[1] Ma perché, circa le qualità di che di sopra2 si fa menzione, io ho parlato delle più importanti, l’altre voglio discorrere brevemente sotto queste generalità:3 che el principe pensi, come in parte di sopra è detto,4 di fuggire quelle cose che lo faccino odioso o contennendo;5 e qualunque volta e’ fuggirà questo, arà adempiuto le parti sua6 e non troverrà nelle altre infamie7 periculo alcuno. Odioso soprattutto lo fa, come io dissi, essere rapace e usurpatore della roba e delle donne de’ sudditi: da che si debbe astenere.8 E qualunque volta alle universalità delli uomini9 non si toglie né onore10 né roba, vivono contenti: e solo si ha a combattere con la ambizione de’ pochi, la quale in molti modi e con facilità si raffrena. Contennendo lo fa essere tenuto vario, leggieri, effeminato, pusillanime, irresoluto:11 da che uno principe si debbe guardare come da uno scoglio, e ingegnarsi che nelle azioni sua si riconosca grandezza, animosità, gravità, fortezza, e circa a’ maneggi privati tra e’ sudditi volere che la sua sentenza sia irrevocabile;12 e si mantenga in tale opinione13 che alcuno non pensi né a ingannarlo né ad aggirarlo.
[2] Quel principe che dà di sé questa opinione è reputato assai, e contro a chi è reputato con difficultà si congiura, con difficultà è assaltato,14 purché s’intenda che sia eccellente e che sia reverito da’ sua. Perché uno principe debbe avere dua paure: una dentro, per conto15 de’ sudditi; l’altra di fuori, per conto de’ potentati esterni. Da questa16 si difende con le buone arme e con e’ buoni amici: e sempre, se arà buone arme, arà buoni amici.17 E sempre staranno ferme le cose di dentro, quando stieno ferme quelle di fuora, se già le non fussino perturbate da una congiura:18 e quando pure quelle di fuora movessino, s’egli è ordinato e vissuto come ho detto,19 quando e’ non si abbandoni, sosterrà sempre ogni impeto, come io dissi che fece Nabide spartano.20
[3] Ma circa e’ sudditi, quando le cose di fuora non muovino, si ha a temere che non21 coniurino secretamente; di che el principe si assicura assai fuggendo lo essere odiato o disprezzato, e tenendosi22 el populo satisfatto di lui: il che è necessario conseguire come di sopra a lungo si disse.23 E uno de’ più potenti remedi che abbia uno principe contro alle congiure, è non essere odiato da lo universale: perché sempre chi coniura crede con la morte del principe satisfare al populo, ma quando creda offenderlo non piglia animo a prendere simile partito.24 Perché le difficultà che sono da la parte de’ congiuranti sono infinite, e per esperienza si vede molte essere state le congiure e poche avere avuto buono fine. Perché chi congiura non può essere solo, né può prendere compagnia se non di quelli che creda essere malcontenti: e subito che a uno malcontento tu hai scoperto lo animo tuo, gli dai materia a contentarsi, perché manifestandoti25 lui ne può sperare ogni commodità; talmente che, veggendo il guadagno sicuro da questa parte, e da l’altra veggendolo dubbio e pieno di periculo, conviene bene o ch’e’ sia raro amico26 o ch’e’ sia al tutto ostinato inimico del principe, a osservarti la fede. E per ridurre la cosa in brevi termini, dico che da la parte del coniurante non è se non paura, gelosia e sospetto di pena che lo sbigottisce:27 ma da la parte del principe è la maestà del principato, le leggi, le difese delli amici e dello stato che lo difendono.28 Talmente che, aggiunto a tutte queste cose la benivolenzia populare, è impossibile che alcuno sia sì temerario che congiuri: perché dove, per l’ordinario, uno coniurante ha a temere innanzi alla esecuzione del male, in questo caso debbe temere ancora poi, avendo per nimico el populo, seguìto lo eccesso, né potendo per questo sperare refugio alcuno.
[4] Di questa materia se ne potrebbe dare infiniti esempli, ma voglio solo essere contento di uno seguìto a’ tempi de’ padri nostri.29 Messere Annibale Bentivogli, avolo del presente messer Annibale, che era principe in Bologna,30 sendo da’ Canneschi, che gli coniurorno contro, ammazzato né rimanendo di lui altri che messere Giovanni, quale era in fasce, subito dopo tale omicidio si levò il populo e ammazzò tutti e’ Canneschi.31 Il che nacque da la benivolenzia populare che la casa de’ Bentivogli aveva in quelli tempi: la quale fu tanta che, non restando di quella alcuno, in Bologna, che potessi, morto Annibale, reggere lo stato, e avendo indizio come in Firenze era uno nato de’ Bentivogli, che si teneva fino allora figliuolo di uno fabbro,32 vennono e’ Bolognesi per quello in Firenze e gli dettono il governo di quella città; la quale fu governata da lui fino a tanto che messer Giovanni pervenissi in età conveniente al governo.
[5] Concludo pertanto che uno principe debbe tenere delle congiure poco conto, quando il populo gli sia benivolo: ma quando gli sia nimico e abbilo in odio, debbe temere d’ogni cosa e di ognuno. E gli stati bene ordinati ed e’ principi savi hanno con ogni diligenzia pensato di non disperare e’ grandi e satisfare al populo e tenerlo contento:33 perché questa è una delle più importanti materie che abbi uno principe.
[6] In tra e’ regni bene ordinati e governati a’ tempi nostri è quello di Francia, e in esso si truovono infinite constituzioni buone donde depende la libertà e la sicurtà del re: delle quali la prima è il parlamento34 e la sua autorità. Perché quello che ordinò quello regno, conoscendo l’ambizione de’ potenti e la insolenzia loro,35 e iudicando essere loro necessario uno freno in bocca che gli correggessi – e da l’altra parte conoscendo l’odio dello universale36 contro a’ grandi fondato in su la paura, e volendo assicurargli –37 non volle che questa fussi particulare cura del re, per torgli quello carico che potessi avere co’ grandi favorendo e’ populari, e co’ populari favorendo e’ grandi.38 E però constituì uno iudice terzo, che fussi quello che sanza carico del re battessi e’ grandi e favorissi e’ minori: né poté essere questo ordine migliore né più prudente, né che39 sia maggiore cagione della sicurtà del re e del regno. Di che si può trarre un altro notabile:40 che e’ principi le cose di carico debbono fare sumministrare ad altri, quelle di grazia loro medesimi.41 E di nuovo concludo che uno principe debbe stimare e’ grandi, ma non si fare odiare dal populo.42
[7] Parrebbe forse a molti, considerato la vita e morte di alcuno imperadore romano, che fussino esempli contrari a questa mia opinione, trovando alcuno essere vissuto sempre egregiamente e mostro43 gran virtù d’animo: nondimeno aver perso lo imperio, o vero essere stato morto44 da’ sua che gli hanno congiurato contro. Volendo pertanto rispondere a queste obiezioni, discorrerò le qualità di alcuni imperadori,45 mostrando le cagioni della loro ruina non disforme da quello che da me si è addutto; e parte metterò in considerazione quelle cose che sono notabili a chi legge le azioni di quelli tempi.46 E voglio mi basti pigliare tutti quelli imperadori che succederno allo imperio da Marco filosofo a Massimino,47 e’ quali furno: Marco, Commodo suo figliuolo, Pertinace, Iuliano, Severo, Antonino Caracalla suo figliuolo, Macrino, Eliogabal, Alessandro e Massimino. Ed è prima da notare che, dove nelli altri principati si ha solo a contendere con la ambizione de’ grandi e insolenzia de’ populi, gl’imperadori romani avevano una terza difficultà, di avere a sopportare la crudeltà e avarizia48 de’ soldati. La quale cosa era sì difficile che la fu cagione della ruina di molti, sendo difficile satisfare a’ soldati e a’ populi; perché e’ populi amavano la quiete, e per questo e’ principi modesti49 erano loro grati, ed e’ soldati amavano el principe di animo militare e che fussi crudele, insolente e rapace:50 le quali cose volevano che lui esercitassi ne’ populi,51 per potere avere duplicato stipendio e sfogare la loro avarizia e crudeltà. Le quali cose feciono che quelli imperadori che per natura o per arte52 non avevano una gran reputazione,53 tale che54 con quella e’ tenessino l’uno e l’altro in freno, sempre ruinavano. Ed e’ più di loro, massime di quegli che come uomini nuovi venivono al principato, conosciuta l’adversità55 di questi dua diversi umori, si volgevano a satisfare a’ soldati, stimando poco lo iniuriare el populo. Il quale partito era necessario: perché, non potendo e’ principi mancare di non56 essere odiati da qualcuno, si debbono sforzare prima di non essere odiati da le università, e quando non possono conseguire questo, debbono fuggire con ogni industria l’odio di quelle università che sono più potenti.57 E però quelli imperadori che per novità avevano bisogno di favori estraordinari, si aderivano a’ soldati più tosto che a’ populi: il che tornava nondimeno loro utile, o no, secondo che quel principe si sapeva mantenere reputato con esso loro.58
[8] Da queste cagioni sopraddette nacque che Marco,59 Pertinace e Alessandro, sendo tutti di modesta vita, amatori della iustitia, inimici della crudeltà, umani, benigni, ebbono tutti, da Marco in fuora, tristo fine. Marco solo visse e morì onoratissimo, perché lui successe allo imperio iure hereditario60 e non aveva a riconoscere61 quello né da’ soldati né da’ populi; di poi, essendo accompagnato da molte virtù che lo facevano venerando, tenne sempre, mentre che visse, l’uno e l’altro ordine in tra e’ termini suoi, e non fu mai odiato né disprezzato. Ma Pertinace, creato imperadore contro alla voglia de’ soldati – e’ quali essendo usi a vivere licenziosamente sotto Commodo non poterno sopportare quella vita onesta alla quale Pertinace gli voleva ridurre, onde avendosi creato odio e a questo odio aggiunto el disprezzo sendo vecchio –62 ruinò ne’ primi principii della sua amministrazione. E qui si debbe notare che l’odio si acquista così mediante le buone opere, come le triste: e però, come io dissi di sopra,63 uno principe volendo mantenere lo stato è spesso sforzato a non essere buono. Perché, quando quella università, o populi64 o soldati o grandi che si sieno, della quale tu iudichi avere, per mantenerti, più bisogno è corrotta, ti conviene seguire l’umore65 suo per satisfarle: e allora le buone opere ti sono nimiche.
[9] Ma vegnamo ad Alessandro, il quale fu di tanta bontà che, in tra le altre laude che gli sono attribuite, è questa: che in quattordici anni che tenne lo ’mperio non fu mai morto da lui alcuno iniudicato;66 nondimanco, essendo tenuto effeminato67 e uomo che si lasciassi governare alla madre, e per questo venuto in disprezzo, conspirò in lui68 l’esercito e ammazzollo.
[10] Discorrendo ora per opposito le qualità di Commodo, di Severo, di Antonino Caracalla e Massimino, gli troverrete crudelissimi e rapacissimi: e’ quali, per satisfare a’ soldati, non perdonorno ad alcuna qualità d’iniuria69 che ne’ populi si potessi commettere. E tutti eccetto Severo ebbono tristo fine; perché in Severo70 fu tanta virtù che, mantenendosi e’ soldati amici, ancora che e’ populi fussino da lui gravati,71 possé sempre regnare felicemente: perché quelle sua virtù lo facevano nel conspetto de’ soldati e de’ populi sì mirabile che questi rimanevano quodammodo72 stupidi e attoniti, e quelli altri reverenti e satisfatti.73 E perché le azioni di costui furno grandi e notabili in uno principe nuovo,74 io voglio brevemente mostrare quanto e’ seppe bene usare la persona75 del lione e della golpe, le quali nature io dico di sopra essere necessarie imitare a uno principe.
[11] Conosciuto Severo la ignavia di Iuliano76 imperadore, persuase al suo esercito, del quale era in Stiavonia77 capitano, che e’ gli era bene andare a Roma a vendicare la morte di Pertinace, il quale da’ soldati pretoriani era suto morto. E sotto questo colore,78 sanza mostrare di aspirare allo imperio, mosse lo esercito contro a Roma e fu prima in Italia che si sapessi la sua partita. Arrivato a Roma, fu dal senato per timore eletto imperadore. E, morto Iuliano, restava79 dopo questo principio a Severo dua difficultà, volendosi insignorire di tutto lo stato: l’una in Asia, dove Nigro, capo delli eserciti asiatici, si era fatto chiamare imperadore; e l’altra in Ponente, dove era Albino quale ancora lui aspirava allo imperio.80 E perché iudicava periculoso scoprirsi inimico a tutti a dua, deliberò di assaltare Nigro e ingannare Albino: al quale scrisse come, sendo stato dal senato eletto imperadore, voleva participare quella dignità con lui; e mandogli il titulo di Cesare e per deliberazione del senato se lo aggiunse collega:81 le quali cose furno da Albino accettate per vere. Ma poi che Severo ebbe vinto e morto Nigro e pacate le cose orientali, ritornatosi a Roma, si querelò82 in senato come Albino, poco conoscente83 de’ benifizi ricevuti da lui, aveva dolosamente cerco84 di ammazzarlo: e per questo era necessitato di andare a punire la sua ingratitudine; di poi lo andò a trovare85 in Francia e gli tolse lo stato e la vita. E chi esaminerà tritamente86 le azioni di costui, lo troverrà uno ferocissimo lione e una astutissima golpe, e vedrà quello temuto e reverito da ciascuno e da li eserciti non odiato; e non si maraviglierà se lui, uomo nuovo,87 arà potuto88 tenere tanto imperio, perché la sua grandissima reputazione lo difese sempre da quello odio che e’ populi per le sue rapine avevano potuto concipere.89
[12] Ma Antonino90 suo figliuolo fu ancora lui uomo che aveva parte eccellentissime e che lo facevano maraviglioso nel conspetto de’ populi e grato a’ soldati, perché lui era uomo militare, sopportantissimo d’ogni fatica, disprezzatore d’ogni cibo dilicato e di ogni altra mollizie: la qual cosa lo faceva amare da tutti li eserciti. Nondimanco la sua ferocia e crudeltà fu tanta e sì inaudita, per avere dopo infinite occisioni particulari91 morto gran parte del populo di Roma e tutto quello di Alessandria, che diventò odiosissimo a tutto il mondo e cominciò a essere temuto etiam da quelli che lui aveva d’intorno: in modo che fu ammazzato da uno centurione in mezzo del suo esercito. Dove è da notare che queste simili morte, le quali seguano per deliberazione di uno animo ostinato, sono da’ principi inevitabili, perché ciascuno che non si curi di morire lo può offendere:92 ma debbe bene el principe temerne meno, perché le sono rarissime. Debbe solo guardarsi di non fare grave ingiuria ad alcuno di coloro di chi si serve e che egli ha d’intorno a’ servizi del suo principato; come aveva fatto Antonino, il quale aveva morto contumeliosamente uno fratello di quello centurione e lui ogni giorno minacciava, tamen lo teneva a guardia del corpo suo: il che era partito temerario93 e da ruinarvi, come gl’intervenne.
[13] Ma vegnamo a Commodo, al quale era facilità grande tenere l’imperio per averlo iure hereditario, sendo figliuolo di Marco: e solo gli bastava seguire le vestigie del padre, e a’ soldati e a’ populi arebbe satisfatto. Ma essendo di animo crudele e bestiale, per potere usare la sua rapacità ne’ populi,94 si volse a intrattenere li eserciti e fargli licenziosi:95 da l’altra parte, non tenendo la sua dignità,96 discendendo spesso ne’ teatri a combattere co’ gladiatori97 e faccendo altre cose vilissime e poco degne della maestà imperiale, diventò contennendo nel conspetto de’ soldati.98 Ed essendo odiato da l’una parte e disprezzato da l’altra, fu conspirato in lui e morto.
[14] Restaci a narrare le qualità di Massimino. Costui fu uomo bellicosissimo, ed essendo gli eserciti infastiditi della mollizie99 di Alessandro, del quale ho di sopra discorso, morto lui lo elessono allo imperio: il quale non molto tempo possedé, perché due cose lo feciono odioso e contennendo. L’una, essere vilissimo100 per avere già guardate le pecore in Tracia: la qual cosa era per tutto notissima, il che li faceva una grande dedignazione101 nel conspetto di qualunque.102 L’altra, perché, avendo nello ingresso del suo principato differito lo andare a Roma e intrare nella possessione della sedia imperiale, aveva dato di sé opinione di crudelissimo, avendo per li suoi prefetti in Roma e in qualunque luogo dello imperio esercitato molte crudeltà.103 Talmente che, commosso tutto il mondo da lo sdegno per la viltà del suo sangue e da l’odio per la paura della sua ferocia, si ribellò prima Africa, di poi el senato, con tutto il populo di Roma e tutta Italia, gli conspirò contro; a che si aggiunse el suo proprio esercito,104 quale, campeggiando105 Aquileia e trovando difficultà nella espugnazione, infastidito da la crudeltà sua e, per vedergli tanti nimici, temendolo meno, lo ammazzò.
[15] Io non voglio ragionare né di Eliogabalo né di Macrino né di Iuliano, e’ quali per essere al tutto contennendi si spensono subito,106 ma verrò alla conclusione di questo discorso; e dico che e’ principi de’ nostri tempi hanno meno questa difficultà di satisfare estraordinariamente a’ soldati ne’ governi loro: perché, non ostante che si abbia ad avere107 a quegli qualche considerazione, tamen si resolve presto per non avere alcuno di questi principi eserciti insieme che sieno inveterati con e’ governi e amministrazione delle provincie,108 come erano gli eserciti dello imperio romano. E però se allora era necessario satisfare più alli soldati che a’ populi, perché e’ soldati potevano più che e’ populi, ora è più109 necessario a tutti e’ principi, eccetto che al Turco e al Soldano, satisfare a’ populi che a’ soldati, perché e’ populi possono più di quelli. Di che io ne eccettuo el Turco, tenendo quello continuamente insieme intorno a sé dodicimila fanti e quindicimila cavagli, da’ quali depende la securtà e fortezza del suo regno: ed è necessario che, posposto ogni altro respetto, quel signore se li mantenga amici. Similmente el regno del Soldano sendo tutto in mano de’ soldati,110 conviene che ancora lui sanza respetto de’ populi se li mantenga amici. E avete a notare che questo stato del Soldano è disforme a tutti li altri principati, perché e’ gli è simile al pontificato cristiano, il quale non si può chiamare né principato ereditario né principato nuovo: perché non e’ figliuoli del principe vecchio sono eredi e rimangono signori, ma colui che è eletto a quello grado da quegli che ne hanno autorità; ed essendo questo ordine antiquato non si può chiamare principato nuovo, per che in quello non sono alcune di quelle difficultà che sono ne’ nuovi: perché, se bene el principe è nuovo, gli ordini di quello stato sono vecchi e ordinati111 a riceverlo come se fussi loro112 signore ereditario.
[16] Ma torniamo alla materia nostra. Dico che qualunque113 considerrà el soprascritto discorso, vedrà o l’odio o il disprezzo essere suti cagione della ruina di quelli imperadori prenominati; e conoscerà ancora donde nacque che, parte di loro procedendo in uno modo e parte al contrario, in qualunque di quegli114 uno di loro ebbe felice e gli altri infelice fine. Perché a Pertinace e Alessandro, per essere principi nuovi, fu inutile e dannoso volere imitare Marco, che era nel principato iure hereditario; e similmente a Caracalla, Commodo e Massimino essere stata cosa perniziosa imitare Severo, per non avere aùta tanta virtù che bastassi a seguitare le vestigie sua.115 Pertanto uno principe nuovo in uno principato nuovo non può imitare le azioni di Marco, né ancora è necessario seguitare quelle di Severo: ma debbe pigliare da Severo quelle parti che per fondare el suo stato sono necessarie, e da Marco quelle che sono convenienti e gloriose a conservare uno stato che sia già stabilito e fermo.
1 Come evitare il disprezzo e l’odio.
2 «di sopra»: nella conclusione del cap. XV.
3 «sotto queste generalità»: siamo ancora nell’impianto classificatorio aristotelico, cfr. cap. XVIII, n. 3. Sotto queste categorie generali (del rifuggire disprezzo e odio).
4 «come in parte di sopra è detto»: cfr. cap. XVI, n. 24 e cap. XVII, n. 21. – «in parte» sia perché Machiavelli si propone qui una trattazione organica del problema, sia perché nei capp. XVI e XVII si è detto principalmente dell’odio, mentre si è accennato al disprezzo solo in relazione all’eventuale immiserimento economico del principe.
5 «contennendo»: disprezzabile.
6 «adempiuto le parti sua»: ottemperato ai propri doveri.
7 «nelle altre infamie»: nel lasciarsi andare agli altri vizi.
8 Cfr. cap. XVII, nn. 21-25.
9 «alle universalità delli uomini»: alla generalità dei sudditi, escludendone dal numero i più ambiziosi (i ‘grandi’, gli aristocratici), dai quali – come prosegue l’autore – occorre guardarsi sempre.
10 «onore» da intendersi qui in senso strettamente coniugale, chiasticamente riferito alle «donne», e non in senso più generico di rango civile.
11 Una serie di cinque aggettivi – incostante, superficiale, molle, vile, indeciso – per designare un principe incompetente delinea il quadro più generale e completo delle cause di disprezzo.
12 Ai cinque epiteti negativi si oppongono quattro qualità positive e di una quinta si determina meglio l’ambito di applicazione: il principe apprezzato e stimato dai sudditi sarà magnanimo, coraggioso, serio, d’animo fermo, e nelle decisioni relative ai contenziosi privati farà in modo che le sue decisioni siano irrevocabili. A ben vedere, dunque, all’irresolutezza (quinta e ultima delle qualifiche negative) si contrappone non un generico decisionismo, ma la certezza del diritto, la stabilità dei giudicati: Machiavelli ha piena consapevolezza di vivere in tempi di pericoloso disordine normativo e riconosce tra le qualità del sovrano (tradizionalmente chiamato a intervenire come estrema istanza per la tutela di una posizione soggettiva) la rapida e definitiva risoluzione delle controversie.
13 «si mantenga in tale opinione»: consolidi nei sudditi una opinione di sé medesimo tale che nessuno, etc.
14 «con difficultà si congiura, con difficultà è assaltato»: il ragionamento insiste sul duplice piano della politica interna (il pericolo di una congiura dei sudditi) e della politica estera (l’aggressione militare da parte di un altro stato).
15 «per conto»: da parte.
16 «Da questa»: da tale ultimo pericolo. – Si noti che «paura» indica qui la preoccupazione per un pericolo politico.
17 «se arà buone arme, arà buoni amici»: chi ha ben organizzato le proprie truppe (naturalmente nazionali) troverà anche validi alleati.
18 L’autore enuncia un tradizionale principio politico mutuato dalla storiografia classica: la stabilità dei rapporti esterni determina anche la stabilità di quelli interni, ma con una protasi limitativa: «se già le non fussino perturbate da una congiura».
19 «ordinato e vissuto come ho detto»: è preparato e si è comportato nei modi fin qui descritti.
20 Cfr. cap. IX, n. 23.
21 «temere che non»: costruzione latineggiante dei verba timendi frequente in Machiavelli = ‘temere che’.
22 «tenendosi»: conservando.
23 I rinvii interni ad argomenti precedentemente discussi giovano a dare la sensazione di organica compattezza al trattato.
24 Non si esiterebbe a pensare che Machiavelli abbia qui in mente la congiura da operetta ordita da Pietro Paolo Boscoli e Agostino Capponi contro Giuliano de’ Medici, nella quale egli rimase suo malgrado invischiato nel carnevale del 1513. Si noti che con «universale» si intende qui ancora il popolo (eccettuati i ‘grandi’): cfr. supra n. 9. – «non piglia animo a prendere»: anafora semantica assai efficace.
25 «manifestandoti»: denunciando te e la congiura. La lezione con il pronome enclitico di seconda persona è congettura di Inglese, rispetto a «manifestamente» del ramo y e «manifestandosi» del ramo g. Congettura necessaria e avallata dal medesimo giro di frase ricorrente in Discorsi III, 6, 60 (tale capitolo è di fatto un manualetto dei pericoli del congiurato).
26 «raro amico»: amico tuo o nemico del principe.
27 «sospetto di pena» riproduce il sintagma «paura di pena» del cap. XVII, n. 20. – «sbigottire»: sgomentare, cfr. cap. XVIII, n. 7.
28 «le difese … che lo difendono»: figura grammaticale.
29 «voglio solo … seguìto a’ tempi de’ padri nostri»: l’espressione con cui Machiavelli sceglie di limitarsi a un solo esempio ricorreva in chiusa al cap. VI per Ierone siracusano (cfr. cap. VI, n. 24). – «seguìto …»: avvenuto in un recente passato.
30 «principe in Bologna»: primo cittadino, principe civile nella città di Bologna.
31 La vicenda è narrata da Machiavelli ancora nelle Istorie fiorentine VI, 9: Annibale I (1413-1445) fu ucciso quando suo figlio Giovanni (il signore di Bologna spodestato da Giulio II nel 1506) aveva solo due anni. Il «presente messer Annibale», nipote del precedente, dopo un tentativo di restaurazione del potere famigliare in città nel 1511-12 fu poi esule a Ferrara. – I «Canneschi» sono la parte politica vicina alla famiglia Canetoli, avversaria dei Bentivoglio: cfr. Nicoletta Marcelli, Canetoli o Canneschi? Una sciarada machiavelliana (nota a Principe XIX, 16 e Istorie fiorentine VI, 9), in «Interpres», 24, 2005, pp. 280-298.
32 Sante Bentivoglio, figlio naturale di Ercole (congiunto dell’ucciso Annibale I), governò fino al 1462 quando Giovanni figlio di Annibale raggiunse l’età idonea a succedergli.
33 «non disperare e’ grandi e satisfare al populo e tenerlo contento»: non suscitare il fastidio dei ‘grandi’ (dei ceti aristocratici e più abbienti: gli ottimati), rendere il popolo soddisfatto e conservarlo contento. Per «tenerlo» = conservarlo, cfr. supra n. 22.
34 Il «parlamento», come Machiavelli chiarirà subito, è un organo giurisdizionale, la cui complessa articolazione strutturale e l’insieme delle funzioni avevano attirato l’attenzione del Segretario già nel Ritracto di cose di Francia. In particolare «quello che ordinò quello regno», additato subito dopo, è Carlo VII, il quale decretò nel 1454 che si procedesse alla redazione scritta e alla certificazione delle varie consuetudini normative operanti sul territorio. Dapprima la funzione di controllo e certificazione era accentrata nelle mani del re (con il gran consiglio) ovvero del parlamento di Parigi; a partire dal 1497 si operò attraverso una delega a organismi periferici. Si tratta di una colossale operazione di consolidamento normativo, ancora in corso durante la vita di Machiavelli e destinata a concludersi solo alla fine del XVI secolo con l’approvazione di circa sessanta coutumes générales e trecento coutumes particolari, tutte ancora ben vive nel 1804 allorché fu promulgato il code Napoléon. Cfr. Adriano Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico, Milano, Giuffré, 1982, pp. 400-401 e bibliografia ivi indicata.
35 L’origine ‘politica’ del parlamento parigino è ricondotta da Machiavelli a uno dei percorsi nodali nella riflessione del Principe, ossia l’esigenza di bilanciare fra istanze ottimatizie e popolari. In verità al prestigio dei parlamenti francesi concorse anche la dialettica fra diritto consuetudinario e diritto scritto giustinianeo, e la peculiare posizione assunta dalla monarchia francese a partire da Filippo il Bello.
36 «universale»: qui, come alle precedenti nn. 9 e 24, si intende solo la parte ‘popolare’ contrapposta ai ‘grandi’, non tutta la nazione.
37 «fondato in su la paura, e volendo assicurargli»: odio fondato sul timore di essere vittime dell’«insolenzia» dei grandi, e volendo il re tutelarli, cioè tutelare i grandi rispetto all’«odio dello universale».
38 Fin qui Machiavelli sostiene che il parlamento avrebbe una funzione di equilibrio tra le forze sociali in campo: evitare che il sovrano divenga bersaglio dell’odio congiunto di popolari e ottimati, dovendo di volta in volta favorire gli uni o gli altri. Nel periodo subito successivo però, come del resto già era accaduto nel cap. IX, § 2, Machiavelli manifesta un favor popolare, riconoscendo che compito precipuo del parlamento è «battere e’ grandi e favorire e’ minori».
39 «che»: tale che.
40 «notabile»: altro elemento degno di nota.
41 I commentatori hanno dottamente indicato le fonti tradizionali di tale teoria: Senofonte, Ierone IX, 3 (latinizzato da Leonardo Bruni); Aristotele, Politica 1315a. La tesi era però già esposta nel cap. VII, n. 25 con l’esempio di Ramiro de Lorqua, maggiordomo del Valentino. – «cose di carico»: materie atte a suscitare il malcontento.
42 Machiavelli replica le conclusioni politiche del proprio argomentare («di nuovo concludo») e ribadisce la tesi di un equilibrio fra le classi sociali (cfr. supra n. 33): qui però i termini sono rovesciati, per variatio stilistica: «stimare e’ grandi» (in luogo del precedente «non disperare e’ grandi») e «non si fare odiare dal populo», in luogo di «satisfare al populo».
43 «mostro»: avendo mostrato.
44 «morto»: ucciso.
45 La scelta machiavelliana è fondata sulla storia imperiale dopo Marco Aurelio di Erodiano (storico greco attivo nella prima metà del III sec. d.C.) latinizzata da Poliziano nel 1493.
46 L’autore ribadisce l’intento pedagogico proprio della storiografia classica, e assunto come obiettivo nella Dedicatoria: porre in evidenza i fatti politicamente più significativi per coloro che si accingano allo studio della storia di un certo periodo.
47 Dalla metà del I alla metà del III sec. d.C. – «E voglio mi basti …»: è la consueta espressione con la quale l’autore sceglie di adottare un particolare esempio storico a sostegno del proprio argomentare. Cfr. cap. III, n. 22; cap. VI, § 7, e passim.
48 «avarizia»: avidità, cfr. cap. XV, n. 11.
49 «modesti»: non bellicosi, pacifici.
50 «crudele, insolente e rapace»: crudele, arrogante e predatore. Le truppe prediligono un principe uso a vivere di conquiste e rapine a danno dei territori assoggettati.
51 «ne’ populi»: a danno dei popoli sottomessi.
52 «per natura o per arte»: la distinzione è ancora aristotelica, ‘per predisposizione naturale o per acquisita tecnica di governo’.
53 «non avevano una gran reputazione»: non godevano di grande autorità. – Infatti poco dopo Machiavelli noterà che tale difficoltà riguarda soprattutto gli homines novi, vocabolo tecnico che designava coloro che per primi nella propria famiglia raggiungevano il consolato (celebri gli esempi di Mario e Cicerone), piegato qui dall’autore a indicare coloro che da privati cittadini assurgono al rango di principe.
54 «tale che»: dal momento che con la loro autorità non erano in grado di tenere a freno esercito e popolo.
55 Sulla scia di Martelli 2006 si è preferita qui la lezione del manoscritto A «l’adversità», in luogo della lezione «la diversità» del ramo a, generatasi per errore di scioglimento, e della faciliore «difficultà» nei restanti testimoni (che riprende il sintagma «terza difficultà» impiegato poco sopra). In effetti la «difficultà» prospettata da Machiavelli consiste propriamente nella (eventuale) avversità del popolo o dell’esercito nei confronti del principe, e il comportamento conseguente che egli potrà tenere.
56 «di non essere odiati»: il non è pleonastico.
57 L’autore ammette che è impossibile governare e non suscitare un qualche sentimento d’odio, per cui è necessario decidere da chi sia più sicuro farsi odiare. Ideale sarebbe non essere odiato dalle «università», cioè da gruppi sociali nel loro complesso (contrapposti ai singoli), ma dovendo incorrere nell’odio di una classe, meglio che sia un ceto disarmato (dunque non l’esercito). Sotteso a questo tema è anche il rapporto fra popolo originario (costituito da sudditi diretti) e popolo acquisito, costituito da sudditi di un territorio conquistato, a danno dei quali ultimi sarà possibile dare soddisfazione alle pretese delle milizie.
58 E perciò quegli imperatori che, per il fatto di assurgere al regno dalla condizione di privati, necessitavano di appoggi eccezionali, cercavano il sostegno dell’esercito piuttosto che del popolo, il che tornava più o meno vantaggioso a seconda che riuscissero a conservare autorevolezza con i soldati stessi.
59 Il ritratto di Marco Aurelio come principe filosofo e virtuoso è consolidato nella tradizione: oltre che da Erodiano, anche dall’Historia Augusta e da Cassio Dione.
60 «per diritto ereditario». Machiavelli non perde occasione per sottolineare come il principato ereditario abbia connotati di maggiore stabilità. In realtà l’imperatore Adriano aveva posto come condizione per l’adozione e la designazione alla successione di Antonino Pio che quest’ultimo a sua volta adottasse Marco Aurelio e il di lui fratello Lucio Vero. Alla morte di Antonino Pio, Marco Aurelio scelse di succedergli congiuntamente al fratello Lucio Vero, il quale ebbe tutte le prerogative di Marco Aurelio (fuorché il pontificato, perché indivisibile). La scelta di una collegialità imperiale, nonostante la riconoscibile preminenza di Marco Aurelio, fu tanto innovativa quanto efficace. Si noti infine che il regno di Marco Aurelio non fu né pacifico né del tutto felice: egli dovette far fronte a conflitti in Oriente (dove inviò Lucio Vero contro i Parti) e ai confini nord-orientali contro le popolazioni marcomanniche. Inoltre carestie e pestilenze si succedettero un po’ ovunque nel territorio dell’impero.
61 «non aveva a riconoscere»: non doveva esprimere gratitudine. Per avere in luogo di dovere (in specie associato a una seconda voce del verbo ‘avere’) cfr. cap. VII, n. 37 e cap. XI, n. 12.
62 Il lungo inciso spezza la sintassi del periodo e racchiude una messe di informazioni ricavate da Erodiano.
63 Nel ribadire il relativismo morale che presiede alle scelte politiche di un principe, Machiavelli non manca di rinviare a cap. XV, n. 20, XVI, n. 17, XVIII, n. 20.
64 La lezione «populi» al plurale, conservata dai rami b e g della tradizione, contro il singolare «populo» è da preferirsi, perché qui il ragionamento machiavelliano non è puramente di opzione fra classi sociali da sostenere, ma tiene conto (data l’esemplificazione storica prescelta) della distinzione tra popolo originario del principe e popoli assoggettati durante le conquiste. Cfr. supra n. 57.
65 Qui l’«umore» sono le pretese che determinano – soddisfatte o meno che siano – il consenso di un particolare ceto. In cap. IX, n. 6, «umori» sono le classi sociali stesse.
66 «non fu mai morto da lui alcuno iniudicato»: non venne mai condannato a morte da lui qualcuno senza processo.
67 «effeminato»: debole. L’aggettivo ricorre anche in cap. VI n. 15 e soprattutto al termine del cap. XV nella rassegna di qualità attribuibili ad un principe.
68 «in lui»: contro di lui (costruzione che ricalca l’uso latino di in + accusativo).
69 «iniuria» ha qui il valore tecnico giuridico del vocabolo latino: lesione ingiusta (e perciò antigiuridica). Gli imperatori esemplari «per opposito» soddisfecero le brame delle soldatesche a danno delle popolazioni, non astenendosi dal recare alcun danno ai territori assoggettati.
70 Il ritratto ambivalente di Settimio Severo deriva ancora da Erodiano, a differenza del quadro sostanzialmente positivo delineato da Cassio Dione, il quale riconosceva nell’esercito (che sostenne Settimio, effettivamente ricambiatone) un elemento di sostanziale stabilità nel contesto politico di crisi a cavallo fra II e III sec. d.C.
71 «gravati»: tassati oltre misura.
72 «quodammodo»: in certo qual modo.
73 «nel conspetto de’ soldati e de’ populi … questi rimanevano quodammodo stupidi e attoniti, e quelli altri reverenti e satisfatti». La costruzione dei termini è chiastica: questi, i popoli, restano attoniti davanti alla spregiudicata crudeltà del principe (Martelli rinvia con giusta ragione alla reazione dei popoli di Romagna di fronte all’esecuzione di Ramiro da parte del Valentino, cap. VII, n. 27); quelli altri, i soldati, erano invece rispettosi e soddisfatti.
74 «E perché le azioni di costui …»: è lo stesso stilema che avvia nel cap. VII il ritratto del Valentino. Cfr. cap. VII, nn. 7 e 20.
75 «persona»: nel senso pieno latino del vocabolo: la maschera. Nasce qui un tema, quello della «maschera del potere», destinato a grande fortuna nella trattatistica politica del secolo successivo. Il concetto si affianca al successivo «nature [da] imitare» e implica la finzione delle virtù discussa da Machiavelli nel cap. XVIII, n. 18. L’immagine della volpe e del leone era parimenti nel medesimo cap. XVIII, n. 6.
76 Marco Didio Giuliano fu al potere per pochi mesi nella primavera del 193, dopo che i pretoriani avevano ucciso Pertinace.
77 «Stiavonia»: Schiavonia o Slavonia indicava al tempo di Machiavelli la regione dei Balcani occidentali, ossia i paesi dell’Adriatico orientale, estesa però almeno fino all’area di dominio veneziano sulle valli friulane del Natisone. Allorché Settimio si fece acclamare imperatore dalle truppe, con l’intento di muovere su Roma e sottrarre il governo a corrotti e pretoriani, egli si trovava a Carnunto (presso Bratislava) in Pannonia, regione della quale era governatore militare. A chiarire la definizione toponomastica dell’Illirico (Pannonia e Dalmazia) in età imperiale giova leggere M. Stefania Montecalvo, La storia della Pannonia e della Dalmazia nell’opera di Cassio Dione, in Giovanna Scianatico e R. Ruggiero (a cura di), Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, Bari, Palomar, 2007, pp. 119-134.
78 «colore»: l’espressione ricorre nel cap. XVIII, n. 12 a proposito della capacità di simulazione e dissimulazione propria di un principe. In effetti Machiavelli riprende alla lettera l’espressione di Erodiano II, 9, 10 (nel latino di Poliziano): «simulans non se quidam imperium quaerere».
79 Si è accolta nel testo l’interpunzione proposta da Martelli, in luogo di quella stabilita da Inglese: «fu dal senato […] eletto imperatore, e morto Iuliano. Restava …». Infatti, benché «morto» indica spesso nel Principe ‘ucciso’ (e così poco sopra per Pertinace e poco dopo per Nigro), e benché Marco Didio Giuliano fosse effettivamente ucciso dal senato, la costruzione con il brusco cambio di soggetto (Settimio fu eletto, Iuliano fu morto) resterebbe comunque asintattica. Invece quel «morto Iuliano», latinamente assoluto, ci pare ricalchi stilemi tipicamente machiavelliani come lo «spenti questi capi» di cap. VII, n. 18. – restava … dua difficultà: il verbo al singolare con un soggetto plurale successivo, come mi segnala Emanuele Cutinelli-Rendina, non è fenomeno raro nella prosa di Machiavelli ‘cancelliere’ e figura anche in autori contemporanei come Landucci e Cerretani.
80 I due avversari di Settimio furono Gaio Pescennio Nigro (il nome completo, attestato per es. in Eutropio, è integrato dai copisti del Monacense e del Gothano) e Decimo Clodio Albino.
81 «participare quella dignità … titulo di Cesare … se lo aggiunse collega»: sono espressioni tecniche del principato inteso come magistratura statale. In particolare «titulo di Cesare», che riproduce il Caesarem appellans di Erodiano (in Poliziano), fa riferimento alla scelta di un collega e successore. Il sistema sarà riordinato da Diocleziano alla fine del III secolo con l’istituzione di una tetrarchia che prevedeva due Augusti (due imperatori per le due metà occidentale e orientale dell’impero) e due Cesari (due successori designati).
82 «si querelò»: si lamentò in senato. Inglese dimostra efficacemente come Machiavelli contamini la fonte principale Erodiano e probabilmente dipenda da una qualche sommaria compilazione quattrocentesca: infatti Erodiano non parla di un intervento di Settimio in senato, ma di un discorso alle truppe prima di muovere direttamente contro Albino. Altre fonti (tra cui Giulio Capitolino) additano invece un passaggio di Settimio da Roma e una oratio principis in senato (il che probabilmente accadde).
83 «poco conoscente»: mostrandosi scarsamente riconoscente.
84 «aveva cerco»: aveva cercato di ucciderlo. In realtà era accaduto il contrario.
85 «lo andò a trovare»: si recò ad attaccarlo nel suo territorio.
86 «tritamente»: nei dettagli.
87 «uomo nuovo»: qui l’espressione non ha valore tecnico, ma indica che Settimio pervenne all’impero non per via ereditaria come Marco Aurelio indicato alla n. 60.
88 «arà potuto»: futuro anteriore in luogo del passato remoto.
89 «concipere»: concepire, maturare contro di lui (calco latineggiante).
90 «Antonino» è Caracalla: il ritratto crudele ricalca Erodiano. Il «Ma» incipitario avvia un quadro oppositivo rispetto a Settimio: Antonino aveva «parte» (qualità) eccellenti, e tuttavia «la sua ferocia […] fu […] inaudita».
91 Dopo le «occisioni particulari», ossia di singoli privati cittadini, uccise il fratello Geta e i di lui sostenitori a Roma, quindi sterminò gran parte della gioventù di Alessandria.
92 L’assassinio di un attentatore suicida («di uno animo ostinato») è inevitabile: Machiavelli offrirà un quadro completo di tale tipologia a proposito dell’uccisione di Filippo il Macedone in Discorsi II, 28: Pausania, un giovane nobile macedone, viene stuprato da Attalo, luogotenente del re. Lamentatosi con il sovrano, Pausania non solo non ottiene giustizia, ma vede che Attalo viene preposto «al governo d’una provincia di Grecia». Per questa ragione il giovane rivolge la propria ira verso Filippo, e nel giorno nuziale della di lui figlia lo uccide. Machiavelli non ignorava che la moglie di Filippo e forse lo stesso Alessandro cospirarono per ottenere quel risultato: su Giustino e Sabellico quali fonti del dettato machiavelliano nei Discorsi vd. R. Ruggiero, Sabellico fra Livio e Machiavelli. Appunti sulla storia del decemvirato e altri incresciosi episodi, in P. Guaragnella e M. Santagata (a cura di), Studi di letteratura italiana per Vitilio Masiello, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 417-445, in specie pp. 434-436.
93 «partito temerario»: decisione avventata e atta a causare la rovina. – «morto contumeliosamente»: ucciso provocando oltraggio. Erodiano dice che Caracalla uccise il fratello del centurione Marziale e altresì accusava offensivamente Marziale stesso come ‘vile, degenere e amico del suo rivale Macrino’.
94 «ne’ populi»: contro i popoli. Cfr. n. 68.
95 «fargli licenziosi»: renderli indisciplinati.
96 «non tenendo la sua dignità»: non mantenendo un contegno appropriato alla carica da lui rivestita.
97 Le recenti e ben riuscite rivisitazioni cinematografiche hanno reso il grande pubblico ben conscio di queste incresciose abitudini alle quali Commodo si sarebbe lasciato andare: mi riferisco al film di Ridley Scott, Il Gladiatore (2000, con Russell Crowe). La passione di Commodo per i combattimenti con gladiatori è attestata da Eutropio e da altre fonti; ma anche Erodiano, principalmente presente a Machiavelli per questo capitolo, si sofferma su un combattimento circense di Commodo (I, 15, 7-8).
98 «contennendo nel conspetto de’ soldati»: disprezzabile agli occhi di quegli stessi soldati che aveva reso «licenziosi». L’analisi machiavelliana è breve e irrevocabile: l’imperatore permissivo con le soldatesche e incapace di tutelare la propria dignità perde il rispetto di quello stesso esercito al quale aveva concesso ampie libertà, e finisce per avere nemici i popoli oppressi («odiato da l’una parte») e i militari divenuti incontrollabili («disprezzato da l’altra»), salvo questi ultimi rimpiangere gli eccessi «licenziosi» allorché Pertinace (successore di Commodo) cercò di ricondurli all’ordine (cfr. n. 62). Del resto il tema oggetto della diagnosi politica machiavelliana è la compresenza di ‘odio’ e ‘disprezzo’.
99 «mollizie»: cfr. n. 67.
100 «vilissimo»: di bassa estrazione sociale.
101 «dedignazione»: latinismo e unicismo in lingua italiana (= disprezzo).
102 «per tutto … nel conspetto di qualunque»: Machiavelli insiste sulla notorietà e il diffuso sentimento di sdegno.
103 Due errori politici sono qui congiunti (e indirettamente rinviano ancora all’episodio di Ramiro de Lorqua nel cap. VII): Massimino differì troppo l’ufficiale assunzione del titolo imperiale in Roma (e in effetti non vi si recò mai), questo incrementò la fama della sua crudeltà poiché gli vennero imputati in maniera indistinta tutti i comportamenti feroci dei suoi «prefetti», sia che agissero per suo ordine che per propria iniziativa.
104 Il problema della congiunta gestione di popolazioni e truppe è il cardine dell’argomentazione storica machiavelliana relativa alla storia imperiale fra II e III sec. d.C.
105 «campeggiando»: assediando.
106 «si spensono subito»: morirono (e persero il trono) poco dopo aver assunto il potere, per il fatto di essere in tutto degni di disprezzo. Qui l’essere «contennendi» assume una chiara connotazione di incapacità politica.
107 «si abbia ad avere»: ancora ‘avere’ per ‘dovere’. Cfr. cap. VII, n. 37 e cap. XI, n. 12.
108 Il tema tornerà nel primo capitolo dell’Arte della guerra: Machiavelli giustamente individua nel legame personale tra eserciti e promagistrato o prefetto la radice delle violazioni costituzionali che condussero dapprima al crollo della repubblica romana e più tardi al progressivo corrompersi dell’impero.
109 L’avverbio «più» risulta anticipato nella costruzione machiavelliana: si riferisce naturalmente al successivo «a’ populi <più> che a’ soldati».
110 Si tratta del corpo dei ‘mamelucchi’, casta militare che dominava l’Egitto, eleggendo al proprio interno il Sultano.
111 «ordinati»: costituzionalmente predisposti.
112 «loro»: signore di coloro che hanno l’autorità per eleggerlo, dunque una sorta di primus inter pares.
113 «qualunque»: chiunque.
114 «in qualunque di quegli»: in qualsivoglia dei due modi si comportassero (sia favorendo l’esercito a danno dei popoli che al contrario).
115 Gennaro Sasso, e sulla sua scia tutti i commentatori più recenti, hanno additato qui una contraddizione rispetto al topos storiografico che insiste sull’imitazione delle gesta di uomini illustri, enunciato al principio del cap. VI, nn. 3 e 4. Tale aporia non pare sussistere, e anzi il passo non pare affatto confrontabile con l’esordio del cap. VI. Lì si discuteva dell’imitazione di principi virtuosi da parte di altri principi che avrebbero desiderato essere altrettanto virtuosi; qui si indica come il comportamento spregiudicato di Settimio Severo condusse lui, uomo di eccezionale valore, a godere di un principato sicuro (e tale spregiudicatezza fu dunque ‘virtù’); e i suoi imitatori, assai meno competenti, alla rovina (e il loro comportamento non fu dunque ‘virtuoso’, ma semplicemente ‘crudele e feroce’). Del resto tale interpretazione, del tutto autonoma rispetto al discorso condotto dall’autore nel cap. VI, è da Machiavelli stesso chiarita nel periodo conclusivo del capitolo.