Ty guardò Amy e la vide trattenere il respiro, come se stesse aspettando che lui le suggerisse qualcosa di veramente divertente, magari di inatteso, come baciarsi di nuovo.
Questo sarebbe stato sicuramente fantastico, anche se le conseguenze di un simile gesto avrebbero potuto essere molto pericolose, si disse, bloccando quella fantasia stupenda.
Inoltre, Amy Mitchell non gli sembrava il tipo di donna a cui piacevano le avventure di pochi giorni.
Anche se con il bacio che lei gli aveva dato spontaneamente prima gli aveva fatto capire che l’attrazione era reciproca.
«Sai qual è la cosa più divertente al mondo?» le disse. Almeno, nella categoria di quelle prive di risvolti personali, aggiunse fra sé.
«Quale?» domandò Amy.
«Fare amicizia con un cavallo.»
«Oh... io... ho paura dei cavalli» ammise lei, chiaramente delusa.
«Lo immaginavo» replicò Ty, abbozzando a quel punto un sorriso.
«Davvero? Perché?»
«Chiudi a chiave la portiera della tua auto anche in una zona isolata come questa, hai la fobia degli aghi e siccome siamo bloccati dalla neve hai pensato subito a una serie di possibili emergenze. E anche poco fa al telefono mi sembravi spaventata mentre parlavi con quella tale di nome Cynthia.»
«Mia suocera» lo informò Amy.
Ty si chiese perché lei continuasse a definire la madre di Edwin in quel modo nonostante suo marito fosse morto, ma decise che non era il momento per discutere di quell’argomento.
Amy Mitchell gli aveva decorato un albero di Natale. E se avesse fatto qualcosa per ringraziarla? Se le avesse dimostrato che non c’era nulla di cui doveva aver paura?
Considerata l’insicurezza e l’ansia che sembravano dominare in lei, era un vero miracolo che Amy avesse deciso di accettare un lavoro in una zona che non conosceva, lasciato la città in cui era nata e cresciuta, in una stagione poco favorevole e con un bambino di pochi mesi per affrontare l’ignoto.
Un comportamento probabilmente dettato dall’esasperazione. Un tentativo disperato di dimostrare che era in grado di badare a se stessa e a suo figlio senza l’aiuto di nessuno, dedusse Ty.
Non le mancava quindi lo spirito di iniziativa, ma se non fosse riuscita anche a liberarsi di altre paure, il risultato era a dir poco prevedibile.
Come un cavallo che per istinto cercava riparo in un rifugio, senza badare se fosse o meno pericolante, c’era il rischio che Amy, pressata dalle difficoltà, facesse ritorno nella soffocante cerchia familiare dalla quale era fuggita.
No, molto più che soffocante, pensò Ty, rammentando il tono stridulo e prepotente della suocera, quando le aveva chiesto, senza neppure prima salutarla, chi fosse il tale che aveva risposto al telefono.
Il meno che poteva fare per lei, quindi, era aiutarla a prendere fiducia e stima in se stessa.
«Coraggio, infilati giacca e stivali. Ci penso io a fare altrettanto con Jamey» le disse.
«Io... A dire il vero avevo altri programmi» replicò Amy. «Mi sembra la giornata perfetta per fare il pane in casa.»
La prospettiva di pranzare con del pane appena sfornato fece vacillare i propositi di Ty.
«Stai cercando di distrarmi con la promessa di fare il pane in casa? Come io ho distratto te con la siringa?» le domandò, con una punta di divertimento nella voce. «Perché da queste parti, per uno scapolo il pane fresco è come offrire dell’acqua a qualcuno che si è perso nel deserto.»
Era questa la sua vita?, si chiese un attimo dopo. Si era smarrito nel deserto? Di sicuro da un po’ di tempo provava un profondo senso di solitudine e aveva l’impressione che gli mancasse qualcosa di importante.
«Allora è deciso» replicò Amy con un’espressione di sollievo dipinta in viso. «Resterò in casa a fare il pane mentre tu tornerai nelle scuderie. Ognuno si divertirà a modo suo.»
«No.»
«No?»
«Non ho mai fatto il pane, ma suppongo che ci vogliano due mani per impastare acqua e farina» disse Ty.
Lei guardò con un certo sgomento la mano fasciata, della quale si era evidentemente dimenticata.
«Ti avevo detto che era meglio che la tenessi al collo, per ricordarti che per qualche giorno non potevi fare tutto quello che volevi» aggiunse Ty. «Se vieni nella scuderia con me, poi io verrò in cucina con te» le propose.
«Mi aiuterai a fare il pane?»
«Perché no? Ho cambiato il pannolino a Jamey, posso fare anche il pane.»
«Può darsi, ma questo non significa che lo troverai divertente.»
«Perché no?» ripeté lui. «Allora, affare fatto?»
«Non lo so» mormorò, incerta.
«Sai, Amy, quando non avrai più paura dei cavalli...» Ty s’interruppe, scuotendo il capo.
«Cosa stavi per dire?» lo incitò.
«Semplicemente che non avrai più problemi nemmeno a tener testa a tua suocera.»
Lei non rispose, con l’aria di chi stava valutando se tuffarsi o meno da un trampolino, misurando la distanza dall’acqua.
«Okay, verrò nella scuderia» si arrese.
Un attimo dopo sorrise, lasciando persino che lui le annodasse lo strofinaccio al collo per tener ferma la mano fasciata.
Nel corso di quell’operazione, Ty dovette imporsi di non cedere alla tentazione di baciarle la nuca... Un bacio solo, nel punto esatto dove stava facendo il nodo.
Un’ora più tardi si congratulò con se stesso per avere resistito a quell’impulso. Così adesso loro due stavano trascorrendo il tempo nella scuderia in modo sereno e amichevole.
Amy indossava un montgomery scozzese e un cappello di lana rossa, la mano fasciata al collo.
Un insieme che le dava un’aria adorabile, semplice e vulnerabile.
Ma se lei era riuscita a infilare senza problemi la mano fasciata nella manica del cappotto prima di rimettersela al collo, lui ci aveva impiegato un po’ più di tempo a far indossare a Jamey una tutina celeste impermeabile, guanti e stivali. Ma alla fine, nonostante le proteste del bambino, era riuscito nell’impresa
Durante il tragitto da casa alle scuderie, Jamey aveva cercato di prendere i fiocchi di neve che turbinavano intorno a loro per metterseli in bocca, pensando probabilmente che si trattasse di qualcosa da mangiare, e mettendosi poi a piagnucolare per il fatto che gli andava invece negli occhi. Ma adesso se ne stava tranquillo in braccio a Ty.
«Questo è Ben» disse, accennando al cavallo con il quale il giorno prima aveva recuperato i capi di bestiame dispersi. Metà mustang e metà roano, era un ottimo compagno di lavoro, robusto, docile, con gli occhi più dolci che avesse mai visto. «Ha due anni, e quindi è come se fosse ancora un bambino.»
«Mi sembra piuttosto grosso per essere un bambino» osservò Amy, cauta. «Il solo guardarlo mi rende nervosa.»
«Se tu lo sei, lo sente e lo diventa anche lui. È questo il segreto per andare d’accordo con i cavalli. Loro cercano istintivamente una guida. Vogliono che sia tu a dirigerli... Adesso entreremo nel recinto in modo che tu e Jamey possiate fare conoscenza con Ben.»
«Io... preferisco di no. È così alto... potrebbe ucciderci...» mormorò lei.
«È strano che tu dica così, perché è esattamente questo di cui lui ha paura... Che siate due predatori che vogliono fargli del male.»
Quando Ty entrò nel recinto con Jamey in braccio, suo malgrado Amy lo seguì.
Una cosa che dubitava avrebbe fatto se non fosse stato l’istinto materno a spingerla, dedusse lui.
«Le strade sono chiuse» gli rammentò Amy, con una nota ansiosa nella voce. «Cosa facciamo se succede qualcosa?»
«Sta proprio per succedere qualcosa... Pura magia. Stai vicino a me e cammina come se fossi un re.»
«Sono una donna» obiettò lei, senza perdere d’occhio un istante il cavallo.
«Ben non lo sa.»
«Spero tu sappia quello che fai.»
«Certamente» annuì Ty. Adesso erano al centro del recinto e Ben, dall’angolo in cui si trovava, li stava osservando. Un istante dopo cominciò ad avvicinarsi, con timida cautela.
Amy si irrigidì. Fece un passo indietro, ma Ty la bloccò posandole una mano sulla schiena.
«Non arretrare mai davanti a un cavallo» le disse sottovoce. «Mantieni la tua posizione. Ti sta annusando e sa che hai paura quanto lui. Per cui non indietreggiare. Se lo fai, penserà che sei debole, che sei inferiore e reclamerà il suo spazio, cercherà di dominarti.»
«Oh, santo cielo... sembra la storia della mia vita...» mormorò Amy, con il cuore che le batteva come un tamburo.
«Per quale ragione credi che certi psicologi usino la ippoterapia per analizzare i pazienti? Dal loro comportamento possono capire molte cose. Come interagisci con un cavallo rivela il modo in cui affronti la vita.»
«Interessante» commentò lei, cercando di restare calma.
«Hai visto? Ben si è fermato a distanza di sicurezza. Ora tocca a noi fare la prossima mossa. Andiamo più vicino» la invitò, fermandosi accanto all’animale.
Jamey dimostrò immediatamente di non condividere le esitazioni di sua madre. Allungò le manine e accarezzò la criniera di Ben con un gridolino di soddisfazione, come se si trattasse di un grosso giocattolo.
Ty si chinò e soffiò leggermente nelle narici del cavallo, che si mise a sua volta a soffiare.
«Coraggio, fallo anche tu» disse ad Amy.
Lei esitò, ma alla fine decise di fidarsi. Si chinò e soffiò.
«Molto bene» annuì Ty. «Il respiro è quello che ha in comune la maggioranza degli esseri viventi, il filo che li unisce. Hai sentito il suo profumo?»
«È... dolce» osservò Amy, alquanto sorpresa, lanciando un’occhiata a Ty. C’era una luce nuova nel suo sguardo e lui decise di approfittarne.
«Okay. Adesso che voi due avete fatto conoscenza, puoi congedarlo. Dagli qualche colpetto sulla spalla e alza la mano destra.»
Amy eseguì alla lettera e Ben si allontanò da loro.
«Non è possibile... Non sono stata io a fargli fare una cosa del genere» sussurrò.
«Sì, invece, e puoi fare subito la prova. Arretra, abbassa la destra, alza la sinistra e fai un passo verso di lui.»
«Non posso usare la sinistra, ce l’ho al collo» gli rammentò Amy.
«Toglila un attimo dalla fascia che hai al collo... Forza, arretra.»
Il cavallo la guardò mentre lei arretrava di un passo e abbassava la destra. Non appena alzò la sinistra e fece un passo avanti, Ben la raggiunse, docile.
«Non posso davvero crederci... Mi sembra di essere in un film» disse Amy con una risatina. «Ben è... è bellissimo.»
Mai quanto lo era lei in quel momento, pensò Ty, osservando i lunghi riccioli biondi che le sfuggivano dalla cuffia di lana, le guance leggermente arrossate per il freddo e gli occhi castano verdi che brillavano per l’emozione.
Guardandola interagire in quel momento con il cavallo, Ty seppe esattamente chi era Amy Mitchell e perché provava la tentazione di baciarla.
Non solo perché era molto bella, ma anche perché era dolce e sensibile.
In altre parole, il tipo di donna che un bastardo senza cuore come lui sarebbe riuscito solo a far soffrire.
In ogni caso, incantato dall’entusiasmo di lei, le fece ripetere più volte l’esercizio, al quale Ben si sottopose con pazienza.
Alla fine, Amy sembrava aver dimenticato la paura e aveva un’espressione assolutamente radiosa vedendo che il cavallo, invece che essere una minaccia, obbediva ai suoi comandi.
«Nella maggior parte dei casi, anche gli esseri umani reagiscono a seconda del modo in cui ci comportiamo. Se siamo troppo arrendevoli, cercheranno di sopraffarci. Se siamo troppo aggressivi, faremo scattare in loro i meccanismi di difesa» le spiegò Ty.
Per esempio, dal modo in cui lo aveva baciato, aveva intuito che lei aveva un disperato bisogno d’amore. Ma qualcosa nel suo sguardo gli aveva detto che non era pronta a dimenticare il passato.
«Okay, adesso abbassa le mani. Avvicinati e accarezzagli il muso poi digli qualche parola dolce.»
Senza più alcuna paura, Amy raggiunse Ben. Il cavallo abbassò il muso in segno di amicizia.
«Sai, Ben, credo di essermi innamorata di te» gli sussurrò Amy, in un tono così dolce e vellutato che Ty si scoprì a invidiare il suo cavallo.
«Adesso voltati e allontanati» le disse, deciso a completare quella specie di terapia antipanico.
«Ancora un momento» lo implorò Amy, continuando ad accarezzare il muso di Ben.
«Meglio non concedere mai troppo. Voltati e allontanati» ripeté, con maggiore fermezza.
Lei gli lanciò un’occhiata poi fece come le aveva ordinato.
«Non voltarti» le raccomandò Ty.
«È dietro di me... Oh, santo cielo, mi sta seguendo?» gli domandò.
«Come un cagnolino.»
Seguendo le indicazioni di Ty, Amy accelerò l’andatura, la rallentò e l’accelerò di nuovo e sempre Ben mantenne il suo passo dietro di lei, devoto alla sua nuova amica.
«Avevi ragione» sorrise Amy. «Oh Ty, è davvero divertente giocare con un cavallo!»
«A dire il vero, il meglio del divertimento deve ancora venire. Ti piacerebbe provare a montare Ben?»
«Non lo so» ammise lei.
«Andiamo per gradi» stabilì Ty.
Mentre le mostrava come andava strigliato un cavallo e come applicargli briglia e sella, si accorse che lei non perdeva una sola parola di quello che le stava dicendo.
Per quella ragione continuò tranquillamente a darle spiegazioni, sicuro che Amy non si stava annoiando.
Poi montò in sella, per darle una dimostrazione pratica di quanto potesse essere divertente cavalcare.
Quello era il suo mondo, pensò, sentendo la propria energia affiorare insieme a quella del puledro e fondersi come un’unica forza, in perfetto equilibrio.
Fece fare a Ben un paio di giri del recinto mantenendo il passo. Poi, con semplici pressioni delle ginocchia gli fece cambiare direzione e gli permise un trotto leggero.
Il cavallo obbediva docile a ogni comando, dimostrando una completa fiducia nel suo cavaliere.
A un certo punto Ty lanciò un’occhiata ad Amy, che lo stava osservando, a dir poco ipnotizzata.
Ty sorrise fra sé, dicendosi che per quel giorno poteva bastare. Quale uomo non avrebbe perso la testa per una donna che lo guardava in quel modo?
Aprì il recinto e dopo essere uscito dalla scuderia, fece fare a Ben un breve giro nel corral innevato, inspirando l’aria gelida che soffiava dalla montagna e accorgendosi improvvisamente che la sua vita era a un bivio.
Poteva concedere tutto se stesso ad Amy oppure non darle nulla.
Appoggiò le redini alla sella, gustando la carezza dei fiocchi di neve che gli si posavano sul viso.
No, non gli bastava che Amy imparasse a non avere più paura dei cavalli.
Voleva che lei riprendesse fiducia in se stessa, in tutto quello che di buono la vita poteva ancora darle.
Indugiò un istante a riflettere poi, con una certa riluttanza, rientrò nella scuderia.
«Non ho mai visto niente di simile... Non immaginavo che un animale così grande potesse essere anche tanto docile» gli confidò Amy. «Non lo dimenticherò mai.»
Più che un’affermazione sembrava una promessa, e in quel momento Ty si rese conto che era riuscito a dimostrarle qualcosa. Si chinò leggermente e le scostò una ciocca di capelli con la mano guantata, immaginando che il bambino dovesse pesarle in braccio. Così sollevò Jamey e lo accomodò sulla sella davanti a sé. Mentre facevano qualche giro al passo, sorrise. Uno dei suoi primi ricordi era proprio a cavallo, con suo padre che gli insegnava le nozioni di base dell’equitazione. Per assurdo, lo colpì il fatto che era la prima volta che pensava a suo padre da un altro punto di vista. Come aveva fatto a non apprezzare finora tutti gli insegnamenti che gli aveva dato durante l’infanzia?
Possibile che fosse bastata la presenza di un bambino in casa per fare scattare il suo istinto paterno? A fargli considerare il passato in modo diverso?
Cosa aveva di tanto speciale Amy Mitchell da fargli immaginare il futuro in modo diverso?
Con uno sforzo di volontà bloccò quelle riflessioni, rammentando a se stesso la ragione per cui aveva invitato Amy a seguirlo nella scuderia. Cioè aiutare lei ad affrontare la vita in modo diverso. Smontò da cavallo, tenendo ben saldo il bambino fra le braccia.
«Mi fa piacere che tu non voglia dimenticarlo, ma se vuoi puoi anche imparare a farlo» le disse.
«Io... credo sia meglio aspettare quando avrò tutte e due le mani a disposizione» replicò Amy, cauta. «Magari quando smetterà di nevicare e...»
«Sì, si può sempre aspettare» la interruppe Ty. «Fino a quando non ci sono le condizioni perfette e tutte le cose ben allineate. Ma nel frattempo c’è il rischio di lasciarsene sfuggire molte altre.»
«E se cadessi?» obiettò Amy, per nulla convinta da quel ragionamento. «Potrei rompermi un braccio e in quel caso...»
Ty la interruppe posandole un dito sulle labbra.
«Non lascerò che succeda nulla del genere» le disse, posando il bambino a terra. Poi la prese per mano, invitandola a montare in sella.
Lei esitò un istante, ma alla fine mise il piede nella staffa e montò a cavallo.
«Per favore, tieni Jamey in braccio» lo pregò lei, aggrappandosi alla sella. «Non voglio che corra il rischio di finire sotto gli zoccoli.»
Ty sollevò Jamey da terra, non senza prima averla guardata in modo da farle capire che sotto la sua supervisione non c’era alcun rischio del genere. Ben non avrebbe mosso un muscolo senza il suo permesso o delle istruzioni da parte di lei.
«Voglio insegnarti a non avere più paura dei cavalli, e soprattutto che non dimentichi più questa lezione» le disse. «Coraggio, afferra le redini con la destra. Così... Brava ragazza! Adesso stringi leggermente le ginocchia.»
Ben si mosse, avanzando lentamente.
Ty vide la paura di Amy trasformarsi in qualcos’altro e pensò che anche lui non avrebbe mai dimenticato quella mattinata nella scuderia.
Insegnò ad Amy i primi rudimenti dell’equitazione e quando alla fine lei smontò, aveva un’espressione trionfante dipinta in volto.
«Wow... Come divertimento, fare il pane non può certo competere con questo» gli confessò sorridendo.
«Vedremo» rispose lui, senza sbilanciarsi.
Quando uscirono dalla scuderia, osservò un istante il cielo. Era grigio come piombo e la neve cadeva più fitta di quando erano usciti di casa.
Insomma, per il momento non c’era alcun segnale che la perturbazione si stesse attenuando, e che quindi la loro convivenza forzata fosse agli sgoccioli.
Vedremo, ripeté Ty, questa volta fra sé.
In casa aleggiava ancora un meraviglioso profumo di pane fresco, nonostante fossero passate più di ventiquattro ore da quando lo avevano sfornato, notò Ty.
Affamato com’era, quell’aroma bastava a fargli venire l’acquolina in bocca.
«Che ne dici di un paio di toast con la marmellata?» propose ad Amy.
Jamey aveva fatto il bagnetto e adesso dormiva beatamente nella camera degli ospiti.
Lei smise di guardare fuori dalla finestra e si voltò, fissandolo con aria divertita.
«Non hai fatto altro che mangiare da quando io sono arrivata!»
«E tu non hai fatto altro che cucinare.»
«Noi» puntualizzò Amy.
«Nessun uomo che ha poco tempo per cucinare potrebbe resistere a questo pane» si difese lui, affettandone un po’. «È la cosa migliore che abbia mai assaggiato in vita mia.»
Be’, questo non era del tutto vero... La cosa migliore che aveva mai assaggiato erano le labbra di Amy. Qualcosa alla quale, in quei tre giorni di convivenza forzata, si sforzava di pensare il meno possibile.
«Il segreto è nell’impasto» gli spiegò lei. «Non hai l’impastatrice in compenso hai fatto un ottimo lavoro manualmente» aggiunse rammentando la forza con cui aveva lavorato la pasta.
«Come fai a fare tutto da sola?» le chiese Ty poco dopo, tornando in salotto con un piatto pieno di toast. «Voglio dire, chi immaginava che badare a un bambino di pochi mesi fosse così impegnativo?» osservò, sedendosi di fronte a lei.
«Questione di abitudine» rispose Amy, immaginando che il lavoro che lui svolgeva giornalmente fosse ancora più faticoso. «Non smette mai di nevicare da queste parti in inverno?» aggiunse, cambiando argomento e assaggiando un toast. Erano squisiti, caldi e croccanti al punto giusto.
«Spero non smetta fino a quando non mi darai la rivincita a Scarabeo» replicò Ty, rammentando la sonora sconfitta della sera prima. «Ti va di giocare ancora stasera?»
«Perché no? Preparati a un’altra sconfitta» ribatté lei ridendo.
Ty sorrise, notando che lei sembrava meno triste e ansiosa di quando era arrivata al ranch. Anche se la neve che continuava a cadere implacabile stava ritardando la sua partenza a tempo indeterminato.
Poco prima avevano acceso la radio e lo speaker aveva definito quella perturbazione la Bufera del secolo. La circolazione delle auto era ancora impossibile su alcune strade secondarie, inclusa la Cowboy Trail 22, ovvero la provinciale sulla quale sboccava il viale d’accesso al ranch.
«Non hai risposto alla mia domanda» le fece notare Ty.
«Te l’ho detto, questione di abitudine» ripeté lei. «E poi, non mi sembra affatto un lavoro badare a Jamey. Ho sempre desiderato avere dei figli, una famiglia, una casa... Lo so, nel mondo di oggi sono fuori moda. Tutti mi criticano per questo, persino i miei genitori, che sognavano per me una carriera brillante.»
«Di che genere?» le domandò, intuendo che lei gli stava raccontando dettagli della sua vita che non aveva mai confidato a nessuno.
«I miei genitori sono entrambi analisti finanziari. Lavorano per un’importante multinazionale e io sono cresciuta in giro per il mondo... Germania, Giappone, Francia, California» gli spiegò. «Abitavamo in splendide ville, nei migliori quartieri, ma io non mi sentivo mai a casa in nessun luogo. Ho frequentato scuole internazionali, cambiavo insegnanti e compagni quasi ogni anno, e non vivevamo come una famiglia normale. Sono figlia unica, e io sognavo di avere almeno mezza dozzina fra fratelli e sorelle. Adesso mi rendo conto che guardando certi telefilm mi ero fatta una visione poco realistica della vita e della famiglia... Comunque sia, da adolescente ho cominciato a detestare il modello di donna in carriera che mia madre rappresentava. A tredici anni ho cominciato a frequentare corsi di cucina, di artigianato, giardinaggio, taglio e cucito. Una vera e propria delusione per mia madre» concluse con una risatina.
«Se tu eri una delusione, come avrebbe classificato me?» replicò Ty, abbozzando un sorriso.
«Che vuoi dire? Raccontami un po’.»
«A tredici anni io ero una vera testa calda. Fumavo di nascosto nel granaio, uscivo di casa senza dire dove andavo, guidavo il furgone qui al ranch senza permesso, facevo scherzi pesanti a tutte le ragazze del vicinato» le confidò, provando di nuovo gratitudine per suo padre, che in quel periodo si era limitato a tollerare la sua esuberanza.
«Allora non dirò altro sulla mia noiosa infanzia...» mormorò lei.
«No, ti prego... Mi piace ascoltarti quando racconti com’eri a tredici anni.»
«Sul serio? Be’, ti assicuro che non c’era niente di eccitante. Ma come risultato dei corsi che ho frequentato, ho imparato a cucinare, a usare la macchina per cucire, a lavorare a maglia e all’uncinetto. Mia madre era preoccupata per questa mia passione per tutto ciò che riguardava l’ambiente domestico. Con il senno di poi, mi rendo conto che cercavo di compensare una carenza affettiva.»
«Che mi dici dei ragazzi?»
«A quell’epoca ero molto timida» ammise Amy. «Ricordo che una volta scrissi una lettera d’amore a un mio compagno di scuola francese, ma non ebbi mai il coraggio di spedirgliela.»
Ty sorrise, immaginando senza fatica come doveva essere stata Amy a tredici anni. Una bellezza acerba, dolce, timida, romantica.
«I miei genitori tornarono in Canada quando io terminai il liceo» proseguì Amy. «Non avevo un ragazzo, ma già allora io sognavo di sposarmi e avere dei bambini. In ogni caso mi iscrissi all’università a Calgary, più che altro per accontentare mia madre. Fu proprio mentre frequentavo la facoltà di economia che conobbi Edwin. Lui cominciò a corteggiarmi e io mi convinsi di avere trovato chi incarnava le mie fantasie. Ci sposammo di nascosto, ma inaspettatamente i miei genitori approvarono la mia scelta. Forse perché la famiglia di Edwin era titolare di alcune compagnie finanziarie quotate in Borsa a New York. Edwin doveva ancora laurearsi e così andammo ad abitare con i suoi genitori.»
«Eravate una coppia appena sposata e andaste a vivere con i genitori di lui?»
«A dire il vero, all’inizio mi sembrò un paradiso» ammise Amy. «Mia suocera è una casalinga a tempo pieno ed è la versione canadese di Martha Stewart.»
«Martha chi?»
«Stewart. Conduce il più famoso programma televisivo di economia domestica e ha creato anche una rivista, con la quale ti insegna un mucchio di cose... Da come togliere una macchia di vino da una tovaglia di lino a come fare il punch per Halloween con l’impressione che ci sia dentro una mano scheletrica.»
«Terrificante» commentò Ty.
«Il punch di Halloween o Martha?»
«Tutti e due... Raccontami dei tuoi suoceri.»
«Abitano da venticinque anni nella stessa casa» lo informò Amy.
«Nemmeno tanto... Gli Halliday abitano qui da più di cento.»
«Be, per qualcuno come me, che non ha mai avuto una vera casa e cambiava residenza e nazione quasi ogni anno, una famiglia che abitava nello stesso luogo da venticinque era qualcosa di meraviglioso» continuò Amy. «E poi anche a mia suocera piace il giardinaggio e il bricolage, decorare la casa per renderla più accogliente, ma...»
«Ma?» la incitò Ty.
«A un certo punto mi sono resa conto che la casa di Cynthia, le sue ricette, le sue collezioni di piatti e bicchieri di cristallo in apparenza erano perfette ma prive di autentico calore umano. Cominciai a trovare soffocante quell’ambiente ordinato in maniera ossessiva e non appena Edwin si laureò e trovò lavoro, gli proposi di andare a vivere da soli. Lui, però, mi rispose che era presto per fare un passo così importante come acquistare una casa. Suo padre lo aveva appena nominato amministratore delegato di una delle compagnie finanziarie di famiglia e per il momento doveva concentrarsi solo sulla carriera.»
«Insomma, non gli importava che tu ti sentissi a disagio ad abitare con i suoceri» dedusse Ty.
Amy annuì. «Cominciai a sentirmi come quando abitavo con i miei genitori. Edwin lavorava dodici ore al giorno. Io ero invisibile. Quando rimasi incinta, pensai che il bambino mi avrebbe aiutata a non sentirmi inutile.»
«Capisco.»
«E in effetti fu così» ammise Amy. «Non mi sentivo più sola. Avevo uno scopo per vivere, anche se il mio matrimonio con Edwin stava andando a pezzi. A volte avevo l’impressione che la presenza di Jamey lo infastidisse. Inoltre, mi accorsi che non aveva alcuna intenzione di andare a vivere da soli. Voleva restare a vivere con i suoi. A quel punto pensai di lasciarlo, ma dove potevo andare? I miei genitori erano andati in pensione da poco tempo. Hai presente due personalità alfa che smettono di lavorare?»
«Continuano a essere iperattive?»
«Esatto. In quel periodo stavano facendo trekking in Nepal.»
«E quindi non potevi contare sul loro aiuto» concluse Ty.
«Attualmente sono impegnati nella costruzione di un orfanatrofio in Africa» aggiunse Amy, con ironia. «Comunque sia, non mi lamento... Forse è meglio così. Alla mia età è giusto che io impari a cavarmela da sola.»
«Non sei sola... Hai la responsabilità di Jamey» le rammentò lui.
«Lo so. Così, dopo il parto decisi di cominciare a darmi da fare. Creai su Internet un sito web che si chiamava Baby Bytes, senza dirlo nessuno, nemmeno a Edwin e ai suoi genitori, per evitare critiche o intromissioni. Poche settimane dopo Edwin rimase vittima di un incidente. Quella sera stava rientrando come al solito molto tardi dal lavoro. Probabilmente ebbe un colpo di sonno, finì fuori strada e si schiantò con l’auto contro un muro» rammentò Amy in tono piatto. «Avere dei progetti mi aiutò a trovare la forza di andare avanti, a uscire dal cerchio soffocante che mi teneva prigioniera. Non volevo recitare il ruolo della vedova inconsolabile per il resto della mia vita. Tantomeno continuare a vivere con i suoceri, accettando da loro casa e sostegno economico. Così, quando si presentò l’occasione di badare alla casa dei McFinley per sei mesi, mentre loro erano in Australia da parenti, decisi di coglierla al volo. Nel frattempo, grazie agli annunci pubblicitari pubblicati su Baby Bytes, il mio sito cominciava a rendere bene così iniziai a pensare di imprimergli un maggiore sviluppo.»
«Parlami del tuo sito» la invitò Ty.
Lei esitò per un lungo istante, come se avesse dei dubbi riguardo al fatto che quell’argomento gli interessasse davvero.
«È uno spazio virtuale nel quale tutti possono entrare liberamente ma parecchi dei visitatori sono mamme della mia età» gli spiegò lei. «È suddiviso in sezioni per argomenti, ricette di cucina, puericoltura, bricolage per realizzare giocattoli in casa, maglia, cucito, fotografia. È sorprendente quante persone visitano il sito ogni giorno. Il mio lavoro è quello di migliorarlo continuamente, accettare o meno le richieste di spazi pubblicitari, rispondere alle domande dei visitatori.» Tacque, aspettando che lui cominciasse a criticare quell’attività, ma non accadde nulla del genere.
«Magnifico» commentò invece Ty.
«Insomma, io sto diventando una specie di Martha Stewart del mondo dei bambini» aggiunse Amy con sarcasmo.
Quel tono non gli piacque.
A quanto pareva, quando gli altri non la svalutavano, Amy lo faceva da sola.
«Mi piace il modo in cui riesci a conciliare mondi diversi, usando la tecnologia per valorizzare la tua passione per l’artigianato e le attività domestiche» le disse.
In quel momento si rese conto che era esattamente quello che stavano facendo da tre giorni, anche se in un ambito diverso.
Stavano esplorando la possibilità di conciliare i loro due mondi, con crescente soddisfazione da entrambe le parti.
«Di recente ho concesso dello spazio pubblicitario a un paio di clienti importanti, fra cui la Baby Nap» gli confidò Amy, incoraggiata dall’interesse e dall’approvazione di lui. «La concessione mi ha fruttato una bella somma, che mi permetterà di vivere di rendita per almeno un anno.»
«Insomma, sei creativa e nello stesso tempo hai ereditato dai tuoi genitori il talento per gli affari. Puoi essere fiera di te stessa» si congratulò Ty.
Lei lo fissò un istante, come se non avesse mai considerato la questione in quel modo.
«Ho paura di non farcela» ammise sottovoce.
«No, non ce l’hai. Avevi paura, ma ieri e oggi hai giocato con un cavallo e adesso non c’è più nulla che possa spaventarti.»
«Proprio niente?» sussurrò Amy. «Che mi dici del fatto che sta ancora nevicando?»
«Sopravvivremo, in un modo o nell’altro» rispose lui tranquillamente.
«C’è il rischio che tu non riesca a liberarti di me prima di Natale.»
«Vorrà dire che noi due lo festeggeremo insieme, come preferisci.»
A quelle parole lei sospirò, guardandolo come se non avesse compreso il nocciolo di quella discussione.
Un attimo dopo, infatti, lei pronunciò una frase che lo sconcertò parecchio.
«Che mi dici del fatto che comincio a provare dei sentimenti nei tuoi confronti, Ty Halliday?»