[1] Quando quelli stati, che si acquistano come è detto, sono consueti a vivere con le loro leggi e in libertà, a volergli tenere ci sono tre modi: il primo, ruinarle; l’altro, andarvi ad abitare personalmente; il terzo, lasciàgli vivere con le sua legge, traendone una pensione e creandovi dentro uno stato di pochi, che te lo conservino amico: perché, sendo quello stato creato da quello principe, sa che non può stare sanza l’amicizia e potenza sua e ha a fare tutto per mantenerlo; e più facilmente si tiene una città usa a vivere libera con il mezzo de’ sua cittadini che in alcuno altro modo, volendola perservare.2
[2] In exemplis ci sono gli Spartani ed e’ Romani. Gli Spartani tennono Atene e Tebe creandovi uno stato di pochi, tamen le riperderno.3 E’ Romani, per tenere Capua Cartagine e Numanzia, le disfeciono, e non le perderno; vollono tenere la Grecia quasi come tennono4 gli Spartani, faccendola libera e lasciandole le sua legge, e non successe loro:5 in modo che furno constretti disfare molte città di quella provincia per tenerla. Perché in verità non ci è modo sicuro a possederle altro che la ruina; e chi diviene patrone di una città consueta a vivere libera, e non la disfaccia, aspetti di essere disfatto da quella: perché sempre ha per refugio6 nella rebellione el nome della libertà e gli ordini antiqui sua, e’ quali né per lunghezza di tempo né per benifizi mai si dimenticano. E per cosa che si faccia o si provegga, se non si disuniscono o dissipano gli abitatori non dimenticano quello nome né quegli ordini, e subito in ogni accidente vi ricorrono: come fe’ Pisa dopo cento anni che la era suta posta in servitù da’ Fiorentini.7
[3] Ma quando le città o le provincie sono use a vivere sotto uno principe e quello sangue sia spento, sendo da uno canto usi a ubbidire, da l’altro non avendo il principe vecchio, farne uno in fra loro non si accordano, vivere liberi non sanno: di modo che sono più tardi a pigliare l’arme e con più facilità se li può uno principe guadagnare e assicurarsi di loro.8 Ma nelle republiche è maggiore vita, maggiore odio, più desiderio di vendetta: né li lascia, né può lasciare, riposare la memoria della antiqua libertà; tale che la più sicura via è spegnerle, o abitarvi.9
1 Come si debbano governare stati [o principati] che vivevano secondo le proprie leggi prima che fossero occupati. In questa titolazione suscita qualche perplessità l’espressione «vel principatus». Nel capitolo Machiavelli tratterà di come si debba amministrare uno stato repubblicano conquistato da un principe nuovo; e nell’epilogo dirà che un principato, già assuefatto a vivere sotto un sovrano, sarà più facile da tenere per il nuovo conquistatore. È da ritenersi che l’espressione vel principatus sia interpolazione comune a tutta la tradizione: impossibile stabilire se si tratti di fenomeno d’archetipo o piuttosto della traccia di una revisione d’autore non compiuta e tuttavia fossilizzatasi nella tradizione manoscritta.
2 Vengono indicati tre modi per consolidare gli stati che, prima della conquista, vivevano «con le loro leggi». Rispetto alle tre soluzioni proposte, gli esempi storici addotti sono poi due: gli Spartani e i Romani. Gli Spartani adottavano il terzo metodo (instaurazione di un regime oligarchico); i Romani il primo metodo: «disfeciono [le città conquistate] e non le perderno»; e quando vollero adottare (con la Grecia appena conquistata) il metodo bonario, si trovarono male e dovettero poi ricorrere comunque alla maniera forte «per tenerla». Il terzo esempio, relativo appunto all’«abitarvi», non è però assente; piuttosto è stato già suggerito nel cap. III: «E uno de’ maggiori remedii e più vivi sarebbe che la persona di chi acquista vi andassi a abitare: […] come ha fatto el Turco di Grecia», e poi – nello stesso cap. III – era il suggerimento complementare: «L’altro migliore rimedio [non potendovi andare ad abitare personalmente] è mandare colonie». Più oltre, nel cap. VII, si vedrà che c’è perfino una ulteriore ipotesi, ossia inviare un ministro plenipotenziario che governi la provincia appena acquistata. Dopo aver delucidato questo aspetto l’autore del Principe introduce ancora un elemento di riflessione, che allaccia il cap. V al III: se le città conquistate sono già abituate a vivere sotto un principe, basterà «spegnere» il «sangue» di quello perché il nuovo territorio possa essere governato più o meno stabilmente (senza neppure l’inconveniente di dovervi andare ad abitare); «ma nelle repubbliche è maggior vita […]: tale che la più sicura via è spegnerle o abitarvi»; nel caso delle repubbliche (le quali, appunto, suis legibus vivebant) dunque non c’è rimedio se non la distruzione radicale o l’andare ad abitarvi. – perservare: il raffinato latinismo («conservare durevolmente») è conservato dal Monacense e, con corruttela, dal Marciano. Gli altri mss. banalizzano in preservare.
3 Nel 404 a.C., gli Spartani occuparono Atene alla fine della guerra del Peloponneso e favorirono l’instaurazione del regime oligarchico dei Trenta tiranni, rovesciato poi da Trasibulo; il generale tebano Pelopida restaurò in città la democrazia defenestrando il regime oligarchico instaurato dagli Spartani nel 382.
4 teneano: G, feciono: A, tennono: gli altri mss. Il feciono di A, oltre che assai ripetitivo nel contesto, sul piano semantico appare decisamente più banale rispetto all’universale «tennono» della tradizione (un «tennono» che suscitò qualche perplessità anche nello stampatore romano Antonio Blado, il quale semplificò il testo con uno scolastico «la tennero»).
5 «non successe loro»: non ebbero successo. Capua fu sottomessa nel 211, Cartagine distrutta nel 146, Numanzia fu incendiata dai suoi stessi abitanti alla fine di un lungo assedio nel 133. L’analisi machiavelliana del comportamento romano in Grecia è rimasta a lungo esemplare per lo stile dell’‘imperialismo romano’, sul quale a lungo – e naturalmente non senza passioni ideologiche attualizzanti – si è discusso: dopo la battaglia di Cinoscefale (197) i Romani proclamarono la libertà della Grecia; nel 146 distrussero Corinto, abbatterono le mura di Tebe e Calcide (Giustino XXXIV, 2), e ridussero quindi la Grecia in provincia.
6 «refugio»: baluardo. Significativo il sintagma «nome della libertà», ricorrente anche nelle Istorie fiorentine II, 34: non è tanto il regime liberale (democratico) concretamente sperimentato, quanto l’ideale democratico assunto a modello a costituire un «refugio nella rebellione».
7 I popoli sottomessi, alla prima occasione, ritornano al regime e agli ordinamenti democratici. L’esempio di Pisa deriva dalla diretta esperienza machiavelliana: conquistata nel 1406, Pisa recuperò l’indipendenza nel 1494, approfittando della discesa in Italia di Carlo VIII; infine Firenze la riacquistò solo nel 1509, anche grazie all’Ordinanza, la milizia cittadina arruolata proprio da Machiavelli (cfr. Ridolfi, pp. 161-165).
8 Tra le ragioni che rendono più semplice assoggettare un territorio già assuefatto al regime autocratico, una volta che sia «spenta» la stirpe del vecchio signore, è significativo che Machiavelli sottolinei l’incapacità di ‘eleggere’ un principe civile (questo sarà l’argomento del cap. IX) e in generale come tali popoli non sappiano «vivere liberi», cioè siano privi degli opportuni ordinamenti.
9 I due periodi conclusivi del capitolo sono costruiti in parallelo: prima si parla dei principati (cioè di stati già assuefatti a vivere sotto un sovrano) e si passa dalle «città o le provincie» ai cittadini di quei principati, «usi a ubbidire», etc.; nel periodo successivo l’autore si sofferma sulle «republiche», e le descrive come piene di maggiore vitalità politica, odio (per il conquistatore/oppressore), desiderio di vendetta (per la rapita libertà), e procede quindi con i cittadini delle repubbliche, ai quali «la memoria della antiqua libertà» non concede requie. E in tal caso l’unica soluzione è distruggere queste città o andare a risiedervi.