Capitolo VIII

DE HIS QUI PER SCELERA AD PRINCIPATUM
PERVENERE
1

[1] Ma perché di privato si diventa principe ancora in dua modi, il che non si può al tutto o alla fortuna o alla virtù attribuire, non mi pare da lasciarli indreto, ancora che dell’uno si possa più diffusamente ragionare dove si trattassi delle republiche.2 Questi sono quando o per qualche via scelerata e nefaria si ascende al principato, o quando uno privato cittadino con el favore degli altri sua cittadini diventa principe della sua patria. E parlando del primo modo si mosterrà con dua esempli, uno antico, l’altro moderno, sanza entrare altrimenti ne’ meriti di questa parte: perché io iudico ch’e’ basti a chi fussi necessitato imitargli.3

[2] Agatocle siciliano, non solo di privata ma d’infima e abietta fortuna, divenne re di Siracusa.4 Costui, nato di uno figulo,5 tenne sempre, per li gradi della sua età, vita scelerata:6 nondimanco accompagnò le sua sceleratezze con tanta virtù di animo e di corpo7 che, voltosi alla milizia, per li gradi di quella pervenne a essere pretore8 di Siracusa. Nel qual grado sendo constituito, e avendo deliberato diventare principe e tenere con violenzia e sanza obligo di altri quello che d’accordo gli era suto concesso,9 e avuto di questo suo disegno intelligenzia con Amilcare cartaginese – il quale con li eserciti militava in Sicilia – ragunò una mattina il populo e il senato di Siracusa, come se egli avessi avuto a deliberare cose pertinenti alla republica. E a uno cenno ordinato fece da’ sua soldati uccidere tutti e’ senatori ed e’ più ricchi del populo; e’ quali morti, occupò e tenne il principato di quella città sanza alcuna controversia civile.10 E, benché da’ Cartaginesi fussi dua volte rotto e demum assediato, non solo possé difendere la sua città, ma, lasciato parte delle sue gente alla defesa della ossidione, con le altre assaltò l’Affrica e in breve tempo liberò Siracusa da lo assedio e condusse e’ Cartaginesi in estrema necessità; e furno necessitati accordarsi con quello, essere contenti della possessione della Affrica, e ad Agatocle lasciare la Sicilia.11

[3] Chi considerassi adunque le azioni e vita di costui,12 non vedrà cose, o poche, le quali possa attribuire alla fortuna, con ciò sia cosa, come di sopra è detto, che13 non per favore di alcuno, ma per li gradi della milizia, e’ quali con mille disagi e periculi si aveva guadagnati, pervenissi al principato, e quello di poi con tanti partiti animosi e periculosissimi14 mantenessi. Non si può ancora15 chiamare virtù ammazzare e’ suoi cittadini, tradire gli amici, essere sanza fede, sanza pietà, sanza religione: e’ quali modi possono fare acquistare imperio,16 ma non gloria. Perché, se si considerassi la virtù di Agatocle nello entrare e nello uscire de’ pericoli e la grandezza dello animo suo nel sopportare e superare le cose avverse, non si vede perché egli abbia a essere iudicato inferiore a qualunque eccellentissimo capitano: nondimanco la sua efferata crudeltà e inumanità con infinite sceleratezze non consentono ch’e’ sia in fra gli eccellentissimi uomini celebrato.17 Non si può adunque attribuire alla fortuna o alla virtù quello che sanza l’una e l’altra fu da lui conseguito.

[4] Ne’ tempi nostri, regnante Alessandro VI, Liverotto firmano,18 sendo più anni innanzi rimaso piccolo sanza padre, fu da uno suo zio materno, chiamato Giovanni Fogliani, allevato, e ne’ primi tempi della sua gioventù dato a militare sotto Paulo Vitegli,19 acciò che, ripieno di quella disciplina, pervenissi a qualche eccellente grado di milizia. Morto di poi Paulo, militò sotto Vitellozzo, suo fratello, e in brevissimo tempo, per essere ingegnoso e della persona e dello animo gagliardo,20 diventò el primo uomo della sua milizia. Ma parendogli cosa servile lo stare con altri, pensò, con lo aiuto di alcuno cittadino firmano, alli quali era più cara la servitù che la libertà della loro patria,21 e con il favore vitellesco, occupare Fermo. E scrisse a Giovanni Fogliani come, sendo stato più tempo fuora di casa, voleva venire a vedere lui e la sua città, e riconoscere22 in qualche parte el suo patrimonio; e perché non si era affaticato per altro che per acquistare onore,23 acciò che e’ suoi cittadini vedessino come e’ non aveva speso il tempo invano, voleva venire onorevole e accompagnato da cento cavagli di sua amici e servidori; e pregavalo fussi contento ordinare che da’ Firmiani fussi ricevuto onoratamente: il che non solamente tornava onore a sé proprio, ma a lui, sendo suo alunno.

[5] Non mancò pertanto Giovanni di alcuno offizio debito verso el nipote, e, fattolo ricevere da’ Firmiani onoratamente, si alloggiò24 nelle case sue; dove, passato25 alcuno giorno e atteso a ordinare secretamente quello che alla sua futura sceleratezza era necessario, fece uno convito solennissimo, dove invitò Giovanni Fogliani e tutti e’ primi uomini di Fermo. E consumate che furno le vivande e tutti gli altri intrattenimenti che in simili conviti si usano, Liverotto ad arte26 mosse certi ragionamenti di cose gravi, parlando della grandezza di papa Alessandro e di Cesare suo figliuolo e delle imprese loro: alli quali ragionamenti rispondendo Giovanni e gli altri, lui a uno tratto si rizzò, dicendo quelle essere cose da ragionarne in luogo più secreto; e ritirossi in una camera, dove Giovanni e tutti gli altri cittadini gli andorno dreto. Né prima furno posti a sedere che, de’ lochi segreti di quella, uscirno soldati che ammazzorno Giovanni e tutti gli altri. Dopo il quale omicidio montò Liverotto a cavallo e corse la terra27 e assediò nel palazzo el supremo magistrato: tanto che per paura furno constretti ubbidirlo e formare uno governo del quale si fece principe; e morti tutti quelli che per essere mal contenti lo potevono offendere, si corroborò con nuovi ordini civili e militari:28 in modo che, in spazio di uno anno ch’e’ tenne el principato, non solamente lui era sicuro nella città di Fermo, ma era diventato pauroso a tutti e’ sua vicini. E sarebbe suta la sua espugnazione difficile come quella di Agatocle, se non si fussi lasciato ingannare da Cesare Borgia, quando a Sinigaglia, come di sopra si disse, prese gli Orsini e Vitelli: dove, preso ancora lui, in uno anno dopo il commisso parricidio fu insieme con Vitellozzo, il quale aveva avuto maestro delle virtù e delle sceleratezze sue, strangolato.29

[6] Potrebbe alcuno dubitare donde nascessi che Agatocle e alcuno simile, dopo infiniti tradimenti e crudeltà, possé vivere lungamente sicuro nella sua patria e difendersi da li inimici esterni, e da’ suoi cittadini non gli fu mai conspirato contro: con ciò sia che molti altri mediante la crudeltà non abbino, etiam ne’ tempi pacifici, potuto mantenere lo stato, non che ne’ tempi dubiosi di guerra. Credo che questo avvenga da le crudeltà male usate o bene usate. Bene usate si possono chiamare quelle – se del male è lecito dire bene – che si fanno a uno tratto per la necessità dello assicurarsi: e di poi non vi si insiste dentro, ma si convertono in più utilità de’ sudditi che si può. Male usate sono quelle le quali, ancora che nel principio sieno poche, più tosto col tempo crescono che le si spenghino. Coloro che osservono el primo modo, possono con Dio e con li uomini avere allo stato loro qualche rimedio, come ebbe Agatocle; quegli altri è impossibile si mantenghino.30

[7] Onde è da notare che, nel pigliare uno stato, debbe lo occupatore d’esso discorrere tutte quelle offese che gli è necessario fare, e tutte farle a uno tratto, per non le avere a rinnovare ogni dì e potere, non le innovando, assicurare li uomini e guadagnarseli con benificarli.31 Chi fa altrimenti, o per timidità o per mal consiglio, è sempre necessitato tenere il coltello in mano; né mai può fondarsi sopra e’ sua sudditi, non si potendo quegli, per le fresche e continue iniurie, mai assicurare di lui. Per che le iniurie si debbono fare tutte insieme, acciò che, assaporandosi meno, offendino meno; e’ benifizi si debbono fare a poco a poco, acciò si assaporino meglio. E debbe soprattutto uno principe vivere in modo, con e’ suoi sudditi, che veruno accidente o di male o di bene lo abbia a fare variare:32 perché, venendo per li tempi avversi le necessità, tu non se’ a tempo al male, e il bene che tu fai non ti giova perché è iudicato forzato, e non te n’è saputo grado alcuno.33

1 Coloro che giunsero al principato per mezzo di scelleratezze.

2 Benché di uno di tali modi si possa più ampiamente discutere qualora si trattasse delle repubbliche. In realtà il secondo modo «quando uno privato cittadino con el favore degli altri sua cittadini diventa principe della sua patria» sarà oggetto del cap. IX. Sul legame tematico fra il contenuto del cap. IX e Discorsi I, 18 (e sulla tradizionale tesi di Chabod intorno alla genesi del Principe) vedi Introduzione, p. 5 e Appunti sulla fortuna, p. 231.

3 Machiavelli annuncia una trattazione consapevolmente concisa e giocata sul valore dell’esempio (antico e moderno), ‘perché ritengo che siano sufficienti a quel principe che si trovasse nella necessità di imitarli’. Il concetto di ‘necessità’ implica l’assenza di ogni valutazione assiologica in merito all’impiego di scelera da parte di chi aspiri al principato: infatti il capitolo sarà chiuso da alcune considerazioni metodologiche intorno alle «crudeltà bene usate».

4 La fonte è l’epitome di Pompeo Trogo allestita da Giustino, libro XXII. Agatocle dominò Siracusa dal 316 al 289 a.C.

5 figulo: vasaio. È parola latina mutuata da Giustino («patre figulo natus»), nonostante ‘figulo’, come latinismo, sia attestato prima di Machiavelli.

6 Via via che cresceva tenne sempre una condotta scellerata.

7 Prestanza fisica e tenacia nel conseguire i propri obiettivi. Traduce alla lettera il celebre ritratto sallustiano di Catilina: «fuit magna vi et animi et corporis, sed ingenio malo pravoque» (De coniuratione Catilinae 5).

8 Giustino ne indica il grado come tribunus militum, cioè comandante delle truppe. La parola «pretore», in senso militare, è venuta a Machiavelli dalla tradizione liviana della storia romana arcaica, anteriore alla riforma istituzionale delle leges Liciniae Sextiae. In tal senso il praetor è colui che ‘procede in testa alle truppe’, dunque le guida e comanda.

9 L’espressione machiavelliana è ambigua perché riassume assai stringatamente una vicenda più ampiamente narrata nella fonte, ossia nell’epitome di Giustino (cfr. Martelli 2006, p. 152). Agatocle aveva cercato di ottenere il potere a Siracusa, e grazie all’appoggio cartaginese aveva potuto conseguire il comando militare: pertanto egli aveva deciso di diventare signore assoluto della città e, frattanto, di tenere quel grado che gli era stato concesso per la mediazione di Amilcare cartaginese con violenza e senza sentirsi obbligato ad alcuno.

10 Ancora con l’aiuto di Amilcare cartaginese organizzò un colpo di stato: fece riunire popolo e senato, ordinò ai cinquemila soldati ricevuti da Amilcare di uccidere i senatori e i cittadini più in vista, e raggiunse così il principato assoluto, che poi mantenne senza alcuna opposizione da parte dei Siracusani.

11 Avendo ricevuto appoggio dai Cartaginesi per ottenere il potere, Agatocle condusse poi una guerra contro di loro per assicurare la preminenza di Siracusa sulla Sicilia greca, e fu così abile che, benché sconfitto due volte in campo aperto, e infine stretto sotto assedio, riuscì a spostare la guerra in Africa, avendo lasciato solo una parte delle truppe a difesa di Siracusa assediata: così liberò la città e mise in difficoltà i Cartaginesi, al punto da ottenere una pace a lui favorevole, che ne riconosceva un sostanziale predominio in Sicilia (Giustino lo chiama infatti rex Siciliae, benché una parte dell’isola restasse comunque sotto l’influenza cartaginese). Qualche dubbio solleva il valore dell’avverbio latino «demum» (finalmente) e l’espressione «alla defesa della ossidione»; la sequenza delle azioni è la seguente: Agatocle viene sconfitto una prima volta dal cartaginese Amilcare figlio di Giscone (diverso dall’Amilcare di cui si diceva prima nella n. 10, e ancora diverso dal più celebre Amilcare Barca) e una seconda volta a Ecnomo presso il fiume Imera nel 310 a.C.; quindi i Cartaginesi riescono finalmente (demum) a cingere d’assedio la città. Agatocle, «lasciato parte delle sue gente alla defesa della ossidione», portò la guerra in Africa: «defesa della ossidione» è metonimico e intenderebbe tradurre «ceteros omnes ad tutelam patriae relinquit»; è chiaro che le truppe di Agatocle non restarono a ‘difesa dell’assedio’, ma della città assediata.

12 «Chi considerassi … vita di costui» è sintagma tipicamente machiavelliano per concludere con un giudizio di sintesi il ‘ritratto’ di un personaggio esemplare. Cfr., al termine del cap. VII, il «chi adunque iudica necessario» che conclude il ragguaglio sulle gesta del Valentino e il «chi fussi necessitato imitargli» in apertura del cap. VIII. Per un elenco di tale impiego del verbo considerare in Machiavelli v. Martelli 2006, p. 128. – «o poche»: o appena qualcuna di valore trascurabile.

13 «con ciò sia cosa … che»: dal momento che.

14 «partiti animosi e periculosissimi»: scelte coraggiose e assai rischiose.

15 «ancora»: d’altro canto, per altro. – Non si può chiamare «virtù», dunque, quella di Agatocle; poco dopo Machiavelli addita tenacia e coraggio bellico come «la virtù di Agatocle», e chiude infine con «Non si può adunque attribuire […] alla virtù».

16 «imperio»: potere.

17 Il parallelismo tra «eccellentissimo capitano» e «eccellentissimi uomini» è significativo: il valore, la tenacia, il coraggio resero Agatocle un comandante militare esemplare; la sua sfrenata crudeltà «efferata», degna di una fiera), la mancanza di umana pietà, i crimini scellerati non consentono di enumerarlo fra i ‘grandi uomini’.

18 Oliverotto Euffreducci da Fermo (1475-1502): della sua fine per mano del Valentino si è detto nel cap. VII, n. 16. – «regnante Alessandro VI» è costruzione del participio che imita l’ablativo assoluto latino con valore temporale.

19 Paolo Vitelli era fratello del Vitellozzo ricordato nel cap. VII fra i condottieri di parte orsina uccisi a Senigallia dal Valentino. Questo Paolo ebbe anche il comando delle truppe fiorentine nella lunga e dispendiosa guerra per la riconquista di Pisa: ma i Fiorentini insoddisfatti lo giustiziarono come traditore il 1° ottobre 1498 (cfr. Inglese 1995, p. 58, che cita appunti storici autografi del Machiavelli nel Riccardiano 3627). Vitellozzo riuscì a salvarsi riparando a Pisa.

20 «ingegnoso … gagliardo»: abile e coraggioso nelle azioni e nei progetti.

21 «alli quali … libertà della loro patria»: cittadini di Fermo che, per interesse personale, erano pronti a rinunciare alla libertà civile.

22 «riconoscere»: ottenere un rendiconto, un inventario almeno parziale dei propri beni.

23 «acquistare onore … onorevole … onoratamente … tornare onore». Come ha osservato Inglese 1995 è la parola chiave nel ragguaglio dedicato a Oliverotto, e prelude alle pompe cortigiane nell’Italia del XVII secolo. Oliverotto si era impegnato per acquisire posizioni degne di onori, voleva dunque essere ricevuto con ogni onore (accompagnato da un corteo imponente, che in verità servirà a porre in opera il piano omicida di Oliverotto), e desiderava che gli abitanti di Fermo lo accogliessero con i debiti onori, il che avrebbe dato onore anche allo stesso Giovanni Fogliani, parente e tutore di Oliverotto.

24 Giovanni esaudì tutte le richieste del nipote, e Liverotto «si alloggiò» nelle proprie case. L’assenza di un soggetto espresso per il verbo «si alloggiò» non è errore, ma – per quanto inelegante – il costrutto è voluto. Infatti se Machiavelli avesse ripetuto il soggetto (Oliverotto) davanti a «si alloggiò», l’aggettivo possessivo «sue» si sarebbe riferito alle case del Fogliani. Ossia il nipote, ricevuto in città con ogni onore, sarebbe andato ad abitare a casa dello zio. Altresì, dato che di «patrimonio» di Oliverotto a Fermo si è appena parlato è più credibile che Oliverotto, ricevuto in città con ogni pompa grazie ai buoni uffici dello zio, sia poi andato a vivere in una delle sue proprie (di Oliverotto) case. Così del resto assume maggior concretezza la successiva scena del convito-macello, che dovremmo altresì ritenere (meno credibilmente) avere avuto luogo a casa del Fogliani, se colà Oliverotto fosse andato a risiedere.

25 Nel ms. Monacense si registra «posato»: avendo sostato, riposato per alcuni giorni.

26 «ad arte»: con abile dolo.

27 Dopo l’omicidio, Oliverotto compì una scorreria galoppando per le vie della città alla testa dei propri uomini, per intimorire i cittadini e assaltare il palazzo della Signoria. – «formare uno governo» è lezione del solo Monacense, ma senza dubbio corretta perché «fermare uno governo», attestato nel ramo y, nonché nel ms. Marciano e nelle edizioni Bladiana e Giuntina, benché certamente attestato in Machiavelli, ha un significato diverso e indica il ‘consolidarsi di un governo’. Se l’errore sia meramente materiale (per difetto di lettura di una singola lettera) o sia errore di pensiero, inteso ad anticipare quanto Oliverotto in seguito effettivamente metterà in atto (cfr. n. 28), cioè di «fermare», consolidare il proprio potere, non è possibile stabilirlo.

28 Oliverotto mette in opera i precetti fondamentali sui quali Machiavelli insiste a partire dal cap. VI: eliminò fisicamente ogni possibile avversario (tutti coloro che, scontenti del mutato regime, potevano desiderare di sovvertirlo nuovamente), istituì nuovi ordinamenti a lui favorevoli e arruolò una milizia fedele.

29 La sconfitta («espugnazione») di Oliverotto sarebbe stata altrettanto difficile di quella di Agatocle, se non fosse caduto nella trappola del Valentino a Senigallia (cfr. supra, cap. VII, nn. 16-18) e ucciso insieme con Vitellozzo suo maestro nel valore militare come nelle scelleratezze. – «in uno anno dopo il commisso parricidio», come ben vede Inglese 1995: ‘appena entro un anno da quando aveva ucciso Giovanni Fogliani, suo zio materno che lo aveva allevato come un padre’.

30 Benché nell’esordio del capitolo Machiavelli intendesse limitarsi ai due esempi, non si esime qui da qualche considerazione di portata più generale sulle «crudeltà» bene o male usate. Il tema ritornerà, naturalmente, nel cap. XIX, e in qualche misura era anticipato dal comportamento del Valentino, per esempio nei confronti del ministro Ramiro. L’elemento rivoluzionario in questa formulazione machiavelliana è insito nel fatto stesso di considerare ammissibile che una «crudeltà» possa essere bene usata, e lo è quando è momentanea, dettata dall’esigenza di consolidare lo stato, e volta presto al benessere dei sudditi (è questa una teorizzazione ante litteram del cosiddetto ‘dispotismo illuminato’). Le «crudeltà» male usate sono quelle che, invece di interrompersi o diminuire, aumentano e si intensificano, come una catena criminosa che dopo le prime malefatte ne trascina dietro una serie ininterrotta. – «con Dio e con li uomini» è espressione ambigua: Martelli 2006 suggerisce, sulla base di una lettera machiavelliana dell’8 gennaio 1502, che si debba sottintendere uno scusandosene «con Dio e con li uomini» (p. 161). Inglese 1995 propone: «sia nel rispetto etico sia in quello pratico», e chiosa «allo stato loro» come «ai pericoli insiti nella loro condizione». La costruzione del periodo potrebbe essere: «coloro che osservono el primo modo [si valgono cioè di crudeltà bene usate] possono avere qualche remedio con Dio e con li uomini [fare ammenda sotto il profilo delle leggi divine e umane] allo stato loro [per il proprio comportamento]»; il paragone con Agatocle segnalerebbe che quel tiranno, dopo le scelleratezze compiute per ottenere il potere, seppe invece governare con misura per il benessere del proprio popolo. Di grande interesse sul piano esegetico che, venendo a «quegli altri», quelli cioè delle «crudeltà male usate», la legge divina non sia più evocata, ma l’autore si limiti a sottolineare una conseguenza pratica e real-politica: «è impossibile si mantenghino», ossia sono destinati a cadere rovesciati dall’odio popolare.

31 Il principe nuovo è bene dunque che compia subito e tutte insieme le azioni odiose, necessarie a consolidare lo stato, e quindi si volga a «beneficare» i sudditi per esserne amato.

32 Costruisci con Inglese 1995: «vivere in modo che veruno accidente lo abbia a fare variare o di male o di bene», ossia nessun accadimento imprevisto induca il principe a mutare il suo comportamento verso i sudditi con eccessiva benevolenza o eccessiva crudeltà.

33 Il «male» compiuto sotto l’impulso della necessità non giova, e il «bene» non è credibile, perché forzato dal bisogno.