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Alberta, Canada, dicembre

Ty Halliday si sentiva a dir poco esausto. Da ore un turbinio sferzante di ghiaccio e neve gli inzuppava l’impermeabile che indossava, e colava dalla tesa del cappello.

Il cavallo scartò bruscamente, stanco tanto quanto l’uomo che lo montava, mentre la luce del giorno calava rapidamente.

Ma nonostante il disagio, Ty non poté fare a meno di provare una certa soddisfazione.

Era riuscito a radunare l’intera mandria. I tre bovini che procedevano lentamente davanti a lui erano gli ultimi fuggiaschi.

Erano trascorse quasi dodici ore da quando aveva trovato il recinto sfondato e le tracce del puma, e si riteneva fortunato a essere riuscito a recuperare tutti i capi del suo bestiame.

In distanza Ty intravide le luci accese della ranch house che brillavano nella semioscurità.

Strinse la mascella, pensando che non vedeva l’ora di fare una doccia calda, consumare una cena abbondante e infilarsi sotto le coperte.

Mezz’ora più tardi, dopo avere strigliato a dovere Ben, Ty uscì dalla scuderia e imboccò il sentiero che dal fienile portava verso la nuova ranch house.

La casa veniva chiamata così dai suoi dipendenti perché era stata ristrutturata recentemente. Suo padre, infatti, aveva costruito quella casa per Ruth Anne, la sua prima moglie, venticinque anni prima della sua nascita, unico figlio che aveva avuto dalla seconda, Millicent Williams.

Ty fece per aprire la porta, ma si bloccò udendo uno strano suono proveniente dall’interno.

Che diamine...

Silenzio.

Ascoltò con maggiore attenzione, ma adesso si udiva soltanto il vento gelido di dicembre che fischiava intorno alla casa.

Fu solo in quel momento che ricordò di avere visto da lontano le luci accese all’interno. Viveva da solo ed era sicuro di averle spente quando era uscito prima dell’alba.

Il suono si ripeté e Ty si irrigidì, nonostante non si trattasse di qualcosa di minaccioso, ma di allegro e felice. Cartoni animati? Strano, lui non aveva un televisore e nemmeno un computer. Aveva lasciato la radio accesa?

Mentalmente scartò anche quella possibilità.

No, non aveva acceso la radio quella mattina. Era stato un coro di muggiti spaventati a svegliarlo, avvertendolo che c’era qualcosa che non andava. Si era alzato e vestito in fretta ed era uscito subito di casa.

C’era solo qualcosa, o meglio qualcuno, che poteva produrre un suono del genere.

E non c’era alcuna probabilità che provenisse dall’interno della sua abitazione, concluse. Probabilmente era così stanco che aveva delle allucinazioni acustiche.

Un attimo dopo, però, il suono si ripeté. Più forte.

Al punto che adesso Ty non aveva più dubbi.

In casa c’era un bambino.

A quanto pareva qualcuno aveva approfittato della sua assenza per rifugiarsi lì.

Automaticamente lanciò un’occhiata alla prateria coperta di neve che si estendeva fino alla foresta di abeti, nel grandioso scenario delle Montagne Rocciose. La bellezza incontaminata di quella zona del Canada non significava che non esistessero pericoli, come provava l’incursione del puma quella notte.

Anche se smarrirsi in mezzo a una bufera di neve poteva essere ancora più pericoloso che l’incontro con un vecchio leone di montagna.

Il suono di un’altra risata infantile si udì di nuovo provenire dall’interno della casa.

Un bambino?

Ty si accigliò, pensando che avrebbe preferito un altro incontro ravvicinato con il puma piuttosto che quell’inaspettata presenza in casa sua.

Lanciò un’occhiata in direzione del viale d’accesso del ranch e a quel punto notò un’auto posteggiata vicino alla rimessa.

La classica utilitaria di città, ovvero un tipo di veicolo che nessuno con un po’ di buonsenso avrebbe acquistato da quelle parti, pensò Ty avvicinandosi per osservarla con attenzione.

No, gli abitanti di quella valle preferivano jeep a quattro ruote motrici, fuoristrada o furgoni diesel ai quali potevano attaccare i traini per i cavalli e percorrere sentieri sterrati in qualsiasi condizione atmosferica. Tutti veicoli robusti, il più delle volte sporchi di fango e non certo belli da vedere.

Nessuna delle sue conoscenze guidava un’auto come quella... Piccola, di un rosso acceso che gli ricordava vagamente le coccinelle, assurdamente bassa rispetto al terreno.

Come aveva immaginato, fissato al sedile posteriore c’era un sedile di sicurezza per bambini, la fodera stampata con buffi cani e gatti.

Ty posò la mano sul cofano dell’auto.

Freddo.

Questo significava che quella macchina doveva essere arrivata da ore.

Controllò la targa. Canadese dell’Alberta. Applicato al parabrezza c’era un adesivo per i parcheggi di Calgary, il capoluogo di provincia a un paio d’ore di distanza da lì, tempo permettendo.

Cercò di aprire la portiera per controllare i documenti ma era chiusa a chiave.

In altre circostanze si sarebbe messo a ridere.

Nessuno chiudeva a chiave l’auto in quella zona così scarsamente popolata. Chiunque avesse avuto l’idea malsana di rubare un veicolo di qualsiasi genere, sarebbe stato facilmente rintracciato.

Si voltò per tornare verso casa e per la seconda volta nel giro di pochi minuti si fermò, sorpreso.

Dalla finestra del salotto si intravedeva... un albero di Natale! Con tanto di luci colorate e intermittenti che coloravano allegramente la porzione di neve esterna.

Provando uno strano senso di estraneità, Ty si guardò intorno, per convincersi che quella fosse davvero casa sua o se per caso non avesse sbagliato indirizzo a causa della neve e della stanchezza.

Di una cosa era certo: non possedeva un albero di Natale.

Non ce n’era mai stato uno da quando abitava lì e, complice la stanchezza, un’assurda speranza gli attraversò la mente. La stessa che per anni aveva nutrito da bambino.

Forse sua madre era tornata a casa.

Un attimo dopo represse quel pensiero, irritato dal fatto che fosse affiorato nonostante tutte le barriere mentali che aveva costruito nel tempo. Nostalgie del genere erano comprensibili in un bambino, non in un adulto razionale. Inoltre, grazie a suo padre, non c’era nessuna possibilità che quel desiderio si realizzasse.

Non era stato proprio Hunter anni prima a informarlo che sua madre non faceva più parte del mondo dei vivi?

Il fatto che l’auto posteggiata nel cortile, la presenza di un bambino in casa sua e l’albero di Natale posizionato vicino alla finestra gli avesse suscitato emozioni che preferiva tenere ben chiuse in un angolo recondito della mente, non fece altro che aumentare l’irritazione che provava.

Per abitudine, si diresse verso la porta di servizio. Da quelle parti, infatti, l’ingresso principale veniva utilizzato con minore frequenza. L’entrata posteriore era più comoda per sbarazzarsi di stivali infangati, abiti e cappelli inzuppati di pioggia, speroni e guanti.

A passo rapido salì i pochi gradini, nervoso come al tempo in cui aveva gareggiato nei rodei, un attimo prima che il cancello di legno si aprisse e iniziasse il terrificante volteggio in groppa al toro.

Ty posò la mano sulla maniglia ma con sua sorpresa la porta non si aprì.

Era chiusa a chiave!

Okay, forse qualcuno dei suoi amici o vicini di casa aveva deciso di fargli uno scherzo. In effetti una casa come la sua, isolata, e dalla quale si poteva entrare e uscire come il vento, invitava a qualche tiro mancino. Gli abitanti della valle erano una comunità piccola ma molto unita, e nessuno disdegnava qualche risata ogni tanto.

Tornando a casa una sera, Melvin Harris si era ritrovato un asino in salotto. E quando Paul Cranston e Cathy Lambert si erano sposati, gli amici avevano riempito di coriandoli bianchi tutti i cassetti della loro casa.

Erano sposati da sei anni ormai, ma Cathy giurava che a volte ne trovava ancora qualcuno qua e là.

Ty si chinò e da sotto lo zerbino prese la chiave con la quale di solito chiudeva la porta quando si allontanava più giorni dal ranch. La girò nella serratura e quando entrò, quello che lui considerava semplicemente un luogo dove dormire e mangiare, per la prima volta gli sembrò davvero una casa.

Per prima cosa, vi aleggiava un aroma stupendo. O così almeno gli parve, affamato com’era.

Secondo, le voci. Quella di un bambino piccolo che giocava allegramente e una femminile che cantava sottovoce, ripetendo le parole di una vecchia canzone alla radio.

Ty posò le briglie, si tolse stivali, cappello e l’impermeabile che grondava acqua e li appese nel locale lavanderia. Poi respirò a fondo, e come un gladiatore scalzo e stanco si preparò ad affrontare l’ignoto.

Quando entrò in salotto vide un trottolino di circa un anno, con deliziosi riccioli rosso scuro, seduto sul tappeto. Un maschietto, a giudicare dai modellini di auto e camion dei pompieri con cui stava giocando.

Il piccolo lo guardò con i suoi grandi occhi castani, e invece di spaventarsi per l’arrivo di quello sconosciuto sorrise.

«Papà!» esclamò.

Ty imprecò sottovoce.

Una reazione decisamente sconveniente in presenza di un bambino.

O di una donna.

Quella che in quel momento comparve sulla soglia della cucina, probabilmente richiamata dal grido del bambino. Anche lei aveva grandi occhi castani, che alla vista di Ty assunsero immediatamente un’espressione spaventata.

Spaventata? Perché mai? Quella era casa sua, e l’intrusa era lei!, pensò Ty.

Comunque sia, era davvero carina, aggiunse un attimo dopo fra sé, osservando quell’ospite inaspettata.

Lunghi riccioli biondo miele, bel viso dai lineamenti delicati, con una deliziosa spruzzata di lentiggini sul naso. A una prima occhiata gli sembrò che fosse un po’ troppo magra, ma poi si rese conto che le curve erano dissimulate sotto una camicia scozzese e un maglione molto grande.

Era senza trucco, ma era una di quelle donne che non aveva bisogno di alcun artificio per apparire bella.

«Chi sei?» gli domandò la sconosciuta, con una certa apprensione.

Di più. Era a dir poco spaventata.

Ty lo dedusse dalla sua espressione colma di panico e da una vena del collo che le pulsava freneticamente.

«Potrei farti la stessa domanda» replicò Ty, senza nascondere l’irritazione che provava.

Come risposta, lei afferrò la grossa lampada che c’era su un tavolino e la brandì minacciosamente come una mazza da baseball.

«Che diamine hai intenzione di fare?» le domandò freddamente.

«Se tu ti azzardi a toccare me o mio figlio, lo scoprirai subito!» tuonò lei.

Quella vecchia lampada era un’eredità di famiglia, era stata ricavata dal corno di un alce. Era voluminosa e pesante, al punto che lei faceva chiaramente fatica a reggerla.

«Ti assicuro che mi spaventa di più il bambino che quella lampada» le rispose, brusco. «Soprattutto il fatto che mi abbia chiamato papà.»

«Come hai fatto a entrare in casa mia? Avevo chiuso la porta a chiave» replicò lei a quel punto senza abbassare la lampada.

«Ho usato la chiave, naturalmente. Sono Ty Halliday e si dà il caso che questa sia casa mia

La lampada oscillò leggermente mentre lei assumeva un’aria perplessa. Un attimo dopo, però, assunse di nuovo la posizione di battaglia.

«Ti consiglio di posare quella cosa» le suggerì. «È piuttosto pesante e ti tremano le braccia. Inoltre sappiamo tutti e due che se solo lo volessi potrei togliertela di mano senza alcun problema.»

«Provaci!» lo sfidò lei.

Ty fece per rispondere ma sentì qualcosa tirargli l’orlo dei pantaloni. Abbassò lo sguardo e vide che il bambino aveva gattonato fin lì e adesso stava cercando di usare la sua gamba per mettersi in piedi.

«Papà!» ripeté.

«Non provare a toccarlo!» lo avvertì la donna.

«Credimi, non ho alcuna intenzione di fargli del male...» borbottò lui.

Con un movimento rapido, lei posò la lampada, poi attraversò la stanza e prese il piccolo in braccio. A quel punto fece un passo indietro, fissando l’uomo che aveva di fronte con un misto di timore e sospetto.

«Scusa se insisto, ma sei tu l’intrusa» mormorò Ty. «Questa è casa mia. Ho passato tutta la giornata al freddo e al gelo, sono stanco morto e non vedo l’ora di mangiare qualcosa e andare a dormire.»

Apparentemente, il fatto che sembrava più ansioso di sbarazzarsi di lei che di attentare all’incolumità sua e del bambino, sembrò rassicurarla.

«Se è davvero casa tua, cosa c’è nel primo cassetto della credenza in cucina?» gli chiese per metterlo alla prova.

«Cucchiai, coltelli e forchette» rispose Ty.

«Questi si trovano nel primo cassetto di ogni cucina» obiettò la sua ospite.

«Sei stata tu a farmi questa domanda» le fece osservare lui.

«Okay, nel secondo, allora.»

Ty contò fino a dieci, sforzandosi di non perdere la pazienza.

«Strofinacci... E un guanto da forno rosso con la stoffa un po’ bruciata. Nel terzo cassetto, schiacciapatate, mestolo da minestra e pestacarne.»

Lei rimase un istante in silenzio. «Oh, santo cielo» mormorò infine, guardandolo con espressione smarrita.

«Da quanto tempo hai invaso casa mia? Da parecchie ore, a giudicare dal fatto che conosci anche il contenuto dei miei cassetti» commentò Ty.

«In effetti sono arrivata stamattina» lo informò lei in tono colpevole.

«Per caso hai ispezionato anche la mia stanza?»

A quella domanda l’imbarazzo di lei si accentuò. Prima arrossì poi impallidì visibilmente.

«Non svenire» le intimò Ty. «Non vorrei essere costretto a prendere in braccio il bambino.»

Quelle parole sembrano sortire il loro effetto.

«Non sto affatto per svenire! Per chi mi hai presa? Per una donna dell’Ottocento?» insorse la sconosciuta.

«A dire il vero, mi sembri proprio una di quelle che legge Jane Eyre prima di dormire... Il tipo che si smarrisce in campagna cercando lavoro come governante» ritorse lui con ironia, usando deliberatamente quella tattica per costringerla a reagire.

«Tu, invece, non hai affatto l’aria di chi conosce quel genere di romanzi.»

«Già, siamo un po’ primitivi da queste parti... Sappiamo appena leggere e scrivere e quando lo facciamo usiamo tavola di pietra e scalpello.»

«Scusa, non volevo offenderti» rimediò lei in fretta. «Comunque sia, non sono il tipo che sviene per così poco.»

«Mi fa piacere saperlo. Io, invece, non sono il tipo che si offende tanto facilmente. Per farlo ci vuole molto di più che insinuare che sono un ignorante in letteratura inglese» replicò Ty. «Adesso ti dispiacerebbe dirmi che ci fai a casa mia?»

«Questa non è l’abitazione dei coniugi McFinley?»

«No.»

«Ma tu conosci i McFinley, vero?» insistette lei. «Ho accettato di badare alla loro casa per sei mesi, mentre loro sono in Australia da parenti. Sono partiti alcuni giorni prima del mio arrivo e...»

«Mi spiace, non conosco nessuno con questo nome che abiti nella valle» la interruppe Ty, con l’orribile presentimento che lei stesse per scoppiare a piangere. Un conto era affrontare una puledra nervosa, una donna in lacrime era tutta un’altra cosa.

Il bambino sembrò intuire che c’era qualcosa che non andava perché di colpo divenne silenzioso. Guardò sua madre, con espressione allarmata.

Una mossa sbagliata e sarebbero scoppiati tutti e due a piangere, previde Ty.

Mentalmente, passò in rassegna il calendario. Mancavano sei giorni a Natale. Cosa poteva spingere una donna con un bambino di pochi mesi in quella zona remota e selvaggia dell’Alberta a meno di una settimana dalla festa più tradizionale dell’anno?

Da che cosa o da chi stava fuggendo?

Comunque fosse, non erano affari suoi, concluse.

«Mona e Ron McFinley» insistette lei.

Ty scosse il capo.

«Ho capito... Non li hai mai sentiti nominare» si arrese la bionda. Lo guardò di nuovo, imbarazzata poi gli tese la mano. «Amy Mitchell» si presentò.

«Piacere di conoscerti» rispose Ty. Ricambiò la stretta, notando che lei non portava alcuna fede nuziale all’anulare. Un attimo dopo si accorse anche che gli occhi di lei non erano scuri come gli erano sembrati guardandola a una certa distanza, ma castano verdi.

«Papà» disse di nuovo il bambino, allungandosi dalle braccia di sua madre verso di lui.

Ty fece un passo indietro, per evitare che il piccolo venisse a contatto con la giacca umida che indossava.

«Non riesco a credere di avere sbagliato indirizzo... In auto ho il navigatore satellitare» mormorò Amy.

Ty scosse di nuovo il capo. La fiducia che la gente di città nutriva per quegli aggeggi non finiva mai di sorprenderlo. Ma temendo che lei fosse ancora sull’orlo delle lacrime, scartò una risposta pungente.

«Non sei la prima da queste parti che finisce nei guai nonostante il GPS» le disse.

«Davvero?» ribatté lei, chiaramente sollevata dal fatto di non essere un caso isolato.

«Proprio così. L’anno scorso uno dei miei vicini soccorse un’anziana coppia che seguendo le indicazioni del navigatore satellitare era rimasta intrappolata nella neve a George’s Pass. Ne parlarono anche alla radio.»

A quelle parole la vide accigliarsi e Ty immaginò stesse pensando a cosa sarebbe potuto succedere a lei e al bambino se, seguendo le indicazioni del navigatore satellitare, anziché al ranch, fosse finita nel bel mezzo del nulla con un simile maltempo.

Senza fare altri commenti, Amy posò di nuovo suo figlio sul tappeto poi cominciò a raccogliere i giocattoli e a sistemarli in una borsa.

«Credimi, sono davvero spiacente di avere invaso la tua privacy. Me ne vado subito. Ti lascio le provviste. È il minimo che possa fare per farmi perdonare.»

«Le provviste?»

«Sì, prima di venire qui ho fatto la spesa, perché il centro abitato è a una certa distanza.»

«Porta via pure tutto.»

«No, mi fa piacere... Inoltre avevi il frigo vuoto. Questo è uno dei motivi per cui ero convinta di essere arrivata all’indirizzo giusto. Frigo vuoto, niente albero di Natale, niente calze sul pavimento.»

Era stata in camera sua, dedusse Ty.

«Voglio dire, tutti indizi che i proprietari avessero lasciato la casa da qualche giorno» proseguì Amy.

«Non ho bisogno delle tue provviste» tagliò corto lui, in tono più brusco di quanto avesse inteso. Era a dir poco affamato e qualunque cosa lei avesse in messo in frigo sarebbe stato di sicuro meglio dello stufato in scatola con il quale aveva avuto intenzione di cenare prima di andare a dormire.

E così, a detta di Amy Mitchell, la sua casa aveva un’aria abbandonata e poco accogliente...

E con questo? Era solida, ben riscaldata, tutto funzionava a dovere, perfetta per riposarsi dopo una lunga e faticosa giornata di lavoro.

A lui non serviva niente di più.

O almeno, questo era quello che aveva pensato per molto tempo.

Ma la presenza di Amy e del bambino gli stava suscitando emozioni che preferiva non analizzare.

Gli aveva rammentato di colpo che c’erano molte cose che mancavano nella sua vita.

Soprattutto affetti.

Un rimpianto che aveva imparato a nascondere nel più profondo del cuore.

«Avevo iniziato a disfare le valigie... Ho messo alcune cose nella camera degli ospiti» aggiunse Amy, finendo di raccogliere i giocattoli.

Dunque lei era stata anche in camera sua, proprio come aveva immaginato, dedusse Ty.

Privato dei giocattoli, il bambino si sdraiò sul tappeto poi cominciò a gattonare con decisione verso Ty.

Lui arretrò di qualche passo, ma il piccolo continuò a puntare nella sua direzione, come un missile verso il bersaglio programmato.

«Papà!» esclamò.

«Dov’è il padre di tuo figlio? È da lui che stai fuggendo?» domandò Ty, arretrando di nuovo per evitare che il bambino lo raggiungesse.