9

Non appena Ty entrò in casa si rese conto che Amy se n’era andata.

Lo intuì dal silenzio e soprattutto dal senso di vuoto che regnava all’interno della ranch house, prima ancora che dalla vista degli oggetti che mancavano nella camera degli ospiti.

Di sicuro lui aveva contribuito ad accelerare la partenza di Amy con le parole crudeli che le aveva rivolto quando erano arrivati a casa in slitta, ammise fra sé con un sospiro.

Si avvicinò alla finestra della cucina e vide l’auto di lei, carica fino all’inverosimile, che percorreva il viale sgombro di neve verso l’uscita del ranch.

Ty represse l’impulso di seguire Amy per assicurarsi che non si perdesse di nuovo e arrivasse sana e salva a destinazione.

Fu in quel momento che le vide.

Era sicuro di averle messe nella tasca di una delle sue giacche da lavoro... E invece erano sulla credenza.

Le lettere che gli aveva scritto sua madre, avvolte da un nastro blu.

Le prese e le osservò un istante, tentato di gettarle nella spazzatura o nel camino, sicuro che non sarebbe servito a nulla rileggerle.

Anche se l’unica volta che lo aveva fatto aveva avuto solo diciassette anni, ed era stato il classico adolescente arrabbiato con il mondo intero.

Sì, doveva rileggerle... Non adesso, però, decise, passandosi una mano fra i capelli. Posò di nuovo le lettere sulla credenza, e dopo una doccia e uno spuntino andò a dormire.

La mattina seguente, quando Ty si svegliò, fu Amy la prima cosa a cui pensò.

La seconda, le lettere.

Improvvisamente provava l’urgenza di leggerle non da ragazzo, ma da uomo.

Andò in cucina, preparò il caffè e cominciò a rileggere le lettere seguendo l’ordine temporale dei timbri postali.

Un’ora più tardi, mise l’ultimo foglio nella busta, passandosi una mano sulla fronte.

A diciassette anni aveva letto quelle lettere ed era stato cieco com’era stata Amy quando aveva sposato Edwin.

Aveva visto solo quello che aveva voluto vedere.

E cioè che sua madre gli aveva voluto bene e suo padre le aveva impedito di dimostrarglielo.

Adesso, da adulto, ci vide qualcosa di completamente diverso.

Tutte le lettere iniziavano nello stesso modo.

Ciao, Ty. Ti manco?

Sua madre, però, non aveva scritto neppure una volta che lui le mancava.

Inoltre, in quella dozzina di lettere, scritte nello spazio temporale di circa un anno, sua madre descriveva avvenimenti che non potevano essere di alcun interesse per un bambino di pochi anni... Gli ultimi abiti che aveva acquistato, i suoi viaggi, la preoccupazione per il suo peso, il nuovo taglio di capelli, la routine in palestra, i fidanzati di turno.

Da adulto, insomma, Ty valutò in modo del tutto diverso quei particolari. Soprattutto alcuni accenni che miravano chiaramente a screditare Hunter come figura paterna.

Prima di tutto la dichiarazione ripetuta che lei gli aveva scritto un mucchio di lettere ma di sicuro Hunter non gliene aveva mai letta una. E poi che gli aveva mandato regali a Natale e per il compleanno ma che probabilmente anche quelli non gli erano mai stati dati.

A diciassette anni non aveva dubitato della verità di quelle affermazioni.

Aveva preferito dubitare della lealtà di suo padre.

Se sua madre era stata così sicura che l’ex marito non gli leggesse le sue lettere, perché non gli aveva telefonato? Perché non era mai tornata al ranch? Perché non era mai andata a prenderlo a scuola? Nessun giudice avrebbe potuto impedirle di vedere o di fare visita periodicamente al proprio figlio.

Adesso, rileggendo quelle lettere, si rese conto che a sua madre non era mai importato nulla di lui. Lo aveva abbandonato per fare la vita che più le piaceva, che non comprendeva certo crescere un bambino, leggergli le favole prima di dormire, rimboccargli le coperte, preparargli la merenda quando tornava da scuola, organizzargli una festa di compleanno.

Inoltre, da quelle lettere dedusse che Hunter aveva giocato un ruolo marginale nella decisione di Millicent Williams di abbandonare marito e figlio.

A diciassette anni non aveva avuto la forza di guardare in faccia alla realtà e chiedere a suo padre quale fosse la vera ragione per cui Millie se n’era andata.

Ascoltare la sua versione.

Esattamente come gli aveva consigliato di fare Amy. La dolce, sensibile Amy aveva ragione.

Doveva andare da suo padre e rivolgergli una semplice domanda.

Perché?

In passato non lo aveva fatto perché aveva intuito che forse suo padre non aveva nessuna colpa, ma lui non era stato disposto ad ammetterlo. Aveva avuto bisogno di odiare qualcuno per essere stato abbandonato da sua madre.

In un certo senso conosceva già la risposta, pensò. Tuttavia, adesso che era un uomo, era necessario chiarire finalmente la questione con suo padre.

Mezz’ora più tardi, Ty bussò alla porta della fattoria.

Trovò suo padre da solo, perché Beth aveva approfittato della tregua del maltempo per andare a fare provviste al centro commerciale più vicino.

«Dove sono Amy e Jamey?» si informò Hunter, ignorando i convenevoli.

«Le strade sono di nuovo percorribili e se ne sono andati» rispose Ty.

«Tornerà?»

«Ne dubito. Ce l’ha con me perché pensa che ti sto facendo un torto non ascoltando anche la tua versione dei fatti.»

«Per cui sei venuto solo perché Amy pensa che è questo che dovresti fare?»

«No. Sono qui perché sono convinto che è giusto così.»

Hunter annuì, soddisfatto.

«Perché non mi desti subito quelle lettere?» gli domandò Ty, andando dritto al punto. «Le ho lette di nuovo e credo di conoscere già la risposta, ma voglio ascoltare anche la tua versione. Qualcosa che avrei dovuto fare molto tempo fa.» Si tolse di tasca le lettere e le diede a suo padre. «Ce ne sono altre?»

«No. Tutte quelle che arrivarono le legai con questo nastro per dartele... Un giorno o l’altro.»

«C’erano anche regali di Natale e compleanno, come sostiene lei nelle lettere?»

Hunter scosse il capo, guardandolo negli occhi.

«No, neanche uno.»

La conferma ai sospetti che aveva avuto leggendo le lettere, pensò Ty. Sua madre aveva scritto delle bugie per screditare l’ex marito. O forse semplicemente per convincere un bambino, cosa non difficile, che non era un genitore negligente.

«Per favore, raccontami tutto di lei» mormorò, sedendosi di fronte a suo padre.

«D’accordo» sospirò Hunter. «Ma prima credo sia meglio ti racconti di me. Sono un uomo semplice, Ty. Ho girato poco il mondo, ho passato la maggior parte della mia vita qui al ranch, poco adatto quindi a gestire situazioni complicate. Non sono molto istruito e come ben sai, per via della dislessia, non avevo dei risultati brillanti a scuola.»

«Lo so» annuì Ty.

«Il mio primo matrimonio fu molto felice» proseguì Hunter.

«Da piccolo pensavo che Ruth Anne fosse mia madre... Per via di quelle foto che tenevi nel portafoglio e sulla mensola del camino.» Anche adesso, rimase sorpreso dall’espressione di intensa dolcezza che comparve nello sguardo di suo padre per quel semplice accenno a Ruth Anne.

«Quando ci innamorammo frequentavamo le scuole medie» gli rivelò Hunter. «A diciotto eravamo già sposati. Tutti dicevano che eravamo troppo giovani, che non avrebbe funzionato. Invece, accidenti a loro, funzionò perfettamente. Eravamo sicuri che saremmo stati felici per sempre e che avremmo avuto una nidiata di figli. Invece scoprimmo che lei non poteva averne. Con il senno di poi, posso solo sospettare che c’era già qualcosa che non andava, ma grazie al cielo quel presagio tardò venticinque anni ad avverarsi... Venticinque anni di felicità. Io e Ruth Anne eravamo un cuore solo e un’anima sola. Lavoravamo insieme, ci divertivamo insieme e non avendo figli, eravamo completamente l’uno dell’altra.»

Ty fissò suo padre in silenzio. Aveva immaginato che quella con Ruth Anne fosse stata un’unione felice, ma l’appassionata intensità del suo tono lo sorprese.

«Ruth Anne morì per un male incurabile l’anno in cui avremmo dovuto festeggiare le nozze d’argento» continuò Hunter. «Negli ultimi mesi di vita era così sofferente che fu una vera grazia del cielo quando chiuse gli occhi per sempre. Soffrivo a vederla in quello stato ma soffrii ancora di più per la sua perdita. Era stata per tanto tempo la mia unica ragione di vita. Per il dispiacere cominciai a bere e a fare una vita sregolata, sperando che il Signore si decidesse a chiamare anche me. Niente da fare. Furono anni d’inferno. In quel periodo conobbi Millicent, detta Millie, tua madre, una donna che conduceva a sua volta una vita di eccessi, al punto da insegnarmene alcuni. Vivevamo come due irresponsabili, ma un giorno tutto cambiò. Millie mi disse che era incinta e voleva abortire. Sosteneva di averlo già fatto e che poteva rifarlo.»

Ty vide suo padre stringere le mani sui braccioli della sedia a rotelle, come se volesse stritolarli.

«Le risposi che prima di fare una cosa del genere sarebbe dovuta passare sul mio cadavere» riprese Hunter. «Io e Ruth Anne avevamo cercato disperatamente per anni di avere dei bambini e adesso Millie voleva buttare via nostro figlio come se fosse un rifiuto. Dopo litigi e discussioni riuscii a convincere Millie a sposarmi e a non interrompere la gravidanza. Per evitare che cercasse di abortire a mia insaputa, la portai subito qui al ranch. Avevo trascurato per mesi la proprietà e rimetterla in sesto non fu facile. Non ero più tanto giovane, avevo ben più di quarant’anni, lavoravo come uno schiavo e Millie si lamentava che la trascuravo. Al ranch si annoiava. Non voleva lavorare con me come aveva fatto Ruth Anne, non le piaceva cucinare e nemmeno tenere in ordine la casa. Passava la giornata a guardare la televisione e a escogitare argomenti per litigare. Non appena mettevo piede in casa dopo quattordici, quindici ore di lavoro, non perdeva occasione per farmi scenate. Cominciai a pensare che ero davvero in torto. Lavoravo troppo e non le dedicavo abbastanza attenzioni. Inoltre era incinta e lei odiava esserlo. Per Millie portare un figlio in grembo non era la cosa più meravigliosa del mondo. Si vedeva solo grassa e brutta. E io mi vergogno a dire che a un certo punto smisi di cercare di convincerla del contrario. Così cominciò ad accusarmi di avere un’altra donna. Tornavo a casa così stanco che facevo fatica a reggermi in piedi e lei sosteneva che avevo addosso il profumo di un’altra. Quando tu nascesti, fu anche peggio. Io ero al settimo cielo, mentre Millie... Hai mai visto una cavalla rifiutare il proprio puledro? Io no. Ma fu proprio quello che fece tua madre. Era del tutto indifferente nei tuoi confronti. Non volle nemmeno allattarti. Disse che quella era una cosa che facevano gli animali. Quando tornavo a casa alla sera dopo una dura giornata di lavoro, continuava ad accusarmi di essere stato con altre donne e mi gridava che toccava a me occuparmi del bambino, darti il biberon e cambiarti il pannolino... Come se quei compiti fossero un fardello per una madre. Io non la stavo nemmeno ad ascoltare. Ti prendevo in braccio, ti accudivo poi ti cullavo fino a quando non ti addormentavi sul mio cuore. Dopo la morte di Ruth Anne, avevo rinunciato all’amore e Millie mi aveva inasprito ancora di più. Ma adesso, mio figlio aveva dato di nuovo un senso alla mia vita.»

«Cosa accadde in seguito?» domandò Ty a quel punto, suo malgrado commosso da quel racconto di tenerezza paterna.

«Tua madre cominciò a trascurarti, a dare segni di squilibrio sempre più accentuati. Al punto che non mi fidavo a lasciarti a casa da solo con lei. Comprai un marsupio e ti ci misi dentro. Avevo le tasche della sella piene di pannolini, latte in polvere e omogeneizzati. Insomma, hai cominciato ad andare a cavallo ancor prima di camminare» gli rivelò Hunter, abbozzando un sorriso. «Quando c’era brutto tempo o avevo una giornata di lavoro molto impegnativa, ti affidavo a una delle nostre vicine di casa, che erano più che liete di farti da babysitter. Un giorno tornai a casa e scoprii che Millie se n’era andata, non senza prima aver frantumato sul pavimento tutti i piatti, i bicchieri e le cornici che possedevamo e tagliato a pezzi i miei vestiti. Ma se ne era andata, era questo che contava, e io non provai altro che sollievo. Cercavo di essere un buon padre, ma probabilmente non ci riuscivo. Mi rendevo conto che ti mancava la mamma. Ogni volta che andavamo a fare visita a qualcuno dei nostri vicini, ti attaccavi disperatamente alle gonne della padrona di casa. I nostri amici se ne accorsero e per quella ragione le loro mogli facevano a gara nel dedicarti attenzioni e farti sentire meno la mancanza di tua madre. Dopo essersene andata, Millie non si era fatta più viva. Avevi circa sette anni quando un giorno telefonò. Si era ricordata improvvisamente di avere un figlio. Mi disse che aveva un nuovo marito e voleva portarti a Disneyland. Io però non mi fidai di lei. Non sapevo dove abitava, che vita conduceva. Temevo potesse prenderti poi sparire con te. Insieme a un uomo che non conoscevo nemmeno. Così le risposi di no. Se voleva vederti dovevamo stabilire dei diritti di visita davanti a un giudice. Millie farfugliò qualcosa, confermando così i miei sospetti. Mi chiese allora di farti parlare con lei e io, sapendo quanta nostalgia avessi di tua madre, contro ogni buonsenso cedetti. Quando riagganciasti, mi fissasti con odio, gridandomi che volevi andare a Disneyland con tua madre. Quella madre che ti aveva abbandonato ma che adesso era magicamente riapparsa e da allora in poi si guardò bene dal telefonare di nuovo. Si limitò a spedirti delle lettere poi più nulla» disse Hunter, accennando a quelle posate sul tavolo. «Leggendole mi resi conto che Millie non era cambiata. Pensava solo a se stessa. Aveva ripreso a fare una vita sregolata e non era in grado di assumersi la responsabilità di crescere un bambino. Per un po’ di tempo mi aspettai che si rivolgesse a un giudice per ottenere dei permessi di visita, ma non fece nemmeno quello. Da un certo punto di vista, pensai che fosse meglio così. Decisi che quando fossi cresciuto ti avrei dato anche le sue lettere. Ma non sembrava mai il momento giusto, perché mi resi conto che desideravi talmente una madre che non saresti riuscito a considerare Millie per quello che era. Insomma, ho cercato di proteggerti da lei, e non me ne pento affatto. Se tornassi indietro, rifarei la stessa cosa» dichiarò Hunter.

«Perché non mi dicesti tutto questo anni fa, papà? Abbiamo perso un mucchio di anni... Lontano l’uno dall’altro» mormorò Ty con rimpianto.

«Non sono stati anni inutili, credimi. In questo modo hai fatto le tue scelte, sei diventato l’uomo che speravo tu diventassi.»

Lo commosse profondamente anche il pensiero che suo padre avesse avuto stima e fiducia in lui anche negli anni in cui i loro rapporti erano stati burrascosi. Al punto che sentì un nodo alla gola e gli occhi riempirsi di lacrime.

«E negli ultimi anni la vita mi ha regalato di nuovo un po’ di serenità» proseguì Hunter. «Dopo l’incidente conobbi Beth. È stata lei a spiegarmi che probabilmente tua madre soffriva di depressione bipolare.»

Un’ipotesi più che probabile, convenne Ty, che spiegava anche i toni esaltati di certe lettere, seguiti da mesi di silenzio.

«All’inizio della vita ho avuto Ruth Anne, solida come la terra. Millie è stata come un fuoco. Adesso ho Beth, che è come un sorso d’acqua fresca dopo una giornata torrida. E tu...» Hunter contemplò un istante suo figlio, con un’espressione di profondo affetto. «Tu sei sempre stato prezioso per me, come l’aria che respiro. Quindi, nella mia vita non è mancato niente. È stata un perfetto equilibrio di terra, fuoco, aria e acqua. Non ho rimpianti, Ty. Millie ha avuto almeno il merito di darmi un figlio. E grazie a questa sedia a rotelle, tu sei ritornato al ranch.»

«Tutti questi anni sprecati» ripeté Ty, scuotendo il capo. Adesso sapeva che non era suo padre che aveva qualcosa da farsi perdonare, ma sua madre. Ma forse, nel profondo dell’animo, aveva sempre saputo che era così.

«Non lasciarti sfuggire Amy» gli consigliò suo padre inaspettatamente. «Lei e suo figlio hanno bisogno di te. Non c’è niente che renda completo un uomo come avere la propria famiglia.»

«Non so se Amy mi vorrà, papà. È vedova da poco e sta imparando a essere indipendente. Non credo sia disposta ad ammettere che ha bisogno di me.»

«Sciocchezze. Amy ha bisogno di te, tanto quanto tu ne hai di lei» concluse Hunter con convinzione.

Amy guardò fuori dalla finestra del salotto dei McFinley. Era una bella casa a due piani, costruita su un appezzamento di terreno a circa venti miglia dall’Halliday Creek Ranch, ma il panorama era decisamente meno mozzafiato di quello che si godeva dalla casa di Ty. Niente montagne e prateria. Solo le abitazioni dei vicini e la strada statale che passava a poca distanza. Di sicuro non aveva il fascino di una casa colonica o di una proprietà che apparteneva da generazioni alla stessa famiglia.

Era la tipica giornata di gennaio in Alberta, cielo azzurro, terso, e freddo polare.

«La giornata perfetta per stare in casa e fare il pane» disse ad alta voce, per scacciare il senso di solitudine che l’opprimeva.

Jamey stava schiacciando il solito pisolino pomeridiano ma lei non vedeva l’ora che suo figlio si svegliasse. La vitalità e l’energia del piccolo, almeno, avrebbero riempito il senso di vuoto che provava. Forse era una sua idea, ma da quando avevano lasciato il ranch, anche Jamey sembrava un po’ giù di corda.

A Capodanno, tempo permettendo, erano tornati a Calgary per far visita ai nonni paterni. Cynthia e John avevano regalato al nipote L’allegra fattoria, un gioco con casette e animali. Soprattutto cavalli e mucche.

Jamey si era innamorato di uno dei cavalli, che chiamava Ben, e quando ci giocava continuava a chiamare sottovoce anche papà Odan.

No, non se la sentiva di fare il pane, sospirò Amy. Il ricordo dell’ultima volta che lo aveva fatto, in compagnia di Ty, era ancora troppo vivo.

Bloccata dalla neve, aveva avuto il dono di trascorrere il Natale con lui e adesso in quella bella casa, nonostante Jamey e la gestione commerciale del suo sito in rete che la impegnava alcune ore al giorno, non riusciva a fare a meno di sentirsi triste e sola.

Contemplando fuori dalla finestra la gelida bellezza di quella giornata invernale, si rese conto che la sua speranza di un briciolo di felicità era andata di nuovo delusa.

Si era illusa persino che Ty le avrebbe telefonato, per sapere se lei e il bambino erano arrivati sani e salvi a destinazione, se stavano bene, e invece... Lui non si era fatto vivo neppure una volta.

Grazie al cielo un residuo di orgoglio aveva impedito a lei di telefonare. Specialmente dopo aver letto d’un fiato Lonesome Dove, assaporato ogni parola di quel racconto, gustato una particolare sintonia con Ty nel corso di quella lettura.

In quel breve periodo, tuttavia, si era resa conto che doveva imparare a contare solo su se stessa e mettere a frutto talenti e qualità personali.

«Niente pane, biscotti al cioccolato» decise, dirigendosi con decisione in cucina.

Il campanello della porta d’ingresso squillò proprio mentre stava togliendo i biscotti dal forno. Andò ad aprire e si trovò di fronte una ragazzina con gli occhiali, che le rivolse un sorriso timido, completo di apparecchio per i denti.

«Signora Mitchell?»

«Sì?» annuì Amy.

«Sono Jasmine Nelville. Ty Halliday mi ha mandato come babysitter. Mi ha raccomandato di dirle che ho frequentato un corso di puericoltura, ho un certificato come babysitter professionale e posso fornirle svariate referenze.»

Amy osservò per un lungo istante Jasmine, sorpresa. Notò un’auto nel cortile, e si rese conto che era la madre della ragazzina, che le rivolse un cenno di saluto prima di allontanarsi.

«Adesso?» mormorò, scostandosi dall’ingresso per fare entrare in casa la nuova arrivata.

«Il signor Halliday era dietro di noi e arriverà a momenti. Anche se lui procedeva più lentamente, per via del traino» le spiegò Jasmine.

«Quale traino?»

«Come si chiama il bambino?» replicò la ragazzina, sentendo un richiamo provenire dal piano superiore.

«Jamey... E ha appena finito di fare il pisolino.»

La ragazzina posò i libri che aveva in mano e si diresse verso il punto da cui proveniva il richiamo. Amy la seguì al piano superiore e la guardò mentre prendeva in braccio Jamey.

«Oh, ma è un vero angioletto!» esclamò Jasmine, conquistata all’istante dai ricciolini del bambino. «Signora Mitchell, si copra bene per uscire. Il signor Halliday mi ha pregata anche di dirle di indossare degli stivali» aggiunse.

Amy fece per obiettare ma in quel momento udì il suono di un potente motore diesel che si avvicinava. Andò alla finestra e vide Ty scendere da un furgone e aprire il traino, dal quale fece smontare Ben e un altro cavallo, entrambi già sellati.

La parte più razionale di lei sapeva che avrebbe dovuto rifiutarsi di collaborare.

Ty non le aveva telefonato neppure una volta.

E adesso era venuto senza nemmeno chiederle se gradiva o meno la sua visita.

Ma la vista di lui bastò ad accelerarle i battiti. Il tempo della razionalità era finito, si disse.

Era stata razionale per tutta la vita, anche quando aveva deciso di sposare Edwin. Non per la persona che era stato, ma perché le era sembrato che incarnasse i suoi sogni.

E com’era invece quell’uomo che stava controllando i finimenti dei cavalli?

Sapeva esattamente chi era, pensò, correndo a infilare cappotto e stivali.

Scese di corsa le scale e uscì di casa.

Al di sopra della sella, Ty la vide avvicinarsi e sorrise. Girò intorno al cavallo e aprì le braccia.

Amy si gettò nel suo abbraccio senza un attimo di esitazione. Lui la sollevò da terra e la fece girare come una trottola.

Quando la rimise a terra, la guardò come un uomo che aveva attraversato il deserto e aveva trovato finalmente un’oasi dove potersi dissetare.

«Che ci fai qui?» gli chiese Amy a quel punto, senza fiato per l’emozione.

«Non è chiaro, milady?»

«Non proprio.»

«Sono venuto per corteggiarti e concedere a entrambi la possibilità di conoscerci meglio» le spiegò lui.

«Davvero?» replicò lei, cauta.

«Proprio così. So che sei un cuore romantico in un mondo spietato e così ho deciso di farlo alla vecchia maniera, con tanto di invito a cena, champagne e fiori per farti perdere la testa.»

E se gli avesse detto che aveva già perso la testa per lui?

No, decise Amy. Perché lei doveva rinunciare a tutto il divertimento?

Ty l’aiutò a salire a cavallo. Le disse che era un’anziana cavalla di nome Patsy, così tranquilla che l’unico rischio era quello che si addormentasse.

Amy lo ascoltò appena.

In quel momento non avrebbe avuto paura nemmeno a montare uno stallone selvaggio, scalpitante e con il fuoco che usciva dalle narici.

Lui montò in sella a Ben e mentre percorrevano l’uno accanto all’altra lungo il sentiero che portava verso l’uscita della proprietà dei McFinley, si informò di Jamey, della casa e della sua attività commerciale tramite Baby Bytes.

Amy, invece, gli chiese notizie di Beth e Hunter, e mentre cavalcavano Ty le confidò di avere riletto le lettere di sua madre, le spiegazioni che gli aveva dato suo padre e di come loro due si fossero riconciliati dopo tanti anni.

L’aria era fredda, ma il sole invernale splendeva nel cielo sgombro di nuvole. Così cavalcarono per quasi un’ora e smontarono solo quando raggiunsero il fiume, che in quel periodo era ghiacciato.

Dalla tasca della sella, Ty estrasse un thermos di cioccolata calda, alcuni biscotti e fecero merenda. Poi aprì un libro di poesie e ne lesse qualcuna ad Amy, lanciandole ogni tanto delle occhiate appassionate.

«Questo autore fa parte del programma di studio del primo anno di lettere all’università» le disse a un certo punto. «Capisci cosa significa?»

«Non ne ho la minima idea... No, aspetta! Ti sei iscritto a un corso universitario online?» gli domandò Amy.

«Alcuni mesi fa» le confermò. «Ho già dato alcuni esami, con buoni risultati.»

«Oh Ty... Ma è magnifico!»

Un attimo dopo erano di nuovo l’uno nelle braccia dell’altra. E questa volta, lontano da sguardi indiscreti, lui le baciò la fronte, le guance, le labbra con furia appassionata e dolcissima.

Una vera e propria promessa di felicità.

Un’ora più tardi erano di nuovo a casa.

Amy era semicongelata per via di quella lunga passeggiata all’aperto, ma nel cuore aveva come un fuoco ardente.

Ty mantenne la parola e da quel giorno le dedicò un corteggiamento serrato.

Lui la sorprese, rivelando a sua volta un temperamento romantico e appassionato.

Fedele alla parola data, la invitò a cena in alcuni dei migliori ristoranti di Calgary. Le inviò dei fiori. Andarono al cinema e a teatro, fecero lunghe passeggiate a cavallo. Cominciò anche a includerla in tutte le attività sociali organizzate dagli abitanti della valle. La accompagnò a raccolte di fondi, balli e gare di cucina dove le presentò amici e vicini di casa. Fecero visita a Beth e Hunter, andarono in piscina con Jamey, sulla slitta.

La stagione stava per cambiare, l’inverno avrebbe ceduto presto il passo alla primavera quando Ty la invitò alla ranch house, dove Hunter e Beth si erano offerti di fare da babysitter a Jamey.

Quando Amy arrivò all’Halliday Creek Ranch, c’erano già due cavalli sellati davanti alla casa.

Senza alcuna esitazione, Amy montò in sella e poco dopo si allontanò con Ty in direzione della prateria. Percorsero un sentiero in salita che attraversava la pineta. A un certo punto smontarono e raggiunsero a piedi la cima della cresta rocciosa.

Da quel punto di osservazione, la vista della vallata per miglia e miglia era a dir poco mozzafiato, pensò Amy, guardandosi intorno.

Da lassù, la ranch house di Ty e la fattoria di Hunter sembravano case di bambole. Nella prateria, mandrie di bovini pascolavano tranquillamente, brucando l’erba primaverile.

Quando distolse lo sguardo dal panorama, Ty sorrise e la attirò a sé.

«Amy» le disse dolcemente, «come ben sai non sono un uomo molto religioso. Ringrazio comunque il cielo ogni giorno per averti fatto sbagliare strada e dato l’opportunità di conoscerci. Lo ringrazio per avermi dato il tuo sorriso, la tua capacità di ascoltare e di vedere cose in me che nemmeno io avevo mai visto. Lo ringrazio per avermi fatto il dono di accogliere tuo figlio e concesso la possibilità di fargli da padre.»

Con grande meraviglia di Amy, quell’uomo forte e deciso che era Ty in quel momento le sembrò timido.

Forse persino un po’ spaventato dall’intensità dei propri sentimenti.

«Ricordi la sera che leggevo l’Iliade?» le chiese.

«Certamente.»

«A un certo punto Achille è costretto a scegliere fra nostos, cioè tornare a casa, e kleos, la gloria. Al suo posto, avrei scelto la prima. Sarei tornato a casa da te.» Sorrise, guardandola negli occhi. «Non riesco più a immaginare la mia vita senza di te... Amy Mitchell, vuoi diventare mia moglie?»

A quelle parole lei gli posò una mano su una guancia, e nei begli occhi blu di Ty lesse una meravigliosa promessa di felicità.

Una felicità fatta di bambini, cavalli, libri, film, discussioni animate e momenti tranquilli. Di normali alti e bassi della vita, ma affrontati insieme.

Esattamente quello che aveva sempre sognato e desiderato.

E poi una casa.

Dove nessuno dei due sarebbe più stato solo.

«Sì...» sussurrò, provando un meraviglioso senso di felicità.

Gli circondò il collo con le braccia e ripeté quel più e più volte, ad alta voce, in modo che l’eco risuonasse per tutta la valle, fino al cielo.

«Alcuni non hanno affatto bisogno di scegliere» aggiunse con dolcezza. «Ad alcuni è concesso sia il ritorno a casa sia la gloria.»