2

«Quello si chiama Texas Two Step» disse Amy con una nota di divertimento nella voce, notando la specie di balletto che Ty Halliday stava facendo per evitare Jamey gli si avvicinasse.

«Non hai risposto alla mia domanda» osservò Ty.

«Cosa ti fa pensare che io stia fuggendo da qualcosa o qualcuno?» ribatté lei, per nulla ansiosa di discutere di quell’argomento. «A dire il vero, in questo momento mi sembri tu quello che sta fuggendo» aggiunse con una risatina.

«Non sto fuggendo... Chiama tuo figlio da te.»

«Piuttosto, perché non ti fermi e non lo prendi in braccio? Probabilmente pensa che sia un gioco.»

«Poco fa minacciavi di tirarmi la lampada in testa se solo avessi osato sfiorare tuo figlio» le rammentò. «E adesso invece vuoi che lo prenda in braccio?»

«Questo perché credevo tu fossi un intruso» gli spiegò. «Adesso che ho scoperto che l’intrusa sono io, non ho nulla in contrario se prendi in braccio il piccolo e lo coccoli un po’.»

«Coccolarlo?»

Amy abbozzò un sorriso, notando l’espressione allarmata di lui.

«È un bambino di quasi un anno, non un serpente a sonagli. Ti assicuro che non morde» gli garantì.

«Lo so, ma...»

«Cos’è che ti preoccupa? Consideri una cosa poco virile dimostrare un minimo di tenerezza?»

«Niente affatto.»

«E allora di cosa si tratta?»

«Ho la giacca umida e i pantaloni macchiati di fango» rimediò Ty.

«Hai paura» tradusse Amy.

Lui la guardò un istante e infine sospirò.

«Sono terrorizzato» ammise.

Per qualche oscura ragione, quell’ammissione sincera la mise di buonumore. Forse perché era a dir poco assurdo che quell’uomo dall’aria forte e virile si sentisse imbarazzato all’idea di dimostrarsi tenero con un bambino di pochi mesi.

A proposito, davvero uno splendido esemplare maschile, pensò Amy, valutandolo un istante con lo sguardo. Alto, capelli castano chiaro, occhi blu, Ty Halliday aveva il fisico asciutto e muscoloso di chi conduceva una vita molto attiva all’aperto, in qualunque situazione atmosferica. Un particolare testimoniato dagli abiti umidi e macchiati che indossava.

«Se lo prendi in braccio, smetterà di darti la caccia» gli suggerì con una punta di divertimento. «A proposito, si chiama Jamey, con la Y finale.»

«La Y è un particolare importante?»

«Molto importante» annuì lei. Era il risultato di una delle poche occasioni in cui era riuscita a tener testa a suo marito e ai suoceri. Loro avevano desiderato che il bambino si chiamasse James. A lei non piaceva e aveva proposto Jamey come compromesso. Alla fine erano stati costretti ad accettare.

«Coraggio, prendilo in braccio» lo incitò.

Ty valutò un istante quella possibilità. Jamey ne approfittò per afferrargli l’orlo dei pantaloni.

«Papà!» esclamò, trionfante.

«Posso sapere perché diamine pensa che io sia suo padre?» domandò Ty. «Gli assomiglio, per caso?»

Amy scosse il capo. «Chiama così tutti gli uomini.»

«Perché? Dov’è suo padre?»

Lei si guardò intorno e non rispose.

«Stai fuggendo da tuo marito? Ti ha fatto qualche torto grave?» insistette lui.

Dal tono severo di quella domanda, Amy intuì che Ty Halliday apparteneva a quella categoria di uomini che avevano un preciso codice di valori, molto protettivi nei confronti delle donne e dei bambini.

Una mentalità vecchio stile che trovava estremamente rassicurante.

«Cosa ti fa pensare che stia fuggendo da qualcuno?» ribatté, pur sapendo che in parte era la verità.

«Ammetterai che una donna sola con un bambino di pochi mesi che vaga in una zona selvaggia a meno di una settimana dal Natale suscita qualche perplessità.»

«Semplice coincidenza. I McFinley ci tenevano a essere in Australia per Natale.»

Lui non sembrò affatto convinto da quella spiegazione ma non fece commenti.

«Dov’è il padre del bambino?» domandò, accennando a Jamey. Si chinò verso il piccolo e gli accarezzò i ricciolini con inaspettata tenerezza.

«Sono vedova» rispose Amy in tono piatto. «Lo scorso marzo mio marito è rimasto vittima di un incidente, tre mesi dopo la nascita di Jamey.»

L’espressione degli occhi blu di Ty si addolcì e Amy ebbe la sensazione che in un certo senso comprendesse il senso di vuoto che provava.

Forse perché, a giudicare dalla sua casa, anche Ty Halliday doveva essere un uomo molto solo. Insofferente a qualunque tipo di legame. Non c’era alcun tocco femminile nei vari ambienti. Nessuna fotografia in salotto, nessun ritratto di famiglia. Nessun anello o fede nuziale all’anulare di lui.

Al punto che quando era entrata in quella casa aveva pensato che i McFinley avessero portato con sé buona parte dei loro oggetti personali per non provare alcuna nostalgia del loro ambiente domestico.

Restava il fatto che la porta non chiusa a chiave avrebbe dovuto insospettirla. Come pure la mancanza di tende, tappeti e cuscini in salotto. O l’armadio che conteneva solo abiti maschili da lavoro.

«A volte la vita è molto sleale nei nostri confronti» commentò Ty gentilmente.

«Ho smesso di aspettarmi qualcosa di buono dalla vita molto tempo fa» replicò Amy.

«Non è vero.»

«Che vuoi dire?»

«Semplicemente che sei molto diversa da me.»

«E tu che tipo sei?»

«Cinico e spassionato.»

«Anch’io sono come te.»

Lui scosse il capo, abbozzando un sorriso. «Vorresti esserlo, ma non è affatto così.»

«Come fai a dirlo? Non mi conosci affatto» ritorse Amy, incrociando le braccia.

Non era più la ragazza romantica e ingenua che aveva sognato il grande amore per vivere per sempre felici e contenti.

Era cambiata profondamente.

Adesso ciò che le stava più a cuore era la propria indipendenza. Non voleva più far conto su nessuno per garantire benessere a se stessa e al proprio bambino.

Accettare di custodire la casa dei McFinley, allontanarsi dal luogo in cui era nata e cresciuta, espandere la Baby Bytes, la sua piccola impresa commerciale online, facevano tutti parte dei suoi progetti per il futuro. E non sopportava l’idea che il primo giorno della sua nuova vita si stesse rivelando un vero e proprio fiasco.

Ma questo, grazie al cielo, Ty Halliday non lo sapeva. Non appena aveva messo piede in quella casa, la prima cosa che aveva fatto era stato telefonare ai suoi suoceri per avvertirli che era arrivata a destinazione sana e salva.

Sua suocera non aveva nascosto comunque la sua disapprovazione per quello che considerava un vero e proprio colpo di testa.

Per l’amor del cielo, Amy, lascia perdere queste sciocchezze. Io e John siamo più che lieti di prenderci cura di te e di Jamey...

Più che lieti di controllare e criticare ogni sua iniziativa, proprio come avevano fatto con il proprio figlio. Felici di mantenerla in uno stato di dipendenza da loro, concluse fra sé con un brivido. Al punto che di sicuro sarebbero stati contenti di sapere in quale guaio si trovava adesso.

Naturalmente si sarebbe ben guardata dal rivelarglielo. Con un pizzico di fortuna, quella sera stessa sarebbe giunta finalmente a destinazione, e non sarebbe stata costretta ad ascoltare le critiche o il biasimo di chicchessia.

«Piuttosto, prima che mi dimentichi... Ti devo i soldi per una telefonata. Forse per via del maltempo stamattina il mio cellulare non funzionava» gli spiegò.

«Se tu fossi davvero cinica e spassionata, non ti offriresti di rimborsarmi una telefonata o di lasciarmi la spesa in frigo» osservò Ty. «Men che meno ti saresti presa il disturbo di fare come prima cosa l’albero di Natale.»

«Io...»

«A proposito, mi chiedo dove tu lo abbia trovato. Di sicuro non lo hai comprato prima di arrivare qui. È troppo grande per starci nel bagagliaio di quella scatoletta di metallo della tua auto.»

La scatoletta di metallo era il primo acquisto di una certa importanza che aveva fatto con i suoi guadagni. Sua suocera, all’oscuro del fatto che la Baby Nap si era offerta come sponsor del suo sito web, non aveva perso l’occasione per dirle che acquistando un’auto nuova non aveva dimostrato di sapere amministrare il denaro in modo saggio.

«Preferisco definirla un’utilitaria sportiva» insorse, brusca. Quell’auto era il simbolo della sua nuova vita indipendente!

«Cioè scomoda e poco spaziosa» precisò Ty. «Mettila come vuoi, ma un albero di Natale non ci sta in quel bagagliaio.»

«L’albero l’ho trovato in cantina.»

«Nella mia cantina?» le domandò, sorpreso.

«Proprio così. Comprese le luci intermittenti.»

«Ti assicuro che non sapevo di possedere un albero di Natale sintetico... Chi mai può averne comprato uno dove ci sono centinaia di abeti a poca distanza da casa?» replicò lui, incredulo.

«Vuoi dire che di solito usi un abete vero come albero di Natale?»

«Non ricordo di avere mai visto un albero di Natale in questa casa.»

«Davvero? Ma perché?» gli domandò lei, alquanto stupita da quella rivelazione.

«Vuoi farmi credere di essere cinica e non riesci nemmeno a immaginare un mondo senza alberi di Natale e biscotti allo zenzero?»

«È per ragioni religiose?» domandò Amy, ignorando l’ironia di lui. Forse i genitori di Ty Halliday non erano cristiani e...

«La religione non c’entra nulla» tagliò corto lui.

«E allora perché?» insistette. «Non riesco a credere che da bambino tu non abbia mai avuto un albero di Natale.»

«È presto detto. Mia madre se ne andò quando io avevo più o meno l’età di Jamey e mio padre, con un ranch da mandare avanti e un figlio da crescere, non aveva molti motivi per festeggiare. Qualcuno dei nostri vicini ci invitava a pranzo e tutto finiva lì.»

«Tua madre ti ha abbandonato?» mormorò Amy, con una stretta al cuore. Solo la morte avrebbe potuto costringerla a separarsi da suo figlio e non riusciva a immaginare come una donna potesse arrivare a prendere una decisione simile.

«Non sei l’unica con la quale la vita è stata sleale» rispose Ty alzando le spalle. Si raddrizzò e dopo essersi liberato dalla presa di Jamey, si avvicinò a una delle scatole di cartone dentro le quali lei aveva trovato le decorazioni. Rovistò fra il contenuto ed estrasse prima un puntale a forma di stella e infine un pacco di lettere ingiallite dal tempo, legate fra loro da un nastro blu. Un attimo dopo imprecò sottovoce, con espressione addolorata.

Amy si irrigidì, trattenendo il respiro.

«Scusa» disse lui, passandosi una mano sulla fronte.

«Qualcosa non va?» gli domandò.

«E me lo chiedi?» replicò Ty, infilando in fretta le lettere nella tasca della giacca. «Dopo dodici ore a cavallo in mezzo alla neve arrivo a casa e trovo un’estranea che vuole tirarmi una lampada in testa e un bambino che mi chiama papà.»

«Mi spiace...» mormorò Amy in tono contrito. «Me ne vado subito» aggiunse, desiderando esattamente il contrario.

C’era qualcosa in lui, infatti, un senso di solitudine così profonda, che le arrivava dritto al cuore. Qualcosa che le faceva desiderare di prenderlo per mano e invitarlo a confidarsi con lei.

Ma se Ty lo avesse fatto, intuiva che qualcosa sarebbe cambiato per sempre fra loro.

Tanto per cominciare, i suoi progetti per una nuova vita.

In ogni caso, guardandolo negli occhi, si rese conto che non c’era alcun rischio che Ty Halliday le facesse delle confidenze.

Era un uomo abituato a tenere tutto dentro di sé.

Non faceva conto su nessuno.

Non si fidava degli altri.

Forte, indipendente, abituato a bastare a se stesso nell’ambiente ostile di quella zona remota e selvaggia del Canada.

Era solo al mondo e la cosa non sembrava preoccuparlo minimamente.

Suo malgrado, quel suo modo di essere la affascinava e quindi avrebbe fatto meglio ad andarsene alla svelta. Senza fare ulteriori indagini sulla vita privata di Ty Halliday.

«Toglitelo dalla testa» rispose lui, dando un’occhiata fuori dalla finestra.

«Che vuoi dire?»

«Vieni a vedere» la invitò.

Amy si avvicinò e alla luce del crepuscolo vide che una coltre di neve spessa come panna montata aveva ormai coperto ogni cosa. Era impossibile persino distinguere il sentiero in terra battuta che dalla casa portava al cancello d’ingresso del ranch.

«Non puoi andare da nessuna parte stasera.»

«Da nessuna parte» ripeté lei meccanicamente. Poteva darsi, ma doveva farlo in ogni caso.

Aveva abusato già fin troppo dell’ospitalità di Ty. Doveva trovare il ranch dei McFinley e stabilirvisi, come avevano concordato.

Inoltre, l’urgenza di andarsene si era intensificata nell’istante stesso in cui Ty le aveva detto che non poteva farlo.

Se c’era una cosa che detestava era che qualcuno prendesse delle decisioni al suo posto o le dicesse come comportarsi, che la trattasse come un’inferiore anziché come suo pari.

E questo doveva subito metterlo in chiaro anche Ty Halliday. Non aveva alcun diritto di dirle cosa fare o non fare.

«Devo andare. Ho dato la mia parola ai McFinley.»

«Se abitano in questa contea, sanno bene che da queste parti d’inverno la neve impedisce spesso alle automobili di circolare» osservò Ty. «Qui non siamo in città. Non puoi uscire in mezzo a una bufera di neve per andare a fare la spesa come se niente fosse. È molto pericoloso. Potresti finire in un burrone per via del ghiaccio e del vento, perderti di nuovo o finire la benzina e rischiare l’assideramento.»

«Me la cavo bene al volante. Sono abituata a guidare con la neve.»

«In città» puntualizzò lui. «Ma non in una zona selvaggia come questa. Mi auguro che tu non voglia esporre tuo figlio ai rischi che ti ho appena elencato.»

«Probabilmente hai esagerato.»

«Perché dovrei?»

Già, perché?, si chiese Amy. Ty non aveva fatto mistero del fatto che lei e il bambino non erano ospiti graditi e che quindi si sarebbe sbarazzato volentieri di loro. Considerato questo, lui non stava affatto cercando di imporle qualcosa, ma solo dando dei consigli pratici.

Consigli che il buonsenso e la prudenza le suggerivano di ascoltare.

«I pellerossa hanno vissuto per secoli prima di noi in questi territori» proseguì lui. «Quando arrivava una bufera di neve, cercavano un rifugio e ci restavano fino a quando non fosse finita. Avevano capito che quello era l’unico modo per sopravvivere. Non pensavano al fatto che qualcuno li stesse aspettando o che avevano qualcosa di urgente da fare. Vivevano l’attimo presente con realismo.»

Amy riconobbe fra sé la bontà di quel ragionamento. Quella era la classica situazione che avrebbe fatto perdere la pazienza a Edwin, il suo defunto marito. O ai suoi suoceri.

Voli cancellati.

Cena in ritardo.

Piani per la serata o per la settimana rimandati a tempo indeterminato.

Questa però era la sua nuova vita, si disse. Se si fosse limitata ad applicare le vecchie regole, se si fosse attenuta rigidamente ai suoi piani, sarebbe riuscita soltanto a dimostrare di non essere riuscita ancora a sganciarsi dalla mentalità ristretta che aveva dominato finora la sua vita.

Lei, invece, aveva deciso di adottare una mentalità più elastica, di trarre il meglio da ogni situazione. Adesso aveva l’occasione di farlo e quindi perché esitare? Improvvisamente si rese conto che la prospettiva di avventurarsi chissà dove in mezzo a una bufera di neve non la attirava affatto. Ty aveva ragione. Era molto pericoloso e lei aveva il dovere di pensare per prima cosa al benessere e all’incolumità di Jamey. Per quella ragione, sentì sbollire di colpo il senso di ribellione che aveva provato poco prima.

Lanciò un’occhiata a Ty, fermo vicino alla finestra, il bel viso virile dall’espressione riservata, e pensò che non le era mai capitato di incontrare qualcuno che fosse più solo di lui.

In qualsiasi altra stagione dell’anno forse le avrebbe fatto meno effetto, ma in quel periodo prenatalizio...

Possibile che lui non avesse mai avuto un albero di Natale? Nemmeno da bambino?

Quel pensiero le parve insopportabile e le provocò di nuovo una stretta al cuore.

E se avesse approfittato di quell’occasione per rimediare? Se fosse rimasta poteva fare dei dolci per decorare l’albero o fare a Ty un regalo per Natale, con la scusa di ringraziarlo per l’ospitalità...

Quando quella mattina era partita da Calgary, non era fuggita da qualcosa, come lui aveva sospettato.

No, a dire il vero aveva sperato di essere in viaggio verso qualcosa, di scoprire finalmente se stessa, la vita che voleva per lei e suo figlio.

Ma l’ultima cosa che desiderava era concentrarsi egoisticamente su se stessa al punto da non accorgersi della solitudine di un altro essere umano.

«Okay» si arrese. «Resterò qui... ma solo per stanotte» stabilì.

«Vedremo» si limitò a rispondere lui, dimostrando di non avere alcuna fiducia in un miglioramento delle condizioni atmosferiche a breve scadenza.

Il vento fischiava intorno alla casa e la neve turbinava come impazzita alla fioca luce che filtrava dalle finestre, quasi a ricordarle che c’erano cose che sfuggivano al controllo umano, concluse Amy.

Lanciò un’occhiata a Ty e dalla sua espressione si rese conto di quanto fosse stanco.

«Sarà meglio che ti togli quella giacca umida per evitare di prenderti un raffreddore.»

Lui sembrò divertito dal fatto che una perfetta estranea si preoccupasse del suo benessere.

«Sono abituato a lavorare in qualsiasi condizione di tempo» rispose. «E poi fino a un paio di ore fa era solo una nevicata, non una bufera.»

«Immagino tu sia bagnato fino alle ossa e di sicuro stai morendo di fame.»

«Non vedo l’ora di mettere qualcosa sotto i denti» ammise Ty.

Preparargli la cena era il minimo che poteva fare per sdebitarsi dell’ospitalità che le aveva offerto, pensò Amy.

«C’è dello sformato di pollo in forno... Mentre fai una doccia calda e ti cambi, ne approfitterò per preparare una zuppa e dell’insalata mista. Che ne dici?»

«Proposta irresistibile» rispose Ty.

Le passò accanto per allontanarsi e per un istante Amy percepì un leggero aroma di dopobarba misto a tweed bagnato, una miscela meravigliosamente maschile, che le suscitò una gamma di emozioni che preferì non analizzare.

Rimasta sola, si sedette sul tappeto accanto a Jamey, accorgendosi che le tremavano le ginocchia.

Aveva sbagliato indirizzo.

E adesso i suoi abiti, le valigie semivuote, i suoi oggetti personali, erano nella camera di Ty Halliday!

Quella mattina era partita da Calgary convinta che quello fosse l’inizio della sua nuova vita.

Non aveva ascoltato i consigli della sua famiglia e tantomeno dei suoi suoceri, stanca di venire guidata e protetta.

Repressa.

Per la prima volta nella sua vita quella mattina aveva deciso di seguire l’impulso del cuore invece che la ragione.

E quale era stato il risultato?

Era finita nel luogo sbagliato, al momento sbagliato, ed era riuscita solo a fare la figura della sciocca, scambiando il padrone di casa per un intruso.

Amy scosse il capo e sospirò, prendendo in braccio suo figlio.

«Papà?» mormorò il piccolo, guardando verso la porta dalla quale Ty era uscito.

«No, tesoro, non è papà...» mormorò Amy, dandogli un bacio. Nonostante Jamey non potesse ricordarsi di suo padre, sembrava deciso ad avere anche lui a tutti i costi quello che avevano gli altri bambini che frequentavano il suo stesso asilo nido, cioè un papà.

Ty Halliday poteva essere un potenziale candidato a quel ruolo?

Un attimo dopo scacciò quel pensiero, irritata con se stessa.

Aveva lasciato Calgary per dimostrare a se stessa di essere in grado di vivere in maniera autonoma, senza l’aiuto di nessuno. Non era di certo alla ricerca di un nuovo compagno dal quale ricominciare a dipendere. Sotto alcuni punti di vista il suo matrimonio con Edwin era stato alquanto deludente e preferiva non ripetere l’errore di legarsi a un altro uomo.

Aveva un figlio da crescere e un’attività da espandere e questo per il momento era più che sufficiente.

Anche se non poteva negare di provare una certa attrazione per il fusto alto e muscoloso che era entrato in salotto poco prima, con gli abiti umidi e macchiati, che viveva solo come un eremita e non aveva mai avuto un albero di Natale. C’era qualcosa in Ty, un’energia, una forza interiore, che la attirava come una calamita.

«Smettila di fantasticare, Amy Mitchell» mormorò, rammentando i propositi con i quali era partita quella mattina.

Aveva accettato un incarico da parte dei McFinley e avrebbe tenuto fede alla parola data.

Il giorno seguente, strade permettendo, avrebbe lasciato il ranch di Ty e cercato l’indirizzo giusto.

Nel frattempo, per sdebitarsi dell’ospitalità, avrebbe cucinato un pasto caldo a Ty e come regalo gli avrebbe decorato l’albero di Natale.

Il giorno seguente, infatti, sarebbe ripartita per il suo viaggio, decisa più che mai a scoprire chi era veramente e cosa voleva dalla vita.

Due obiettivi che aveva perso di vista durante la parentesi matrimoniale con Edwin.

Date le circostanze, Ty Halliday rappresentava solo uno sfortunato incidente di percorso. Un semplice ritardo sulla sua tabella di marcia, concluse Amy, mettendo di nuovo i giocattoli a disposizione di suo figlio.

Jamey riprese a gattonare sul tappeto e lei ne approfittò per tornare nella cucina mal equipaggiata di Ty.

Le bastò un’occhiata al contenuto del forno per accorgersi che lo sformato non era ancora cotto al punto giusto. A quanto pareva il forno non produceva il calore indicato dal termostato.

Aumentò la temperatura e l’apparecchio emise un suono di protesta.

A quanto pareva il forno era di pessimo umore,

«Come il suo proprietario» dedusse Amy, con una punta di divertimento.

«Papà» le fece eco Jamey dal salotto.

«Esatto» convenne lei con una risatina. Un attimo dopo si rese conto che non doveva assecondare quella convinzione di suo figlio, tantomeno indicare Ty come se fosse suo padre.

«Non chiamarlo così, tesoro. Lui non è il tuo papà.»

«Nono?»

«No, nemmeno il nonno. Chiamalo...» Il forno emise un altro suono minaccioso. Amy si voltò di scatto e aprì lo sportello. Il grill era rovente e sibilava in un modo che non prometteva nulla di buono. «Oh no, dannazione!» imprecò.

«Odan» ripeté sinteticamente Jamey.

«Sì, ecco, chiamalo così» concesse Amy, distrattamente, sfornando in fretta la teglia. Grazie al cielo la pasta sfoglia non sembrava avere subito danni, ma dalla griglia si stava sprigionando del fumo e un orribile odore di bruciato, che fece entrare in funzione l’allarme del dispositivo per la rilevazione di gas e incendi.

Quel suono spaventò Jamey che si mise a piangere.

Amy spense il forno, prese in braccio suo figlio per rassicurarlo poi, nonostante il vento che infuriava all’esterno, aprì leggermente la finestra per cambiare aria.

Un istante dopo Ty comparve di corsa in cucina, con indosso solo un vecchio paio di jeans a vita bassa dal quale spuntavano dei boxer rosso fuoco, e i capelli ancora umidi per la doccia.

«Cos’è questo odore di bruciato? C’è forse qualcosa che sta andando a fuoco?» le domandò lui, allarmato. L’ultima volta che aveva sentito un odore del genere era stato un paio d’anni prima, quando un corto circuito aveva provocato un piccolo incendio nel granaio.

«No, è solo la griglia del forno che funziona male» lo informò Amy, notando che Ty sembrava pronto a entrare in azione per mettere in salvo sia lei sia il bambino. Un attimo dopo si accorse anche delle spalle larghe di lui, delle sue braccia muscolose e ancora leggermente abbronzate dal sole estivo.

Imbarazzata, distolse in fretta lo sguardo dal bordo dei boxer sul quale c’era Babbo Natale con la sua slitta trainata dalle sue dodici renne.

O almeno immaginò fossero dodici come voleva la tradizione, perché si proibì di contarle.

Improvvisamente, l’assurdità di quella scena le provocò un riso irrefrenabile. Al punto che le vennero le lacrime agli occhi. O forse era per via del fumo...

«Non vedo cosa ci sia di così divertente» disse Ty ad alta voce, per farsi sentire al di sopra dell’allarme, di lei che rideva e di Jamey che piangeva.

«Davvero non capisci?» boccheggiò lei, ricominciando a ridere.

«No» rispose lui, brusco.

«Ty Halliday, nonostante tutto sembra che anche a te non manchi lo spirito natalizio» rise Amy. «Solo che... È ben nascosto!»