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Ty seguì la direzione dello sguardo di lei e capì cosa avesse suscitato la sua ilarità.

Imprecò sottovoce e alzò maggiormente la vita dei pantaloni per nascondere Babbo Natale e le renne.

«Quei boxer sono davvero intonati alle prossime feste» commentò Amy divertita.

Ignorando l’ironia di lei, Ty si avvicinò al dispositivo per la rivelazione di gas e incendi e lo spense.

Jamey smise subito di piangere e di questo sia Amy sia Ty gli furono grati.

«Scusa l’abbigliamento sommario, ma... Quando di sopra ho sentito l’odore del fumo mi sono spaventato. Ho pensato che fosse scoppiato un incendio in cucina» le spiegò Ty.

«Hai i riflessi pronti... Sei entrato qui dentro come se dovessi spegnere l’inferno nella prateria.»

«Non sarebbe la prima volta che sono costretto ad affrontare un incendio» le rivelò.

«C’è qualcosa che non hai mai affrontato, Ty Halliday?» gli domandò incuriosita.

«Non molte, lo ammetto. È stato mio padre a crescermi, insieme a un paio di suoi dipendenti di fiducia, due tipi tosti che mi hanno insegnato tutto quello che c’era da sapere per sopravvivere da queste parti. A dodici anni sapevo badare a me stesso e svolgevo il lavoro di un uomo.»

Aveva detto troppo, pensò Ty, notando che lei lo stava guardando come se fosse stato cresciuto nella foresta da un branco di lupi. Il che, a dire il vero, non era molto lontano dalla realtà.

Così, non appena aveva sentito l’odore di fumo e il suono dell’allarme, era uscito dalla doccia, aveva infilato le prime cose che aveva trovato e si era precipitato in cucina. Pronto a usare l’estintore, se necessario, e a mettere in salvo Amy e suo figlio.

Adesso che era certo che non ci fosse alcun incendio, si passò una mano nei capelli umidi e tirò un sospiro di sollievo.

«Odan» disse Jamey, guardando prima sua madre e poi Ty.

«Visto?» disse lui in tono di approvazione. «Tuo figlio ha già imparato a imprecare come un uomo. Ha appena detto dannazione

«Non ha affatto imprecato!» insorse Amy.

«Sì, invece. Bravo ragazzo.»

«Smettila. Non stava imprecando. Ti ha chiamato come il dio dei Vichinghi.»

«Stai forse cercando di farmi credere che alla sua età tuo figlio conosce la mitologia vichinga?» replicò Ty, chiaramente divertito.

Lei si limitò ad alzare le spalle, come se fosse una possibilità.

«Allora è arrivato nel posto giusto. Questa è una casa pagana, non si festeggia il Natale» aggiunse Ty, stando al gioco.

«Raccontalo a qualcun altro che non ti importa niente del Natale» ritorse Amy a quel punto con l’ennesima risatina, accennando ai boxer.

Gli piaceva sentirla ridere. Avrebbe potuto trasformarsi in una droga, che lo avrebbe reso debole quando invece era necessario che restasse forte.

«Per la cronaca, non sono stato io a comprare questi boxer. Ogni anno organizziamo una festa fra amici e vicini di casa durante la quale ci scambiamo dei doni scherzosi.»

«Capisco. Dunque il Natale si festeggia solo in tono minore in casa Halliday» commentò Amy con una punta di ironia.

«Proprio così» annuì lui. «E per la precisione, il suo nome è Odino.»

«Chi?»

«Il dio dei Vichinghi. Odino, non Odan.»

«Come fai a saperlo?» gli domandò, incuriosita.

«Leggo molto. Tutto quello che mi capita sottomano» le spiegò lui.

«Vuoi dire che hai letto davvero anche Jane Eyre

Ty non rispose, per nulla ansioso di rivelarle che aveva letto quasi tutti i classici della letteratura europea e americana.

Soprattutto di averle raccontato qualcosa che riguardava se stesso.

Di nuovo, alcuni ricordi dell’infanzia gli affiorarono nella mente...

Un bambino con tanta nostalgia della mamma, che leggeva il più possibile nel tempo libero, nonostante venisse preso in giro per questo.

Un’abitudine che non aveva mai perso.

I libri erano sempre stati i suoi migliori amici.

«Chi tace acconsente... L’hai letto davvero» dedusse Amy, con una certa sorpresa.

Ancora una volta Ty non disse nulla.

A quel punto lui le voltò le spalle e lasciò la cucina in fretta e furia, deciso a non rivelare altro di se stesso.

La cena si rivelò davvero gustosa, nettare e ambrosia per un uomo affamato come Ty, che aveva immaginato di saziare l’appetito con spezzatino in scatola e un paio di toast.

Mentre cenava si divertì a guardare Jamey che oltre a mangiare la sua pappa, sembrava divertirsi un mondo a spalmarsela sul viso, seduto sul piccolo seggiolone portatile che Amy aveva portato con sé da Calgary insieme al passeggino e al lettino pieghevole.

Ogni volta che il piccolo non riusciva a portarsi alla bocca il cucchiaio e il contenuto finiva sul bavaglino, iniziava una buffa cantilena di oops e odan, meglio di una scena comica.

«Non saprei dire se è più quello che ha mangiato o quello che gli è finito sulla faccia e sul bavaglino, ma non mi sembra affatto denutrito» osservò Ty, quando Jamey ebbe terminato la pappa.

«Un biberon con un po’ di latte e biscotti prima di dormire compenserà qualsiasi carenza» annuì Amy, iniziando a sparecchiare.

«Ci penso io» intervenne Ty, bloccandola con un gesto.

Lei fece per protestare, ma poi diede un’occhiata a Jamey, che aveva la pappa persino nei capelli. «Davvero non ti dispiace? In questo caso ne approfitto per fare il bagnetto a Jamey e infilargli il pigiama.»

«Tu pensa al bambino. Ci penso io a mettere i piatti nella lavastoviglie» disse Ty, alzandosi. «A proposito, grazie per la cena. Era da tempo che non mangiavo così bene.»

«Non c’è di che, figurati... Coraggio, piccolo selvaggio, è giunto il momento di fare il bagnetto» disse Amy a quel punto, sganciando la cintura di sicurezza del seggiolone.

Dopo avere riordinato la cucina, Ty salutò rapidamente Amy e Jamey prima di ritirarsi in camera sua. Era fisicamente esausto e non vedeva l’ora di infilarsi sotto le coperte.

Jamey adesso era in una bacinella di plastica, coperto di schiuma come poco prima lo era stato di pappa. Tese le braccia verso Ty, schioccando in modo buffo le labbra.

«Vuole un bacio» tradusse Amy.

«Sarà meglio che impari prima possibile che non sempre si può avere ciò che si vuole» rispose Ty.

«È questo che ti hanno insegnato da bambino tuo padre e i suoi dipendenti?»

«Educazione da rude cowboy» annuì lui. «E finora direi che mi ha fatto un buon servizio.»

«Oh sì, certo... Sei una persona che irradia felicità» lo canzonò Amy in tono soave.

Ty ignorò l’ironia e si diresse in camera sua, lontano da un bambino che si ostinava a trattarlo come se fosse suo padre e una donna alla quale aveva raccontato fin troppi particolari della sua vita, concluse.

Prese la valigia di Amy che c’era sul suo letto e il beauty case sul cassettone e li spostò nella camera degli ospiti.

In quella stanza c’erano due letti gemelli e Ty vide il lettino pieghevole che lei aveva sistemato in un angolo per Jamey, insieme a una trapuntina celeste e ad alcuni animali di peluche.

Il bagnetto di Jamey si prolungò parecchio, corredato da risatine, gridolini di felicità, giochi con oggetti galleggianti, spruzzi d’acqua.

Terminata quell’operazione, Amy impiegò dell’altro tempo a infilare al piccolo il pigiama, infine cominciò a leggergli delle storie.

Le pareti erano più sottili di quanto Ty avesse immaginato, e nonostante la stanchezza non perse una parola di quelle favole.

Una di esse rammentò di averla udita raccontare da bambino dalla sua maestra all’asilo. Già allora aveva dimostrato una certa passione per la lettura e l’insegnante, una donna molto dolce e materna, gli aveva permesso volentieri di portare a casa dei libri per guardare le illustrazioni.

Più di una volta li aveva mostrati a suo padre, nella speranza che glieli leggesse prima di andare a dormire, ma lui li aveva sfogliati con impazienza, osservando con aria scettica i disegni degli animali che parlavano e si comportavano come esseri umani.

Non ho tempo per queste sciocchezze, gli aveva risposto invariabilmente.

Così, non gli era rimasto che attendere di imparare a leggere da solo per evadere avidamente nel mondo della fantasia. Il più delle volte di nascosto, alla luce di una vecchia torcia elettrica, in modo che suo padre non si accorgesse che stava leggendo.

Solo molti anni dopo aveva scoperto che suo padre era dislessico, e aveva cercato quindi di nascondergli che aveva delle difficoltà a scrivere e a leggere velocemente e ad alta voce.

In passato nelle scuole non c’erano stati programmi didattici speciali per facilitare l’apprendimento ai bambini dislessici, e così suo padre aveva frequentato la scuola solo lo stretto necessario, convinto di essere adatto solo alla vita di duro lavoro dell’Halliday Creek Ranch, come era stato per tutti gli uomini della sua famiglia prima di lui.

Probabilmente a causa di quella sua disabilità, e del pessimo ricordo che aveva della scuola, non aveva quindi considerato importante che suo figlio avesse un’istruzione migliore o più approfondita di quella che aveva avuto lui.

E adesso Ty, ascoltando Amy che raccontava a Jamey una storia intitolata Curiosone George, si chiese se per caso a suo padre sarebbe piaciuto leggergli una favola, ma non lo avesse fatto semplicemente perché si era vergognato della sua disabilità.

Amy terminò la sessione di lettura con una favola intitolata Ti amerò per sempre, e quelle parole, in quella notte di bufera, gli provocarono una gamma di emozioni che preferì non analizzare.

A un certo punto Ty sentì Amy alzarsi per sistemare suo figlio nel lettino.

La immaginò mentre lo copriva con la trapuntina e gli metteva vicino gli animali di peluche.

Jamey non fiatò, e un attimo dopo Ty seppe perché.

Amy aveva riservato il meglio per ultimo.

Cominciò a cantare sottovoce una ninnananna che parlava di piccole stelle che brillavano nel cielo come diamanti.

Ascoltandola, a Ty venne improvvisamente un nodo alla gola. Chiuse gli occhi, provando un orribile senso di rimpianto per tutto ciò che avrebbe potuto avere da bambino, che non aveva avuto e non avrebbe avuto mai.

Non appena finì la ninnananna, si addormentò anche lui, esausto.

Quando Ty si svegliò la mattina seguente, la prima cosa di cui si accorse era che il vento si era attenuato.Secondo, rammentò di non essere solo in casa. In ogni caso in casa regnava il silenzio più assoluto, segno che Amy e suo figlio stavano ancora dormendo. Un particolare che non lo sorprese affatto, considerando che non erano ancora le sei del mattino. Lui stesso aveva dormito più del solito, per via della stanchezza accumulata nella precedente giornata di lavoro.

Si vestì in fretta, a passi felpati lasciò la sua camera e andò in cucina per prepararsi un caffè e metterne una buona dose nel thermos che avrebbe portato con sé. Sarebbe rientrato in casa più tardi, quando Amy e suo figlio fossero stati sicuramente svegli. Nel corso della mattinata lo spazzaneve avrebbe provveduto a liberare le strade principali e lui l’avrebbe aiutata a caricare i bagagli in auto e salutata prima della partenza.

Amy gli avrebbe chiesto sicuramente un indirizzo mail per restare in contatto. Lui non ne aveva uno e così... fine delle trasmissioni.

Mentre attraversava il salotto, qualcosa che luccicava in un angolo attirò la sua attenzione.

Si fermò, osservò un istante l’oggetto in questione poi si avvicinò.

La sera prima, quando era andato a dormire, era sicuro che sull’albero di Natale ci fossero state solo le luci intermittenti. Nient’altro.

Ma come per magia, nel corso della notte sui rami erano comparse palline colorate, dolci, biscotti e il puntale a forma di stella.

Dove aveva trovato Amy tutte quelle decorazioni? A parte la stella, le scatole che lei aveva trovato in cantina avevano contenuto poco altro.

Si avvicinò per osservare meglio e vide che alcune stringhe di popcorn erano state attorcigliate intorno ai rami. E poi caramelle, bastoncini di zucchero, biscotti di zenzero a forma di omini di neve, alberelli e stelle comete che Amy doveva avere sfornato prima che lui tornasse a casa la sera prima.

Per rendere indimenticabile il primo Natale a suo figlio, Amy doveva essersi portata da Calgary i tagliabiscotti delle varie forme, perché lui era sicuro di non possedere nulla di simile.

Un attimo dopo un pensiero gli attraversò la mente, rapido come un fulmine.

No, quella notte Amy non aveva decorato l’albero in gran segreto solo per Jamey...

Prova ne era il fatto che lei aveva dichiarato di avere intenzione di partire non appena le condizioni delle strade lo avessero permesso.

No, aveva rinunciato a una parte di sonno e decorato l’albero per lui.

Perché?

Eppure la sera prima sembrava averle fatto capire chiaramente che lui non era disposto a investire nulla nei sentimenti.

Ma forse proprio per quella ragione Amy doveva avere deciso di dimostrargli a cosa stava rinunciando.

Fantastico. Era riuscito a suscitare in lei pietà nei suoi confronti.

Strinse la mascella, cercando di cancellare quel pensiero dalla mente ma non ci riuscì.

Cosa peggiore di tutte, si rese conto di quanto quel dono inaspettato fosse riuscito a bucare le sue difese come cera, suscitandogli un’intensa gamma di emozioni. Allungò una mano, prese uno dei biscotti appesi all’albero e lo assaggiò.

Squisito.

Un attimo dopo sorrise. Un albero di Natale che si poteva mangiare... Davvero perfetto per lui.

Fu in quel momento che si accorse della presenza di lei. Amy Mitchell non era nella camera degli ospiti come aveva immaginato. Stava dormendo raggomitolata sul divano, i lunghi riccioli biondi sparsi su un cuscino, un libro aperto posato di fianco a sé.

La sua collezione di libri le aveva rivelato altri particolari di se stesso?, si chiese Ty, accigliandosi. Non aveva frequentato l’università, ma da circa un anno si era iscritto a un corso di letteratura online, e compatibilmente con i suoi impegni di lavoro aveva cominciato a dare i primi esami.

Prese il libro, e vide che si trattava dell’Iliade di Omero. Lo rimise in libreria poi coprì Amy con un plaid, per evitare che prendesse freddo, resistendo alla tentazione di sfiorarle i capelli e pensando che, grazie al cielo, se ne sarebbe andata presto.

Non aveva nulla da dare a una donna dolce e sensibile come lei.

Amy rappresentava tutto ciò che non aveva mai avuto e che non avrebbe mai potuto avere.

O meglio, che si era convinto di non volere, per paura di perderlo. Come gli era successo da bambino con sua madre.

In ogni caso in quel momento non poté fare a meno di contemplare un mondo alquanto diverso, fatto non solo di doveri e duro lavoro ma anche di calore, affetto, tenerezza. Qualcosa che gli provocò l’acuta consapevolezza che nella sua vita mancava qualcosa di molto importante.

Qualcosa di cui non sarebbe più riuscito a fare a meno se avesse ceduto alla tentazione di averlo anche solo per un giorno. Qualcosa che lo avrebbe reso troppo vulnerabile.

Cinque minuti dopo infilò stivali, cappello e cappotto e aprì la porta di servizio. Aveva immaginato che avesse nevicato tutta la notte, ma niente lo aveva preparato a quello che vide alla luce ancora incerta dell’alba.

La prateria e la foresta erano sepolte sotto una spessa coltre di neve e quando scese i gradini della veranda si accorse che la neve gli arrivava quasi al ginocchio.

Erano anni che non cadeva tanta neve in una sola notte, e anche se per il momento la bufera si era attenuata, il cielo grigio come piombo non prometteva nulla di buono.

Inspirò a fondo l’aria fredda. Sì, avrebbe ripreso presto a nevicare, previde.

Camminando a fatica nella neve raggiunse la facciata anteriore della casa e vide che il sentiero di accesso al ranch era impraticabile, proprio come aveva immaginato. L’auto di Amy era sepolta sotto la neve e aveva le dimensioni e la forma di un igloo.

Ci sarebbe voluta una lunga giornata di lavoro con la pala del trattore per rendere di nuovo praticabile il sentiero che dalla ranch house portava alla strada stratale. E con un’altra perturbazione in arrivo, si chiese se valesse la pena di eseguire quel lavoro.

Inoltre, chi gli assicurava che lo spazzaneve avesse già provveduto a ripulire le strade che collegavano il centro abitato alle frazioni? Doveva accendere la radio per saperlo.

E anche se le strade fossero state aperte? Un fuoristrada con quattro ruote motrici avrebbe potuto sfidare il ghiaccio, ma sarebbe stato da veri incoscienti permettere ad Amy Mitchell di avventurarsi in quelle condizioni con la sua utilitaria e un bambino di pochi mesi a bordo.

Insomma, non ci voleva un genio per capire che erano bloccati al ranch per la neve.

A quel punto Ty rammentò che gli era già successo altre volte in passato. Soprattutto da bambino.

Lo scuolabus non aveva potuto compiere il suo solito giro fra le frazioni della valle per accompagnare gli studenti a scuola.

In media ogni due o tre anni, si verificava una forte nevicata che impediva per qualche giorno lo svolgimento delle normali attività quotidiane degli abitanti di quella zona ai piedi delle Montagne Rocciose.

Per quanto lo riguardava, di solito non era un problema. All’inizio dell’autunno riempiva il freezer in cantina di carne e la dispensa di frutta e verdura in scatola e altro cibo a lunga conservazione.

Insomma, per un paio di settimane, accontentandosi di una dieta non troppo variata, anche con due ospiti in casa, non avrebbero avuto problemi di sopravvivenza. Anche se dubitava che il maltempo sarebbe durato così a lungo.

Al pensiero che fra un paio di giorni al massimo Amy se ne sarebbe andata, lui provò un assurdo senso di delusione.

Non avrebbero più cenato insieme, non l’avrebbe più sentita cantare la ninnananna a Jamey, non avrebbe più avuto occasione di coprirla con il plaid e da quel corso di pensieri intuì quanto sarebbe stato facile affezionarsi a lei e al bambino.

Nella vita, invece, lui aveva sempre avuto un motto, al quale finora si era sempre attenuto: Nessun legame, non affezionarsi a niente e a nessuno.

Per quel motivo non aveva neppure un cane, perché sapeva che avrebbe finito per considerarlo un amico e non solo un compagno di lavoro.

Ma Amy Mitchell era bloccata al ranch contro la sua volontà, e lui doveva fare in modo che nessuno dei due si scottasse per quella convivenza forzata.

Per prima cosa, doveva assolutamente cercare di mantenere le distanze da Amy. Non tanto per se stesso, ma per lei.

Alcuni anni prima, quando lavorava ancora nel circuito dei rodei, una ragazza si era innamorata di lui e alla fine, senza volerlo, l’aveva fatta soffrire.

Cowboy, sei davvero senza cuore, gli aveva detto in lacrime.

Così, per il bene di Amy, si sarebbe limitato a comportarsi per ciò che era, un bastardo privo di sentimenti... Un’interpretazione che di solito gli veniva naturale. In quel modo Amy sarebbe stata più che lieta di andarsene al più presto, senza alcun rimpianto.

Ty aveva appena terminato di riordinare la scuderia quando riprese a nevicare a larghi fiocchi.

Si diresse verso casa, immaginando che Amy non avrebbe accolto bene quella notizia e avrebbe avuto difficoltà a fare buon viso a cattiva sorte.

Dalla finestra la scorse seduta al tavolo di cucina, in una posa leggermente chinata che per qualche oscuro motivo lo allarmò.

All’inizio pensò che forse era irritata perché si era resa conto di essere bloccata lì, ma poi si accorse che aveva il viso rigato di lacrime e un’espressione sofferente che gli fece accelerare il passo.

Quando entrò in cucina vide il tegame di ferro sui fornelli, il gas spento e le uova strapazzate con il bacon a metà cottura.

«Che succede?» le domandò.

Anziché rispondere, lei gli tese il palmo aperto della mano destra.

«Io... io... non ho mai usato un tegame di ferro e non ho pensato che sul fuoco anche il manico diventava rovente» gli spiegò. Sul palmo Amy aveva scottatura dell’identica forma del manico del tegame, qualcosa di molto simile al marchio che lui imprimeva sulla pelle dei vitelli a primavera. «Credi sia il caso che vada al pronto soccorso?» gli domandò.

«Fammi vedere» le disse. Si avvicinò e le prese la mano per esaminarla meglio.

Ty osservò attentamente la scottatura per qualche istante. Era abbastanza estesa e profonda, ma non così grave da essere costretti a chiamare i soccorsi con quel tempo.

«Mi sento una sciocca» mormorò Amy. «Prima sbaglio indirizzo, poi rimango bloccata qui per la neve e adesso mi sono scottata... Del resto è questo che pensano tutti» concluse in tono piatto.

«Tutti chi?»

«Tutti... Mio marito, i miei suoceri, i miei genitori. Tutti mi trattano come una che non è capace di combinarne mai una giusta, e comincio a pensare che non abbiano tutti i torti.»

Avendo deciso di recitare la parte del bastardo senza cuore, a quel punto avrebbe fatto bene ad aggiungersi a quella lista, pensò Ty.

A piantare in asso la sua ospite e a tornare al lavoro.

Ma un istante dopo si rese conto che un comportamento del genere avrebbe richiesto molto meno cuore di quanto lui ne possedeva.

Alzò leggermente la mano di Amy ancora stretta nella sua e soffiò sulla scottatura.

«È estesa ma non è grave» dichiarò.

«Fa male» gli rispose, senza precisare se si riferiva alla bruciatura o all’opinione che parenti e familiari avevano nei suoi confronti.

Ty rammentò l’espressione che Amy aveva avuto quando gli aveva detto che era vedova. Aveva pensato si trattasse del dispiacere di avere perso così presto il padre di suo figlio, ma il fatto di avere messo anche il defunto marito nella lista di quelli che non avevano una grande opinione di lei, gli fece pensare a un altro tipo di dispiacere.

«Non ti preoccupare, ci penso io» le disse, anche se non era del tutto sicuro di cosa intendesse veramente con quelle parole. Se curare la scottatura sulla mano o quella sul cuore di Amy Mitchell...

La prima non sarebbe stata difficile da curare. Ma la seconda? Da quando ambiva al ruolo di consolatore di donne deluse dalla vita? Proprio lui, quello che a detta della sua ex fiamma, non aveva alcuna considerazione per i sentimenti degli altri.

D’impulso Amy si alzò in punta di piedi e gli diede un rapido bacio sulle labbra, appoggiandosi leggermente a lui, incurante del fatto che avesse la tela cerata umida.

«Grazie» gli sussurrò.

Per cosa?, si chiese Ty. Fino a quel momento non aveva fatto nulla, a parte il fatto di rompere la promessa che aveva fatto a se stesso di mantenere le distanze da Amy Mitchell, per evitare di cadere entrambi nella trappola di qualche pericoloso malinteso.

Le lasciò la mano, deciso a non cedere alla tentazione di stringerla a sé per abbracciarla, per asciugarle le lacrime, di posare le labbra su quelle di lei e procurarsi una scottatura peggiore di quella che Amy si era procurata con il tegame di ferro.

Dalla camera degli ospiti si udì Jamey che aveva iniziato a piangere.

Se il giorno precedente qualcuno gli avesse detto che avrebbe accolto con un sospiro di sollievo il pianto di un bambino, si sarebbe messo a ridere. Ma adesso pensò che quel diversivo era proprio quello che gli ci voleva.

«Vado a prendere Jamey» le disse.

«Grazie, ma posso farlo io...»

«Meglio di no» le rispose in tono un po’ brusco. Un particolare per il quale si congratulò con se stesso. Stava rialzando le difese, pensò.

«Perché?» insistette Amy.

«Non voglio che tocchi nulla fino a quando non ti avrò medicato la scottatura, per evitare infezioni» le spiegò. «Quando si abita in una zona isolata come questa, non bisogna trascurare le precauzioni. Non dimenticare Lonesome DoveProprio così, pensa ad altro, non a baciare la tua ospite, aggiunse fra sé, lo sguardo focalizzato sulle labbra di lei.

«Lonesome Dove?» ripeté Amy, confusa.

«Uno dei libri nella classifica dei venti migliori romanzi western che ho letto» rispose, pentendosene un attimo dopo. Non occorreva infatti che lei sapesse che aveva una classifica di letture preferite. Meglio che Amy Mitchell sapesse meno cose possibili di lui per evitare che si formasse una sorta di amicizia fra loro.

Baciarla, poi, sarebbe stato l’errore peggiore che avrebbe potuto commettere.

«Anche se immagino si tratti di un bestseller, non credo di averlo letto.»

«Non è la freccia che risulta fatale al protagonista, ma l’infezione della ferita» la informò. «Vado a prendere Jamey» aggiunse poi, voltandole le spalle.

«Ieri non volevi nemmeno toccarlo» gli rammentò Amy, guardandolo mentre si allontanava.

«Ieri potevo farne a meno. Oggi no» le rispose lui a quel punto senza voltarsi.

Si tolse impermeabile, stivali, cappello poi si diresse nella stanza degli ospiti.

Jamey era in piedi, aggrappato alla sponda del lettino, e piangeva perché non riusciva a superare le barriere della sua prigione.

«Ehi, stanno arrivando i soccorsi» gli disse Ty in tono amichevole.

Vedendolo entrare, il bambino smise subito di piangere e gli rivolse un sorriso sdentato.

«Papà odan» disse, tendendogli le braccia.

Ty si avvicinò al lettino, pensando che lui aveva avuto più o meno l’età di Jamey quando sua madre lo aveva abbandonato.

«Su» gli disse il bambino con decisione.

«Hai sempre questo tono di comando?» replicò Ty, per nulla impressionato, chinandosi per prendere in braccio Jamey.

Non fu affatto un momento magico. Il bambino puzzava peggio di uno dei box dei cavalli nella scuderia.

Jamey si aggrappò a lui e in quel momento Ty seppe con certezza che non era vero che non aveva un cuore.

Lo sentì battere contro quello di Jamey, quando il piccolo gli passò le braccia intorno al collo con un sospiro di sollievo, come se avesse aspettato a lungo quel momento.

Il problema era che in tanti anni aveva cercato di costruire intorno a sé una barriera impenetrabile, un muro di ghiaccio per evitare di soffrire. Un muro che adesso minacciava di crollare miseramente.