Ty uscì dalle scuderie tenendo il pony per le briglie.
Era già sellato, con la stessa sella che aveva dato a Jamey quattro anni prima.
Il pony aveva del nastro natalizio scozzese intrecciato alla criniera e scuoteva la testa per via del fiocco rosso legato al ciuffo sulla fronte.
Ty sorrise fra sé, rammentando che a suo padre non piacevano i pony, e di sicuro non avrebbe mancato di fargli notare che avrebbe dovuto regalare a Jamey per Natale un cavallo di taglia normale, proprio come quello che gli aveva regalato quando aveva compiuto cinque anni.
Ma a lui quel pony era piaciuto subito. Aveva un carattere docile, lo sguardo dolce e paziente, una magnifica criniera nera e il mantello castano lucido.
Ty annusò l’aria mentre si dirigeva verso casa.
Neve.
Avrebbe nevicato molto presto, previde.
Non troppo, si augurò.
Un uomo doveva stare attento a quello che desiderava, si ammonì, con una punta di ironia. Non voleva infatti che cominciasse subito a nevicare. Da circa un anno lui e Amy si erano trasferiti alla fattoria.
Dopo la nascita delle loro due gemelle, Millie e Becky, Hunter e Beth avevano suggerito loro di scambiare le rispettive abitazioni.
La ranch house, a un unico piano, priva di barriere architettoniche, era più piccola e pratica per gli anziani Halliday.
La fattoria, invece, a due piani e con quattro camere da letto, era perfetta per una famiglia giovane.
Amy, naturalmente, aveva accolto quella proposta come l’occasione per una entusiasmante crociata di restauro, bricolage e fai-da-te.
La casa era stata ristrutturata dalla soffitta alla cantina, riammobiliata, dotata di nuovi complementi di arredo, mobili,cuscini, tende. E adesso, alla vigilia di Natale, non mancava neppure la presenza della famiglia. Il giorno prima, infatti, erano arrivati dall’Africa i genitori di Amy e i nonni paterni di Jamey da Calgary. E alcuni membri della famiglia Williams sarebbero arrivati il giorno seguente per partecipare al pranzo di Natale.
Ty, infatti, facendo alcune ricerche sulla famiglia di sua madre, aveva scoperto di avere di avere ancora la nonna materna, uno zio e una schiera di cugini.
Sua nonna Elisabeth era impazzita dalla gioia quando aveva scoperto di avere un altro nipote. Sua figlia Millie, infatti, se n’era andata di casa senza dare più notizie di sé per molto tempo, poi era ritornata all’improvviso senza raccontare dov’era stata e cosa aveva fatto.
Elisabeth aveva voluto conoscere subito Ty e quando si erano incontrati aveva pianto per la commozione.
Fra loro si era formato subito un profondo legame, e attraverso ricordi, fotografie e lettere, Ty era riuscito a definire meglio la personalità di sua madre.
Sua nonna gli aveva confermato la doppia personalità di Millicent. Da una parte era stata una donna piena di energia e passione, intelligente, brillante, sensibile. Dall’altra, egoista, gelosa, subdola, imprevedibile, capace di gesti di grande generosità alternati ad altri di incredibile crudeltà.
Ty aveva scoperto che sua madre aveva sofferto di un grave disturbo della personalità, a causa del quale la realtà e le persone che ne facevano parte venivano percepite solo attraverso un filtro utilitaristico.
Proprio a causa di questo, Millie si era alienata col tempo affetti e amicizie. Sempre più sola e disperata, la dipendenza da alcol e psicofarmaci l’avevano portata a una fine prematura. Il tragico epilogo di una malattia che non era stata diagnosticata precocemente.
In ogni caso, guardando le foto di Millie, Ty aveva provato un assurdo senso di tenerezza per la madre che non aveva mai avuto la possibilità di conoscere davvero. Nello stesso tempo, non poteva che essere grato a suo padre che lo aveva protetto, impedendogli di frequentare da bambino una donna sofferente di gravi disturbi psicologici.
Jamey era il risultato di generazioni di persone forti, pragmatiche e ambiziose. Ma più di una volta, guardando le sue figlie gemelle, si era chiesto se una di loro avrebbe presto manifestato gli stessi problemi della nonna paterna. E ogni volta si tranquillizzava pensando che ormai i disturbi mentali venivano riconosciuti e diagnosticati precocemente.
Curati. Non ignorati e nemmeno confusi con altri problemi.
Sua madre era stata semplicemente considerata dotata di un brutto carattere. Imprevedibile, instabile.
Molte persone l’avevano prima amata, poi odiata e abbandonata, esattamente come Hunter.
Ma adesso che conosceva la verità, come figlio provava solo pietà nei confronti di sua madre, della donna che lo aveva abbandonato. Sentiva che, nonostante l’incapacità di prendersi cura di lui, gli aveva voluto bene, come dimostravano le squinternate lettere che gli aveva scritto.
Forse era quella la capacità di perdonare, si disse.
L’abilità di giudicare la realtà in modo più ampio e completo.
Le finestre della fattoria erano quasi tutte illuminate. Una ghirlanda di sempreverdi era appesa alla porta d’ingresso. Amy aveva insistito per decorare anche l’esterno con lampadine colorate rosse e verdi. Gli ci era voluto un intero weekend di lavoro per appendere i fili al patio, al portico e lungo i bordi del tetto, ma adesso la casa risplendeva di luci come un castello di fate, che ogni volta strappava esclamazioni di meraviglia a Jamey e alle gemelle.
Insomma, era valsa la pena di fare tanta fatica per decorare la casa.
La porta d’ingresso si aprì in quel momento e dall’interno della casa giunse l’eco di parole e risate. Le voci di sua moglie e dei suoi figli.
La sua famiglia.
Non era questo che aveva sempre sognato?
Attento a quello che desideri, si ammonì di nuovo con una punta di divertimento.
Quella notte, infatti, lui e Amy avrebbero dormito su un materasso in salotto, davanti al camino, perché avevano ceduto la loro stanza a Dolores e Adam, i genitori di lei, che si stavano ancora riprendendo dagli effetti del cambio di fuso orario e del jet lag.
Nelle altre tre avrebbero dormito i bambini con nonna Elisabeth, Beth e Hunter, John e Cynthia.
Quest’ultima, fedele alla descrizione che gli aveva fatto Amy, si era data subito da fare per riordinare tutti gli armadi della casa, rietichettare le conserve in dispensa secondo peso, genere e data di scadenza. Aveva espresso anche qualche perplessità riguardo al fatto che alcuni abiti dei bambini erano stati piegati e messi nei cassetti senza essere stati inamidati e stirati.
Attualmente Cynthia e Beth stavano coordinando la maggiore operazione gastronomica mai organizzata in quella casa, in previsione del pranzo di Natale del giorno seguente, al quale avrebbero partecipato almeno una ventina di persone.
Con un sospiro Ty rammentò che la sera precedente Dolores e Adam, grafici alla mano, lo avevano coinvolto in una discussione per aumentare i profitti del ranch.
Ad Amy, invece, avevano dato un mucchio di consigli per trasformare Baby Bytes nel portale dell’infanzia più visitato al mondo. Inoltre, non erano riusciti a capire perché Ty studiasse alla sera per ottenere un diploma universitario in lettere online per il semplice gusto di istruirsi, anziché laurearsi in economia per rendere l’Halliday Creek Ranch la tenuta più produttiva della contea.
Dal comportamento di Cynthia e John, Dolores e Adam, Ty aveva dedotto che nessuno dei quattro conosceva il concetto di appagamento. Tantomeno sapevano gustare e godere ciò che la vita aveva già dato loro.
Amy uscì in quel momento sul portico e lo guardò mentre lui si avvicinava alla casa.
Era meno magra di quando si erano conosciuti. Aveva una figura più rotonda e femminile, ancora più seducente. Dopo la nascita delle gemelle i suoi capelli erano diventati misteriosamente meno ricci, e adesso le cadevano in morbide onde sulle spalle. Ma i suoi occhi castano verdi erano rimasti gli stessi, e anche la linea morbida delle sue labbra.
Quattro anni prima, in un crepuscolo d’inverno, senza saperlo lui aveva cavalcato in mezzo alla neve verso la luce che lei aveva acceso in casa.
Una luce che da allora fra loro non si era più spenta.
All’inizio aveva pensato che lui e Amy fossero troppo diversi per essere felici insieme.
Lei era la città, lui la campagna.
Lei era minuta. Lui muscoloso.
Lei era di carattere dolce. Lui aspro.
Lei sapeva tutto di computer e cellulari, lui usava con una certa riluttanza tutto ciò che era tecnologico, come semplici mezzi per raggiungere un fine.
A lui bastava un libro per divertirsi. Lei preferiva un film.
Ma al di là di quelle differenze superficiali, sapeva che avevano della affinità più profonde in comune.
Per prima cosa, entrambi volevano una casa e una famiglia che si voleva bene.
Un sogno al quale per tanto tempo erano stati costretti a rinunciare.
Per quella ragione, quando avevano scoperto di desiderare la stessa cosa, avevano avuto l’impressione che la vita avesse fatto loro il dono più prezioso del mondo e non si erano più lasciati.
Anzi, sembrava quasi che il destino avesse cospirato a loro favore, facendoli incontrare per un errore del navigatore satellitare, indicando ad Amy una strada apparentemente sbagliata.
Una strada che in realtà si era rivelata la migliore di tutte.
Amy scese i gradini del patio e andò incontro al marito. Dopo averlo abbracciato e baciato, accarezzò il bel muso del pony.
«Ciao, Sampson» disse, salutando l’ultimo arrivato nella loro scuderia.
Un piccolo, prezioso momento tutto per loro, un attimo prima che la porta d’ingresso si aprisse di nuovo e Jamey li raggiungesse di corsa, gridando una parola che Ty non era mai stanco di udire.
«Papà!»
Cynthia comparve dietro al nipote, tenendo in braccio Becky, una delle due gemelle, che aveva tutta l’aria di avere appena fatto il bagnetto, a giudicare dal nuovo nastro che aveva fra i ricciolini.
«Un pony? Ma cosa ti è saltato in mente, Ty? Jamey è troppo piccolo per montare a cavallo. È pericoloso!» sentenziò Cynthia.
«Proprio così» convenne Dolores, materializzandosi dietro alla consuocera, con Millie in braccio. La bambina aveva in mano un calcolatore Baby Einstein, che teneva stretto come se fosse il tesoro più prezioso del mondo. «E non riesco a immaginare cosa ti costerà mantenere un pony per dieci anni» aggiunse, scuotendo il capo.
Ty decise di non sprecare fiato a informarla che, con un po’ di fortuna, un pony poteva vivere anche trentacinque anni.
John e Adam sopraggiunsero poco dopo, discutendo dei titoli più quotati in Borsa, senza neppure accorgersi del pony.
Hunter arrivò per ultimo sul patio con la sua sedia a rotelle e non appena vide Sampson si accigliò.
«Un pony! Sono davvero degli strani equini!» esclamò disgustato.
Attento a quello che desideri, ripeté per l’ennesima volta Ty fra sé, rammentando il suo sogno di fare parte di una famiglia numerosa.
Ignorando quei commenti, insegnò a Jamey come usare le staffe, rifiutandosi di aiutarlo a montare in sella, anche se sua nonna Elisabeth, ferma accanto a Hunter, lo implorò di farlo.
«Aiutalo, Ty... È così piccolo. Non ce la fa da solo» disse l’anziana signora Williams.
«La cena è quasi pronta» li avvertì Beth, sopraggiungendo in quel momento. «Qualsiasi cosa stiate facendo, non metteteci troppo... Jamey, cosa fai all’aperto senza cappotto con questo freddo?»
Sì, attento a quello che desideri, si disse Ty, provando una gran voglia di mettersi a ridere.
Jamey, con un’esclamazione di pura felicità, beatamente ignaro del freddo e di essere senza cappotto, riuscì a montare in sella da solo e Ty gli affidò le redini del pony.
«Non lo lascerai cavalcare da solo!» intervenne Cynthia in tono apprensivo.
Fu esattamente quello che Ty gli lasciò fare.
Amy, che un tempo aveva avuto paura dei cavalli, incitò e diede suggerimenti a Jamey su come usare le redini.
Detto questo si strinse a Ty, rannicchiandosi meglio nel suo abbraccio protettivo.
Il pony caracollò per un po’ poi si fermò in mezzo al cortile, nonostante Jamey cercasse in tutti i modi di farlo proseguire.
«Te l’avevo detto...» borbottò Hunter. «I pony sono degli strani equini. Avresti dovuto comprargli un vero cavallo.»
Quel commento, che peraltro era del tutto prevedibile, fece sorridere Ty.
Lui aveva desiderato per anni di avere una famiglia tutta sua.
Be’, adesso ce l’aveva.
E di certo lui non l’avrebbe cambiata con nessun’altra cosa al mondo.