[1] Nessuna cosa fa tanto stimare uno principe, quanto fanno le grande imprese e dare di sé rari esempli. Noi abbiamo ne’ nostri tempi Ferrando di Aragona, presente re di Spagna; costui si può chiamare quasi principe nuovo, perché d’uno re debole è diventato per fama e per gloria el primo re de’ cristiani; e se considerrete le azioni sua, le troverrete tutte grandissime e qualcuna estraordinaria.2 Lui nel principio del suo regno assaltò la Granata, e quella impresa fu il fondamento dello stato suo.3 Prima e’ la fece ozioso e sanza sospetto di essere impedito:4 tenne occupato in quella gli animi di quelli baroni di Castiglia, e’ quali, pensando a quella guerra, non pensavano a innovazioni:5 e lui acquistava in quel mezzo reputazione e imperio sopra di loro, che non se ne accorgevano;6 possé nutrire, con danari della Chiesa e de’ populi, eserciti, e fare uno fondamento con quella guerra lunga alla milizia sua, la quale lo ha di poi onorato. Oltre a questo, per potere intraprendere maggiore imprese, servendosi sempre della religione, si volse a una piatosa crudeltà7 cacciando e spogliando e’ Marrani del suo regno:8 né può essere questo esemplo più miserabile né più raro. Assaltò, sotto questo medesimo mantello,9 l’Affrica;10 fece l’impresa di Italia;11 ha ultimamente assaltato la Francia.12 E così sempre ha fatte e ordite cose grandi, le quali hanno sempre tenuti sospesi e ammirati13 gli animi de’ sudditi, e occupati nello evento di esse. E sono nate queste sua azioni in modo l’una da l’altra, che non ha dato mai in fra l’una e l’altra spazio alli uomini di potere quietamente operarli contro.
[2] Giova ancora assai a uno principe dare di sé esempli rari14 circa a’ governi di dentro – simili a quegli che si narrano di messer Bernabò da Milano –15 quando si ha l’occasione di alcuno che operi alcuna cosa estraordinaria, o in bene o in male, nella vita civile: e pigliare uno modo, circa premiarlo o punirlo, di che si abbia a parlare assai. E soprattutto uno principe si debbe ingegnare dare di sé in ogni sua azione fama di uomo grande e di ingegno eccellente.
[3] È ancora stimato uno principe, quando egli è vero amico e vero inimico: cioè quando sanza alcuno respetto e’ si scuopre in favore di alcuno contro a uno altro. El quale partito fia sempre più utile che stare neutrale: perché, se dua potenti tua vicini vengono alle mani, o e’ sono di qualità che, vincendo uno di quegli, tu abbia a temere del vincitore, o no. In qualunque di questi dua casi ti sarà sempre più utile lo scoprirsi e fare buona guerra: perché, nel primo caso, se tu non ti scuopri sarai sempre preda di chi vince, con piacere e satisfazione di colui che è stato vinto; e non hai ragione né cosa alcuna che ti difenda, né chi16 ti riceva: perché chi vince non vuole amici sospetti e che non lo aiutino nelle avversità; chi perde non ti riceve per non avere tu voluto con le arme in mano correre la fortuna sua.
[4] Era passato in Grecia Antioco, messovi dagli Etoli per cacciarne e’ Romani;17 mandò Antioco oratori alli Achei, che erano amici de’ Romani, a confortargli a stare di mezzo:18 e da la altra parte e’ Romani gli persuadevano a pigliare l’arme per loro. Venne questa materia a deliberarsi nel concilio delli Achei, dove il legato di Antioco gli persuadeva a stare neutrali: a che il legato romano19 rispose: Quod autem isti dicunt, non interponendi vos bello, nihil magis alienum rebus vestris est: sine gratia, sine dignitate praemium victoris eritis.20 E sempre interverrà che colui che non è amico ti ricercherà della neutralità, e quello che ti è amico ti richiederà che ti scuopra con le arme. Ed e’ principi male resoluti, per fuggire e’ presenti periculi,21 seguono el più delle volte quella via neutrale, ed el più delle volte rovinano.
[5] Ma quando el principe si scuopre gagliardamente in favore di una parte, se colui con chi tu ti aderisci vince, ancora ch’e’ sia potente e che tu rimanga a sua discrezione, egli ha teco obligo, e’ vi è contratto lo amore: e gli uomini non sono mai sì disonesti che con tanto esemplo di ingratitudine e’ ti opprimessino;22 di poi le vittorie non sono mai sì stiette che el vincitore non abbia ad avere qualche respetto, e massime alla iustitia. Ma se quello con il quale tu ti aderisci perde, tu sei ricevuto da lui, e mentre che può ti aiuta, e diventi compagno di una fortuna che può resurgere.
[6] Nel secondo caso, quando quelli che combattono insieme sono di qualità che tu non abbi da temere di quello che vince, tanto è maggiore prudenza lo aderirsi, perché tu vai alla ruina di uno con lo aiuto di chi lo doverrebbe salvare, se fussi savio;23 e vincendo rimane a tua discrezione, ed è impossibile, con lo aiuto tuo, che non vinca. E qui è da notare che uno principe debbe avvertire di non fare mai compagnia con uno più potente di sé per offendere altri, se non quando la necessità ti constringe, come di sopra si dice: perché, vincendo, rimani suo prigione: ed e’ principi debbono fuggire, quanto possono, lo stare a discrezione di altri. E’ Viniziani si accompagnorno con Francia contro al duca di Milano, e potevano fuggire di non fare quella compagnia: di che ne resultò la ruina loro.24 Ma quando e’ non si può fuggirla – come intervenne a’ Fiorentini, quando el papa e Spagna andorno con li eserciti ad assaltare la Lombardia – allora si debbe el principe aderire per le ragioni sopraddette.25 Né creda mai alcuno stato potere pigliare sempre partiti sicuri, anzi pensi di avere a prenderli tutti dubi; perché si truova questo, nell’ordine delle cose, che mai si cerca fuggire uno inconveniente che non si incorra in uno altro: ma la prudenza consiste in sapere conoscere le qualità delli inconvenienti e pigliare el men tristo per buono.26
[7] Debbe ancora uno principe mostrarsi amatore delle virtù, dando ricapito27 alli uomini virtuosi e onorando gli eccellenti in una arte. Appresso debbe animare28 e’ sua cittadini di potere quietamente esercitare li esercizi loro, e nella mercantia e nella agricultura e in ogni altro esercizio delli uomini;29 e che quello non tema30 di ornare la sua possessione per timore che la gli sia tolta, e quello altro di aprire uno traffico per paura delle taglie. Ma debbe preporre premii a chi vuole fare queste cose e a qualunque pensa in qualunque modo ampliare31 la sua città o il suo stato. Debbe oltre a questo, ne’ tempi convenienti dello anno, tenere occupati e’ populi con feste e spettaculi;32 e perché ogni città è divisa in arte o in tribu,33 tenere conto di quelle università,34 ragunarsi con loro qualche volta, dare di sé esemplo di umanità e di munificenzia, tenendo sempre ferma nondimanco la maestà della dignità sua, [perché questo non vuol mancare mai in cosa alcuna].35
1 Quel che occorra a un principe per essere stimato.
2 Ferdinando II d’Aragona (1452-1516), sposando nel 1469 Isabella di Castiglia, unificò la Spagna. Machiavelli, nel rievocarne le principali imprese belliche e politiche, ricalca la lettera a Francesco Vettori del 29 aprile 1513. Ricordato altre volte nel corso del trattato, per tale ragione non crediamo appunto sia lui il ‘principe innominato’ che conclude il cap. XVIII (n. 28), ma piuttosto il suo congiunto Ferdinando d’Aragona re di Napoli.
3 Liberazione di Granada dagli arabi (1492).
4 «Prima e’ la fece ozioso … impedito»: in un primo momento egli condusse l’impresa con apparente disinteresse (senza mostrare di annettervi una grande importanza) e per questo senza suscitare sospetti (e dunque ostacoli) da parte dei baroni ostili a lui e alla moglie. – «ozioso»: la guerra di Granada durò dal 1482 al 1492 e fu una guerra d’assedio e per giunta stagionale: Ferdinando seppe sfruttare le divisioni interne al fronte arabo e il conflitto fu concluso dalla capitolazione negoziata con l’ultimo dei sultani nasridi, Boabdil.
5 «innovazioni»: rivolte e congiure. Cfr. cap. II, n. 8; cap. IV, n. 8. Altrove «mutare» e «mutazione».
6 «non se ne accorgevano»: nota giustamente Martelli 2006 che l’«accorgersi» di un fenomeno politico in via di attuazione è la marca distintiva del buon principe, e il tema è naturalmente ricorrente in Machiavelli (specie in connotazione negativa: non accorgersi implica una incapacità a governare). Ripetiamo qui che l’espressione verbale ricalca il greco eikazein e riproduce uno stile di pensiero tucidideo: cfr. cap. IX, n. 16.
7 «piatosa crudeltà»: gesto feroce sorretto da un intento religioso. L’ossimoro sottolinea la doppiezza astuta di Ferdinando.
8 «cacciando e spogliando e’ Marrani del suo regno»: sulla scia di Inglese 1995, si accoglie nel testo, ma emendandola, la lezione del Gothano («cacciando e spogliando del suo regno e’ Marrani»). L’accumulazione delle due voci verbali («cacciare» e «spogliare») ha perturbato l’ordo verborum nella tradizione manoscritta. Si intenda dunque ‘esiliando e depredando i Marrani del suo regno’, ossia allontanando e confiscando i beni degli ebrei (anche se convertiti). Machiavelli riassume sinteticamente una serie diversa di provvedimenti antisemiti, la cui eccezionalità («raro») è condannata poco dopo.
9 «sotto questo medesimo mantello»: con il pretesto religioso.
10 Conquista di Orano, Tripoli e Tunisi: 1509-11.
11 Le attività di Ferdinando in Italia erano additate anche nel cap. III, a proposito degli errori di Luigi XII: dal trattato di Granada del 1500, che sanciva un condominio franco-spagnolo nel Regno di Napoli, al prevalere delle forze spagnole nel 1503.
12 «ultimamente»: nel 1512 Ferdinando aderì alla Lega Santa e conquistò la Navarra.
13 «sospesi e ammirati»: incerti e attoniti. La dittologia sinonimica ribadisce ed estende a tutti i sudditi la strategia applicata poco sopra ai «baroni». Le grandi imprese distraggono l’attenzione e allontanano dal popolo il progetto di realizzare «innovazioni». Sulla capacità del buon principe di agire in modo da suscitare lo stupore e l’incertezza si veda già cap. VII, n. 27 e cap. XIX, n. 73. – «fatte e ordite»: hysteron proteron già additato dal Russo.
14 «rari»: torna l’aggettivo raro a designare la straordinarietà dei comportamenti del principe.
15 Bernabò Visconti governò Milano dal 1354 al 1385, quando fu defenestrato dal nipote Gian Galeazzo. In maniera spregiudicata egli avviò il consolidamento di uno stato regionale lombardo, ma qui è ricordato soprattutto come personaggio letterario, nelle novelle di Franco Sacchetti o Giovanni Sercambi, per il suo stravagante modo nel premiare o punire i sudditi.
16 «chi» è correzione di Inglese per il «che» tramandato. L’intervento è sostenuto dal successivo «chi perde non ti riceve». – «ricevere» ha qui il valore di accogliere sotto la propria ala protettiva. Contro la neutralità e il prendere «il beneficio del tempo» cfr. cap. II, n. 4 e cap. III, n. 24.
17 Cfr. Livio XXXV, 48-49.
18 «stare di mezzo»: restare neutrali.
19 Si tratta di Tito Quinzio Flaminino, non semplice legato ma vero arbitro della presenza romana in Grecia. Console nel 198 a.C. (a soli trent’anni), vincitore di Filippo V di Macedonia a Cinoscefale, proclamò la libertà della Grecia durante i giochi Istmici del 196 e sconfisse Nabide a Sparta nel 194, celebrando un maestoso trionfo al rientro a Roma. I fatti cui Machiavelli allude risalgono al 192 e sono connessi con il contemporaneo impegno militare romano contro i Cartaginesi di Annibale. Infine fu ancora Flaminino a ottenere nel 183 la consegna di Annibale da Prusa re di Bitinia. Machiavelli è particolarmente attento ai risvolti della politica romana in grecia: cfr. cap. III, nn. 18 e 22, e cap. V, nn. 2 e 5.
20 Livio XXXV, 49, 13: «Nam quod optimum esse dicunt, non interponi vos bello, nihil immo tam alienum rebus vestris est: quippe sine gratia, sine dignitate praemium victoris eritis». La citazione ricorre anche in una lettera del 29 agosto 1510 (a un destinatario identificato da Martelli 2006 con Buonaccorsi) e in una al Vettori del 20 dicembre 1514. La lezione interponendi, in luogo dell’infinito interponi, è presente in manoscritti e incunaboli liviani identificati da Inglese 1995: l’interpretazione di «non interponendi vos bello», come proposizione incidentale coordinata per asindeto ma sostanzialmente slegata dal resto del periodo (sia che si intenda interponendi come gerundio sia che lo si interpreti come nominativo maschile plurale del gerundivo), si giustifica piuttosto come citazione a memoria da parte di Machiavelli; il carattere difficilior ne attesta la genuinità autoriale nella tradizione del Principe, al di là delle ragioni per cui interponendi riemerge talora nei testimoni liviani.
21 L’errore di rinviare una guerra necessaria era imputato a Luigi XII nella conclusione del cap. III, n. 35. – «presenti periculi»: pericoli attuali.
22 «e’ vi è contratto lo amore … con tanto esemplo di ingratitudine e’ ti opprimessino»: l’espressione potrebbe apparire antitetica rispetto a tutte le osservazioni sull’ingratitudine umana e sul mancato rispetto dei patti che punteggiano la seconda parte dell’opuscolo. Ma qui Machiavelli non sta discutendo di un sentimento di «amore» in senso proprio, bensì delle apparenze da salvaguardare. Fra un principe vittorioso e i suoi alleati c’è un manifesto patto di solidarietà («vi è contratto»: sussiste «lo amore» per palese accordo), e non conviene mostrare «tanto esemplo di ingratitudine» (una così appariscente violazione) nell’«opprimere» i propri alleati. Che il discorso machiavelliano sia pragmaticamente rivolto a determinare un comportamento conveniente sul piano dell’immagine è confermato dai due rilievi successivi: le vittorie non sono mai così complete («sì stiette») da non imporre la salvaguardia di qualche riguardo e di una almeno apparente equità.
23 «se fussi savio»: se quello fosse prudente non dovrebbe aiutare te, ma cercare di impedirti l’impresa. Ancora una volta il concetto è chiarito dagli esempi successivi: due potentati minori dovrebbero sostenersi a vicenda contro un potentato maggiore, e ciascun principe non deve lasciarsi irretire in alleanze con sovrani più potenti se non indottovi da stringente necessità.
24 Cfr. cap. III, n. 27. – «fuggire di non fare»: evitare di stringere quell’alleanza (il non ricalca un costrutto latino).
25 La neutralità di Firenze nella guerra della Lega Santa contro Luigi XII di Francia per il dominio del ducato di Milano (1511-12) determinò il crollo della repubblica soderiniana.
26 La gnome machiavelliana è topica e perciò ricalca ecletticamente lessico morale variamente attestato: si notino espressioni di matrice scolastica come «ordine delle cose» e «qualità delli inconvenienti». Tra l’altro Machiavelli mescola la dottrina del ‘male minore’ preferibile con quella del ‘meglio nemico del bene’.
27 «dando ricapito»: ricevendo. Offrendo ospitalità e sostegno, più in generale appoggio materiale.
28 «animare»: indurre e mettere in condizione.
29 «esercitare li esercizi … in ogni altro esercizio»: la figura etimologica e l’anafora insistono sull’importanza delle attività produttive da incentivare con una dinamica preliberista («per timore che la gli sia tolta» e «per paura delle taglie»).
30 «e che quello non tema»: e fare in modo che un cittadino non tema di mostrare le sue proprietà, e un altro non tema di avviare un commercio.
31 «ampliare»: arricchire.
32 Machiavelli ha qui presente l’Epitafio di Pericle nel II libro di Tucidide, in particolare capp. 38-40. Gli stessi temi tornano nell’opuscolo dialogico senofonteo Ierone, cap. IX (specie § 4), additato da Francesco Bausi, Il sasso di Machiavelli, in M. de Nichilo-G. Distaso-A. Iurilli (a cura di), Confini dell’umanesimo letterario. Studi in onore di Francesco Tateo, Roma nel Rinascimento, 2003, pp. 115-126, in specie pp. 121-123.
33 «in arte o in tribu»: in corporazioni professionali o in circoscrizioni (evidentemente anche in base a rapporti di parentela).
34 «università»: collettività, gruppi sociali omogenei.
35 «perché questo non vuol mancare mai in cosa alcuna» è tramandato solo dal ramo y (e in particolare abbiamo scelto la lezione del Marciano). La precisazione è espunta da Inglese 1994, evidentemente come zeppa.