Capitolo XXV

QUANTUM FORTUNA IN REBUS HUMANIS
POSSIT ET QUOMODO ILLI SIT
OCCURRENDUM
1

[1] E’ non mi è incognito come molti2 hanno avuto e hanno opinione che le cose del mondo sieno in modo governate, da la fortuna e da Dio,3 che li uomini con la prudenza loro non possino correggerle, anzi non vi abbino remedio alcuno; e per questo potrebbono iudicare che non fussi da insudare4 molto nelle cose, ma lasciarsi governare alla sorte. Questa opinione è suta più creduta ne’ nostri tempi per le variazione grande delle cose che si sono viste e veggonsi ogni dì, fuora di ogni umana coniettura.5 A che pensando io qualche volta, mi sono in qualche parte inclinato nella opinione loro.6 Nondimanco, perché il nostro libero arbitrio non sia spento,7 iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi.8 E assimiglio quella a uno di questi fiumi rovinosi che, quando si adirano, allagano e’ piani, rovinano li arbori e li edifizi, lievano da questa parte terreno, pongono da quella altra: ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede all’impeto loro sanza potervi in alcuna parte ostare.9 E, benché sieno così fatti, non resta però che gli uomini, quando sono tempi queti, non vi potessino fare provedimento10 e con ripari e con argini: in modo che, crescendo poi, o eglino andrebbono per uno canale o l’impeto loro non sarebbe né sì dannoso né sì licenzioso.11 Similmente interviene della fortuna, la quale dimostra la sua potenza dove non è ordinata virtù a resisterle:12 e quivi volta13 e’ sua impeti, dove la sa che non sono fatti gli argini né e’ ripari a tenerla. E se voi considerrete la Italia, che è la sedia di queste variazioni e quella che ha dato loro il moto,14 vedrete essere una campagna sanza argini e sanza alcuno riparo: che, s’ella fussi riparata da conveniente virtù, come è la Magna, la Spagna e la Francia, o questa piena non arebbe fatto le variazioni grande che la ha, o la non ci sarebbe venuta.15 E questo voglio basti aver detto, quanto allo opporsi alla fortuna, in universali.

[2] Ma ristringendomi più a’ particulari, dico come si vede oggi questo principe felicitare16 e domani ruinare, sanza avergli veduto mutare natura o qualità alcuna; il che credo che nasca, prima, da le cagioni che si sono lungamente per lo addreto discorse: cioè che quel principe, che si appoggia tutto in su la fortuna, rovina come quella varia.17 Credo ancora che sia felice quello che riscontra18 il modo del procedere suo con la qualità de’ tempi: e similmente sia infelice quello che19 con il procedere suo si discordano e’ tempi. Perché si vede gli uomini, nelle cose che gli conducono al fine quale ciascuno ha innanzi, cioè gloria e ricchezze,20 procedervi variamente: l’uno con respetto,21 l’altro con impeto; l’uno per violenzia, l’altro con arte; l’uno con pazienza, l’altro col suo contrario; e ciascuno con questi diversi modi vi può pervenire. E vedesi ancora dua respettivi, l’uno pervenire al suo disegno, l’altro no; e similmente dua equalmente felicitare con diversi studi,22 sendo l’uno respettivo e l’altro impetuoso: il che non nasce da altro, se non da la qualità de’ tempi che si conformano, o no, col procedere loro.23 Di qui nasce quello ho detto, che dua, diversamente operando, sortiscono el medesimo effetto: e dua equalmente operando,24 l’uno si conduce al suo fine e l’altro no. Da questo ancora depende la variazione del bene:25 perché [se]26 uno che si governa con respetti e pazienza, <se> e’ tempi e le cose girano in modo che il governo suo sia buono, e’ viene felicitando; ma se e’ tempi e le cose si mutano, rovina, perché e’ non muta modo di procedere. Né si truova uomo sì prudente che si sappia accommodare27 a questo: sì perché non si può deviare da quello a che la natura lo inclina, sì etiam28 perché, avendo sempre uno prosperato camminando per una via, non si può persuadere che sia bene partirsi da quella.29 E però l’uomo respettivo, quando e’ gli è tempo di venire allo impeto, non lo sa fare: donde e’ rovina; che se si mutassi natura con e’ tempi e con le cose, non si muterebbe fortuna.

[3] Papa Iulio II procedé in ogni sua azione impetuosamente, e trovò tanto e’ tempi e le cose conforme30 a quello suo modo di procedere che sempre sortì felice fine. Considerate la prima impresa ch’e’ fe’ di Bologna, vivendo ancora messer Giovanni Bentivogli.31 Viniziani non se ne contentavano; el re di Spagna, quel medesimo; con Francia aveva ragionamenti di tale impresa. E lui nondimanco con la sua ferocità e impeto si mosse personalmente a quella espedizione. La qual mossa fece stare sospesi e fermi Spagna e Viniziani, quegli per paura e quell’altro per il desiderio aveva di recuperare tutto el regno di Napoli;32 e da l’altro canto si tirò dietro il re di Francia perché, vedutolo quel re mosso e desiderando farselo amico per abbassare e’ Viniziani, iudicò non poterli negare la sua gente sanza iniuriarlo manifestamente. Condusse33 adunque Iulio con la sua mossa impetuosa quello che mai altro pontefice, con tutta la umana prudenza, arebbe condotto. Perché, se egli aspettava di partirsi da Roma con le conclusioni ferme e tutte le cose ordinate,34 come qualunque altro pontefice arebbe fatto, mai gli riusciva: perché il re di Francia arebbe avuto mille scuse e li altri li arebbono messo mille paure. Io voglio lasciare stare le altre sua azioni, che tutte sono state simili e tutte gli sono successe bene: e la brevità della vita non li ha lasciato sentire il contrario;35 perché, se fussino sopravvenuti tempi che fussi bisognato procedere con respetti, ne seguiva la sua rovina: né mai arebbe deviato da quegli modi alli quali la natura lo inclinava.

[4] Concludo adunque che, variando la fortuna e’ tempi e stando li uomini ne’ loro modi ostinati,36 sono felici mentre concordano insieme e, come e’ discordano, infelici. Io iudico bene questo, che sia meglio essere impetuoso che respettivo: perché la fortuna è donna ed è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla. E si vede che la si lascia più vincere da questi, che da quegli che freddamente procedono: e però sempre, come donna, è amica de’ giovani, perché sono meno respettivi, più feroci e con più audacia la comandano.37

1 Quanto possa la Fortuna nelle vicende umane e come le si debba resistere.

2 Il commento del Burd e, da ultimo, quello del Martelli additano numerose fonti classiche e medievali per il dibattito de fortuna. Ma il rinvio operato da Martelli a una corrente tradizione gnomologica appare assai convincente, specie per quel Publilio Siro, 27: «Fortuna ad hominem plus quam consilium valet», segnalato dal benemerito studioso, al quale si potrebbe aggiungere, dal medesimo paroemiologo latino (uno schiavo liberato originario di Antiochia, affermatosi come mimografo e – pare – gradito a Cesare), «Fortuna vitrea est: tum cum splendet frangitur», o ancora «Homo semper aliud, fortuna aliud cogitat». Che le Sententiae di Publilio Siro potessero essere presenti alla mente di Machiavelli è più che probabile, dato il manifesto ricorrere dell’autore, in particolare nella seconda parte del Principe, a espressioni mutuate dalla tradizione favolistica e gnomologica.

3 Se l’autore pensi a due entità distinte (una fortuna come cieco caso e una provvidenza divina ordinatrice teleologica delle vicende mondane), entrambe incontrollate dall’uomo, ovvero impieghi «fortuna» e «Dio» pressoché come sinonimi è elemento alquanto oscillante lungo l’intero capitolo.

4 «non fussi da insudare»: non occorra impegnarsi. – La predestinazione fatalistica impedisce di indirizzare («correggere») o migliorare («aver remedio») la condizione prestabilita.

5 «ne’ nostri tempi»: dopo il 1494, ossia dal momento in cui hanno preso avvio le «variazione grande», gli sconvolgenti e terribili accadimenti della storia italiana negli anni di Machiavelli. Fenomeni così grandiosi e catastrofici da non risultare prevedibili, neppure con l’ausilio di una scaltrita prudenza storico-politica: «fuora di ogni umana coniettura» implica l’impotenza di quell’eikazein politico, fondato sulla conoscenza storica, che sorregge l’impianto classicistico del trattatello.

6 Probabile riferimento al Capitolo di Fortuna, in terza rima, composto da Machiavelli nel 1506. Ma i medesimi temi ricorrono anche nei coevi Ghiribizzi al Soderini, parimenti presenti per questo capitolo nella memoria letteraria dell’autore. Sul Capitolo di Fortuna cfr. M. Martelli, Machiavelli tra retorica e politica. Il Capitolo di Fortuna a Giovan Battista Soderini, «Interpres», 24, 2005, pp. 147-175.

7 «libero arbitrio … spento»: libero arbitrio è qui, in generale, la libertà di scelta, la capacità di autodeterminazione del proprio destino. Il verbo «spegnere» ha sempre un valore forte e definitivo, fin da cap. III, n. 16 e passim. – Significativa l’iterazione «arbitrio […] arbitra»: il tono di Machiavelli è qui possibilistico e assai meno asseverativo che in altri luoghi dell’opuscolo («iudico poter essere vero che…»).

8 Intendi: «ma etiam [anche] iudico che lei…». Chiarisce Inglese 1995 che in ciascuna vicenda umana si determinerà una commistione di prudenza e fortuna. – «o presso»: all’incirca.

9 L’immagine del fiume in piena, già presente nel Capitolo di Fortuna, deriva a Machiavelli dalla trattatistica giuridica, e in particolare dai Rerum cottidianarum libri gaiani (D 41, 1, 7, 4-5): cfr. M. Bretone, I fondamenti del diritto romano. Le cose e la natura, Roma-Bari, Laterza, 20014, pp. 96-98 e 257-260. Piuttosto che riferirsi al casus, Machiavelli si sofferma sull’idea di una incontenibile vis maior, avverso la quale lo stesso diritto cede il passo: il discorso è esemplato dall’allagamento estintivo della proprietà fondiaria. – Sulla fortuna dei trattati bartoliani De alluvione, De alveo, De insula (e sulle fonti gaiane del De alluvione) cfr. Osvaldo Cavallar, Geografia della tirannide. Una proposta di lettura per alcuni degli ultimi trattati bartoliani, in Jérémie Barthas (a cura di), Della tirannia: Machiavelli con Bartolo, atti della giornata di studio, Firenze 19 ottobre 2002, Firenze, Olschki (Ist. nazionale di studi sul Rinascimento), 2007, pp. 3-46, in specie p. 37.

10 «non resta che non vi potessino…»: resta tuttavia la possibilità che gli uomini provvedano (la doppia negazione, latinamente, afferma).

11 «licenzioso»: incontrollato.

12 «dimostra la sua potenza … non è ordinata virtù a resisterle»: manifesta la propria forza inarrestabile (come non pensare alle prime stanze della Ginestra leopardiana!) laddove l’umana prudenza non si è organizzata per resisterle con efficacia.

13 La personificazione è retoricamente efficace, ma logicamente contraddittoria: la fortuna rivolgerebbe (quasi volontariamente) il proprio impeto dove ella si avvede («sa») che l’uomo è impreparato a resisterle. In effetti il concetto machiavelliano è esattamente l’opposto: noi constatiamo la potenza della sorte laddove essa non incontra ostacolo a causa della nostra scarsa prudenza e perciò la fortuna sembra rivolgere la sua forza dove non trova barriera che la contenga. – «argini né e’ ripari»: in successione chiastica rispetto all’occorrenza immediatamente precedente.

14 «la sedia … il moto»: l’Italia è divenuta il teatro del grande conflitto europeo, ed essa stessa ha scatenato il primo impulso di quegli scontri, consentendo – in ragione dei violenti particolarismi interni – le scorrerie e l’occupazione delle milizie straniere.

15 La mancanza di «virtù», cioè di prudenza politica da parte dei principi italiani, ha reso la penisola una «campagna sanza argini», devastata dalla «piena», dalla violenza delle truppe in armi.

16 «felicitare»: prosperare. Il verbo è ripetuto costantemente nel corso del capitolo.

17 Cfr. cap. VII, nn. 1-4.

18 «riscontra»: rende adeguato e perciò idoneo a rispondere alle esigenze; commisura.

19 «che»: del quale (anacoluto).

20 «gloria e ricchezze»: sono gli obiettivi che «ciascuno ha innanzi», verso i quali gli uomini «procedono» in maniera diversa.

21 «rispetto»: cautela; e, infra, «respettivi»: cauti.

22 «studi»: accorgimenti e strategie di comportamento politico.

23 «la qualità de’ tempi che si conformano»: ora è la natura delle occasioni che si adegua (o meno) al carattere umano; supra, più logicamente, Machiavelli aveva affermato il contrario («sia felice quello che riscontra il modo del procedere suo con la qualità de’ tempi»).

24 È sottinteso: «non lo sortiscono».

25 «la variazione del bene»: l’instabilità della condizione prospera; la variabilità (l’incostanza, il mutevole corso) del benessere (inteso come stabilità politica, naturalmente).

26 L’impropria collocazione della congiunzione ipotetica è da attribuirsi all’autore, che potrebbe aver mutato il costrutto currenti calamo per introdurre il duplice caso di chi si trovi in accordo e di chi si trovi invece in disaccordo con i tempi (così Lisio e Inglese). Ne risulta una interposizione del soggetto comune alle due apodosi, come proposizione relativa in collocazione anticipata e distributiva, incidentale all’interno della prima protasi. La nostra proposta di correzione instaura un parallelismo: «se e’ tempi e le cose girano […] se e’ tempi e le cose si mutano»; diversamente Martelli: «se <a> uno che si governi, etc.».

27 «accommodare»: adeguare. – Si noti l’anafora del . – «si può deviare»: non è possibile deviare dal comportamento connaturato (il si è impersonale).

28 «sì etiam»: così anche.

29 «non si può persuadere … partirsi da quella»: non riesce a convincersi che sia opportuno allontanarsi dal comportamento abituale (il si è qui riflessivo).

30 «conforme»: adeguatamente disposte (avverbio).

31 Cfr. cap. XI, n. 27, cap. III, nn. 9 e 34, cap. XIX, n. 31 e cap. XX, n. 37. – I Veneziani e Ferdinando il Cattolico non erano soddisfatti da simile intenzione del papa, i Francesi trascinavano la trattativa.

32 «quegli per paura e quell’altro per il desiderio…»: quegli (Veneziani) e quell’altro (il re di Spagna) sono in chiasmo rispetto ai precedenti «stare sospesi e fermi Spagna e Viniziani».

33 «Condusse»: portò a compimento l’impresa.

34 «le conclusioni ferme e tutte le cose ordinate»: gli accordi confermati e tutti i preparativi militari adeguati.

35 «successe»: andate. – «sentire il contrario»: sperimentare la sconfitta.

36 «variando la fortuna … stando li uomini»: si noti l’efficace opposizione del verbo dinamico (variare, mutare) e del verbo statico (stare, permanere).

37 «vincere da questi»: dagli audaci. L’immagine si iscrive in un quadro letterario topico della misoginia tre-quattrocentesca: «tenere sotto» vale ‘possedere carnalmente’ e tutta la metafora ha una connotazione sessuale. Per un’analisi del topos rinvio a Pasquale Stoppelli, Machiavelli e la novella di Belfagor. Saggio di filologia attributiva, Roma, Salerno ed., 2007, il quale giustamente avverte che Machiavelli è lontano dall’aderire intellettualmente a tale motivo letterario; e basterebbe evocare i personaggi di Lucrezia nella Mandragola o di Sofronia nella Clizia per attestare al contrario una vena costante di esaltazione muliebre. L’autore però sa ben impiegare il topos misogino in chiave di diagnosi politico-sociale. Il cap. XXV, che si era aperto con andamento proverbiale, si chiude anularmente con una sorta di glossa estemporanea al sottinteso Audaces fortuna iuvat. Particolare rilievo assume poi il richiamo ai «giovani», come ha mostrato Gian Mario Anselmi, Machiavelli e la forza della giovinezza, in S. Verhulst-N. Vanwelkenhuyzen (a cura di), Giorni, stagioni, secoli. Le età dell’uomo nella lingua e nella letteratura italiana, Roma, Carocci, 2005, pp. 141-149.