LE prime gelate arrivano fin troppo presto, ricordandomi da quante settimane non ci sei più. Le calde giornate estive sembrano lontanissime ormai, e tuttavia ti sento presente in tutto ciò che faccio. Sei la candela che arde all’interno della zucca che ho intagliato per Halloween, l’unica della strada con un enorme sorriso anziché un ghigno spaventoso, perché a te piaceva di più così. Sei i guanti che indosso mentre estraggo la mia prima crostata di more dal forno, con estrema cautela per non scottarmi con la teglia rovente. Sei la sciarpa che mi avvolgo intorno al collo quando lavoro in giardino con Ewan, sapendo che in un gelido mattino d’autunno potrei buscarmi un raffreddore mortale. Sei la brezza che soffia mentre raccolgo i cavolini di Bruxelles e che mi sussurra quali sono buoni e quali da lasciare sulla pianta.
Sono tutto ciò che mi hai insegnato, anche quando credevi che non stessi ascoltando.
Lavorare in giardino mi tiene occupata e mi permette di sentirti più vicina. Nelle settimane passate ho aiutato a zappare l’orto, a sistemare delle cassette in cui i porcospini possano andare in letargo, a costruire mangiatoie per gli uccellini, a potare i meli e a piantare bulbi di tulipano per la prossima primavera. Non avrei mai immaginato che ci fossero così tante cose da imparare. Ho scoperto che il giardinaggio è davvero una specie di scienza.
Ho la schiena costantemente indolenzita, le mani screpolate e doloranti, ma nonostante il freddo, l’umido e il dolore, nel giardino, mentre lavoro sotto la guida di Ewan, circondata dal suono del suo canticchiare, dal sommesso scattare delle cesoie, dal cigolio della carriola e dai tonfi attutiti della zappa sul terreno indurito, trovo la pace. Non vedo l’ora che arrivi il giorno in cui viene a lavorare qui e io posso aiutarlo.
A dire il vero sono i giorni che preferisco.
Oh, e ti farebbe piacere sapere che abbiamo trovato una soluzione per l’abbondante raccolto autunnale. Dopo aver tenuto ciò che mi serve e distribuito regali ai vicini – cipolle per il maggiore, porri per Beryl Lampard, cavolo navone per Dave Daly – Ewan ha caricato il surplus sul furgone e lo abbiamo lasciato in una casa in città, il cui indirizzo è tenuto segreto per un’ottima ragione, ma che mi è stato rivelato in gran segreto dal dottor Bloomberg. È un rifugio per donne e bambini vittime di abusi domestici. Tra quelle mura possono vivere al sicuro, lì viene loro offerta una terapia psicologica di sostegno affinché non si sentano isolati o provino vergogna, e possano invece trovare la forza e la fiducia in se stessi per reagire a ciò che gli è accaduto. Tu hai sempre detto che un bel pasto saporito e nutriente serve al cuore quanto al corpo, e forse nel nostro piccolo stiamo aiutando a guarire qualche anima spezzata. A me piace pensarlo, comunque.
«Non è triste?» dico a Ewan un pomeriggio, mentre stiamo seduti sulla cassetta di legno rovesciata in fondo al giardino. Abbiamo appena finito di smantellare i pali di sostegno per i fagioli e li abbiamo riposti nella rimessa degli attrezzi per l’inverno. Anche se sono solo le quattro del pomeriggio inizia già a fare buio.
«Che cosa?» domanda lui, guardando distrattamente il cielo grigio per leggere le nuvole e capire se pioverà.
«Il fatto che l’estate debba finire», rispondo. «Gli alberi che perdono le foglie, i fiori che appassiscono...»
Fissiamo entrambi la terra marrone appena sarchiata.
«A me non sembra triste», replica Ewan. «È parte del ciclo della vita. Tutto gira in circolo, in costante movimento. Riguarda ogni cosa.»
Osservo il fango sotto le mie unghie, pensosa. Digger mi viene incontro scodinzolando e io gli appoggio la guancia sul pelo morbido della testa. Mi sono cresciuti i capelli, che ora mi pendono arruffati davanti alla faccia mentre lui mi lecca un orecchio.
«Sai come spiegavano l’alternarsi delle stagioni gli antichi greci?» mi domanda Ewan.
«No», rispondo con un sorriso, «ma Digger e io abbiamo la sensazione che tu stia per raccontarcelo, vero ragazzo?»
Il cane abbaia divertito.
«D’accordo, allora non ve lo dico», ribatte Ewan, fingendosi offeso. «Non vorrei mai annoiarvi.»
«Dai, racconta!»
«No, se non vi interessa», insiste lui, ostinato.
«Per favore!»
«No.»
«Dai!» esclamo dandogli uno spintone che gli fa perdere l’equilibrio e lo fa quasi cadere dalla cassetta.
«Ehi, donna infida!» ride lui raddrizzandosi. «Non ti farò più zappare la terra. Se metti su ancora un po’ di muscoli diventerai un pericolo!»
«Su, raccontami la storia», insisto dandogli una gomitata. «Sai che vuoi farlo.»
«D’accordo, ma solo perché insisti. Tutto iniziò quando Demetra scoprì che sua figlia Persefone era stata rapita. Distrutta dal dolore, giurò che non si sarebbe riposata finché Persefone non fosse tornata a casa. La cercò per tutto il mondo, vagando per mari e per monti, per deserti e foreste, e quando scoprì che era stato Ade a portare via sua figlia e che l’aveva trascinata negli Inferi per farla sua sposa, la disperazione si trasformò in collera. Furente, Demetra decretò che la terra non avrebbe dato più frutti finché Ade non le avesse restituito Persefone, cosa che il dio accettò, ma a una condizione: dal momento che Persefone aveva mangiato una melagrana che apparteneva a lui, avrebbe dovuto trascorrere una parte dell’anno con lui. Così, una volta all’anno, a Persefone è concesso di tornare sulla terra, e quando questo accade arriva la primavera, le piante germogliano, gli alberi fioriscono, i frutti maturano e la vita cresce rigogliosa. Ma quando arriva il momento in cui deve scendere di nuovo negli Inferi, torna l’inverno, cadono le foglie e i frutti e nulla cresce più finché lei non ritorna di nuovo sulla terra.»
Digger agita la coda con aria d’apprezzamento e strofina la testa contro la gamba del suo padrone.
«Ed è per questo che abbiamo la primavera e l’autunno, vero amico?» conclude Ewan dando una vigorosa grattata al cane.
Io penso a Persefone che va e viene, alle stagioni che cambiano, alla vita e alla morte, all’amore e al dolore.
«Credo che niente rimanga sempre uguale a lungo», dico tirandomi giù le maniche della felpa per coprirmi le mani gelide.
«Il mondo deve continuare a girare», mi risponde lui. «Tra sei mesi questo giardino sarà pieno di uccellini che cantano e gli alberi fioriranno di nuovo.»
Rabbrividisco nell’aria fredda, mi stringo le braccia intorno al corpo e affondo il mento nella sciarpa. So che ha ragione e che tra sei mesi questo giardino sarà di nuovo pieno di vita, ma mi chiedo se mi sembrerà lo stesso ora che mia madre non c’è più.
«Lei sarà sempre con te, sai», mi dice Ewan. «Devi solo chiudere gli occhi.»
Lascio che le mie palpebre si abbassino e ascolto il rumore della brezza che gioca con le foglie secche. Ciocche di capelli mi svolazzano intorno alle orecchie, solleticandomi le guance. Sento il calore della coscia di Ewan contro la mia, il vigore dei suoi muscoli contro di me.
«È dove desideri che sia», sussurra con la sua voce bassa e rasserenante. «Devi solo immaginarla.»
E nella mia mente a poco a poco prende vita un’immagine. Posso vederla lì, vicino al frutteto, con i lunghi capelli ramati che brillano sotto il sole dell’autunno, folti e rigogliosi come un tempo, bellissimi. È forte e in salute, con le guance rosee e gli occhi che brillano allegri. Mi sta sorridendo. Nell’aria sento odore di mele speziate, cannella, torta al cioccolato, crema alla vaniglia, vin brûlé, noce moscata... tutti gli aromi che aleggiavano nella nostra cucina nelle fredde giornate autunnali. Mi appare vibrante e felice, piena di energia. Le sorrido e lei mi saluta con la mano. Indossa i guanti di cashmere viola che le ho regalato per Natale l’anno scorso, quelli che ha detto avrebbe serbato per un’occasione speciale prima di riporli con cura in un cassetto. Sorrido e sollevo la mano per salutarla. Lentamente la sua figura colorata si confonde con le foglie rosse e gialle dell’autunno e i raggi dorati del sole che brilla, e infine svanisce.
Apro gli occhi. Le nuvole sono grigie e il cielo si è scurito. Guardo il frutteto dove gli alberi si stagliano contro il crepuscolo, le poche foglie rimaste che stormiscono lievi nella brezza, i rami che già appaiono spogli. Non mi importa se tra poco i meli sembreranno scheletri contro il cielo invernale. So che mi basterà chiudere gli occhi per vedere mia madre che mi saluta, e che sarà sempre un giorno di sole.
Quando abbasso lo sguardo, scopro che la mano calda e callosa di Ewan stringe la mia.
E mi sembra la cosa più naturale del mondo.
Non è come hai detto che sarebbe stato. Niente fulmini che solcano il cielo, nessun usignolo che si mette a cantare su un ramo. Non mi ritrovo immersa in una nuvola magica e nemmeno in un turbine di polvere di stelle. Invece tutto a un tratto mi sento reale, come se frammenti di me si fossero uniti simultaneamente. Sono la bambina di un tempo e l’adulta di oggi. Sono tutte le mie buone qualità e i miei difetti. Sono coraggiosa ma spaventata, sana ma danneggiata, forte ma disperata. Sono tutte le cose che ho ammesso e quelle che ho negato. La persona che sono in questo momento è il prodotto di tutto ciò che sono stata; verità e menzogna e tutto quello che c’è in mezzo.
Quando le labbra di Ewan sfiorano le mie non avverto la sensazione di cadere, priva di peso, come è accaduto a te.
Invece, per la prima volta, mi sento davvero me stessa.