia che regnava alla fattoria. Il fuoco ardeva nel camino, il tacchino rosolava in forno e Hunter Halliday sorrideva guardando Jamey che dondolava avanti e indietro su un vecchio cavallo a dondolo di legno.
Un Natale perfetto, se non fosse stato per il comportamento di Ty. Non appena erano arrivati, aveva salutato suo padre e Beth poi era andato nella rimessa. Poco dopo si era sentito il suono del motore del trattore.
«Se ne starà tutto il tempo fuori a lavorare» le disse Hunter a quel punto, lanciandole un’occhiata. «Per cui mettiti il cuore in pace.»
«Entrerà almeno per pranzare» si augurò Amy.
«Non lo so... Ne dubito.»
«È Natale... Speravo succedesse qualcosa...» Provava un’istintiva simpatia per il padre di Ty. Non riusciva a immaginare perché non avesse dato a suo figlio le lettere della madre. Ma non riusciva nemmeno a capire perché Ty non gli avesse chiesto il motivo per cui si fosse comportato così. Di sicuro le sarebbe piaciuto ascoltare la sua versione dei fatti.
«È già successo qualcosa» replicò Hunter.
«Che vuoi dire?» gli domandò, incuriosita.
«Poco fa mi hai detto che Ty ha regalato a Jamey la sella che usava da bambino.»
«Proprio così. E non so perché lo abbia fatto. Non credo che Jamey avrà mai un pony.»
«Meglio così. Sono quadrupedi poco affidabili» sentenziò Hunter. «Meglio che con quella sella impari a cavalcare subito un mustang, come ha fatto Ty.»
«Sei stato tu a dargliela quando era bambino?»
«E mio padre la diede a me.»
«Allora non posso accettarla. È un’eredità di famiglia!» esclamò lei.
«Quello che conta non è la sella, ma ciò che esprime il gesto di regalarla a Jamey» puntualizzò Hunter. «Il desiderio che qualcuno insegni a tuo figlio a essere un uomo. E quel qualcuno vorrebbe essere lui. Dopo anni, Ty sta riprendendo finalmente a vivere. Se volevi un miracolo, sei stata accontentata.»
«Ty mi ha detto che non siete particolarmente religiosi» osservò lei.
«Non occorre essere religiosi per vedere i miracoli. Guarda me, per esempio. Ho notato subito la compassione nei tuoi occhi la prima volta che mi hai visto.»
«Io... Ho immaginato fossi una persona molto attiva e quindi deve essere stato difficile per te accettare di non poter più camminare» gli spiegò, imbarazzata.
«Vero. Ma quando finii in ospedale conobbi Beth. Era la mia infermiera. Non l’avrei incontrata se non avessi avuto quello stupido incidente, e Ty avrebbe finito per farsi ammazzare da qualche toro invece che tornare a lavorare al ranch. Insomma, perdere l’uso delle gambe non era il miracolo che volevo, ma di sicuro quello di cui avevo bisogno. Non cammino più, ma sono felice con Beth e mio figlio è tornato a casa.»
Commossa, Amy sentì gli occhi riempirsi di lacrime e non fece nulla per nasconderle.
«Non piangere, per favore, o Beth me ne dirà di tutti i colori» sorrise Hunter.
«Il pranzo è pronto» annunciò Beth in quel momento. «Amy, ti spiacerebbe avvertire Ty?»
Lei infilò cappotto e stivali, uscì di casa e percorse il sentiero appena sgomberato dalla neve.
Ty era ancora sul trattore, a una certa distanza, e Amy agitò le braccia per richiamare la sua attenzione.
«Il pranzo è pronto» lo avvertì, quando la raggiunse.
Lui sembrò sul punto di rifiutare, ma poi spense il motore e la seguì in casa.
Mentre pranzavano, Amy si chiese dove fosse finito l’uomo che la sera prima le aveva confidato le difficoltà e le sofferenze della sua vita.
Ty, infatti, mantenne per tutto il tempo un atteggiamento freddo e silenzioso, al punto da farle desiderare che fosse rimasto fuori a lavorare con il trattore.
Stava rovinando tutto comportandosi così!
Dopo pranzo fece anche di peggio, facendole capire che era ora di tornare a casa, nonostante Beth avesse proposto di giocare a carte e lei pensasse che giocare in famiglia sarebbe stato il modo perfetto per trascorrere il pomeriggio.
Era così delusa che nemmeno il tragitto in slitta riuscì a rimetterla di buonumore. Persino Jamey piagnucolò e fece capricci fino a quando non le si addormentò in braccio.
«Tuo padre ti vuole bene. È ora di seppellire l’ascia di guerra» esordì Amy, approfittando del sonnellino di Jamey.
«Non credo proprio...» borbottò Ty.
«Gli hai mai chiesto perché ti tenne nascoste quelle lettere?» gli chiese, imperterrita.
«Davvero credi possa esserci una buona ragione per fare una cosa simile?» ribatté lui. «Ho visto come ti comporti con tuo figlio, le attenzioni e l’affetto che gli dedichi. Quale ragione considereresti valida se qualcuno ti impedisse di vederlo?»
«Allora sforzati di perdonare tuo padre. Nessuno è perfetto, tutti commettiamo degli errori.»
«Da che pulpito viene la predica!»
«Io ho perdonato Edwin» insorse Amy.
«Non era a lui che mi riferivo. È te stessa che non riesci a perdonare. Eri così persa nelle tue fantasie romantiche che hai scelto l’uomo sbagliato. È questo che non riesci a perdonarti.»
L’intuizione di lui, e soprattutto la verità di quell’analisi, la lasciò per un istante senza parole.
La cosa peggiore era che l’errore commesso con Edwin non aveva per nulla azzerato le sue fantasie, ammise Amy fra sé.
Si era innamorata di nuovo dell’uomo sbagliato.
Il fatto che Ty non facesse nulla per nascondere i suoi difetti non le impediva di sognare un futuro insieme. Una casa. Una famiglia. Tanto amore.
«Hai i tuoi difetti, ma non riesco a credere che tu possa essere così spietato con una persona disabile.»
«Disabile? Credimi, se mio padre sapesse che l’hai definito così, non ti inviterebbe più a casa sua» replicò Ty, fermando la slitta davanti al fienile.
«Non è questo il punto.»
«Sì, invece. Perché dovrebbe importarmi che tu veda o meno i miei difetti? Se fosse così, significherebbe una certa visione del futuro, mentre io non ne ho alcuna. Di sicuro non con te.»
Quell’ultima frase la ferì profondamente, anche se lui le aveva già detto che non era disponibile per alcun tipo di legame.
Non aveva alcun diritto di immaginare il futuro insieme a Ty Halliday.
Lei aveva altri progetti e avrebbe fatto meglio a concentrarsi su quelli. Da sola.
In quel momento Amy notò alcune auto che stavano percorrendo il viale d’accesso in direzione della ranch house.
«Vicini di casa» la informò Ty, seguendo lo sguardo di lei. «Stanno venendo a prendermi per andare a festeggiare il Natale.»
«Significa che le auto possono di nuovo circolare?» chiese Amy.
«Esatto.»
«Allora me ne posso andare?»
«Sì, puoi andartene.»
«Molto bene.»
Amy scese dalla slitta con Jamey in braccio, senza aspettare che Ty l’aiutasse. Non avrebbe sopportato che lui la toccasse.
Avrebbe fatto subito i bagagli e con un po’ di fortuna se ne sarebbe andata prima che rientrasse in casa dopo avere sistemato la slitta e strigliato i cavalli.
Quella sera lei avrebbe finalmente dormito a casa dei McFinley, decise.