[1] Non si maravigli alcuno se, nel parlare che io farò de’ principati al tutto nuovi, e di principe e di stato,2 io addurrò grandissimi esempli, perché, camminando gli uomini sempre per le vie battute da altri e procedendo nelle azioni loro con le imitazioni, né si potendo le vie d’altri al tutto tenere né alla virtù di quegli che tu imiti aggiugnere, debbe uno uomo prudente entrare sempre per vie battute da uomini grandi, e quegli che sono stati eccellentissimi imitare:3 acciò che, se la sua virtù non vi arriva, almeno ne renda qualche odore; e fare come gli arcieri prudenti, a’ quali parendo el luogo dove desegnano ferire troppo lontano, e conoscendo fino a quanto va la virtù del loro arco, pongono la mira assai più alta che il luogo destinato, non per aggiugnere con la loro freccia a tanta altezza, ma per potere con lo aiuto di sì alta mira pervenire al disegno loro.4
[2] Dico adunque che ne’ principati tutti nuovi, dove sia uno nuovo principe,5 si truova a mantenergli più o meno difficultà secondo che più o meno è virtuoso colui che gli acquista. E perché questo evento, di diventare di privato principe, presuppone o virtù o fortuna, pare che l’una o l’altra di queste dua cose mitighino in parte molte difficultà; nondimanco, colui che è stato meno in su la fortuna si è mantenuto più.6 Genera ancora facilità essere el principe constretto, per non avere altri stati, venire personaliter ad abitarvi.7
[3] Ma per venire a quegli che per propria virtù e non per fortuna sono diventati principi, dico che e’ più eccellenti sono Moisè, Ciro, Romulo, Teseo e simili.8 E benché di Moisè non si debba ragionare, sendo suto uno mero esecutore delle cose che gli erano ordinate da Dio, tamen debbe essere ammirato, solum9 per quella grazia che lo faceva degno di parlare con Dio. Ma consideriamo Ciro e li altri che hanno acquistato o fondati regni, gli troverrete tutti mirabili; e se si considerranno le azioni e ordini loro particulari, parranno non discrepanti da quegli di Moisè, che ebbe sì grande precettore.10 Ed esaminando le azioni e vita loro non si vede che quelli avessino altro da la fortuna che la occasione, la quale dette loro materia a potere introdurvi dentro quella forma che parse loro: e sanza quella occasione la virtù dello animo loro si sarebbe spenta, e sanza quella virtù la occasione sarebbe venuta invano.11
[4] Era adunque necessario a Moisè trovare el populo d’Israel in Egitto stiavo e oppresso da li Egizi, acciò che quegli,12 per uscire di servitù, si disponessino a seguirlo. Conveniva che Romulo non capessi in Alba, fussi stato esposto al nascere,13 a volere che diventassi re di Roma e fondatore di quella patria.14 Bisognava che Ciro trovassi e’ Persi malcontenti dello imperio de’ Medi, ed e’ Medi molli ed effeminati per la lunga pace. Non poteva Teseo dimostrare la sua virtù, se non trovava gli Ateniesi dispersi.15 Queste occasioni per tanto feciono questi uomini felici e la eccellente virtù loro fe’ quella occasione essere conosciuta:16 donde la loro patria ne fu nobilitata e diventò felicissima.
[5] Quelli e’ quali per vie virtuose, simili a costoro, diventono principi, acquistano el principato con difficultà, ma con facilità lo tengono; e le difficultà che gli hanno nello acquistare el principato nascono in parte da’ nuovi ordini e modi che sono forzati introdurre per fondare lo stato loro e la loro sicurtà.17 E debbesi considerare come e’ non è cosa più difficile a trattare, né più dubbia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo di introdurre nuovi ordini.18 Perché lo introduttore ha per nimico tutti quegli che delli ordini vecchi fanno bene, e ha tiepidi defensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbono bene: la quale tepidezza nasce parte per paura delli avversari, che hanno le leggi dal canto loro, parte da la incredulità degli uomini, e’ quali non credono in verità le cose nuove, se non ne veggono nata una ferma esperienza. Donde nasce che, qualunque volta quelli che sono nimici hanno occasione di assaltare, lo fanno partigianamente, e quelli altri difendono tiepidamente: in modo che insieme con loro si periclita.19
[6] È necessario pertanto, volendo discorrere bene questa parte, esaminare se questi innovatori stanno per loro medesimi o se dependono da altri: cioè se per condurre l’opera loro bisogna che preghino, o vero possono forzare. Nel primo caso, sempre capitano male e non conducono cosa alcuna; ma quando dependono da loro propri e possono forzare, allora è che rare volte periclitano: di qui nacque che tutti e’ profeti armati vinsono ed e’ disarmati ruinorno.20 Perché, oltre alle cose dette, la natura de’ populi è varia ed è facile a persuadere loro una cosa, ma è difficile fermargli in quella persuasione: e però conviene essere ordinato in modo che, quando non credono più, si possa fare loro credere per forza.21 Moisè, Ciro, Teseo e Romulo non arebbono potuto fare osservare [loro] lungamente le loro constituzioni, se fussino stati disarmati; come ne’ nostri tempi intervenne a fra Ieronimo Savonerola, il quale ruinò ne’ sua ordini nuovi, come la moltitudine cominciò a non credergli, e lui non aveva modo a tenere fermi quelli che avevano creduto né a fare credere e’ discredenti.22 Però questi tali23 hanno nel condursi grande difficultà, e tutti e’ loro periculi sono fra via e conviene che con la virtù gli superino. Ma superati che gli hanno, e che cominciano a essere in venerazione, avendo spenti quegli che di sua qualità gli avevano invidia, rimangono potenti, sicuri, onorati e felici.
[7] A sì alti esempli io voglio aggiugnere uno esemplo minore; ma bene arà qualche proporzione con quegli, e voglio mi basti per tutti gli altri simili: e questo è Ierone siracusano.24 Costui di privato diventò principe di Siracusa; né ancora lui conobbe altro da la fortuna che la occasione: perché, sendo e’ Siracusani oppressi, lo elessono per loro capitano; donde meritò di essere fatto loro principe.25 E fu di tanta virtù, etiam in privata fortuna, che chi ne scrive dice quod nihil illi deerat ad regnandum praeter regnum.26 Costui spense la milizia vecchia, ordinò della nuova; lasciò le amicizie antiche, prese delle nuove;27 e come ebbe amicizie e soldati che fussino sua, possé in su tale fondamento edificare ogni edifizio,28 tanto che lui durò assai fatica in acquistare e poca in mantenere.
1 I principati nuovi che si acquistano con armi proprie e valore.
2 «de’ principati al tutto nuovi, e di principe e di stato»: di principati che prima non esistevano in quanto tali, dunque nuovi sia sotto il profilo soggettivo («di principe», di uno che non era principe prima di insignorirsi di un certo territorio), sia sotto il profilo oggettivo («di stati» che non avevano ordinamenti autocratici prima di essere conquistati). Da questo momento Machiavelli sta rescindendo i collegamenti con il tema del principato misto, discusso nei capitoli precedenti.
3 Machiavelli rievoca qui i principî storiografici classicistici che ha adombrato, certamente in scia ciceroniana, nella Dedicatoria (v. ivi, n. 5). Ma ai due assiomi fondamentali (la storia come repertorio esemplare di scelte politiche e la necessità di tramandare le azioni «grandissime» degli uomini «eccellentissimi»), Machiavelli affianca un principio, forse radicato nella cultura aristotelica quattro-cinquecentesca, di ‘imitazione necessaria’: lo statista moderno dovrà imitare le azioni grandi, cioè appunto quelle tramandate dalla storia.
4 A rendere straordinariamente efficace quella che avrebbe potuto essere l’ennesima, stanca iterazione del ritornello historia magistra vitae, è la scelta dell’autore per un registro metaforico quotidiano e concreto: «rendere l’odore» della virtù passata (cioè averne almeno l’aria); «fare come gli arcieri prudenti», che mirano a un obiettivo più alto del bersaglio effettivo, calcolando l’effetto parabolico nel tragitto della freccia, ossia tener nel debito conto lo scarto tra un passato storicamente idealizzato e un presente percepito come inferiore.
5 I «principati tutti nuovi» sono appunto quelli che anche sotto il profilo soggettivo presentano un «nuovo principe», cioè uno che prima di allora principe non era (altrimenti si avrebbe di nuovo la tipologia del principato misto, considerata nei capp. III-V).
6 Machiavelli introduce il binomio virtù/fortuna, al quale sarà dedicato il ‘monografico’ cap. XXV. E già anticipa che il solo fondarsi sulla fortuna non può giovare al principe nuovo.
7 Apparentemente decontestualizzato il ritorno al tema del «personalmente abitare», che sembrava essere esaurito nei capp. III-V: ma qui è l’inciso «per non avere altri stati» a suggerire la motivazione dell’inserto. Il principe del tutto nuovo, non governando altri territori (cioè non essendo stato in precedenza principe), non avrà difficoltà a risiedere nel suo nuovo principato. «Personaliter» (= personalmente) è conservato in latino dal solo Marciano, ma negli altri testimoni potrebbe essere stato volgarizzato dai copisti, come suggerisce Inglese 1995. L’uso dell’avverbio in latino, come il «tamen» e il «solum» che ricorrono subito dopo, è un tratto che ben si confà alla prosa del Principe.
8 Al confine tra storia e leggenda sono tutti i personaggi che animano le archaiologiai (cioè le cronache storiche dedicate ai più remoti inizi) del popolo ebraico (Mosè nella Bibbia), dei Persiani (Ciro in Erodoto), dei Romani (Romolo in Livio), degli Ateniesi (Teseo nella vita plutarchea associata a quella di Romolo).
9 «solum»: già soltanto.
10 Dopo aver apparentemente messo da parte Mosè, come non significativo sul piano politico della storia umana, Machiavelli lo recupera ammiccante: i buoni statisti («Ciro e li altri») misero in pratica comportamenti analoghi a quelli tenuti da Mosè per precetto divino. Insomma non occorre avere personalmente Dio per guida, se si è capaci di imitare le azioni dei grandi tramandate dalla storia: l’autore sta così preparando il terreno per l’argomentazione relativa ai «profeti armati e disarmati» che lo condurrà a discutere di Savonarola (su cui vedi Cutinelli-Rendina 1998, pp. 13-17 e 173). Mosè, Ciro e Teseo torneranno esemplarmente nell’esordio del cap. XXVI.
11 Viene qui introdotto un nuovo grande tema del trattatello, il ruolo dell’«occasione» nella storia: l’occasione che consentì ai grandi statisti scelti come esemplari di dare prova delle proprie qualità (aristotelicamente: offrì loro «materia», grazie alla quale poterono dar «forma» ai propri progetti politici). Machiavelli dedicherà a Filippo de’ Nerli un capitolo ternario Dell’Occasione, riscrittura volgare di Ausonio, nella quale così descrive la dea: «Li sparsi mia capel davanti io tengo, / con essi mi ricuopro el petto e ’l volto / perch’un non mi conosca quando io vengo» (si cita da Capitoli, introduzione, testo critico e commento di G. Inglese, Roma, Bulzoni, 1981). Su questo tema vedi Martelli 2006, pp. 468-473.
12 «quegli»: gli Ebrei.
13 Occorreva che Romolo non trovasse posto (capessi: calco dal latino capere già nel Paradiso dantesco) in Albalonga e fosse abbandonato (esposto) al momento della nascita.
14 Per determinare le condizioni idonee (a volere) affinché egli diventasse re di Roma e dunque fondatore di quello stato. Non direi (come Inglese 1995) che «re e fondatore» sono in hysteron proteron, piuttosto si riferiscono a due concetti diversi: «re di Roma» indica la sola città-villaggio delle origini, il pomerio romuleo; «fondatore di quella patria» indica gli inizi del grande ordinamento costituzionale romano, la Roma a capo di un dominio cosmopolita esteso su gran parte del mondo conosciuto.
15 I due periodi per Ciro e Teseo sottintendono la proposizione finale parallela agli esempi precedenti: non viene chiarito come Ciro e Teseo manifestassero la propria virtù, avendo trovato occasione il primo nella debolezza dei Medi, il secondo nella disunione degli Ateniesi.
16 «quella occasione essere conosciuta»: rese riconoscibile a quei principi («uomini felici») l’occasione favorevole che rese la loro patria «felicissima».
17 «ordini e modi». Come dirà meglio nel cap. IX, Machiavelli ha in mente un principe nuovo assurto a tale ruolo con lo specifico (e difficile) intento di riformare lo stato, introducendovi ordinamenti e stili di vita innovativi, utili a consolidare lo stato e il proprio potere. Il collegamento politico fra un potere autocratico extra ordinem e la riforma di uno stato corrotto sarà poi al centro dei capp. 17-18 nel primo libro dei Discorsi: da tale convergenza tematica ha tratto origine la teoria tradizionale di un nesso funzionale e testuale tra la diagnosi della crisi interna agli ordinamenti repubblicani e l’idea di un principe legislatore.
18 «farsi capo di»: prendere l’iniziativa di introdurre nuovi ordinamenti.
19 Le ragioni delle difficoltà: le resistenze di coloro che traggono vantaggio dal sistema vigente, il sostegno non valido di coloro che spererebbero, senza alcuna certezza, in un miglioramento della propria condizione. I primi fondano la propria opposizione sulla legge esistente, i secondi si mostrano incerti per incredulità. – «partigianamente»: con l’energia con la quale si difende un interesse di parte.
20 La regola generale secondo cui un nuovo principe volto al rinnovamento dello stato si scontra con gravi difficoltà viene temperata dai mezzi a disposizione di un tale riformatore: colui che può agire contando sulle sole sue proprie forze (il «profeta armato») ha maggiori possibilità di successo rispetto a colui che deve ottenere consenso e appoggio da altre fazioni in campo (il «profeta disarmato»). L’uso del sostantivo profeti per indicare un principe riformatore è singolare: non solo prepara il riferimento contemporaneistico alla vicenda savonaroliana, ma tinge di un colore ironicamente escatologico l’intento di «introdurre nuovi ordini».
21 La diagnosi sull’incostanza del popolo ha radici classiche, ma naturalmente non è un principio teoreticamente assoluto. Già nel cap. IX Machiavelli sosterrà che quel ‘principe civile’ che si fondi sul popolo godrà di maggiore stabilità rispetto a quello che si appoggi sul ceto aristocratico.
22 Girolamo Savonarola (Ferrara 1452 – Firenze 1498) aveva dato avvio a una campagna moralizzatrice in Firenze dopo la cacciata dei Medici nel 1494, istituendo una sorta di repubblica popolare fondata sul Consiglio Grande. Morì impiccato e arso sul rogo dopo la scomunica comminata da papa Alessandro VI (e l’intiepidirsi del consenso dei Fiorentini nei suoi confronti). Il giudizio di Machiavelli intorno a questa figura è ambivalente: si veda Mario Martelli, Machiavelli e Savonarola, in G. Garfagnini (a cura di), Savonarola. Democrazia, tirannide, profezia, atti del III seminario di studi (Pistoia 1997), Firenze, Sismel, 1998, pp. 67-89; Id., Machiavelli e Savonarola: valutazione politica e valutazione religiosa, in Girolamo Savonarola. L’uomo e il frate, atti del XXV convegno storico internazionale Todi 1998, Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto Medioevo, 1999, pp. 121-159; e ora Matteo Palumbo, L’inattualità del ‘Dialogo’: Guicciardini tra Savonarola e Machiavelli, in Fournel-Grossi, Governare a Firenze, 2007, pp. 107-124. Si segnala l’elegante gioco verbale sul verbo credere: «non credergli […] quelli che avevano creduto, né a far credere e’ discredenti». Altresì «osservare [loro] […] le loro constituzioni» appare tanto tautologico quanto d’autore, incuneato com’è in una serie tutta machiavelliana di loro.
23 I «profeti disarmati» incontrano le maggiori difficoltà nel consolidare la propria posizione (e debbono riuscirvi «con la virtù»); dal momento in cui entrano nella venerazione popolare non hanno ragione di temere. Lo stilema si ripete in chiusa al capitolo e, simmetricamente, in apertura del cap. VII.
24 Nel corso del capitolo Machiavelli ha discusso due temi fra loro congiunti: 1) coloro che hanno raggiunto il rango di principe per virtù (ricevendo dalla fortuna solo l’occasione); 2) coloro che in qualità di principi hanno dovuto/voluto rinnovare gli ordinamenti statuali. Pertanto quando l’autore si accinge ad aggiungere l’esempio di Ierone siracusano, dopo «sì alti esempli», si riferisce agli esempi di entrambe le tipologie congiunte, ossia di Mosè, Ciro, Teseo e Romolo considerati tanto come nuovi principi ascesi al regno per virtù, quanto come principi legislatori, fondatori di nuovi ordinamenti costituzionali. Ed è appunto su questo duplice versante che si colloca l’ulteriore (e in questo senso definitivo) esempio di Ierone. Cfr. su questo infra cap. VII, n. 5, per l’introduzione in quel luogo della figura di Francesco Sforza.
25 Così Machiavelli chiarisce che Ierone fu appunto un «principe nuovo», assurto al regno dall’essere un semplice privato cittadino, e ottenne il trono per «virtù», ricevendo dalla fortuna la sola «occasione» («sendo e’ Siracusani oppressi», come lo erano gli Ebrei di Mosè e i Persiani di Ciro).
26 «chi ne scrive» è Giustino XXIII, 4: «prorsus ut nihil ei regium deese, praeter regnum, videretur». Ma le successive notizie sembrano al Martelli derivate da Polibio I, 8-9 e 16.
27 È qui un elenco abbreviato delle azioni più importanti che un principe nuovo deve compiere (procurarsi una milizia fedele, scegliere alleati potenti): un elenco più analitico chiuderà il cap. VII con il giudizio conclusivo sull’operato di Cesare Borgia.
28 «edificare ogni edifizio» è ripresa della metafora edilizia discussa in chiusa del cap. II, vedi ivi n. 8.